Uno: il parto

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Napoli, ospedale Fatebene Fratelli, ore 23:30. Vengo portata d'urgenza in pronto soccorso: stavo per partorire. Finalmente avrei potuto vedere, toccare, baciare il mio piccolo. Mi sentivo così piena, non avrei mai immaginato di vedere il mio corpo trasformarsi per dare luce ad una nuova vita. Ed io che ai figli nemmeno ci pensavo... io volevo fare altro, io volevo realizzarmi, non volevo già a venti anni diventare mamma. Ma non avrei nemmeno mai immaginato quanto forte potesse essere l'amore che si prova inspiegabilmente verso il proprio figlio.

  Ore 23:50, mi portano in sala parto. Il tempo di sistemarmi ed ero pronta. Anche il mio Francesco era pronto, volenteroso di nascere e far parte della mia vita.

  Ore 00:00, Francesco nasce, urla fortissimo. Me lo avvicinarono prima di pulirlo, ero così stanca che non ricordo nemmeno com'era appena arrivato sulla terra. Però ricordo che la mia vista si annebbiò e all'improvviso nella mia testa risuonò potente un ricordo:

  "Mi raccomando, sennò la maledizione lo perseguiterà!"

  Mi voltai di scatto verso gli infermieri che lo stavano lavando mentre i medici pensavano alla mia natura.

  "Come sta mio figlio? Va tutto bene?"

  "Sì signora, sta bene... ma mi sa che dobbiamo allontanarvelo per un po'. Però state tranquilla, adesso aspettiamo i medici."

  Non era nemmeno nato e già potevo sentire gli effetti della maledizione. Mi rimproverai ed iniziai a piangere, sconsolata. Era tutta colpa mia se ora mio figlio stava così.

  "Signora non si preoccupi, vostro figlio sta benissimo! E' solo che il buco dell'ano non si è formato e dovrà subire un piccolo intervento. Ma non è niente di che, vedrete che appena vi riprendete potrete andarlo a trovare" mi rassicurò il medico.

  Fu portato al Santobono, all'Arenella, ed io dovevo stare in ospedale per almeno settantadue ore dopo il parto. Mia mamma mi aiutava e mi faceva compagnia notte e giorno; il padre di mio figlio, Matteo, mi faceva visita ogni pomeriggio prima di andare in ospedale dal piccolo Francesco. Già non lo sopportavo più, e in cuor mio sapevo che ora sarebbe stato ancora più violento con me, adesso che ormai avevo partorito.

  "Il piccolino sta bene! E' troppo bello signò, tiene solo questo problemino da risolvere. Ma i dottori là mi hanno detto che già oggi pomeriggio possono operarlo e sarà una cosa di niente! E infatti mò scusatemi ma devo andare all'ospedale, che serve pure la firma di uno dei genitori. Valentì, tu stai tranquilla e rilassati, ti chiamo appena è tutto finito. Ti amo assai!"

  La saliva che aveva sulle labbra quando mi baciava mi sembrava acido che bruciava piano piano ogni strato della mia pelle. Mi faceva schifo. Io non lo amavo più già da tempo, già da quando dovetti supplicarlo per non farmi abortire. Lui questo bambino non lo voleva, e sapevo che se avessi voluto lasciarlo lui si sarebbe preoccupato di Francesco non perché gli volesse bene, ma perché doveva fare dispetto a me. Mai gli avrei permesso di averla vinta, mi sarei battuta anima e corpo per difendere la vita di mio figlio e per rispettare il restante della mia. Gli uomini come lui non dovrebbero meritare nemmeno un secondo di respiro, dovrebbero bruciare vivi da soli in mezzo al nulla, presi dalla collera e dal dolore quando per caso iniziano a vivere col cuore e la smettono di agire e pensare coi genitali. Immaginai nella mia testa ogni singolo dispiacere che gli sarebbe potuto capitare nella vita. Soltanto qualche anno dopo avrei capito quanto fosse importante visualizzare nella propria mente ciò che si vuole, e Matteo avrebbe pagato per le cattiverie che mi aveva fatto.

