Sono qui davanti allo specchio, ferma, mentre cerco di sistemare i capelli castani dandogli una pettinata.
Devo uscire a fare acquisti e voglio essere un minimo presentabile almeno nel mio giorno libero.
Mi vesto in fretta e mi metto la giacca a vento blu per poi uscire in fretta da casa. Appena chiudo la porta con un tonfo mi accorgo di non aver preso la borsa, quindi rientro dentro, maledicendomi di dimenticarmi tutto peggio di un pesce rosso.

Riesco, scendo le scale in fretta e appena apro il portone il sole riscalda la mia pelle.
È una bella giornata invernale, una di quelle che sembrano primaverili ma con delle temperature rigide.
Mi dirigo in centro a piedi, per il mercato, che come al solito è ogni sabato.
Mi fermo ad ogni bancarelle ad osservare.
Non so bene cosa cerco, niente in particolare, ma so che appena vedrò qualcosa che mi ispira lo comprerò.
Come un ape attratta dal miele sono stata captata dallo stand pieno di piante da interno, compresa questa magnifica orchidea rosa.
La giro, poi la rigiro e soldi alla mano la compro per mia nonna, perfetta come regalo di natale.

È niente ma è fatto con tutto il mio amore.

Ed è questo che conta. Prima di andare via, busta alla mano, vedo un piccolo cactus nel suo tenero sottovaso blu e mi viene subito in mente Matteo.
Il suo autolesionismo è come voler toccare una di queste spine. Sai che sarà doloroso ma l'istinto è più forte.
Lo compro e ritorno nei miei passi. Proseguo con il mio solito giro e passo dal mio fruttivendolo di fiducia, Guido.
"Tesoro guarda cosa ti ho portato oggi" e con la sua dote innata di venditore mi alza degli splendidi aranci.
"Profumatissimi e buonissimi, fidati "continua.
"Dammene tre"
"E cosa ce ne fai di tre?"
"Dammene tre guido che andranno pure sprecati" lo ammonisco, mentendo pur di non ritornare a casa con una cassetta piena di quelle bocce arancioni.
Contrattando come al suo solito proseguo nei miei passi con più roba del previsto nella mia busta di tela.

Quanto pesa.

Penso mentre mi fermo alla bottega di Delia, per comprare un panino con mortadella e burrata.
Appena entro il campanello mi accompagna e appena la vedo intenta a portare uno scatolone più grande di lei mi accingo ad aiutarla.
"Non ti devi sforzare lo sai"
"Non preoccuparti"
Mi da una pacca sulla spalla come ringraziamento e in tutto il suo splendore del suo grembiule celeste a fiore mi prepara il mio solito panino.
"Quando ti troverai un giovanotto?"
"Ma chi vuole questa testa incasinata che mi ritrovo?"
"Non hai niente a che spartire con le altre"
"Sempre la solita " ridacchio mentre mi porge il panino accartocciato nella carta bianca.
"Forse questo sarà il mio ultimo panino che ti farò" mi intristisco subito e gli rispondo;" finalmente ti sei decisa ad andare in pensione?"
"È ora. Le ossa mi fanno male, i muscoli non ne parliamo. Mi dispiace" i suoi occhi sono i più tristi. Le sue rughe, i suoi evidenti acciacchi gridano la loro età avanzata ma come qualsiasi ottant'enne, a lei è sempre pesato chiedere aiuto.
"Ti verrò a trovare lo stesso ma ti porterò io un panino con la mortadella"
La vedo riaprirsi in un sorriso. Si slaccia il grembiule, me lo porge e ritornando davanti a me mi abbraccia.
"Te lo meriti qualcuno che ti vuole bene"
Gli sorrido grata, la guardo per l'ultima volta rifiutandomi di dirgli addio e la saluto come se fosse un sabato qualsiasi.
Continuo a passeggiare per la mia strada e mi fermo in una panchina, appoggio le buste a terra e osservo le macchine che sfrecciano davanti a me. Mi perdo a fissarle fino a che due mani mi coprono gli occhi prendendomi alla sprovvista.

"Lo so che ti sono mancato" e appena sento quella voce strappo quelle mani dai miei occhi e guardo Matteo senza parole.
"Che ci fai qui"
"Potrei chiederti la stessa cosa"
"Ma te l'ho chiesto prima io quindi, sputa il rospo" dico mentre comincio a scartare il mio panino "Lavoro qui vicino e stavo facendo due passi per sbollire la frustrazione" dice lui stringendo i pugni sullo schienale della panchina "cos'è successo?" chiedo incuriosita "ho litigato con mio zio e mio padre in azienda, sai per aver investito male dei fondi"
"Tuo padre e tuo zio?" chiedo
"Si" sospira "lavoro nella loro azienda di import export, come ho detto l'altro giorno non è un lavoro che adesso mi soddisfa. Ho voglia di crescere e grazie alle loro idee antiquate siamo ancora qui invece di puntare in grande" e mentre lo dice si siede accanto a me.
" non so come tu ti possa sentire, ma so che a volta è bene non arrabbiarsi troppo. Gli hai detto il tuo punto di vista ed arriverà un momento in cui si accorgeranno che hai ragione. Non credi?" E gli sorrido mentre continuo a mangiare goffamente "hai proprio ragione Ali" e mi da un bacio sulla guancia "senza di te che cosa farei" e mi fa l'occhiolino.
Passano alcuni attimi di completo silenzio fino a che lui non mi chiede "oggi giorno libero?" e io annuisco mentre deglutisco "non sei contenta?"
"Perché non dovrei esserlo?" gli chiedo di rimando "non so, ti trovo qui tutta sola" e mi guarda "allora la prossima volta che sono sola ti chiamo" e rido "ottima idea passerotto, finalmente hai deciso di darmi una chance"
"Tu sei fuori di testa " e rido" dici così ma ti conquisterò prima o poi"
"Mesà poi che prima" lo rimbecco e lui per ripicca mi bacia sulle labbra ma mi stacco un secondo dopo. "La smetti con questi baci?"
"Come se non ti piacciono"
"Non ho detto questo"
"Allora apposto, adesso devo andare ma ti richiamo stasera" e se ne va rubandomi l'ultimo pezzo di panino e io rimango lì come uno stoccafisso capendo che mi aveva incastrata anche questa volta.

Ritorno a casa verso le quattro di pomeriggio e appena poso le buste della spesa riesco per andare a salutare Jo e Alex, non so il perché ma in questi giorni la loro mancanza si faceva sentire e l'anima è debole a volte.
Mi incammino e dopo nemmeno cinque minuti mi ritrovo davanti alla nostra panchina mentre loro fanno una partita in silenzio.
"Posso giocare pure io?" Chiedo nervosa e non poi così tanto sicura come lo ero appena uscita di casa ma, nemmeno il tempo di finire di parlare, che Alex mi è letteralmente saltato a dosso mentre mi abbracciava e mi sussurrava che avevo fatto la cosa giusta a venire .
Appena lui si stacca da me, Jo mi guarda e sorride e alzandosi, mi abbraccia anche lui.
Dopo quel piccolo sipario, tutto sembra essere tornato come prima, sembriamo i noi di tanti anni fa e questa cosa mi fa sorride il cuore. Non ho dimenticato nulla ma per adesso il mio cuore ha bisogno di una bandiera bianca e quei due deficenti mi sono mancati più della mia anima questa settimana.

Dopo esserci ricomposti, ci risediamo sulla panchina . Jo e Alex finiscono la loro partita a carte mentre io continuo ad osservarli ancora sorridente non sentendo più lo scorrere del tempo.

Fatidica CoincidenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora