Capitolo 5 - Reeze

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Una mattina di luglio, Angel si presentò in Biblioteca; mi stava cercando. – Capitano! Ho saputo che adesso hai assunto il comando di un battaglione! – disse, raggiante. – Sono fiero di te, figlio mio! –.
“Quando ti fa comodo, certo...”, pensai. Angel si sedette affianco a me e riprese a parlare: – So che adesso sei più impegnato, ma mi serve un favore... –.
Alzai gli occhi su di lui. Cosa poteva volere Angel? – Dovrò andare via per un po’. – esordì. – Porterei Dafne con me, ma non è ancora pronta –.
Ah, ecco. Dafne. – Certo che non lo è, non sa nemmeno tenere un’arma in mano senza che le tremi! –  risposi infastidito. Non mi importava di essere sgarbato, ad Angel non era importato di avermi abbandonato a me stesso solo per stare appresso a quella ragazzina. – Reeze non sottovalutarla, è ingamba. Insicura, ma ingamba. – riprese Angel, con pazienza. – Lei deve continuare ad allenarsi e non mi viene in mente nessuno che possa essere più adatto nel compito di te. – Scordatelo. – replicai. Nemmeno sotto tortura mi sarei abbassato a tanto, e di torture me ne intendevo. – Reeze. – incalzò Angel, sempre paziente. – Lei ha bisogno di qualcuno che la sproni, qualcuno con cui confrontarsi… – Chiedi ai bambini allora. Sono sicuro che saranno felici di avere una nuova compagna, soprattutto quelli con gli ormoni a palla. – Sto chiedendo a te. – tagliò corto Angel. Il suo tono era severo. – Se ci fosse chiunque altro in grado di svolgere l’incarico, non sarei qui. Sei l’unico che può farlo. L’unico davvero capace. –.
Esitai. Angel era sincero, lo sapevo, ma il pensiero di dovermi trovare da solo con quell’incapace di Dafne, mi innervosiva. – D’accordo, allora, ma sia chiaro che lo faccio per te. Al suo primo sgarro, io mollo. – dissi alla fine. – Sapevo di poter contare su di te! – fece Angel, per ringraziarmi.
Dopo quella mattina, andai spesso a vedere gli allenamenti della Guardiana Suprema per studiarla: l’arco era fuori questione; quella poveretta riusciva a malapena a tenderlo, figurarsi a scoccare le frecce! Le armi da fuoco erano sopravvalutate secondo me e, visto che non riusciva a centrare il bersaglio, sarebbero anche state inutili. Così decisi per la spada: certo, non era brava nemmeno in quella, ma in campo usava le spade da allenamento e sapevo bene quanto fossero scomode, in quanto generiche.
Passai una mattinata a studiarla, con un blocco e una matita in mano; a fine allenamento, avevo tutte le informazioni che mi occorrevano. Subito dopo, andai da Oleg, il fabbro dell’Armeria. Gli illustrai la mia idea e questi accettò di forgiare la spada.
– Una curiosità, Capitano, se posso… – mi disse. – Dimmi pure – risposi. – Perché lo zaffiro a forma di goccia? –. Sogghignai: – Non goccia, lacrima, Oleg. Una lacrima blu, che le ricordi quante lacrime ha versato inutilmente. –.
Ancora immerso nei ricordi, mi ritrovai davanti alla mia stanza. Vi entrai e mi sedetti sul davanzale della grande finestra che dava sui Giardini a fissare il cielo. “Il male non dorme mai.”, mi dissi, mentre guardavo le stelle.
Non ricordavo nemmeno l’ultima volta che avessi dormito. Una volta risvegliatasi, la mia parte demoniaca non mi aveva più abbandonato: ero diventato più veloce e vigile, i miei sensi si erano affinati, i bisogni come la fame e il sonno erano quasi scomparsi. Adesso mi bastavano dieci minuti al giorno di riposo per sentirmi rinvigorito. Ed ero immortale, un lato positivo in quell’ironia bastarda che era la mia esistenza. Le mie ferite, per quanto gravi, si rimarginavano in fretta. Peccato si trattasse solo di ferite fisiche. Quelle dell’anima avrebbero continuato a sanguinare sempre. Il demone che era in me sarebbe sempre stato lì, in agguato, ad aspettare l’occasione per uscire allo scoperto, ma non potevo più permetterlo.
Mi resi conto di essere stato troppo buono con me stesso, il giorno in cui Dafne mi schiaffeggiò. Se non fosse stato per Angel, mi sarei trasformano e lei sarebbe stata spacciata.
– Io so chi sei. – disse Angel, mentre la rabbia si gonfiava nelle mie vene. – Non ti permetterò di farti questo, non di nuovo. Tu sei mio figlio! –. Sentire quelle parole con quella determinazione, mi fece tornare in me, ma la rabbia sembrava non voler svanire.

