12 - Giuliano Parvis

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— Sei stato un buon aeroplano, — disse Francesco, passando una mano sul bordo della carlinga. Era solo una macchina, lo sapeva bene, ma era anche la macchina alla quale lui affidava tutti i giorni la sua vita.

Risalì nella carlinga e, chinandosi in avanti rimosse i ganci che tenevano fermo il cofano anteriore. Lo gettò a terra. Le due mitragliatrici Vickers erano ora visibili, di fronte a lui, distese sopra al motore. Azionò alcune leve ed estrasse gli otturatori, rendendo inservibili le armi. Li lanciò lontano. Prima di scendere, strappò dal suo chiodino il guanto bianco di sfida che quell'austriaco gli aveva lanciato e se lo infilò nella tasca del giaccone.

Di nuovo a terra, estrasse l'accendino e avvicinò la fiamma al foro del serbatoio. La tela era ancora impregnata di benzina e il fuoco divampò in un istante.

Francesco fece qualche passo indietro e osservò il suo aeroplano svanire in una nuvola di fumo nero.

Puntò verso il sole che si stava cominciando ad abbassarsi nel cielo, e si incamminò, slacciandosi il giaccone da volo e sfilandosi l'elmetto. Dopo non molto incontrò il fiume Natisone. Erano quasi due anni che volava in quei cieli: ormai conosceva a menadito la geografia locale. Ne seguì il corso: prima o poi avrebbe incontrato una strada che l'avrebbe condotto a Cividale. E lì, con un po' di fortuna, avrebbe trovato un passaggio fino a Santa Caterina. O, perlomeno, un telefono.

Camminava. Il cielo era nuvoloso, forse il tempo sarebbe deteriorato di nuovo. Camminava. Cos'era successo al fronte? Come mai, dopo quasi tre anni di offensive, sempre coronate da successi, forse non adeguati al sacrificio ma comunque successi, come mai ora tutto sembrava essersi sgretolato? Camminava. I tedeschi e gli austriaci avevano invaso la strada come un fiume in piena, avevano raggiunto anche la tenuta del padre di Benedetta? Camminava. Si batteva il guanto bianco sulla coscia.

Udì la strada, prima di vederla. Grida, imprecazioni, insulti. Il borbottare di motori al minimo, l'annoiato muggire di buoi, il raglio infastidito di asini. Superò un gruppo di alberi che abbracciava la riva del fiume e si trovò di fronte un ponte di legno e ferro, e il caos.

L'ingorgo si estendeva a perdita d'occhio. Qualche camion militare, cercando di superare un carro trainato da una coppia di buoi, si era impantanato in una pozza di fango al lato della strada. Altri carri, qualcuno attaccato alla schiena di un ronzino, qualcun altro sospinto invece da vecchi contadini, si erano spinti ancora di più oltre il ciglio della strada per cercare di raggiungere per primi il ponte, ma ora erano costretti a cercare di riguadagnare la carreggiata.

Poi, una fiumana di persone. Soldati; espressioni disperate, rassegnate, assenti; divise incomplete, lacere, sporche; armamento incompleto o del tutto mancante. Ammassati l'uno sull'altro e frammisti a civili, soprattutto vecchi, donne, bambini, ma anche qualche uomo privo di una gamba o di un braccio. Tutti in attesa di attraversare il ponte.

Al ponte, a cercare invano di dirigere il traffico, un sottotenentino del Genio, così giovane che avrebbe ancora dovuto essere sui banchi di scuola. Il berretto, con quell'unica sottile riga dorata a reclamare il grado e l'autorità del ragazzo, gli calava sulle orecchie e sulla fronte, mentre lui, agitando in aria la sua pistola, cercava di farsi ascoltare dalla folla di gente.

Francesco, continuando a muoversi lungo la riva del fiume, riuscì ad avvicinarsi abbastanza da poterlo chiamare.

— Tenente! — gridò, alzando un braccio per aria.

Il giovane sentì la voce e concesse un'unica occhiata, a metà strada tra l'esausto e il seccato, al pilota. — Mettiti in coda! — gli intimò. — E muoviti!

Francesco sorrise, succedeva sempre così. Sul giaccone da volo non erano riportate le stellette del suo grado né, tantomeno, i nastrini delle medaglie guadagnate. Continuò a seguire il fiume, fino a raggiungere il punto dove il pilone di acciaio lambiva l'acqua. Sotto al ponte, tre o quattro soldati stavano armeggiando con piccoli pacchetti rivestiti di carta marrone. "Esplosivo," pensò Baracca. "Stanno minando il ponte."

Il CavaliereWhere stories live. Discover now