2-Spegnere un sorriso.

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«Ciao», esclamo, «sono Daniel» aggiungo e mi siedo per un pezzo sulla superficie dura.

Attendo un paio di secondi e la vedo riporre le matite dentro l'astuccio, prima di tornare con l'attenzione su di me.

«Noel» commenta e sul suo visino minuto affiora un'espressione benevola.

Fino al ritorno dell'insegnante chiacchiero e non mi fermo. Le chiedo tutto ciò che si deve sapere su una arrivata da poco: da dove viene; dove andava prima a scuola; come mai si è trasferita.
Sono un tipo molto invadente, eppure a lei sembra non dare problemi.

«E tu? Sei un ragazzo scatenato?» mi domanda e io scrollo le spalle senza rispondere.

Allora indica con un cenno del mento uno dei lividi che spunta dal collo della mia maglia.
Ingoio e inclino la testa. Sì, potrei mentire a riguardo e dire di essere uno a cui piace menare le mani.
Ma chi ci crederebbe? Nessuno.
Sono alto più della media, però resto pur sempre esile e poco credibile.

«Sono caduto» mormoro e l'entrata in scena dell'insegnante d'arte mi salva.

Sospiro e mi butto di peso sulla sedia. Quanto è complicato mentire.
Parlarne farebbe solo più male.
I miei compagni vivono giornate felici e tranquille con le loro famiglie.
E io? Già sono il poveretto senza mamma, non voglio essere anche quello picchiato dal padre.

Preferisco di gran lunga coprire ogni segno e fingere che vada tutto bene.

La professoressa smista delle fotocopie da riempire e ci dice di utilizzare solo colori freddi.
Mirko afferra il rosso e lo guardo aprendo le labbra.

«Sul serio? Il rosso è un colore caldo!» esclamo vedendolo corrugare la fronte.

«Sono proprio una schiappa. Preferisco la letteratura, all'arte» borbotta.

In questa materia sono sempre io a consigliarlo.
Chissà, magari ci sarà persino una carriera da artista sulla mia via.
Scuoto la testa.
Non voglio già pensare al liceo, c'è davvero tanto tempo e le cose potrebbero cambiare da un momento all'altro.
Alla fine la signora Domenica solleva il mio compito, acclamandolo davanti all'intera classe.
Ghigno e gonfio il petto di orgoglio.

Adoro i complimenti.

Guardate bene chi si intende di colori, e imparate. Questo vorrei dire, però ho il buonsenso di tenerlo per me. Non voglio sembrare vanitoso, anche se lo sono davvero tanto in realtà.

Ultimi dieci minuti.
Inizio a preparare lo zaino e, nel mentre, getto qualche occhiata verso Noel intenta ancora a scribacchiare su un piccolo diario.
La mia curiosità vince e mi avvicino di soppiatto, sporgendomi a osservare il foglio.
Vedo piccoli riquadri con delle scenette disegnate dentro.

Un fumetto.

Incrocio il suo sguardo e la vedo portare il diario al petto per poi arrossire.
Sorrido. «Era bello» commento posandomi totalmente sul banco, i piedi sul fondo di una delle sedie.
Ficcanasiamo un po', già che sono qui.

«Daniel, torna al tuo posto» mi rimbecca l'insegnante e io volto di poco la testa oltre la spalla.

«Ma prof, mancano cinque minuti» esclamo con una smorfia e lei scuote la testa, osservandomi da sotto gli occhiali tondi.

Scivolo dalla mia posizione e mi metto accanto a Noel. «Ecco, sono seduto» confermo con un sorriso da ragazzaccio e la donna sospira, senza però aggiungere altro.
Torno all'attacco e chiedo alla mia nuova amica di farmi vedere qualcosa.
Solo dopo richieste sfiancanti, sospira e mi mostra la pagina.
La scruto per un attimo, poi corrugo la fronte.

Il suono della mia PauraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora