L'aeroporto di Seattle era immenso e io e Filippo avevamo rischiato di perderci almeno tre volte, complice anche la stanchezza: avevamo affrontato tredici ore di volo alle quale si erano aggiunte due ore di scalo a Parigi, durante le quali ne avevamo approfittato per mettere qualcosa sotto i denti.
Non avrei mai ringraziato abbastanza Filippo per avermi accompagnata nonostante gli aerei gli mettessero una paura folle: avevo cercato di distrarlo, convincendolo a guardare un film, che ci aveva occupato per buona parte del volo, e alla fine era riuscito ad addormentarsi.
Io invece di dormire non avevo voluto proprio saperne, perché in testa avevo così tanti pensieri che me lo impedivano completamente.
I consulenti della Warner mi avevano fornito l'indirizzo dell'appartamento che avevano affittato per me e quello dello studio di registrazione dove avrei iniziato a lavorare la settimana successiva.
Non avevo idea del come orientarmi: era tutto così nuovo da sentirmi fortemente spaesata.
"Bea, lì c'è un taxi." mi indicò Filippo e lo seguii, consegnando all'autista l'indirizzo al quale eravamo diretti, cercando di esprimermi nel miglior inglese possibile, dopo i tentativi fallimentari del mio ragazzo che mi avevano fatto ridere.
Circa venti minuti dopo eravamo dinnanzi ad una grande porta in vetro di un palazzo di minimo quindici piani, con i bagagli ai nostri piedi e i nostri occhi che si guardavano attorno stupiti per quanto quel posto fosse immenso.
"Mi sembra surreale che vivrò qui." sussurrai ma Filippo sembrò sentirmi, infatti si avvicinò a me da dietro per lasciarmi un bacio tra i capelli che mi fece venire i brividi lungo tutto il corpo.
Mi prese per mano, invitandomi ad entrare, e io lo seguii senza proferire parola. Portammo all'interno dell'ascensore tutte le nostre valigie e schiacciai il pulsante indicante il settimo piano, dove si trovava l'appartamento numero 706 che mi avrebbe ospitata per tutti quei mesi.
Girai la chiave nella serratura e lentamente aprii la porta, rivelando avanti a me un piccolo loft luminosissimo, con vetrate che lasciavano spazio alla vista dell'intera città.
Filippo mi abbracciò da dietro, facendo aderire la mia schiena al suo petto, e io mi godei quel contatto, mentre osservavo con occhi completamente sognanti quella casa meravigliosa.
Mi sembrava un sogno doverci trascorrere quattro mesi della mia vita: mi sembrava un po' una camera di un albergo di lusso, una di quelle in cui si dorme per una notte sola, quasi come non riuscisse a realizzare che avrei potuto, per un po', definirla casa mia.
"E se esplorassimo un po' la città?" mi propose d'improvviso Filippo, mentre andavamo un po' in giro per la casa, alla ricerca delle varie stanze.
Mi voltai di scatto verso di lui, perplessa.
"Ma siamo appena arrivati!" gli feci notare.
Eravamo lì da appena un quarto d'ora e mi sembrava strano che avesse già voglia di uscire.
"E chi se ne frega, avrai quattro mesi per stare qui." mi incitò e il suo spirito di iniziativa impiegò davvero pochissimi secondi per coinvolgermi.
"E dove vorresti andare?" gli chiesi, allacciandogli le braccia al collo e lasciandogli un bacio sul naso che lo fece sorridere.
"Non lo so, ma ho fame." mi fece sapere.
Alzai lo sguardo verso l'orologio appeso alla parete e mi resi conto che fosse tardissimo per cenare.
"È quasi l'una di notte, Filippo." lo presi in giro, ridendo.
Il fuso orario ci aveva così scombussolati che avevamo completamente perso la concezione della giornata e probabilmente a quell'ora saremmo dovuti andare a letto ma il sonno non c'era, come era normale che fosse.
"È come se fossero le dieci del mattino per noi. Chi direbbe di no ad un cheeseburger per colazione?" mi chiese, stuzzicandomi, sapendo bene che non sarei mai stata in grado di declinare quell'offerta.
"Okay, mi hai convinta." gli sorrisi, prima di baciarlo così intensamente che staccarci fu abbastanza difficile.
Dieci minuti dopo eravamo in strada, al di sotto di un balcone per ripararci dalla pioggia battente che aveva iniziato a scendere imperterrita dal cielo, senza manifestare l'intenzione di fermarsi.
Decidemmo di noleggiare un auto: riuscimmo a trovare un pub aperto nelle vicinanze e ordinammo panini e patatine da asporto, portandoli con noi.
Ci ritrovammo in macchina, sotto la pioggia, tra le strade di Seattle, senza una meta precisa, senza sapere dove fossimo diretti o come tornare a casa, con le nostre risate che riempivano l'abitacolo a causa delle canzoni bizzarre che passavano in radio, tra una patatina addentata da lui alla guida e un morso dato da me al mio panino enorme.
"Aspetta, ti sei sporcata." mi avvisò, guardandomi bene in volto mentre eravamo fermi ad un semaforo rosso.
Io cercai di guardarmi nello specchietto ma l'acqua che continuava a scendere dal cielo mi ostruiva la vista. Filippo mi afferrò il volto, ruotandolo verso di lui, e passò il pollice sulle mie labbra, ripulendole della salsa che era venuta fuori dal panino, per poi leccarlo per eliminarne i residui.
Qualcosa dentro di me si mosse, come se una fiamma fosse stata innescata e stesse mandando a fuoco la mia pelle, come se quel gesto di Filippo fosse il preludio di qualcosa di così intenso che mi avrebbe fatto ricordare di quella notte per il resto della mia vita.
"Qui dentro fa particolarmente caldo." constatai, togliendo la giaccia in pelliccia e gettandola a caso sui sedili posteriori.
Filippo mi guardò perplesso e potei leggere nel suo sguardo la confusione per un caldo così eccessivo che effettivamente non si poteva percepire.
Portai le mani al di sotto del maglione di lana rosso che indossavo e sganciai il reggiseno, facendo scivolare le bretelle lungo le braccia, fino a sfilarlo e tirarlo fuori.
"Bea, che fai?" mi chiese Filippo, sgranando leggermente gli occhi, mentre lo vedevo stringere più forte la presa del volante e mantenere lo sguardo fisso sulla strada, come se il minimo contatto visivo con me o il reggiseno che avevo adagiato ai miei piedi potesse turbarlo ulteriormente.
"Adesso sto molto meglio." lo avvisai, avvicinando il mio volto al suo per lasciargli un bacio nell'incavo del collo.
Lo stavo mettendo estremamente in difficoltà e mi piaceva vederlo così debole per colpa mia: avevo una voglia pazza di essere baciata, sfiorata, amata. Avevo voglia di lui, in tutti i modi possibili, e non mi interessava che fossimo in strada, nel bel mezzo del traffico di una città che avevamo visto solo in fotografia fino a poche ore prima: volevo godermi al massimo gli ultimi giorni insieme a lui, volevo fare l'amore con lui, in ogni luogo, perché avrei dovuto farne a meno per troppo tempo.
"Beatrice..." sussurrò con voce fioca e io scoppiai a ridere.
"Cosa c'é?" lo presi in giro, portando una mano nel suo interno coscia, provocandolo ulteriormente.
Filippo sospirò, prepotentemente, mentre il mio fiato si faceva sempre più intenso sul suo collo.
"Sei consapevole che così andremo a sbattere, vero?" mi chiese retoricamente, cercando di smorzare l'evidente tensione sessuale che si stava creando lì dentro.
Annuii, divertita, lasciandogli una scia di baci lungo il profilo della mascella che lo fece sospirare ancora.
"E quindi, hai intenzione di continuare?" mi chiese, rallentando precipitosamente, per paura di fare qualche cazzata.
"Si, quindi ferma la macchina, o andremo davvero a sbattere." lo provocai, mentre la mia mano scivolava sul tessuto del cavallo dei suoi pantaloni.
Lo sentii sospirare e spostarmi, indicandomi di aspettare qualche istante, e io scoppiai a ridere per la sua faccia sensibilmente provata.
Lo vidi accostare in un piccolo parcheggio quasi del tutto isolato e quando spense la macchina, girando le chiavi nel cruscotto, lo guardai divertita. Lui alzò il suo sguardo verso di me, mi guardò per un attimo e in contemporanea, come se ci fossimo capiti, scoppiammo a ridere.
Sembravamo due ragazzini ma non ci importava: eravamo giovani e pazzi e avevamo trascorso veramente troppo tempo della nostra vita a pensare a problemi, risentimenti, litigi, difficoltà. Eravamo semplicemente due persone che si amavano, due ragazzini cresciuti, per via delle cose che avevamo vissuto, troppo in fretta e volevamo solamente viverci la nostra età, con le menti libere da tutto ciò che non serviva.
Filippo mi si avvicinò lentamente e io feci lo stesso e cacciai un urlo quando mi afferrò per un polso, attirandomi a sé, facendomi sistemare a cavalcioni sulle sue gambe.
"Dov'è finito il suo spirito di iniziativa, signorina?" mi chiese, provocandomi in maniera piuttosto palese.
Continuava a portare le sue labbra a un millimetro dalle mie per poi tirarsi indietro quando cercavo di baciarlo e dire che mi stesse facendo impazzire era fortemente riduttivo.
"Non hai ancora visto nulla." gli assicurai, afferrandolo per il colletto del suo maglioncino e attirandolo finalmente contro di me, facendo scontrare le nostre labbra.
Gli schiocchi dei nostri baci e i nostri respiri affannati erano gli unici rumori percepibili in quell'auto, mentre la pioggia al di fuori continuava a battere contro i vetri, creando un effetto che mi faceva impazzire.
Sussultai quando Filippo portò le mani al di sotto del mio maglione, accarezzando i miei seni lasciati nudi da quando avevo gettato a terra il mio reggiseno poco prima.
Sospirai contro le sue labbra e un piccolo gemito di piacere abbandonò le mie quando sentii le dita di Filippo stringermi un capezzolo, fino a farlo indurire spaventosamente.
Lo aiutai a disfarsi della sua giaccia e subito dopo del maglione di lana beige a collo alto che tanto amavo vedergli addosso. Filippo fece lo stesso con il mio maglione e il mio corpo si infuocò quando la pelle nuda del mio seno entrò in contatto con quella del suo petto.
Lo baciai ancora, portandogli le mani tra i capelli, mentre mi muovevo, ondeggiando, sopra la sua intimità, sentendola dura sotto di me.
Filippo scese pian piano a lasciarmi languidi baci lungo il collo fino ad affondare le labbra tra i miei seni, alternando baci a morsi che causarono la fuoriuscita di alcuni gemiti pesanti dalla mia bocca.
I nostri respiri si facevano sempre più irregolare e sentii Filippo sussultare quando, accarezzandolo a partire dall'addome, slacciai i suoi pantaloni e infilai una mano all'interno dei suoi boxer, avvolgendo tutta la sua lunghezza nella mia mano, iniziando a compiere dei movimenti dall'alto verso il basso.
Lo vidi lasciarsi andare contro il sedile dell'auto, mentre rilasciava alcuni gemiti che mi fecero sorridere. Tornai a baciarlo, strozzando quei gemiti che continuavo a provocargli.
"Cristo..." sospirò contro le mie labbra e io sorrisi, staccandomi da lui per accelerare i movimenti della mia mano.
Con un gesto veloce permisi a Filippo di abbassarmi i pantaloni lungo le cosce e quando scostò il tessuto delle mie mutandine, penetrandomi con un dito, un urlo abbastanza forte abbandonò le mie labbra, causandogli un sorrisino beffardo sul volto.
Lo odiavo perché con quegli sguardi furbi riusciva a farsi amare ancora di più nonostante non dovessi.
Inarcai la schiena e lasciai andare la sua intimità quando inserì anche un secondo dito dentro di me, facendomi gemere pesantemente.
Sentivo tremare ogni fibra del mio corpo mentre ero lì, nuda sopra di lui, a godere ancora una volta sotto il suo tocco, perché solo lui sarebbe riuscito a farmi sentire in quel modo, a farmi provare quelle sensazioni, a farmi sentire libera di sospirare, gemere, urlare, per il piacere, senza dovermene vergognare.
"Cazzo, Filippo..." sospirai, poggiando la fronte contro la sua spalla, mentre le gambe mi tremavano per il piacere.
E ancora una volta tirò fuori le sue dita pochi istanti prima che potessi raggiungere l'orgasmo, lasciandomi lì in sospeso, a farmelo desiderare ancor di più, per raggiungere quel livello di piacere che tanto bramavo.
"Sei uno stronzo." gli sussurrai, con il fiato ancora irregolare per le sensazioni provate fino ad allora.
Filippo mi mise a tacere poggiando le sue labbra sulle mie, mordendole leggermente, facendomi impazzire ancora di più.
"Tra qualche istante cambierai idea." mi prese in giro, con un sorriso beffardo che, nonostante tutto, mi fece ridere.
Mi afferrò per i glutei, facendomi sistemare meglio su di lui, e lentamente mi calai sul suo membro, sentendolo finalmente dentro di me.
Alcuni sospiri abbandonarono le nostre labbra, mentre iniziavamo entrambi a compiere dei lenti movimenti.
"Cazzo, ti amo da morire." mi confessò e la sensazione che provai alla bocca dello stomaco fu inspiegabile.
I suoi occhi lucidi trasudavano una verità e una purezza che non avevo mai visto in nessun'altra persona che io avessi incontrato nella mia vita. Filippo era la persona migliore che potessi chiedere al mio fianco e lo amavo da diventare pazza.
Mi lasciò un bacio sul naso che me lo fece arricciare per il solletico e gli sorrisi, come facevo solo con lui, come mi faceva fare solo lui.
Allacciai le braccia attorno al suo collo, poggiai la mia fronte contro la sua e iniziai a muovermi sopra di lui, scontrandomi con il suo corpo che alternava spinte prima più lente, poi più veloci, ai miei movimenti.
Le sue mani erano sui miei glutei, il suo volto affondato tra i miei seni e il mio mento sulla sua testa, mentre di tanto in tanto gli lasciavo qualche bacio tra i capelli che sapevo lo facesse impazzire.
"Non ti fermare, Filippo..." lo incitai a continuare con le spinte e le sentii diventare più rapide, causandomi una sensazione di piacere che mi fece gemere più forte di tutte le altre volte.
Inarcai la schiena mentre continuavo a muoversi, ondeggiando, sopra di lui.
Sentivo il culmine del piacere stare per arrivare e lo guardai negli occhi, cercando di farglielo capire con uno sguardo: tutto quello che stavo provando era così intenso che non riuscivo nemmeno a parlare per quanto mi mancava il respiro.
Io e Filippo non stavamo facendo sesso: tutto quello che stava avvenendo in quella macchina era quanto di più lontano ci fosse dalla definizione di sesso. Ci stavamo amando, intensamente, come non avevamo mai fatto nella nostra vita, consapevoli che di lì a qualche giorno avremmo dovuto rinunciare a tutto quello che stavamo vivendo per un po' e ci faceva male da morire.
"Ci sono quasi, Bea, porca puttana." sospirò e io lo baciai, accelerando i miei movimenti di bacino contro di lui.
E tra un bacio e un altro, l'orgasmo travolse entrambi, facendoci tremare l'uno contro l'altra, sudati per gli sforzi compiuti ma estremamente felici.
Poggiai la fronte contro la sua clavicola, con il respiro affannato e gli spasmi ancora dovuti all'orgasmo, e mi lasciai abbracciare da lui che aveva abbandonato la testa contro il sedile, con gli occhi chiusi per godersi appieno quella sensazione inverosimile.
Alzai lo sguardo verso di lui e gli accarezzai una guancia, mentre ancora teneva gli occhi chiusi, e lui si abbandonò al mio tocco, aprendo poi gli occhi per puntarli nei miei. Gli baciai la punta del naso, gli zigomi, il mento e poi le labbra.
Lo aiutai a ritirare su i pantaloni e indossai le mutandine che erano finite sul sedile accanto e il suo maglione, che aveva addosso quel suo profumo che tanto mi faceva impazzire.
Mi accoccolai contro il suo petto e mi lasciai stringere forte, beandomi dei baci tra i capelli che mi lasciava e che mi facevano venire i brividi lungo tutto il corpo.
"Mi mancherà tutto questo." gli confessai e lo vidi annuire, con gli occhi leggermente lucidi, forse per l'orgasmo appena passato o forse per altro.
Non volevo neanche provare ad immaginare al come avrei fatto a trascorrere ben quattro mesi senza sfiorarlo, senza entrare in contatto con la sua pelle, senza baciarlo. Non osavo immaginare come sarebbe stato il poterci vedere per così tanto tempo solo attraverso uno schermo e pensarci mi faceva star male quindi mi sarei goduta quegli momenti perché non avrei voluto rovinarli per nulla al mondo.
"A cosa pensi, Filippo?" gli chiesi, riportandolo alla realtà.
Si era come incantato a guardare un punto indefinito davanti a noi, senza spiccicare una parola.
"Sono un idiota." mi disse semplicemente e io corrucciai la fronte, non capendo dove volesse andare a parare.
Mi sollevai a sedere sulle sue gambe e lo guardai, in attesa di ricevere una spiegazione.
"Cazzo, quando siamo entrati in quella casa l'ansia mi ha pervaso." mi spiegò e io collegai tutto.
Riuscivo a spiegarmi finalmente il motivo della sua stranezza e del fatto che fosse voluto uscire nonostante fosse abbastanza tardi.
"Mi sono guardato intorno e ho pensato che avresti vissuto lì per quattro cazzo di mesi senza di me e ho visto la tua vita qui e me in Italia ad immaginarti in quella casa e niente, mi è venuta un'ansia assurda." mi spiegò, facendomi sorridere teneramente per quanto sembrasse un bambino indifeso in quel momento.
"Filippo..." riuscii semplicemente a sussurrare, rischiando di scoppiare a piangere, cercando di non farlo per non rovinare quel momento.
"Si, lo so che abbiamo già affrontato questo argomento e che sono stato io a dirti che avremmo superato la distanza. Lo penso ancora ma cazzo, ho avuto un attimo di debolezza." continuò, spezzandomi un po' il cuore con quelle parole.
Non mi piaceva vederlo stare così ma ero estremamente contenta che finalmente avesse deciso di aprirsi con me come non aveva fatto nei mesi precedenti. Tendeva a parlare così poco delle sue fragilità che poi quando finalmente lo faceva, dava sfogo a tutto, liberandosi di ogni peso.
Una lacrima scivolò lungo la sua guancia e io la raccolsi con un bacio, sentendolo rabbrividire sotto il mio tocco.
"Ehi, sono qui." gli sussurrai, abbracciandolo, mentre si lasciava andare ad un pianto liberatorio, affondando la testa nell'incavo del mio collo.
Rimanemmo in quella posizione, senza dir nulla, per alcuni minuti: gli unici rumori che si sentivano erano i suoi singhiozzi e i nostri respiri leggermente agitati che viaggiavano all'unisono.
"Mi dispiace, odio farmi vedere così." si risollevò, lasciando che gli asciugassi le lacrime che gli avevano bagnato il viso.
"Lo so, Filippo, ma sono io, sono qui, e ti amo anche per tutto questo." lo rassicurai, lasciandogli un bacio a fior di labbra che lo fece sorridere.
"Ascoltami: io sarò qui da sola per quattro mesi e voglio creare momenti indimenticabili con te in quella casa. Voglio riempire quelle mura di te, di noi, cosicché, ogni qualvolta sentirò la tua mancanza, stare lì mi farà pensare a te." gli spiegai e lo vidi sorridermi, ancora con gli occhi leggermente arrossati.
Avevo bisogno che quella casa urlasse il suo nome da tutti gli angoli. Volevo fare l'amore con lui in giro per quelle quattro mura, ovunque, in ogni luogo, perché volevo che quell'appartamento sapesse di lui. Volevo godermelo al massimo e volevo che quel posto fosse testimone del nostro amore cosicché non me ne dimenticassi mai.
"Devi farmi una promessa: ogni volta che crederai di non farcela, che starai per crollare, che ti verrà da piangere o da urlare, devi chiamarmi, Filippo. Non voglio che ti tenga tutto dentro. Non fa bene a nessuno di noi due." lo pregai.
Volevo stargli vicino anche a kilometri di distanza: non volevo che mi tenesse nascosto nulla perché me ne sarei accorta lo stesso e non sarebbe servito a nulla se non a far star male il doppio sia me che lui.
Lo vidi sospirare e lo guardai male per un attimo.
"Promettimelo, Filippo." lo obbligai quasi.
Lui sorrise, mi lasciò un bacio sulla punta del naso e annuì.
"Te lo prometto." mi rassicurò e i suoi occhi me ne diedero la certezza perché non sarebbero mai stati in grado di mentirmi.
Mi accoccolai contro il suo petto ancora una volta e mi lasciai stringere, guardando il cielo e notando che finalmente aveva smesso di piovere.
"Che dici, torniamo a casa?" mi chiese, ridendo, mostrandomi l'orario sul cellulare.
Erano ormai le tre del mattino e ci eravamo completamente lasciati andare, perdendo la cognizione del tempo.
"Vuoi il secondo round, Fanti?" lo stuzzicai e lo vidi scoppiare a ridere come non faceva da tempo.
Quella risata mi faceva bene al cuore in una maniera assurda.
"Eri seria quando dicevi di voler marchiare ogni angolo della casa." affermò divertito.
Io annuii convinta, lasciandogli un bacio veloce prima di tornare al posto del passeggero e restituirgli il maglione, per poi indossare di nuovo i miei vestiti sparsi lì in giro.
"Serissima, amore mio." gli risposi e lo vidi sorridere in maniera così bella che per un attimo credetti che il cuore potesse scoppiarmi nel petto.
E fu quello il momento nel quale mi convinsi che sarebbe stata una settimana meravigliosa, forse la migliore delle nostre vita, perché avremmo pensato a godercela appieno sapendo ciò che ci aspettava.
E sarebbe stata dura ma dopo quella serata ero convinta che ce l'avremmo fatta: in un modo o nell'altro il filo rosso che legava le nostre anime sarebbe rimasto intatto. Era troppo resistente per potersi spezzare.

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