XXIX. In your memories - prima parte

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Si rivolse a Ilyas, che si limitò a un secco cenno del capo.

«Ecco, molto probabilmente sai di cosa parlo. In generale tutte le situazioni che producono forte stress e angoscia sono potenziali inneschi di memoria traumatica. Avviene a chi vive una guerra, per esempio, chi è vittima di calamità naturali, chi è sottoposto a tortura, a sperimentazioni contro la propria volontà» occhieggiò Aisha, «abusi fisici, mentali, sessuali, e potrei continuare; l'elenco è lungo purtroppo. Ci sono casi più emblematici di altri, certo, come le torture o gli stupri, ma...»

Ci fu un movimento, il rumore di una sedia che strusciava sul pavimento. Soraya girò il capo e vide che Ilyas si era spostato leggermente in avanti.

«Emblematici? In che senso?» chiese.

«Nel senso che si tratta di casi tipici di disturbo da stress post-traumatico, che anche se ogni volta hanno manifestazioni diverse a seconda dell'individuo, del contesto, dei fattori in gioco, seguono uno schema più o meno uguale per tutte le vittime.» Bogdan rilasciò un lungo sospiro. «Vedete, dovete tenere a mente che il nostro cervello risponde agli stimoli esterni in maniera codificata, attraverso ciò che già conosce e che può capire. Quando siamo vittime di qualcuno o qualcosa che ha intenzione di distruggerci, annichilirci, ridurci a un oggetto, la corteccia prefrontale cerca di analizzare la situazione, ma non trova appigli. È una situazione che per il nostro cervello non ha alcun senso perché noi non siamo un oggetto, eppure nella vita può capitare di essere trattati come tali e, quando avviene, anche l'ippocampo, per quanto può scavare nei suoi archivi, non trova una risposta adatta a ciò che gli sta di fronte. Eppure l'amigdala continua a funzionare. Allora, dato che la corteccia prefrontale non può modularla, né spegnerla, ci evita almeno di morire per overdose di adrenalina e altre droghe endogene. Dato che il sovraccarico dell'amigdala rappresenta un rischio mortale per il nostro organismo, cosa succede di fatto? Che si interrompe la corrente del circuito cerebrale per disconnettere l'amigdala. È come se il nostro cervello andasse in blackout, un blackout a metà però, perché l'amigdala continua a dare l'allarme, a registrare tutto ciò che avviene, la paura, il dolore, la violenza, ma, come dire, in casa non c'è più nessuno: la corteccia prefrontale è in sciopero, l'ippocampo non riceve più le informazioni necessarie, non può né archiviare il fatto nella memoria autobiografica, né permettere l'individuazione spazio-temporale, ed è come se la vittima fosse a qualche passo di distanza, uno spettatore indolente, dissociato da se stesso. Il trauma continua, ma non si sentono più le emozioni, neanche la sofferenza fisica o quella psichica. È così che il nostro cervello ci protegge da una situazione indicibile. Ed è qui che si innesca la memoria traumatica: non ci si ricorda più in modo cosciente di tutto o di parte del trauma, i ricordi sono confusi, disordinati, come irreali, e si ha l'impressione di poterli sopprimere, ma la verità è che non vengono mai davvero dimenticati, piuttosto...»

«... rimangono latenti» lo scavalcò Ilyas, che si era spinto sul bordo della sedia, come se ce lo avessero appuntato, e che all'espressione diffidente ne aveva sostituita una più concentrata, sempre cupa però, accigliata.

Sua sorella continuava a stare in silenzio.

«Esatto. Rimangono in forma latente. Disordinati, confusi, ma rimangono. Tutte le emozioni provate al momento del trauma vengono convogliate nella memoria dell'amigdala, una memoria senza logica, senza riferimenti, una memoria emotiva grezza, potremo definirla così. All'inizio sono molto intense, poi man mano si affievoliscono, ma non se ne vanno mai del tutto. È una memoria fuori dal tempo, quella traumatica: si impone come se si stesse riproducendo in quel momento, si ripete in modo immutabile con la stessa carica emotiva iniziale, gli stessi dettagli. È involontaria, incontenibile, incontrollabile. Basterà sempre un niente per farla riemergere: un odore, un rumore, una parola, uno dei miliardi di frammenti nascosti nella scena incriminata, uno delle migliaia di detonatori, perché il ricordo esploda e invada la testa di pensieri di odio e terrore. La vittima, a seconda di quanto abbia rimosso, non capirà sempre da dove vengono quelle immagini, quella violenza e quei gesti che spesso si autoinfligge per reagire al ricordo. La risposta più comune, infatti, è cercare di non soffrire più, non sentire più niente. Da qui le migliaia di istinti autodistruttivi che vengono architettati da chi subisce un trauma; tutti quei modi ideati per aumentare il proprio livello di stress al fine di secernere droghe pesanti endogene sufficienti ad anestetizzarsi. Per non parlare di chi, invece di distruggere se stesso, decide di distruggere gli altri, diventa a sua volta torturatore, carnefice, perpetuando quel ciclo di violenza che purtroppo è difficile da spezzare, impossibile se non si elabora il trauma.»

Wolfen - Vol. 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora