26. You never asked me who I am

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Capitolo 26

New York, dicembre 2020

Eve's POV

Quando fai qualcosa per tanto tempo, arriva un momento della tua vita in cui ti sembrerà di star correndo su una fottuta ruota per criceti. Non stai andando avanti. Non stai andando indietro. Sei bloccata in un giorno che sembra solo un'ombra del giorno prima, e tu diventi uno spettatore inerme. Lo spettatore della tua stessa vita.

A quel punto potresti iniziare a chiederti: qual è lo scopo di tutto questo? Cosa sto inseguendo? Da cosa sto scappando? Dal passato? Dal presente? Dal futuro?

Povera anima illusa. Il passato ce l'hai sulla pelle, incastonato nelle iridi, scorre nel tuo sangue. 

Lo vedi, immergersi nello specchio e diventare il tuo riflesso?  Lo senti, sussurrare nella notte? 

Come puoi sfuggirgli?

Alzati, corri, annaspa, prega. 

Non ci riesco. Ho bisogno di fermarmi, riprendere fiato.

Non c'è tempo. Non hai tempo. Perché ti sei fermata? 

Corri. 

Continua a correre, non smettere. 

Il cuore scalpitava così forte nel torace, che quasi temevo si spezzasse, i battiti rimbombavano furiosi nelle orecchie, nella gola, mi soffocavano.

E volevo fermarmi. Dovevo fermarmi.

Non puoi. Devi correre.

Veloce, più veloce. Ancora.

Correvo, ma non era abbastanza. 

Non sei abbastanza.

Corri.

La vedi? Quella luce, proprio lì in fondo.

Lo senti? Riesci a immaginarlo il suo calore sulla tua pelle? 

Bruciavano da morire: i muscoli, le gambe, la trachea.

Rivoli di sudore colavano sulle tempie, sulle guance. Sfioravano le labbra.

E io annaspavo come un patetico pesce fuor d'acqua, come una vergognosa puttana in preda ad un orgasmo concessole dall'uomo sbagliato.
Continuai a correre. 
Eppure ero sempre lì.

Un povero schiavo incatenato alla sua terra. Un paio di polsi legati ad un sudicio letto di un qualche schifoso motel in una cittadina sperduta. O ad un maledetto letto a baldacchino in una meravigliosa suite di lusso nella città più boriosa e paccaminosa che avessi mai visto.

Corri, corri, corri. Ma rimani ferma. Ti senti ferma.

Tutto intorno a me era ovattato: i rumori, le voci, le parole. 

I volti erano adombrati da una fitta nube scura o forse talmente chiara e riflettente da accecarmi.

E a quel punto non lo sapevo più, se la mia intera vita fosse sempre stata destinata ad essere solo una corsa infinita su un tapis roulant. Non lo sapevo, se mi stessi solo illudendo di poter festeggiare una vittoria che in realtà non era destinata ad essere mia.

Mi chiedevo se l'aver trascorso tutto quel tempo a fuggire, ad allenarmi, a prepararmi per la vita che avevo progettato per me stessa, non fosse stato il perfetto lasciapassare per un vizioso circolo di perenne insoddisfazione, per un labirinto buio che mai più mi avrebbe lasciata libera.

Butterfly EffectМесто, где живут истории. Откройте их для себя