Lui

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Testa bassa, passo veloce, cercare di essere invisibile. Infatti, nessuno mi guarda mentre attraverso la strada; mentre supero le persone sul marciapiede; mentre schivo una bici. Sono veramente invisibile.
Arrivo sotto casa mia e sospiro.
Non ho voglia di entrare.
«Hai dimenticato le chiavi?»
Mi volto verso la fonte della voce, scoprendo il mio vicino di casa intento ad uscire di casa con il borsone da palestra appeso su una spalla.
«No, facevo solo mente locale.» rispondo impacciata affrettandomi a recuperare le chiavi dalla tasca. Per la fretta mi scivolano di mano e il tintinnio che provocano al contatto con l'asfalto mi sembra una risata schernitrice. Una di quelle risate prodotte dalle mie compagni di scuola.
Le recupero in fretta e infilo le chiavi nella toppa del cancello, poi mi fiondo all'interno. Arrivata sul portico, mi guardo indietro, ma il mio vicino di casa se n'è andato.
Entro in casa e cerco di fiondarmi in camera mia, ma mia madre se ne accorge.
«Sei qui San? Ti cercavo, vieni ad aiutarmi.» esclama.
Non mi resta che raggiungerla in cucina.
«San, taglia le carote.» mi dice troppo presa dalla pentola davanti a lei per guardarmi.
Non mi chiede mai come sia andata a scuola. Per lei è solo scuola: un periodo passeggero dove sono tenuta a prendere voti alti, in modo che si possa vantare con le sue amiche.
«San! Ti sembra il modo di tagliare le carote?» mi sgrida spaventandomi e per poco non mi mozzo un dito.
«Spero che almeno tu sappia mescolare. Ma che figlia incapace mi ritrovo? La figlia di Amanda ha due anni in meno di te ed è già in grado di aiutare sua madre in cucina! Anzi! Sa preparare anche i dolci! Tu non fai mai niente in casa, eh?» commenta acidamente.
Per lei non faccio mai niente dalla mattina alla sera.
«Figlia mia, già non puoi contare sul tuo aspetto, almeno dimostrati come una brava donna di casa! Di questo passo non ti sposerai mai!» sbuffa la donna.
È proprio senza pietà.
«Perché non ho trovato quello giusto.» affermo.
«Come se ci fosse la fila fuori casa.»
Questo è troppo.
Butto il mestolo nella lavastoviglie violentemente. Poi mi volto e me ne vado.
Prendo le chiavi e la borsa ed esco di casa arrabbiata come tutti i giorni.
Sento montare dentro di me l'odio verso mia madre. Non dovrebbe comportarsi così un genitore! Nei libri che leggo i genitori sostengono i figli, non sbattono loro in faccia... La verità.
Di solito riesco a trattenermi meglio e non esplodo in questo modo esagerato.
Mia madre non è una persona cattiva, solamente ha un modo di esprimersi sgradevole.
Arrivo al parco per cani poco lontano da casa.
Entro dal cancello e mi beo dell'abbaiare di quegli animali pelosi di diverse taglie e i loro padroni ridenti.
Osservando quei cani che scorrazzano in giro allegramente, scodinzolando la loro buffa coda e si annusano il di dietro divertiti, inizio a pensare che dev'essere proprio bello essere uno di loro. Sono tutti diversi con una grande varietà di razze, alcune belle e alcune brutte, eppure a loro non frega niente e si annusano comunque il sedere.
«Se pensassimo tutti come cani, il mondo sarebbe un posto più felice.» borbotto.
«Lo penso anche io, sai?»
Sussulto all'udire il suono della voce.
«Scusa, non volevo spaventarti.» commenta il ragazzo in piedi accanto a me.
«Posso sedermi?» chiede inutilmente, poiché nel mentre lo sta già facendo.
