8. Universi a parte

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In una frazione di secondo, ogni speranza di Sadie di salvare quella relazione le era caduta in frantumi davanti agli occhi, tanto che mai avrei immaginato di poter vedere mia sorella- sempre solare e positiva- con una disillusione simile sul volto. Quel viaggio sarebbe stata la perfetta fuga romantica tra lei e Colin, una sorta di anello di congiunzione nel rapporto che, almeno per lei, si stava spezzando giorno dopo giorno, sgretolandosi a velocità allarmante. 

Fu proprio quando tutto sembrava sul punto di crollare, ad un passo dal frantumarsi irreparabilmente, che mi venne un'illuminazione. Dal nulla, mentre iniziava a vedere sempre più lontana la luce in fondo al tunnel, mi ero ritrovata a far leva su ciò di cui mia sorella era più orgogliosa: la sua indipendenza. 

Ero riuscita a convincerla- ammetto in modo non esattamente irreprensibile e spassionato- che forse, dopo più di due anni con Colin, la soluzione ad ogni problema sarebbe stata variare leggermente la solita routine, in modo che entrambi potessero prendersi del tempo per riflettere.

La prima volta che mi ero impicciata negli affari loro, appena qualche giorno prima, avevo giurato a me stessa che non mi sarei mai più calata nei panni di Cupido, ma a quanto pare, ormai, dispensare consigli amorosi con un'ignoranza di fondo sull'argomento stava diventando una terrificante abitudine. Tutto ciò non avrebbe portato nulla di buono, ne ero certa.

In quell'esatto momento, ad ogni modo, mia sorella si trovava chissà dove, in qualche angolo remoto della California. Senza una meta, senza un itinerario, senza tecnologia.

Senza Colin.

Solo lei e uno zaino da campeggio, unico suo compagno di viaggio per le successive tre settimane.

Inizialmente,  Sadie aveva pensato di tornare a casa dopo una decina di giorni, ma aero risultata così insistente nel convincerla a prolungare la sua vacanza che, volente o nolente, era finita per cedere. 

Più tempo avrebbe trascorso lontana da Santa Monica, meglio era.

Più tempo avrebbe trascorso lontana da Santa Monica, meno possibilità ci sarebbero state che sapesse di Hunter Price.

Dopo la partenza di Sadie, iniziai a sentire davvero sulle spalle il peso di tutte le bugie che le avevo detto, e di tutti i segreti che mi ero curata di nasconderle. Non mi ero mai sentita, in diciassette anni, tanto viscida.  Avevo messo nella vita privata di mia sorella, solo per pararmi la faccia. Al posto di offrirle davvero il sostegno che avrebbe meritato, il mio unico pensiero era stato non farle scoprire nulla, tenerla all'oscuro di ogni singolo frammento di verità. Ma l'avevo fatto per il suo bene, ero disposta a giurarlo. Preferivo impedire che si facesse del male in futuro, piuttosto che curare le ferite di cui già portava le cicatrici sulla pelle.

Non ero mai stata brava, a consolare la gente. Io ero quella che cercava le soluzioni, che risolveva problemi tangibili, non che prestava supporto morale. Non davo consigli. Prendevo in mano la situazione e agivo. Era Sadie, quella empatica, quella sensibile.

Troppo sensibile. Troppo delicata per la realtà brutale e efferata che la circondava. Come il bocciolo di un fiore di loto, puro e innocente nella sua interezza, in un lago di petrolio e sangue. 

Qualcuno bussò alla porta della mia stanza, e subito dopo la voce di mio padre echeggiò nel corridoio.

- Posso?- chiese.

- Certo.

Quando entrò, sul suo volto scorsi un residuo di sgomento, come un cerbiatto spaventato alla vista di un cacciatore.

- Al piano di sotto è in corso una guerra interplanetaria- mi informò. - Meglio mettersi al riparo.

- Conviene iniziare a cercare sconti sulle bare 150×60 centimetri. Austin non ha possibilità contro la mamma.

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