  Ero al sesto mese quando un giorno decisi di uscire per andare a fare un po' di spesa. Abitavo con la mia famiglia, mia madre era iperprotettiva nei miei confronti ed io non lo sopportavo, ero quasi sempre costretta a leggere, guardare qualche serie o a girare a vuoto per casa. Quella mattina, stranamente, lei non mi disse niente ma anzi incoraggiò.

  Al supermercato c'era un sacco di gente, forse troppa per quanto era piccolo. Mi stavo avvicinando al frigo dove c'era una donna bassina dai lunghi capelli bianchi, davano una strana sensazione di morbidezza. Di scattò si girò verso di me ed io feci finta di niente, guardando a vuoto nello scaffale dei dolci. A passo lento arrivai vicino a lei, che continuava a guardarmi.

  "Piccerè, auguri!" mi disse col sorriso.

  "Grazie mille signora, è molto gentile" risposi con timidezza.

  "Hai proprio una bella pancia... posso fare la maleducata e toccarla?"

  L'istinto mi disse di non negarle quel gesto.

  Il suo volto si incupì lentamente mentre me la massaggiava, il suo sguardo felice diventò all'improvviso preoccupato.

  "Signora... cosa succede? Perché mi sembra preoccupata?"

  "Piccola, dovresti esserlo anche tu. Finisci la tua spesa, io ti aspetto fuori. Ho delle cose importanti da dirti!"

  Feci la fila alla cassa per prendere due bottiglie di latte, giusto per non uscire a mani vuote, non mi piace.

  La signora era lì fuori che si guardava attorno, appena mi vide mi venne incontro.

  "Signora mi state facendo preoccupare veramente, perché vi siete incupita quando mi avete toccato la pancia?" chiesi col fiatone dopo aver salito le scale e col cuore in gola.

  "Piccerè, lo so che potrai non credere a quello che sto per dirti, ma per favore ascoltami e fai come ti dico. Tu discendi da una potente janara di Benevento malvista da tutti nel paesino. Questa donna visse così tristemente la sua vita allontanata da tutti che il giorno della sua morte augurò una vita maledetta ai figli dei suoi discendenti se non avessero ripreso la sua arte. Nel paese tutti credevano che lei appartenesse al Diavolo, ma non era così, lei in principio era una brava donna. Furono quelle teste di cazzo a farla diventare cattiva con gli altri ed anche con sé stessa."

  Mi disse tutto in qualche secondo come se non vedesse l'ora di dirmelo.

  "Sì signora, ma adesso io ora cosa dovrei fare dopo quello che mi avete detto?"

  "Tesoro, devi studiare. Tu sei una strega ma non lo sai. Per favore, studia. Devi salvare la vita di questo piccolo principe che porti in grembo. Ora scusami ma devo proprio andare, ti ho anche detto troppo"

  "Ma almeno ditemi come vi chiamate!" le urlai mentre mi dava le spalle.

  "Perdonami cara, io mi chiamo Maria. Ti puoi fidare di me"

  "E potrei sapere come si chiamava questa vecchia janara? Cosa devo fare per saperne di più su di lei?"

  "Lei si chiamava Iside. Tu leggi e studia e conoscerai tutto. Ciao piccerè, scusami!" camminando a passo svelto verso l'uscita.

  Mi resi conto che da lontano c'erano delle persone che mi guardavano in modo strano; infastidita da quegli sguardi, mi avviai verso casa.

  Strega. Iside. Maria. Maledizione. Mio figlio.

  Ero assai confusa, preoccupata. Mille pensieri mi passavano per la testa. Avevo un enorme paura per la sorte di Francesco. Non gli bastava un padre infame come il suo? Ma perché tutto a noi? Perché adesso era svanita anche la speranza di un futuro felice per il mio piccolo? Perché meritava tutto questo? Perché dovevo essere io una discendente di questa cazzo di Iside?

  Arrivata al portone di casa non riuscivo a trovare la chiave, io non vedevo più niente, davanti ai miei occhi vedevo solo cose brutte, mi mancava il respiro. Vidi arrivare di corsa mia madre verso di me, ero in lacrime.

  "Valentì, a mammà, ma che è stato?"

  Una strana sensazione di leggerezza mi prese. Svenni nelle calde e forti braccia di mia madre.

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⏰ Last updated: Mar 04, 2020 ⏰

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Janare sulle montagneWhere stories live. Discover now