«Allora, dopo abbiamo chimica?» mi rammentò Ashley.

«Purtroppo. Hai visto Matthew per caso?» il mio pensiero era ancora rivolto a lui.

«Si, era con il preside a fare il giro della scuola.»

«Ah, ok...Aspetterò allora dopo le lezioni per parlagli.» dissi delusa. Non volevo in alcun modo che lui si facesse strane idee sul mio conto. Immaginavo che, se fossi stata al suo posto, mi sarei preoccupata inutilmente sulle azioni che avessero portato ad un simile sfogo.

«Di cosa? Posso sapere?» Ashley non esitò nemmeno un attimo a trattenere la sua curiosità.

«Em... Ieri sera sono andata a casa di Matthew, che si è messo a suonare al piano. Io stupidamente ho pianto e non so proprio cosa possa pensare adesso.»

«Per tuo fratello?» mi chiese. In risposta annuii, e aggiunse: «Mi spiace che ti manchi così tanto. Comunque, non badare a quello che pensa Matthew, non è qualcuno a cui devi dare spiegazioni.»

«Forse hai ragione, però oggi sembrava cercarmi e qualcosa dovrò pur dirgli. L'altro giorno quando te ne sei andata, si è dimostrato molto apprensivo e non vorrei che continuasse ad esserlo. Le sue attenzioni sono l'ultima cosa che vorrei.»

«Allora dovresti cercare di tenerlo lontano da te. In ogni modo, penso abbia il dovere di dirti una cosa, essendo mia amica.» Ashley fece una pausa e un lungo respiro. «Fra qualche giorno parto con i miei.»

«Come?» mi venne un sussulto. Dalla sua espressione non mi pareva una vacanza, ma tanto meno un trasloco. Non volevo perderla, non lei, non quel giorno.

«Andrò in Australia. Mia madre ha finalmente trovato un lavoro che la soddisfa. Le daranno vitto e alloggio per tutta la famiglia oltre ad un generoso stipendio...Le daranno quattro mesi di prova, poi valuteranno se farle un contratto a tempo indeterminato.» il viso di lei si fece triste. «Non volevo seguirli, almeno per questi quattro mesi, ma non mi hanno dato voce in capitolo.»

Come facevo a dirle addio dopo tutti gli anni che avevamo trascorso insieme? Non potevo.

«Ashley, mi spiace tantissimo che tu te ne debba andare.» dissi io, che oltre a quella frase non sapevo cos'altro dirle.

«Anche a me. È stato tutto deciso da un giorno all'altro e i miei me ne hanno parlato solo ieri sera. Io...»

La campanella suonò, e non ci fu il tempo di continuare la conversazione.

Il primo giorno di scuola era finalmente giunto a termine. Il test non era andato male, o almeno così pensavo, e mi diressi insieme alle mie amiche in biblioteca. Era lì che passavamo il tempo per aspettare il treno di ritorno, dopo ogni giorno scolastico.

Invitai Matthew ad unirsi al gruppo, poco prima di andare, ma disse che ci avrebbe raggiunto poco più tardi perché doveva passare un attimo in cartolibreria.

Entrammo nell'edificio e ci cimentammo tutte nella ricerca di un libro da leggere. Ashley ed io ci avviammo verso gli scaffali della letteratura americana ed inglese, mentre Camille e Rebecca andarono nella direzione della letteratura francese.

Guardai attentamente i libri riposti sui ripiani e cercai quello che mi avrebbe attirato di più: quando andavo in biblioteca, raramente avevo già in mente quale libro avrei preso. Feci scorrere le dita sulle copertine. -Il signore delle mosche di William Golding-, -IT di Stephen King-, leggevo, scorrendo gli occhi sui titoli, mentre ad un tratto si fece tutto silenzioso.

Tic. Tac. L'unico rumore, che si sentiva, proveniva dal mio orologio. Senza avere il tempo di accorgermene, una mano mi prese per le spalle mentre un'altra la bocca con un pezzo di stoffa imbevuto, sicuramente di cloroformio –liquido che, mi aveva spiegato mio papà una volta, serviva ad "addormentare" rapidamente le vittime in un rapimento-. Il panico mi assalì e percorse ogni centimetro della pelle: mi avrebbero stordita in poco tempo e non avrei potuto fare niente, nemmeno Ashley che anche lei si ritrovava nella mia stessa situazione. Due uomini ci tenevano bloccate da dietro la schiena. Erano vestiti di nero e con un passamontagna in testa per nascondere il viso e la loro identità.

Contro la mia volontà, gli occhi si chiusero e mi abbandonai ai rapitori.

Frastornata, mi svegliai su una sedia, legata braccia e gambe da una corda. Mi ritrovai al centro di una stanza enorme, con le pareti ed il pavimento tinto di nero e con una lampada che mi illuminava da capo a piedi. C'ero solo io, e di Ashley nemmeno l'ombra.

Nella solitudine di quell'ambiente, sembrava di essere il perfetto ostaggio per qualcosa di losco. Dovevo fuggire prima che i miei assalitori potessero accorgersi del mio risveglio.

Osservando la stanza, notai una scala che arrivava fino ad una porta. La mia unica via d'uscita, ma dovevo prima liberarmi in qualche modo dalle corde.

La sedia era di legno, pensai, e non era nemmeno così robusta da impedirmi di romperla. Mi venne in mente una scena di una serie tv dove degli agenti della CIA dovevano liberarsi da una cattura. Erano nella mia stessa situazione ed allora feci come avevano fatto loro: prima di tutto, cercai di compiere qualche "salto" con la sedia, dopodiché mi ribaltai all'indietro per cadere.

Crack. Stavo riuscendo nel mio intento, quindi mi divincolai. A quel punto, riuscii a liberarmi il primo braccio con cui, anche se con grosse difficoltà, riuscii a slegare il secondo e poi le gambe.

Salii le scale ed arrivai alla porta ma, quando giunse il momento di prendere la maniglia ed aprire, scoprii con mia sorpresa che non c'era nessuna manopola né serratura: la porta era chiusa dall'esterno, ed ero prigioniera. Non c'era alcuna via di fuga.

Mi accasciai contro la parete, piegai le ginocchia verso il busto e mi misi la testa fra le mani. Non sapevo cosa fare, ma ad un tratto successe l'impensabile. Dal soffitto cadde una polvere, una polvere viola, che si accasciò sul pavimento e, proprio in quel preciso momento, si illuminarono cinque aree della stanza dove, in ognuna, c'era un cubo colorato.

Cosa stava accadendo? Non sembrava più di essere in un rapimento, bensì in una escape room. Qualunque fosse l'enigma, dovevo risolverlo.

Scesi le scale e mi avvicinai al cubo alla mia destra. Era rosso di colore ed emanava così tanto calore che, quando lo toccai, per poco non mi procurai un'ustione di terzo grado. Fu come mettere la mano sul fuoco. Che strano, pensai, e passai al secondo.

Quella volta il cubo, era del colore del ghiaccio. Tentennai a tastarlo con le dita, ma lo feci comunque. Non mi scottai, tutt'altro. Fu come prendersi degli schiaffi dal vento, come quando si va in bicicletta ad alta velocità. Fuoco, vento, mi venne un déjà-vu.

«La Prova serve per l'ammissione all'istituto, ed è anche un esame che serve per capire quali sono le tue attitudini agli elementi. Consiste infatti nell'utilizzare i tuoi poteri per liberarti da una stanza chiusa a chiave.» Ricordai cosa mi avesse detto Carlos e, per confermare i miei sospetti su cosa mi stesse capitando, mi avvicinai al terzo cubo che era blu. Quello aveva un non so ché di diverso, che mi attirava più degli altri, e lo presi tra le mani.

Inaspettatamente il cubo si sciolse in acqua al mio tocco. Il liquido iniziò a fluire sulle mie braccia e poi su tutto il corpo. Mi avvolse completamente, anche il volto, e ad un tratto mi riempì i polmoni. La sensazione inizialmente era quella di affogare ma poi mi resi conto che riuscivo a respirare: mi ritrovai, come per magia, in una bolla che tratteneva l'aria all'esterno. Ero un tutt'uno con l'acqua e mi sentivo invincibile, forte come non lo ero mai stata. L'acqua sembrava scorrere nelle mie vene, nel mio sangue, e mi trasmetteva un forte senso di vitalità ed energia. Non sembrava vero: tutto ciò che fino ad allora avevo reputato impossibile era diventato possibile. Il mio modo di vedere la realtà era stato stravolto.

Senza dubbio, qualcosa stava cambiando, ma non solo in me. Sentii il rumore di una porta aprirsi, e capii in quell'istante che avevo superato la Prova con successo.

L'acqua mi abbandonò, dopo qualche secondo, e fu così che mi diressi verso l'uscita. Attraversai la soglia della porta e mi ritrovai in un cortile immenso dove c'erano altri ragazzi come me. Davanti ai miei occhi, c'era l'istituto che aveva l'aspetto di una grandissima reggia, molto simile a quella di Versailles.

Mi guardai intorno in cerca di Ashley. Era sotto un albero che chiacchierava con qualcuno. Andai verso di lei ma, quando la chiamai, arrivò una signora che capii fosse la direttrice della scuola. Era vestita con tailleur nero e una camicia bianca. Aveva i capelli biondi e la pelle bianco latte. Quello che mi colpì furono i suoi occhi che erano viola.

«Buon pomeriggio. Benvenuti a tutti quanti alla scuola degli Elemen, per ragazzi speciali proprio come voi. Il mio nome è Miranda e sono la direttrice. Vi chiedo di seguirmi per iniziare l'Iniziazione ed introdurvi nella vostra Divisione.» disse lei che girò i tacchi e si incamminò, con noi dietro, verso l'entrata.

Elemen: il potere elementare~ITDove le storie prendono vita. Scoprilo ora