Quella, – sbottai ad Angel la notte stessa dell'accaduto, incurante che mi stesse a sentire o meno – è una povera bamboccia insolente. Si sente di poter fare di tutto solo perché sa di avere un ruolo importante, che tra l’altro non merita! Inoltre, tu le permetti di fare come crede, l’hai viziata, l’hai gonfiata e ora il suo ego è cresciuto a dismisura! – Ma stai parlando di Dafne o di te? – chiese Angel divertito. – IO PORTO RISPETTO! – sbraitai, sentendomi offeso dall’allusione di Angel. Io ero migliore di lei, sapevo di esserlo.
– Reeze, non siete poi così diversi. Certo, che sia insolente non posso negarlo, ma è giovane e da un momento all’altro si è trovata catapultata in un mondo nuovo, con la consapevolezza di dover diventare qualcuno di grande importanza, ed è sola. – Ma perché la giustifichi sempre? – mi lagnai, pentendomene subito. Angel mi rivolse uno sguardo comprensivo, facendomi vergognare di me stesso: – Perché credo in lei, come ho creduto e credo in te. Il mio intuito con te non si è sbagliato, mi piace pensare che sia così anche con lei. –.
Fissai la luna, imbarazzato. Che bisogno ci fosse di paragonarci sempre?
– Ti avevo avvertito che al suo primo sgarro avrei lasciato perdere. Non l’allenerò. Ci penserai tu al tuo ritorno. – dissi deciso. – Come credi. – rispose Angel, serio. – Sono sicuro che farai la cosa giusta. –.
La mattina dopo, Angel ripartì, accertandosi prima di potermi lasciare solo. Lo accompagnai ai Portali e mi ritirai in camera, circondato dalla mia piccola scorta personale di libri 'presi in prestito' dalla Biblioteca.
D'un tratto, mi venne una voglia immensa di caffè. Non che ne avessi bisogno, ma delle volte la mia parte umana mandava strani impulsi al cervello che, quella demoniaca amplificava a dismisura.
Incapace di concentrarmi, decisi di scendere in cucina a prendere quel maledetto caffè.
Non feci in tempo ad attraversare la soglia della stanza, che Tjana mi si parò davanti, eccitata come se avesse abbattuto un Demone Superiore: – Dafne mi ha chiesto di allenarla, ti dispiace? – Tranquilla, – risposi. – io non l’addestrerò più. – Oh… bene. Allora io vado! – si congedò. Almeno la ragazzina non era così stupida da aspettare Angel per riprendere l'addestramento.
Più tardi rincontrai Tjana sulle scale. “Ascolta,” pensai, sapendo che lei avrebbe intercettato i miei pensieri. “Si è arrampicata ieri ed è riuscita a gettarsi, ma forse sarebbe meglio se qualcuno le insegnasse a farlo senza sfregiarsi ogni volta.” Tjana annuì, ed entrambi proseguimmo per la propria strada.
Mi stupii di me stesso per la mia preoccupazione nei confronti di Dafne. Provavo una rabbia cieca per lei, per l'umiliazione subita e per avermi quasi fatto perdere tutto quello che avessi, anche se in fondo sapevo fosse anche colpa mia.
Nonostante ciò, mi setivo in dovere di darle una mano, probabilmente perché era stato Angel a chiedermi di prendermi cura di lei. Ma era davvero solo per Angel?
Quando Tjana mi convocò nella sua stanza per parlarmi, mi prese l'ansia. Sperai che non fosse perché la ragazzina si fosse rotta l’osso del collo.
Tjana era seduta a terra in quella stanza caotica, gli occhi gonfi. Iniziò a raccontarmi di come Dafne si fosse gettata dalla cima di un albero, atterrando perfettamente a terra, incolume.
– La cosa importante è che non si sia ridotta in un mucchietto di carne e ossa, non credi? – le dissi cercando di scherzare. In realtà ero preoccupato quanto la Forestiera davanti a me. – Tu non capisci! – urlò lei in risposta. – Si è buttata! Credevo volesse suicidarsi! –.
Tjana riprese a pianggere e singhiozzare. Mi dispiaceva vederla così; un altro valido motivo per odiare Dafne: faceva emergere un tantino troppo la mia emotività.
Com’era possibile però, che la ragazzina non si fosse fatta nemmeno un graffio? – Non lo so! Io non avrei nemmeno dovuto essere lì! Tu avresti saputo gestire la cosa, io non sono abituata. –. “Guarda che l’ho allenata solo una mattina, ho la stessa esperienza che hai tu!”, pensai. “Avvertirai il Consiglio?”, chiesi senza esprimerlo verbalmente. – No, non lo farò. E nemmeno tu. Si chiederanno come sia possibile e le faranno un processo; non lo reggerà, non è così forte. – rispose lei, alzandosi in piedi.  – Avresti dovuto vederla… Sembrava volasse. Era… diversa. La sua espressione, i suoi occhi! Erano diventati più chiari, color ghiaccio. “Forse il sole…”, pensai. – Ma sì! Sarà stata sicuramente la luce! –.
Tjana si sdraiò. – Non credo di allenarla ancora, non ne sono in grado. – Fa’ ciò che senti, non sei obbligata da nessuno. – constatai. Dafne stava decisamente diventando un problema per tutti noi.
Una volta che Tjana si fu calmata, me ne tornai in Biblioteca, riflettendo sulla faccenda. Nonostante tutto, sembrava proprio che Dafne non fosse veramente da sottovalutare; Angel aveva avuto ragione anche in questo.

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