«Daniel, vuoi venire a disegnare a uno dei primi banchi?» domanda arcigna la professoressa con quella sua vocina da citofono.

Il ragazzo scuote il capo. «No, prof, da qui ho una visuale più chiara del fantastico paesaggio per il mio quadro» ribatte serio e, per avvalere la sua tesi, solleva il foglio mostrando all'intera classe una bozza frettolosa del parcheggio della scuola.
La donna si limita a scuotere la testa e a borbottare, gli occhi tornano a incollarsi al giornale tra le sue mani e il diverbio è già dimenticato.

«Cavolo, ha l'udito di un gatto» mormora il mio amico passando la matita sulla carta, valorizza una linea già tirata in precedenza e dai suoi gesti si percepisce l'insofferenza verso quel compito noioso. Il monito dell'insegnante sembra essergli scivolato sul corpo come olio nell'acqua, e la sua voce torna a riempire il silenzio.
Daniel è fatto così: ha sempre voglia di camminare sul filo del rasoio, punzecchia gli insegnanti con quel suo fare fascinoso e intrepido e se ne frega delle conseguenze.
Io preferisco starmene nell'ombra, fare del mio meglio per non cacciarmi nei guai e andarmene da scuola senza lasciare il segno.

Due visioni differenti, ma comunque efficaci.

«Ti senti bene? Sembri pallido» domanda Daniel mentre continua a disegnare, o meglio, a scarabocchiare in un angolo della superficie una serie di linee prive di senso.

«Tutto bene, solo le analisi mensili,» confermo, «mi sono dimenticato di fare colazione» aggiungo e pigio quattro delle mie dita indietro fino a sentire il polso tirare, in seguito le rilascio e compio lo stesso gesto almeno tre volte con entrambe le mani. È sempre importante scaldare le articolazioni, o altrimenti si va incontro a gravi conseguenze per i tendini e addio disegno.
Non posso permettermelo.

Daniel fa un ghigno e si schiarisce la gola.
«Non sei stato bravo, Damien, e avresti dovuto. Saresti potuto cadere in strada, finire sotto le ruote di una macchina, schiacciato per sempre.» Imita la voce petulante di mio fratello strappandomi un sorriso genuino.
In effetti, a grandi linee, è proprio ciò che avrebbe detto lui.

«A parte gli scherzi, è sempre meglio mangiare qualcosa.» Torna serio e annuisco convinto.

«La prossima volta.»

La classe è silenziosa, il suono delle matite sui fogli riempie l'aria, talvolta si odono bisbiglii fugaci, risatine basse.
Amo quando i professori ci assegnano un tema a nostra scelta, e le mie mani subito volano aggrappandosi alla fantasia, le immagini scivolano dalla mente fino a imprimersi sulla carta, un lungo filo conduttore a creare questa stupenda magia. Alla fine mi ritrovo a fissare il disegno di un ragno dai molteplici occhi intento a stritolare una preda, il cuore strappato dal petto, il corpo dilaniato.

«Come al solito metti allegria con la tua arte» mi canzona Daniel con un misto tra il divertito e l'inorridito nel notare il mio soggetto.
Prima che io possa rispondere il suono della campanella rompe la quiete, trilla in ogni angolo della struttura e sembra scuotere le stesse fondamenta.

«Mi raccomando, riportate il compito per la prossima volta.»
La professoressa tenta invano di parlare, ma è tardi: per ora il suo regno è caduto e i sudditi si stanno allontanando trionfanti.
Vado dietro al resto dei compagni, trascino le gambe ovunque vogliano loro perché non ho voce in capitolo, né ho interesse ad averne; mi limito a seguire la corrente.

Si uniscono ragazzi di altre classi creando così dei gruppi talmente vasti da riempire la superficie esistente.
Parlano di fidanzate; videogiochi; serie televisive; locali.
Dove posso dico la mia, però in genere resto in silenzio. Rido quando sento che la battuta dovrebbe far ridere e fingo di essere come tutti.
Il mio corpo è lì, eppure la mente è altrove.
Ripenso agli orari della biblioteca, uno dei luoghi dove mi sento protetto, dove non c'è la contaminazione delle nuove generazioni, ma solo il profumo dei libri e la solitudine di chi desidera lasciarsi sedurre dal loro fascino.

«Cosa ne pensi, Damien?»
Quella domanda mi fa sussultare anche se non lo do a vedere. Arriva come una freccia, mi colpisce, si pianta e il dolore non va via.
Inizio a sudare freddo, posso percepire i brividi lungo la schiena, l'affanno nel notare i loro sguardi su di me, in attesa.

Cosa avranno chiesto? Di cosa parlavano? Qual era l'argomento?

Ho abbassato la guardia per un istante.
Uno stupido passo falso.
Riprendo il controllo di me, sebbene dentro mi senta morire, e sorrido mentre ondeggio la testa di lato.
«Che domande fai? Sono pienamente d'accordo con voi.»
Sollevo il braccio con un'inclinazione ad angolo retto e tendo la mano nella speranza che uno di loro decida di muoversi per afferrarla.
Ho rovinato tutto.
Sono fregato.
Stupido, stupido, Damien.

Dopo un breve attimo di silenzio paragonabile all'arco di una vita intera, un tipo dell'altro gruppo stringe saldo la presa tirandomi a sé con foga.
«Sei un grande!» ride e batte un colpo sul mio torace, il fiato si spezza in gola e resta la pelle a pulsare laddove è stata colpita.
Mi aggrego all'ilarità e ricambio il gesto.

È andata. Sono stato fortunato.

Dopotutto, ciò che si aspettano è sempre e solo la completa devozione riguardo ogni pensiero, o scelta, o discorso.
Chi rema contro viene gettato oltre la scialuppa, abbandonato tra le onde tempestose fino a girare le spalle e vederlo affogare tra i suoi stessi mali.

E io non voglio essere uno di quelli.





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Spazio dell'autrice: Oh-oh un nuovo capitolo! Come è difficile la vita di scuola, la ricordo bene xD certo, ai miei tempi ( parla la vecchietta ) c'era più tolleranza ;^; Se vi è piaciuto il capitolo commentate \;v;/ Fatemi sapere cosa ne pensate e se ci sono errori di ogni tipo non siate timidi! aiutatemi a migliorare ;v;! <3

P.s= Per chi non lo sapesse, la carta da spolvero è un tipo particolare di carta solitamente usato nel liceo Artistico. Si tratta di un foglio color mattone da un lato liscio (per inchiostri) dall'altro ruvido per matite o altro ;v;! La tirone è una matita per stenografia (la mia preferita per disegnare) <3 <3

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