Il padiglione numero diciannove

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Il padiglione numero diciannove, quello in cui mi trovavo quando ricevetti la prima chiamata, era situato a metà circa del sentiero che dal Centro di Raccolta digradava a poco a poco verso i bungalow dell'area di richiamo, nella parte più bassa dell'isola. "Bungalow" era il nome che noi ultimi arrivati avevamo dato a quella specie di gigantesche bolle traslucide, la cui parte inferiore scompariva diversi metri al di sotto del terreno soffice della spiaggia.

Quando l'aria intorno a me cominciò a vibrare, mossa da una forza irrefrenabile, ero intento nella lettura di un fumetto d'annata – un vecchio e ingiallito Blondie & Dagoberto che avevo recuperato alcuni anni prima a casa di mia nonna. La vibrazione rappresentava il segno inconfondibile dell'arrivo di una chiamata, come avrei avuto modo di capire nel tempo a venire. Mi guardai attorno, con la sensazione che la stanza in cui mi trovavo, le pareti verde oliva costellate dei disegni fatti da bambino, fosse diventata d'un tratto la stessa in cui avevo vissuto i momenti d'infanzia più belli. Non provai dolore in quel momento: là dove mi trovavo il dolore era relegato a una forma alquanto vaga di ricordo, quasi appartenesse alla vita di un'altra persona. Fu piuttosto come ritrovarsi all'improvviso proiettato diversi piani più in alto, mentre tutt'intorno sfavillavano lampi di luce come istantanee in uno stadio gremito.

Un fruscio mi ridestò da quelle sensazioni, e mi alzai a sedere sul letto. Mi accorsi che da sotto la porta chiusa alla mia destra spuntava un lembo di carta di un colore dorato brillante, pulsante alla vista. Lo raccolsi, e subito sul foglio comparvero i lineamenti di un volto familiare. La rivelazione arrivò come un treno che sbuca da un muro di nebbia: quella persona mi stava chiamando, dovevo incontrarla... dovevo rivederla! Aprii la porta di scatto e piombai nel corridoio, con tanta voglia di urlare, e non poterlo fare, da emettere una sorta di sibilo tra le labbra contratte, gonfio di un fermento e un'eccitazione che a stento contenevo.

Ho detto che non potevo urlare: non era proibito, ma il silenzio era la dimensione che la sacralità arcana del luogo in cui mi trovavo esigeva. Chiunque una volta giunto lì continuava ad essere quello che era sempre stato, ma il Numero Diciannove non era un padiglione come gli altri: era quello degli ultimi arrivati, e per il momento ci era estraneo.

Sul viale d'accesso, sotto un sole luminosissimo e al tempo stesso incapace di far male agli occhi, moderai il passo, benché la ghiaia sotto le mie scarpe crepitasse con ritmata insistenza man mano che mi avvicinavo alla spiaggia. Meditavo spesso sul motivo per cui ero arrivato lì. Ero certo si trattasse di un mondo con regole completamente diverse da quelle che conoscevo, dove accettare di rivivere la propria infanzia a occhi aperti fosse normale, perfino consueto. Non mi riusciva facile contare i giorni dal mio arrivo, né, francamente, capire come vi fossi arrivato. Gli unici ricordi, gli unici sprazzi che avevo erano legati a momenti felici: che fossero un viso familiare, un giornalino umoristico o un disegno su una parete, giungevano tutti insieme nello stesso momento e a me stava bene così. Non mi davo spiegazioni, né le chiedevo agli altri.

Gli "altri" erano le persone che avevo visto nel Numero Diciannove. Gente dall'aria spaesata, come me, ma serena e gentile. Ero anche sicuro di averne conosciuto uno o due, di aver condiviso con loro l'impressione che la sconfinata spiaggia ai piedi del promontorio su cui ci trovavamo fosse disseminata di bungalow a perdita d'occhio, uno uguale all'altro. Eppure a questa sicurezza non si accompagnavano immagini definite: come ho detto, entro quei confini i ricordi erano vaghi come déjà vu, e il tempo rimaneva materia opinabile e del tutto indefinita, una nuvola di vapore acqueo al posto della cascata.

Quello che stavo realmente vivendo per la prima volta era la chiamata.

L'occasione della novità risvegliò in me alcune domande, che immaginai di essermi già posto in qualche altro momento: che mondo era quello, e perché era rappresentato in quel modo? Perché ero lì e accettavo che fosse rappresentato in quel modo? A questo, solo a questo avrei voluto saper rispondere.

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⏰ Last updated: Jan 26, 2019 ⏰

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Il padiglione numero diciannoveWhere stories live. Discover now