Capitolo 50 - La missione (Parte 6)

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Vivo o morto...

La ragazza abbassò la testa, fingendo di controllare che il silenziatore della sua pistola fosse ben avvitato. Quel cilindro di metallo non silenziava poi molto in realtà, non era come nei film che Ray le faceva guardare. Ogni proiettile faceva comunque un frastuono assordante, era solo un po' più attutito. Non era solo per abbassare il rumore se usava quell'accessorio. Certo, qualunque cosa potesse anche solo lievemente affievolire i decibel degli spari era un toccasana per i suoi timpani, ma in ambito "professionale" il silenziatore veniva usato anche per non consentire all'avversario di capire con precisione la direzione e la distanza da cui partivano i colpi, oltre a ridurre notevolmente l'accecante vampata.

Aveva pensato a lungo al discorso da fare al compagno in quel momento, ma non era riuscita a trovare niente di meglio di quelle due stupide frasi.
Perché in realtà non c'era niente da dire.
Comunque fosse andata, che avesse ucciso o no, che fosse sopravvissuto o meno, entrare in quel magazzino l'avrebbe segnato per sempre nel profondo; e lei si sentiva molto più carnefice in quel momento che in anni di efferati omicidi.

Era la prima volta che condannava un innocente.

Forse non a morte, anzi, avrebbe fatto qualunque cosa pur di riportarlo vivo fuori da quel capannone. Lo stava però condannando a una vita di perdizione e incubi, di rimorsi e rimpianti.
Si sentiva come uno spacciatore che stava per fare la prima dose a un ragazzino. Poteva andare male o poteva andare bene. Poteva anche piacergli; ma forse non oggi, forse non domani, forse nemmeno dopodomani, però il rischio dell'overdose sarebbe sempre stata lì, a pedinarlo come un'ombra, una spada di Damocle costantemente a incombere sulla sua testa, e Eve era colei che stava per far pendere quella lama sopra di lui.

Daniel si tirò a sedere, tenendo la testa chinata verso il basso. «John non mi perdonerebbe se restassi nascosto qui» rispose con voce piatta, sforzandosi di non lasciar trapelare nessuna emozione attraverso le corde vocali.

«Che si fotta John!» sibilò lei con rabbia, «Non è lui che sta per entrare in quel maledetto magazzino. Se non vuoi fare il sicario, allora ti metterà da qualche altra parte. Sei bravo, non sprecherebbe uno come te solo per un suo stupido capriccio. Lui lo sa che non ho bisogno di nessuno al mio fianco.» Scosse la testa sbuffando. «È solo un bastardo.»

«Sai, Eve... mi piace allenarmi con te» sussurrò semplicemente lui, fissando il pavimento.

«Questo non è un allenamento» appurò la ragazza con voce autoritaria.

«E mi piace lavorare con te.»

«Ray, devi scegliere un lavoro in base a cosa ti porta a fare, non ai colleghi.»

Danny sollevò di scatto la testa, guardandola fisso negli occhi. «E mi sembrava di averti già detto che sono pienamente d'accordo con te e con le tue motivazioni.» Aveva la voce ferma e sicura.

«Ma-»

La interruppe alzandosi in piedi e fronteggiandola, continuando a guardarla negli occhi. «E, Eve, che i colleghi mi stiano simpatici oppure no, finché il lavoro non lo provo non posso sapere se mi piace, giusto?»
Lei aprì la bocca, ma l'italiano non la lasciò parlare: «Non sono uno che si tira indietro dinanzi alle sfide, dovresti saperlo. E in questi mesi non mi sono di certo fatto spaccare il culo da te o dai marines solo per poi starmene nascosto in un container ad aspettare che tu faccia tutto il lavoro da sola.» Aveva la voce ferma e sicura. «So che non hai bisogno di nessuno, ma mi spiace, sei stata tu a chiedere me come ostaggio, quindi ora mi sopporti e la smetti di farmi preoccupare più di quanto io non sia già.»
Sollevò il braccio per indicare il magazzino.
«Quindi, Eve, tu ora mi porti lì dentro insieme a te e a lavoro finito ti dirò le mie impressioni, ok?»

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora