«Pulce, ci saranno giorni in cui io dovrò lavorare e tu dovrai stare con loro», non sarebbe durato molto, il periodo lavorativo, mi sarei licenziato una volta finita l'estate per questioni di comodità. Il college distava due ore e andare a lavorare mi richiedeva l'intera giornata, ma non potevo fare a meno dello stipendio, almeno non finché non avessi ottenuto ufficialmente la borsa di studio della Zefiro a settembre. Quindi si trattava di stringere i denti solo per i mesi estivi, dopo di che, Julian sarebbe tornato a scuola e io avrei iniziato a guadagnare come componente della squadra di baseball universitaria.
«No».
«Non hai possibilità di opposizione».
«No».
«Juju, non posso lasciarti da solo e non posso portarti al bar».
«No».
«Chi dice no è stupido».
«N...ehi, non vale», si lamentò, incrociando le braccia al petto, mentre le risate dei due ragazzi seduti davanti mi infastidivano. Non avevano capito che Julian avrebbe potuto continuare a rispondere in quel modo per tutto il giorno. Era estenuante a volte.
«Non sarà male, potrai giocare, forse uno di loro conosce la canzoncina dell'alfabeto meglio di me e finalmente scoprirai che lettera viene dopo la F».
«L».
«No, ritenta», certo il fatto che io non glielo dicessi appositamente che la lettera che veniva dopo era la G non lo aiutava, ma io ero suo fratello, non il padre, era nel "contratto" che lo prendessi un po' in giro.
«Non voglio stare con loro, non li conosco», gli tremò il labbro inferiore e io lo tirai verso di me per stringerlo in un abbraccio.
«Per quello c'è tempo, vedrai che poi mi pregherai di lasciarti con loro».
«Posso cambiare fratello se ne trovo uno che mi piace di più?».
Mi offesi un pochino.
«Questo mai, nessuno è migliore di me».
«Posso dire qualcosa?», mi guardò, dagli occhioni blu era sparita ogni traccia di lacrime. Menomale.
«No, questione chiusa. Io, Samuel Rivera, sono l'unico fratello di Julian Rivera».
Sbuffò, ma si lasciò cadere contro il mio fianco e io portai il naso tra i suoi capelli. Orsetto fragoloso.
***
Il campus era davvero enorme, ma la cosa che più mi sorprese era la divisione. I giocatori di baseball, i nuotatori e i rugbisti condividevano l'edificio con le cheerleader e le ragazze di atletica, mentre gli studenti di chimica, matematica e biotecnologie si trovavano dalla parte opposta, oltre il prato; quelli che studiavano materie umanistiche non pervenuti, forse c'era un lato del campus che si trovava oltre addirittura il campo da baseball e dove probabilmente non mi sarebbe mai servito mettere piede. Cominciavo ad apprezzare un pochino di più quel trasloco improvviso, comunque, soprattutto quando in corridoio incrociai la squadra di cheerleader e di nuoto che ridevano e si scambiavano riviste. Avevo la sensazione che non fosse così simile ad un carcere come avevo immaginato.
«La vostra stanza si trova tra la mia e a quella di Drew», non avevo la più pallida idea di chi fosse Drew, ma lo scoprii non appena quello si affacciò dalla camera. Era lo stronzo con i capelli neri e gli occhi color inchiostro. Porca miseria.
«No», esordì Julian al mio fianco e io guardai Ken di barbie in attesa di una sua spiegazione. Di tutto il campus, ero finito accanto al più stronzo di tutti, forse mi sarei divertito a lanciare oggetti contro la parete in comune in piena notte.
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La teoria dei calzini spaiati
General FictionSamuel Rivera è un ragazzo di appena diciotto anni; avrebbe potuto avere una vita come chiunque altro, se suo padre non fosse fuggito all'improvviso, portandosi via la sua infanzia, e se la madre, dopo aver partorito suo fratello Julian, non fosse c...
Capitolo 5
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