Un maledetto per sempre

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Agnese

Mi chiamo Agnese, ho ventidue anni e un figlio. Oggi mi sono svegliata con la certezza che succederà qualcosa.

L'ho capito appena ho aperto gli occhi e mi sono trovata davanti il viso di Jacopo che mi dormiva accanto. In genere mi concedo un attimo di stupore. Stamattina invece no. Stamattina ho pensato: «Bimbo mio, oggi succederà qualcosa».

Negli ultimi anni ho imparato a fidarmi di questo sesto senso. Credo che l'inconscio acquisisca informazioni e delinei ipotesi di rischio. Ho maturato una certa capacità di sommare i dettagli e capire che date le premesse è lecito aspettarsi un cambiamento.

Il cambiamento in sé non è buono o cattivo. È, potenzialmente, entrambe le cose.

Ci penso da stamattina. Mi sono rigirata in testa molte congetture, l'ho fatto mentre passavo aspirapolvere e straccio, mentre accatastavo i vestiti di Tatiana, la mia coinquilina, mentre facevo partire la lavatrice, preparavo le mele per Jacopo, facevo un primo tentativo di svegliare Tatiana, pulivo le verdure per il pranzo, facevo un secondo tentativo di svegliare Tatiana. Mettevo la vellutata sul fuoco, stendevo i panni sul balcone, nonostante a Milano faccia freddissimo. E, infine, mentre mi sedevo a tavola con la mia coinquilina e mio figlio.

Non ho fatto che pensarci.

«Agnezka l'appartamento profuma! Sei proprio bravissima donna di casa», mi riconosce Tatiana. «Prima di te io vivevo come un cane in canile».

Ha detto la verità. Tatiana è disordinata per scelta e vocazione, ma per me non è un problema. Le devo moltissimo. Sei mesi fa sono arrivata da Firenze e non avevo un posto dove stare.

«Hai fatto un affare a prendermi in casa!», dico mentre verso nel piatto la vellutata.

Lei annuisce prende il tovagliolo e si pulisce con un gesto brusco. «Tu molto brava nelle cose da femmina, Agnezka. Se lo sanno gli uomini, arrivano tutti qui!»

Scuoto la testa, cercando di non ridere.

«Faranno una lunga fila per le scale. Per cinque i piani». Indica il piatto. «E sei anche brava a cucinare».

«Ti sembro brava perché prima mangiavi malissimo».

Lei ride, lo fa come se esplodesse di gioia. Ha una risata eccessiva troppo assurda per riuscire a stare seri. «Tu hai ragione. Io non sono brava nella cose delle femmine», poi mi lancia un'occhiata oltre il cucchiaio. «Tranne una cosa di femmine che mi riesce molto bene».

«Cosa?», chiede Jacopo, alle prese con la sua vellutata. Siede su un seggiolone, composto come una bambola. Gomiti attaccati al corpo, busto dritto. Il contrasto tra Tatiana mezza stesa sul tavolo e seduta a gambe divaricate salta all'occhio.

Lei alza una spalla: «Cresci, bambino, cresci e poi ti spiego in cosa sono brava».

«Dimmelo», insiste Jacopo.

«Quando sarai grande». ribadisco io.

«Quando ho trentasei mesi?».

«Quando ne hai almeno duecento».

Tatiana ride e io provo a non farlo.

Alla fine del pranzo Jacopo prende i suoi Duplo e va a giocare sul tappetto. Tiene il sacchetto stretto tra le dita, chiuso con un elastico.

«Ieri al parco ha perso tre pezzi. Era molto triste», mi riferisce Tatiana. «Per Natale gliene regalo una scatola nuova».

«Lascia perdere. Teniamo i soldi, Tatiana», le raccomando. «Perché, detto tra noi, il tuo capo non ha nessuna intenzione di farti un contratto vero. Io lavoro in uno stato semi regolare, tu del tutto in nero. Di soldi ne entrano pochi e ne escono tanti. Bisogna che stiamo attente».

Un maledetto per sempreDonde viven las historias. Descúbrelo ahora