𝐗𝐗𝐗. 𝐈𝐧𝐟𝐢𝐥𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨

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Shayla si avvicinò al portone d'ingresso. Premette su un piccolo tasto del citofono, ancora impolverato, e un suono stridulo e fastidioso fece intendere che la serratura automatica del portone fosse scattata. Atlas indossò la maschera, preferiva che qualsiasi guardia o anche i bambini non lo riconoscessero in volto. Anche perché avrebbe chiamato la polizia non appena fossero tutti fuori, dopotutto stava pur sempre collaborando con loro, sebbene li considerasse degli idioti.
Isak sembrava tranquillo, forse perché consapevole che i lacci che gli stringevano i polsi, in realtà, erano allentati. Non appena furono dentro, Atlas si sentì investito da un alone di ricordi, mentre fissava quel lungo corridoio e dedalo di busti di filosofi. Ricordava ancora quanto avrebbe voluto romperne alcuni, ma il terrore della punizione lo aveva convinto a starsene fermo.
Trovava assurdo che quelle statue fossero ancora tutte intatte.

«Vado a cercare i ragazzini.» Bisbigliò.
Indicò com un cenno del capo quale fosse la sala riunioni. Dovevano prendere tempo. Isak si liberò rapidamente e iniziò a correre verso l'ala opposta dell'edificio. Così avrebbero messo in scena una sua possibile fuga e Shayla e Perez sarebbero stati impegnati a cercarlo, assieme anche al signor Keyles, desideroso di vendetta per un figlio violento e assassino.
Atlas non si pentiva affatto di averlo ucciso a suon di pugni e torture.

Si allontanò dal gruppo. Era abbastanza certo che Perez non volesse far del male subito a quei ragazzini, non finché non avesse concluso con lui. Doveva tenerli per forza nelle camerate, al piano superiore. Mentre saliva quelle scale in marmo, scivolose a causa della polvere, un flash di ricordi lo colpì con violenza. Ricordava quando si divertiva a scendere, come su uno scivolo, poggiandosi sul corrimano, mentre tutti gli urlavano di stare fermo. Aveva sempre mantenuto una strana allegria in quel posto e quando la prima famiglia lo aveva adottato non aveva così tanta voglia di andarsene, tutt'altro. Non voleva legare con delle persone che molto probabilmente gli avrebbero fatto del male, così era riuscito a farsi riportare indietro.
Nessuno era mai rimasto abbastanza nella sua vita e forse un po' era colpa sua. Amava auto sabotarsi e allontanare chiunque, si sentiva più forte: non aveva legami e quindi non c'erano debolezze.
Solo Isak, Bendik, Ida ed Eyre erano davvero ancora lì e si chiedeva per chissà quanto tempo. Era terrorizzato, invece, dal futuro con Hercule, perché consapevole di non potergliene regalare uno come avrebbe meritato.
Una volta arrivato sul pianerottolo, si guardò intorno. Era tutto silenzioso e deglutì. Probabilmente avevano bendato i bambini, cosicché potessero raccontare davvero molto poco di quell'esperienza.
Sperava solo di essere abbastanza in tempo per evitare traumi ben peggiori, perché forse non sarebbe stato positivo, per il mondo e la sovrappopolazione, che tutti crescessero come lui con manie di omicidio.

Spinse in avanti la porta della sua vecchia camera, che cigolò appena. I letti singoli erano sempre gli stessi. Aggrottò la fronte, quando intravide Heaven seduta in un angolino, mentre si dondolava su se stessa terrorizzata. Si avvicinò lentamente, per evitare che si spaventasse, ma la ragazzina sussultò non appena lo vide. «C-chi sei?! Cosa vuoi?!» Gli puntò un piccolo specchio contro.

Atlas si abbassò sulle ginocchia. «Devi venire con me, ti porto a casa.»

I suoi occhi saettarono ovunque per la stanza. Era spaventata e sull'allerta. Scosse il capo. «No. Potresti essere uno di loro, non mi muovo da qui.»

Atlas sbuffò. Non aveva tempo da perdere. «Senti, bimba paradiso, dobbiamo andarcene. Prendo te, gli altri e vi porto fuori. Cerca di collaborare.» Fece per avvicinarsi per prenderla in braccio, ma Heaven -anche se in quel momento sembrava un piccolo diavolo infuriato- si mosse nervosamente e lo graffiò con una scheggia di vetro sul braccio.
Iniziava a stargli simpatica.

«Stai lontano da tutti noi! Nom ho intenzione di fare altre preghiere e prendermi ceffoni per non aver ringraziato per il pranzo.»
Atlas sbuffò piano. Al piano di sotto poteva sentire le imprecazioni di Perez, le urla di Shayla che chiamavano il suo nome, come in una perfetta commedia. Doveva sbrigarsi. Si tolse la maschera e vide Heaven sgranare gli occhi. «Atlas?»

•𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐦𝐚𝐫𝐞•Where stories live. Discover now