Forse sto semplicemente cominciando a delirare. Forse mi sto solo costruendo un mucchio di castelli in aria, e dovrei cercare di rilassarmi di più.

Ad un certo punto, sento un movimento alla mia sinistra. Con la coda dell'occhio scorgo la figura di un uomo dai capelli castani accostarmisi, e sono così sicura che si tratti di Gabriel che mi volto con il sorriso già stampato in faccia e una scusa per interrompere la conversazione che vuole intavolare pronta sulla lingua.

«Sbaglio, o il tuo è un viso familiare?», dice invece un uomo che non ho mai visto.

Rimango per un attimo ferma a fissarlo.

Ha i capelli folti, due occhi così scuri da sembrare neri, un pizzetto ben curato a circondargli la bocca.

Ha un aria affascinante, avvolto in un cappotto nero con il colletto sollevato che gli sfiora la mandibola. Avrà tra i trenta e i trentacinque anni, al massimo.

Mi fissa sbattendo piano le ciglia folte. Ha appoggiato i gomiti sul bancone, sembra in attesa. In attesa che io gli risponda.

Di colpo mi riscuoto, batto più volte le palpebre e mi schiarisco la gola. «Mi scusi?».

Lui mi rivolge un sorriso garbato, quasi di scuse. Abbassa il mento e poi solleva solo gli occhi, rivolgendomi uno sguardo intrigante.

Fa un cenno della testa verso il fondo del locale, verso i divanetti vicino i quali sono radunati i miei colleghi.

«Sei qui con gli insegnanti della Nordesange?».

Io faccio rimbalzare lo sguardo tra lui e loro. Sono confusa.

Il suo è uno strano modo di approccio. Ma il barista – Barry, ha detto di chiamarsi – sta pulendo tutto tranquillo un bicchiere, e rivolge all'uomo accanto a me un cenno del capo, come se fosse un cliente che ha visto altre volte.

«Sì», rispondo allora, riportando gli occhi sul suo viso. «Sono con loro».

Lui incurva ancora di più un angolo della bocca. «Fammi indovinare», dice sporgendosi sui gomiti verso di me. Ha la voce profonda, bassa. «Sei la figlia del preside, non è così?».

Sbarro gli occhi, sorpresa, e lui emette una risatina che gli fa vibrare il petto.

«Come lo sai?».

Lui inclina la testa da una parte, mi studia con quel sorrisetto sempre sulle labbra. «È un paesino piccolo, le voci circolano in fretta. Se chiedi in giro, in molti sanno che alla Nordesange è arrivata una nuova insegnante e che è la figlia di Eugen Grigore».

«D'accordo», replico, e un po' mi faccio contagiare da quel suo sorriso appena accennato. «Ma come sapevi che ero io?».

«Assomigli molto a tuo padre; forse è per quello che mi sembra di averti già vista. Sono andato ad intuito.».

«Conosci mio padre?».

«Tutti conoscono tuo padre. La Nordesange è un'istituzione, e Eugen come preside è uno che si fa sempre in quattro. Organizza molte iniziative con la scuola anche qui in paese. È difficile non conoscere la sua faccia».

Il mio sorriso si allarga un pochino. «Sì. Tiene molto alla scuola».

L'uomo misterioso annuisce. Lancia uno sguardo alle sue spalle, verso i miei colleghi che sono tutti troppo occupati in fitte conversazione per far caso a noi. Poi si vola di nuovo, alza un dito per richiamare l'attenzione di Barry, ordina un bicchiere di whiskey, aspetta di essere servito. Dopo di che torna a rivolgermi i suoi occhi scuri.

Fa oscillare il liquido ambrato nel bicchiere senza schiodarmi lo sguardo di dosso, e io lo sostengo, intrecciando le mani sul bancone lucido.

«Non ti ho mai vista in giro da queste parti. Eugen ti teneva chiusa nel cassetto?».

DRAGOSTE - insegnami ad amareWhere stories live. Discover now