«Se pensassimo tutti come cani nessuno desirerebbe stare chiuso in casa. Cercheremmo tutti amore attraverso contatti veri e non quelli fasulli attraverso gingilli tecnologici. Inoltre potrei leccare persone a caso senza passare per maniaco» dice sorridendo.
Lo guardo sconvolta mentre lui, notando la mia espressione, si mette a ridere. Poi continua, sempre più forte, finché non si piega in due con le mani avvolte attorno l'addome.
La sua risata è così pura e cristallina che non posso non venirne contagiata e così inizio a ridere anche io, senza un apparente motivo.
«Oh! Oh! Mi fa male la pancia!» commenta buttando la testa all'indietro e accarezzandosi la pancia.
«Mi fanno male i muscoli facciali! Non rido mai così e non so nemmeno il perché lo sto facendo!» dico io.
«Non ricordo nemmeno perché ho iniziato a ridere» commenta scuotendo la testa.
Finalmente riusciamo a calmarci e io mi massaggio le guance e mi asciugo gli angoli degli occhi.
Oh, Cielo! Non ho mai riso così tanto.
In quel momento un frisbee passa sopra la testa del ragazzo e va a finire in mezzo ai cespugli.
«Per poco non mi mozzava la testa!» esclama piuttosto divertito.
Un cane corre a recuperare il frisbee, seguito da una ragazzina.
La fisso mentre recupera l'oggetto e accarezza la testa del suo cane, in attesa che si avvicini per scusarsi con il ragazzo, ma non lo fa.
Mentre si allontana mi fissa e inarca il sopracciglio, come se fossi io quella con qualche problema.
«Ma tu guarda questa stronza!» sbotto «non si scusa nemmeno!»
«Non fa niente, alla fine non mi ha preso.» commenta il ragazzo tutto allegro.
«Di cosa stavamo parlando? Di un mondo perfetto dove tutti pensano come cani?» riprende il discorso voltandosi verso di me. Appoggia il gomito sopra lo schienale della panchina, sostenendo il volto con la mano e una gamba incrociata sotto l'altra, in posa. Come se fosse tutt'orecchi per ascoltarmi mentre farò un lungo discorso filosofico.
È strano essere guardata così direttamente, avere qualcuno che mi presta totalmente la sua attenzione. Mi sento a disagio e in imbarazzo.
«Sì, insomma... Dicevo... Io...» inizio a balbettare senza riuscire a formulare una frase di senso compiuto.
Ho le guance in fiamme e il cuore che mi batte forte. Tengo lo sguardo basso.
Sento il suo sguardo pieno di aspettative su di me e non so più cosa pensare.
«Scusami, devo andare.» se ne esce all'improvviso balzando in piedi.
Alzo lo sguardo su di lui stupita dell'improvvisa fretta.
«È stato un piacere avere uno scambio di opinioni con te sulla mente canina» commenta facendomi un occhiolino.
«Ma io non ho detto niente, non è stato esattamente uno scambio.» replico arrossendo.
«Allora la prossima volta voglio proprio sentire cosa ne pensi.» mi dice sorridendomi.
«A proposito, chiamami El.» dice.
«El?»
«Sì, esatto, El. Come la lettera L dell'alfabeto.»
«Okay. Ti chiamerò El.» affermo confusa.
«E io posso chiamarti?» chiede.
«San, mi chiamo San.» replico squittendo.
«Ma io intendevo chiamarti con questo.» sorride tirando fuori il telefono.
Arrossisco di botto.
«Sì! Certo! Anche questo!» trillo agitata tirando fuori anche il mio di telefono, perché ad un tratto ho scordato anche chi sono, figuriamoci il numero del cellulare.
In quel momento il mio telefono prende a squillare e sullo schermo leggo il nome di mia madre.
«Scusa, ma devo risponder...» mi blocco non appena noto che il ragazzo strano è scomparso.
Di ritorno verso casa, mi rendo conto che stavo per dare il numero ad un perfetto sconosciuto.
Stupida.

LuiWhere stories live. Discover now