«Naturalmente capitano!» Gildar fece un sorriso a trentadue denti portandosi la mano sulla fronte, imitando un saluto militare.

«Io passo e non per la carne di Logan, ma non ho molta fame.» Avevo lo stomaco chiuso e non sapevo se fosse dovuto alla felicità o all'agitazione.

***

Era una bella giornata e decisi di dipingere con la mia tavolozza il panorama che avevo davanti: un bel cielo azzurro coperto da alcune nuvole bianche che facevano contrasto, il mare turchese senza increspature, di cui le sue onde ogni tanto venivano flesse da alcuni cetacei che fuoriuscivano dall'acqua, e l'isola dinanzi a noi, ciò che rendeva la veduta uno spettacolo unico.

Dopo aver preso il materiale mi misi a lavoro non facendo nemmeno caso a ciò che dipingevo. Mischiavo tinte e aggiungevo pennellate di colore a quella tela bianca, come se dovessi tingere l'anima priva di peccato di un bambino.

Ricordavo di aver preso il cavalletto e il resto dei materiali su una delle tante isole su cui ormeggiammo per provviste. La donna da cui li comprai, mi disse che l'arma migliore per esprimere ciò che avevamo dentro era il pennello e insistette sul fatto che ognuno di noi fosse formato da tanti toni, ma che uno in particolare primeggiava su tutte le altre sfumature.

La pittura mi aiutava a liberare la mente da tutto ciò che mi tormentava e ogni volta che mi ritrovavo a dipingere ero estasiata dal fatto che potessi ricreare delle tonalità diverse l'una dall'altra.
La buona donna Guendalina mi paragonò al blu navy: «È il colore dell'equilibrio, della verità, del coraggio e del potere» mi disse, «E può essere uno dei tanti schizzi o il principale. Lo scoprirai soltanto con il tempo».

A un certo punto sentii la presenza di qualcuno alle mie spalle e voltandomi mi accorsi di Kian. Gli piaceva guardare ciò che disegnavo, diceva che tutto ciò che coloravo lo rappresentasse. Era incantato dalla pittura, ma preferiva studiarmi piuttosto che ricreare ciò che immaginava o che esaminava.

«Da quanto sei qui?» domandai sistemando la crocchia che avevo fatto per tenere a banda i miei lunghi capelli biondo cenere.

«Tranquilla, ancora non sono diventato uno squilibrato. Sono qui da cinque minuti all'incirca» rispose. «È rilassante guardarti combinare i colori e vederti fondere realtà e immaginazione, con la delicatezza delle tue dita» con queste parole mi si avvicinò al viso facendomi arrossire leggermente la gote, «Hai una macchia color indaco sotto l'occhio» e con prudenza la fece sparire.

Dopodiché mi schioccò un casto bacio sulla fronte e ribadì di dover andare al timone per eventuali emergenze. Mi incantai guardandolo andare via, mi concentrai sul suono dei suoi passi che poco a poco non udii più, mentre i miei pensieri erano come un fiume in piena, rapidi e rimbombanti.

Riguardai ciò che avevo dipinto, era un quadro abbastanza dettagliato e pieno di elementi fantastici.
Avevo raffigurato la nave in lontananza, però con una grande vessillo nero avente il jolly roger bianco, schizzi di blu e azzurro azzeravano la linea dell'orizzonte unendo il mare e il cielo, mentre l'isola verde di quel drago era sovrastata da alcuni gabbiani; sembrava immensa, gli alberi erano infiniti e arrivavano a toccare le nuvole pallide.

Non sapevo per quanto tempo avessi dipinto vista la grandezza della tela, ma avevo la certezza che il Sole stesse calando. In autunno la Stella dai raggi infuocati andava via molto velocemente e, al suo posto, la Luna diveniva l'unico punto di riferimento.

Era il mio turno di sorvegliare potenziali minacce mentre gli altri dormivano e ne ero contenta dato che non avevo particolarmente sonno.

Mi trovavo a gambe incrociate sulla coffa per avere una vista totale di tutta la zona. In momenti di solitudine simili a quello spesso pensavo al mio migliore amico, colui che mi aveva fatto appassionare alla pittura.

«Losille! Guarda un po' qui, finalmente ci sono riuscito!» Amava mostrarmi i suoi successi.

«Ados ma è bellissimo!» Soprattutto quando, in quelli, c'ero io. Ero quasi sempre il soggetto principale dei suoi dipinti, come una musa. Il suo quadro preferito mi rappresentava in un campo di margherite, con un cestino tra le mani e i piedini ruotati verso l'interno, quasi a far toccare gli alluci.

Odiavo il silenzio. Mi riportava a pensare tante cose diverse una dall'altra. Spesso e volentieri si accavallano tanti pensieri e molte sensazioni diverse tra loro, ma che insieme facevano male molto di più.

Guardai il cielo iniziando a osservare i mille puntini luccicanti sulla mia testa e provai a contarli: «Uno, due, tre...» spostavo il dito appena vedevo una Stella, ma ognuna di loro brillava a modo suo. Mi sfottei mentalmente per il mio atteggiamento infantile e poi rivolsi la mia attenzione verso la Luna. Da bambina mia madre diceva fosse una sorta di formaggio che diventava sottile a causa di un bambino che ne portava una parte nella sua bocca. Iniziai a credere che oltre la Terra ci fosse un grande pargolo che divorava tutto ciò che trovava e pensavo che un giorno sarebbe toccato a noi.

Un sorriso nostalgico prese vita sul mio volto costellato anch'esso da tante piccole macchioline brune, Stelle: oramai credevo fossero quei globi sparsi per la volta celeste. Un giorno di tanti anni fa, mamma mi accarezzava il viso mentre portava in grembo la mia sorellina Brianna; diceva che quelle piccole sfere imprecise formassero una costellazione, mi sussurrò che io ero la sua Stella, il suo dono.

Avvolta dai miei pensieri riuscii ad accorgermi troppo tardi di un rumore simile a un'esplosione.
Non sapevo cosa fosse accaduto, successe tutto troppo in fretta: il veliero si inclinò leggermente non mantenendo più la retta posizione, questa manovra mi fece precipitare dalla coffa. Realizzai troppo tardi dove fossi andata a finire, sentivo solo gelo che mi penetrava fin dentro le ossa.

Appena aprii gli occhi uno strano bruciore li logorò, come se dei granuli di sabbia si fossero depositati nei bulbi oculari, appannandomi anche la vista. Vidi nuovamente quelle Stelle e credetti di essermi immaginata la caduta dalla nave. Sembrava riuscissi quasi a toccarle e sprigionavano una luce azzurrina accecante. Pareva possedessero piccoli tentacoli a caratterizzare la loro forma.

I pirati di Ethis. Where stories live. Discover now