07. Such a Waste

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Ribattei incredulo. «Ma mamma! Oggi è il mio compleanno.»

«È un giorno come gli altri e io non ho tempo per le tue stupidaggini. Ho una bambina neonata i cui pianti non mi danno pace.»

Dalla nascita di Autumn mamma era più strana del normale. Stava tutto il giorno a letto. Diceva che il suo corpo era rovinato per colpa nostra. Non la capivo. Non avevamo scelto noi di venire al mondo, non era colpa nostra se eravamo nati.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime. «Mi avevi promesso una festa e la torta con le candeline.»

Si portò innervosita una mano alle tempie. «Non te le meriti. Sei la vergogna di questa famiglia. Lo sai quanto abbiamo pagato per farti passare l'anno alla DuCasse? Ringrazia Dio per i tuoi zii, se non fosse per loro non saresti entrato in nessuna scuola d'élite.»

Singhiozzai. «Io ci provo mamma. È solo che non capisco, quando gli altri bambini finiscono i loro compiti a me manca ancora metà. Non riesco ad essere veloce come loro.»

Lei si sollevò dal divano in pelle verde, accorciando la distanza tra noi. Indossava nient'altro che una camicia da notte bianca. Se ricordo bene in quel periodo non si cambiava mai, aveva quella che i medici chiamano depressione post-partum.

Palmi cinsero prepotentemente le mie spalle. «Se vuoi che tuo padre si accorga di te, farai bene a dimostrare agli altri stupidi idioti dei nostri amici chi sei e qual è il nome che porti. Fare la vittima non servirà a nulla, ne so qualcosa...»

Mentre mamma se ne andava per insultare la domestica che teneva tra le braccia la mia sorellina, io mi sentii morire dentro.

Mi ero abituato all'idea di non essere all'altezza degli Hurt-Brekker, in fondo ero da sempre la pecora nera, quello che non valeva abbastanza. Le parole di mamma mi toccarono comunque in modo doloroso e silente.

Il petto iniziò per la prima volta a farmi male, le mani a tremare. Una sudorazione anomala m'invase. Non era il caldo, era una sensazione mai provata prima. Mi sentivo soffocare.

Miss Jane, la governante si abbassò alla mia altezza. «Va tutto bene piccolo. Sei un bravo bambino.»

«Sono stupido, l'ha detto anche il dottore.»

«No, non lo sei.»

«Come fa a saperlo?» replicai nell'immediato.

Lei schioccò un bacio sulla mia fronte. «Perchè ho una figlia come te. Essere lenti non vuol dire essere stupidi.»

Mi fissai triste i piedi. «Mamma e papà dicono il contrario.»

«Sai a volte, la diversità è solo un dono. Non devi essere uguale al resto del mondo per dimostrare chi sei e cosa vali.»

Sollevai dubbioso le sopracciglia. «Un dono?»

«Sì. Sei diverso, speciale e sicuramente hai qualcosa che i tuoi coetanei non hanno.»

Alzai le spalle. «Summer dice che sono una stella del football, e che presto suonerò il pianoforte meglio di lei.»

La sua risata rimbombò nella nostra casa, o meglio reggia reale. Era grande, ma anche vuota nonostante il numero di domestici e persone il cui compito era solo quello di servirci.

«Ora basta con questi discorsi tristi piccolo. C'è una torta che ci aspetta. Mi aiuti a prepararla?»

Miss Jane era la mamma che non avevo mai avuto, una signora di origini irlandesi che mi seguiva sin dalla mia nascita. Lei e Grant erano i soli che si preoccupavano per me quando la mia sorellona non c'era.

𝑾 𝒊 𝒏 𝒕 𝒆 𝒓 𝒍 𝒂 𝒏 𝒅Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora