Arrivò fino ad un capolinea degli autobus, a qualche isolato da quella che sarebbe diventata la sua casa. Percorse a piedi quelle vie fatte di case basse con il giardino intorno e le biciclette parcheggiate nei vialetti. Non incontrò molte persone, qualche mamma che portava a spasso il proprio bambino nel passeggino, ben coperto per proteggersi dal vento che soffiava forte, qualche pensionato che andava a fare la spesa. Quel quartiere periferico le sembrava quasi un grande paese più che la periferia di una cittadina. Nel giro di poche centinaia di metri le villette lasciarono spazio a palazzine di pochi piani, decisamente più vecchie e meno curate. Rick le aveva dato una descrizione precisa e dettagliata di dove fosse. Le aveva descritto con dovizia di particolari la via, il palazzo e i locali intorno, così non le fu difficile trovarlo. Salì di corsa le scale fino al quarto piano e guardò le varie porte cercando di capire quale fosse la sua, stava per bussare ad una quando sentì quella alle sue spalle aprirsi. Si voltò ed era lui. Lo salutò con un sorriso che le riempiva il volto un attimo prima di lanciarsi tra le sue braccia in quell'abbraccio che le era mancato come l'ossigeno.

Si era resa conto di aver vissuto quei giorni con il cuore in gola e la paura che potesse accadere qualcosa, qualsiasi cosa, che li avrebbe tenuti lontani più del dovuto. Invece era lì, con lui, tra le sue braccia che la stringevano forte e non gli importava in quel momento dove, bastava lui, sarebbe andato bene anche lo squallido motel della loro prima notte in fuga. Si sottrasse da lui solo per un momento, per far scivolare lo zaino sul pavimento, poi la sua attenzione tornò sul Castle.

- Mi sei mancato Babe... Mi sei mancato tanto... - Se qualcuno l'avesse sentita con quella voce accorata avrebbe pensato che erano mesi che non di vedevano e non un paio di giorni, ma Beckett gli prese il volto tra le mani e lo guardò con l'urgenza dettata più che dalla separazione, dalla paura che potesse perdurare. Invece lui era lì, reale, con lo stesso tremore di lei e la stringeva per non farla allontanare un centimetro in più di quanto non fosse necessario per farla respirare.

Rick cercò la bocca di Kate avido di lei, ma si fermò a giocare con le sue labbra, solleticandole con la lingua e poi mordendole il labbro inferiore facendola sorridere prima di baciarla dolce e insistente.

- Mi sei mancata anche tu Beckett. Ho avuto paura che ti accadesse qualcosa, che ti trovassero, che noi...

- Shhh Castle... Sono qui... Sono qui...

Le mani di Kate percorsero la strada che andava dal viso a petto di Rick, fermandosi con insistenza sui suoi pettorali. Non gli disse niente, ma il suo sguardo gli fece capire tutto. Non aveva bisogno di parlare, la sentiva. Così come aveva sentito che era lì, sul pianerottolo a cercarla. Aveva riconosciuto i suoi passi, il suo modo di salire le scale, non aveva nemmeno controllato dallo spioncino, sapeva che era lei, così come adesso sapeva che era lui quello che voleva.

Pochi passi li separavano dal letto di quella pseudo camera e li percorsero senza smettere per un attimo di guardarsi, come se il contatto visivo fosse necessario tanto quanto quello tattile per rendere reale la reciproca presenza. Rick le tolse il giacchetto che ancora indossava e poi mise le mani sotto il maglione, sfilandoglielo con un gesto lento ma deciso, c'era ancora uno strato di troppo tra lui e lei, quella maglietta che lei lo aiutò a toglierle rapidamente. Toccò la sua pelle, resa fredda dal vento e sentì i brividi sotto le sue dita dove la toccava e i suoi respiri profondi a sottolineare quei gesti che già preludevano al piacere che da lì a poco sarebbe arrivato. Rick gettò via la sua maglia, rimanendo a torso nudo. Coprì Kate con il suo corpo, facendola stendere. Rimase così, protettivo, fermo su di lei. Sentì la sua pelle riscaldarsi e poi tremare di nuovo quando sentì dai suoi vestiti la forza della sua eccitazione. Castle le sussurrava parole profonde mentre lei con gli occhi chiusi si beava della sua presenza, del contatto, adsorbendolo. Il distacco che seguì fu spietato anche se si trattava solo di pochi istanti, come si sollevò da lei il freddo la invase e non era solo quello della mancanza del suo corpo a scaldarla. Rick la guardò dall'alto quasi impaurita della sua lontananza e le sorrise piegandosi per prendere un bacio e poi ridarglielo e dargliene altri ancora scendendo dal collo, attraversando il reggiseno che volutamente non toccò, lambendo la pancia ed arrivando fino ai jeans che erano di troppo, come i suoi, ed in breve non ci furono più, facendolo scivolare via mentre accarezzava possessivo le sue lunghe gambe ora libere da ogni indumento. Si prese qualche istante per guardarla o meglio dire contemplarla. Era bella di quella bellezza che ogni volta gli toglieva il fiato. Sapeva tutto di lei, del suo corpo che conosceva alla perfezione ormai, eppure ogni volta era come se la guardasse per la prima volta, come se dovesse ancora scoprire o riscoprire qualcosa, come se non le bastasse realmente mai. Erano stati due giorni e chi glielo diceva alla sua mente che non doveva considerarli come due anni o di più? Come si poteva obbligare qualcuno a pensare che quel lasso di tempo era breve, se lui non lo percepiva così, se per lui quel distacco era stato lungo, troppo lungo. Chi da la misura di quanto sia giusto considerare qualcosa lungo o breve? Per lui non era stato tanto lungo, era stato troppo lungo. Tanto avrebbe indicato la quantità, troppo quello che lui era in grado di sopportare. Ed ora era troppo anche il tempo che era distante dal suo corpo e per la gioia anche di Kate tornò su di lei dedicando tutte le sue attenzioni al suo volto con baci e carezze. Aveva voglia di lei tanta quanta lei di lui, ma non era solo una voglia fisica, ormai palese dalla sua eccitazione che non poteva più nascondere, se mai lo avesse voluto, contenuta solo dalla misera stoffa dei boxer. Aveva voglia di tutto di lei, anche solo di guardarla da così vicino che faticava a metterla a fuoco. Aveva bisogno di viverla.

L'unica cosa positiva di quella situazione era che avevano tempo. Avevano tutto il tempo che volevano e nessuno che li avrebbe disturbati. Castle aveva deciso che se lo sarebbe preso tutto. Sprofondò le mani dietro la schiena cercando il gancio del reggiseno e Kate lo aiutò inarcando la schiena per rendergli il compito più facile. Lo sfilò via facendolo finire in un punto imprecisato di quella stanza che ancora dovevano conoscere.

La lingua descriveva cerchi concentrici intorno a suoi capezzoli facendo attenzione a non sfiorarli, un gioco, una dolce tortura di piacere alla quale la voleva sottomettere. La sua anima narcisistica adorava quando era lei a supplicarlo, a chiedergli di smettere di giocare e di accontentarla, dandogli tutto quello che voleva. Tutto. E lui lo faceva, sempre. Ma anche a Kate piaceva essere portata al limite più volte perché sapeva che quello che veniva dopo sarebbe stato ogni volta più intenso ed adorava il volto di Castle compiaciuto quando lei non resisteva più e lo implorava di farla sua. Sapeva che non aspettava altro, che quel gioco tra loro li vedeva ogni volta interpretare il ruolo del seduttore e del sedotto, scambiandosi le parti di frequente, anche nella stessa notte, o giorno come in quel caso, anche nello stesso amplesso. Non fu diverso quel giorno. Si rincorsero e si trovarono, poi corsero di nuovo per trovarsi ancora sempre con la stessa intensità e la stessa voglia. Mai sazi, mai stanchi. Si amarono con la passione e l'intensità della prima volta, con la struggente disperazione di chi ha paura che possa essere l'ultima, con l'amore e la consapevolezza di sempre e poi come sempre si lasciarono andare alla dolcezza del dopo, rimanendo abbracciati, sfiniti e soddisfatti. Beckett vide il viso di Castle vicino alla sua spalla, le cingeva il corpo con un braccio, come sempre, perché voleva sentirla sua, sempre, anche quando dormiva. Ora però non stava dormendo, lei lo sapeva da come respirava. Si mise di fianco per guardarlo e lui sentendola muovere strinse la presa, altro segno che era sveglio. Non aveva nessuna intenzione di andare da nessuna parte di allontanarsi da lui, anzi, lo voleva ancora più vicino. Lo avrebbe voluto ancora, pensò mordendosi il labbro per nulla pentita di quel pensiero lussurioso. Si avvicinò al suo volto e chinandosi gli baciò gli occhi chiusi e poi giù sugli zigomi e di nuovo sulle labbra. Rick si fece baciare passivamente, lasciando che fossero le labbra di Kate a cercarlo e lambirlo. Si fece poi abbracciare lasciando che i loro corpi aderissero di nuovo come un'unica cosa. Avevano tempo, tutto il tempo che volevano e più del tempo l'unica cosa che avevano di più era il desiderio di loro stessi, di amarsi, di non lasciarsi mai.

- Buonasera detective Price. - Nick era appena rientrato a casa quando il suo telefono aveva cominciato a squillare. Pensava già fosse il distretto, qualche novità sul caso di Beckett, sulla sua auto ritrovata ed invece era una voce familiare, ma che non sentiva da tempo.

- Cosa vuoi Vulcan? - Chiese disgustato il detective.

- Lo sai, noi abbiamo ancora un conto in sospeso. - La voce viscida dell'uomo che sghignazzava dall'altro capo del telefono lo fece irritare ancora di più.

- Non ho più nessun conto con te. Te l'ho detto, ho chiuso.

- Detective Price, la tua memoria non è buona. Ti ricordi cosa ci siamo detti l'ultima volta? Mi dovevi ancora un favore ed io lo avrei riscosso quando avrei ritenuto opportuno farlo. È arrivato il momento. Domani pomeriggio riceverai le mie istruzioni. Mi raccomando, non fare scherzi. - Simmons attaccò lasciando Nick in preda ad un attacco di rabbia che gli fece scaraventare a terra tutto quello che era sul tavolo del suo salotto, lasciando a terra in mille pezzi luccicanti il vaso di cristallo distrutto.

ObsessionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora