Lost girl - ONE PIECE

By MaviShay

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Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigl... More

Confusione
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Taglia

232 34 15
By MaviShay

"Sai chi sei? Capisci che cosa ti è successo? Vuoi vivere in questo modo?"

Novembre. Sei mesi dopo.

«A quanto pare l'amore è nell'aria,» commentò Penguin compiaciuto, osservando la scena che ci si presentava davanti.
«Allora ci conviene comprare l'insetticida,» feci io, acida. Mi guadagnai l'occhiata fiera e divertita del chirurgo. Ci guardammo complici. "Sì, caro Traffy, mi hai insegnato bene," gli comunicai implicitamente. Per fortuna in quei mesi le cose tra di noi si erano appianate del tutto ed eravamo tornati al nostro complicato e disfunzionale rapporto di amore-odio.
«Non ce l'abbiamo, l'insetticida. Siamo su un sottomarino, a che ti serve?» domandò Bepo, ingenuo come al solito. Alzammo tutti gli occhi al cielo e scuotemmo la testa.
Quattro mesi prima, Omen e Maya finalmente si erano decisi a dichiararsi l'un l'altra. Dopo l'episodio avvenuto su Kaitei e le conseguenti ferite – anche piuttosto gravi – che aveva riportato Maya, nel mio amico era scattato qualcosa e i due si erano avvicinati sempre di più. Con i mesi la cosa si era fatta sempre più seria, fino al punto in cui per loro era stato impossibile nascondere il loro amore nascente. Ed ora, io e parte dell'equipaggio ce ne stavamo immobili, da una parte, ad osservare i due piccioncini che si scambiavano stupide effusioni amorose. Certo, erano teneri da vedere, ma per noi iniziava a diventare una tortura. Soprattutto perché eravamo costretti a guardare tutta quella sdolcinatezza, ormai nauseante, tutti i santi giorni. Non che i due innamorati fossero i tipi da tenersi la mano e farsi gli occhi dolci, ma ogni tanto c'erano dei momenti in cui l'uno si perdeva nello sguardo dell'altra e io dovevo sorbirmi Shachi e Penguin che si lamentavano del fatto che non avevano una ragazza. L'intera faccenda sembrava una scena uscita direttamente da "Il Re Leone". I cretini interpretavano Timon e Pumbaa, mentre i fidanzatini si cimentavano nel ruolo di Simba e Nala. Avrei perfino giurato di sentire "L'amore è nell'aria stasera" in sottofondo quando Maya ed Omen si fissavano nelle palle degli occhi, che avevano apparentemente proprietà ipnotiche, accompagnati dalla melodia dei pianti isterici delle mammolette, che stavano a guardare da una parte – ma non in silenzio – e si soffiavano il naso, consolandosi reciprocamente. Ci mancava solo che si mettessero tutti a rotolare giù per la collina, iniziassero a correre per i prati e si tuffassero nelle limpide acque di un ruscello. Per fortuna non avevamo né un prato né una collina a disposizione sul sottomarino. Se si volevano tuffare in acqua, c'era pur sempre l'oceano. Poi, però, io non li avrei recuperati neanche morta. E per quanto mi riguardava potevano pure affogarsi a vicenda.
Inutile dire che quello che ne risentiva di più era Ryu. Pensavo che prima o poi avrebbe avuto un infarto, tanto si arrabbiava ogni volta che quei due si sedevano al tavolo della cucina e gli impedivano di utilizzare utensili e apparecchiature varie nel modo in cui avrebbe voluto, perché troppo distratto a guardarli mentre si fissavano negli occhi e si sorridevano complici. Già, perché a dirla tutta non erano tanto le effusioni a darci fastidio – perché non se ne facevano molte – ma era il modo in cui si guardavano. Avevano proprio perso la testa l'uno per l'altra; e ne ero felice, nonostante tutti i problemi e le complicazioni che ci causavano. Io stessa li avevo sollecitati più e più volte a darsi una svegliata e a dichiararsi a vicenda. Forse così era un po' troppo, ma non potevamo aspettarci di meno da dei giovani pirati innamorati. Dopotutto, se i corsari erano liberi, lo erano anche di amarsi. Per quanto riguardava me, invece, non sentivo il bisogno di trovare l'uomo della mia vita. Non in quel momento, almeno. Prima avevo delle cose da sistemare.
«Cami, ci resti solo tu,» piagnucolò Penguin, guadagnandosi una mia occhiataccia.
«Magari ce l'avessi io una ragazza così,» si lamentò Shachi, sospirando e continuando a fissare la scenetta romantica che si stava consumando davanti a lui. Aveva gli occhi completamente persi.
Il cuoco sbuffò con forza.
«Ecco, ci risiamo,» dichiarò estremamente scocciato, riferendosi ai due idioti. Era un caso che fosse con noi e soprattutto che fosse fuori dalla sua amata cucina, ma nessuno di noi voleva entrare ed assistere alla scena ancora più da vicino. Così come nessuno di noi aveva intenzione di dire loro che l'intera situazione ci causava un po' di disagio, perché non volevamo infrangere il loro meraviglioso e idilliaco sogno d'amore. Più volte avevo sollecitato il chirurgo a fare qualcosa, ma lui non ne aveva voluto sapere niente. Perciò adesso ci ritrovavamo tutti sulla soglia della porta a guardarli ridere.
«Ma tu ce l'hai una ragazza, Shachi,» affermai, facendogli l'occhiolino. «Si chiama Federica.»
Law sbuffò una risata. Allora se ne era ricordato. Questo mi fece sorridere.
«Chi? Federica? E chi è? La conosco? Perché non ne ho mai sentito parlare? È una tua amica? Me la presenti?» negli occhi di Shachi c'era un luccichio di speranza.
Stava facendo troppe domande, inutili per giunta, perché non avrebbe capito comunque e di certo non sarei stata io a chiarirgli il significato.
«Ti spiegherò, un giorno. Forse...» Accompagnai le mie parole con un gesto della mano e mi rigirai per tornarmene in camera. Il capitano mi seguì a ruota e ci separammo, lui doveva andare in laboratorio. Ormai avevo quasi imparato a memoria tutto l'itinerario che compiva nei vari giorni della settimana.

Mi allungai verso il comodino per prendere il libro che avevo iniziato a leggere – o meglio, a rileggere per l'ennesima volta – per poi appoggiare la schiena alla testiera del letto, allungare le gambe e posare un piede sopra l'altro.
Sospirai compiaciuta mentre toglievo il segnalibro dalla pagina a cui ero arrivata. Finalmente ero riuscita a ritagliarmi un po' di tempo per me stessa. Erano stati giorni caotici e tra Law che trascorreva gran parte della giornata relegato nel suo studio e tutte le altre cose che c'erano da fare – più precisamente che ero stata incaricata di fare in vece del Capitano – non avevo avuto nemmeno un attimo per respirare. Ma ora avevo sistemato tutto quello che c'era da sistemare, almeno per quanto riguardava le cose che avevano una scadenza a breve termine, e potevo godermi un paio di ore libere prima del pasto serale.
Avevo letto appena due pagine, quando un urlo stridulo iniziò a propagarsi rapidamente per tutto il corridoio ed arrivò fin troppo chiaramente alle mie orecchie. Chiusi gli occhi, serrai la mascella e inspirai profondamente, nel vano tentativo di mantenere la calma. Sapevo bene chi era che stava gridando e, anche se non ne conoscevo il motivo, sapevo perfettamente dove era diretto.
La porta della mia camera si spalancò con una tale velocità e un tale impeto che avvertii chiaramente lo spostamento d'aria.
«Ehi, Cami! Corri, presto!» strillò Penguin, in piedi sulla soglia, con un po' di fiatone.
Sbuffai. Mannaggia a me che non chiudevo mai a chiave la porta. E dire che ne avevo avute di occasioni per imparare la lezione. A quanto pareva ero recidiva nella vita. Per fortuna, però, non lo ero né in sala operatoria, né sul campo di battaglia.
Chiusi controvoglia il libro che avevo appena iniziato a leggere, premurandomi di rimettere il segnalibro sulla pagina a cui ero arrivata.
«Che hai da urlare tanto?» chiesi infastidita, per poi alzare un sopracciglio, d'un tratto interessata. «È morto qualcuno?»
Corrugò la fronte. Sapevo che si stava chiedendo cosa ci fosse di sbagliato in me. Scosse la testa, come per scacciare quel pensiero e tornò a fare la faccia entusiasta che aveva nel momento in cui aveva spalancato la porta.
«Vieni a vedere, sbrigati!» esclamò eccitato, accompagnandosi con un gesto della mano.
Senza nemmeno darmi il tempo di rispondere, me lo ritrovai accanto. Mi prese per il polso e iniziò a tirarmi con forza. Smise soltanto quando minacciai di colpirlo con il libro che stringevo nell'altra mano, sebbene sapesse che non lo avrei mai fatto; quel libro era troppo prezioso per me e non avrei rischiato di rovinarlo per picchiare un emerito idiota. Era uno dei pochissimi oggetti che era finito con me in quell'universo, ci tenevo troppo. E, a parte quello, aveva da sempre un immenso valore affettivo per me. Lo accompagnai con lo sguardo mentre lo posavo delicatamente sul letto. Le avventure di Peter Pan, di James Matthew Barrie. L'incanto che racchiudeva quell'opera d'arte riusciva a trasportare tutti, adulti e bambini, nel luogo fantastico più perfetto e felice che potesse esistere. Anche solo sfogliare velocemente le sue pagine mi faceva rilassare e distendere i nervi. Era semplicemente magico.
Quello era un periodo piuttosto tranquillo per la ciurma, e non appena ne avevo avuto l'occasione avevo iniziato a rileggere quel capolavoro, che non solo era una delle poche cose che mi collegava ancora alla mia famiglia e al mio mondo di provenienza, ma sospettavo potesse anche darmi degli indizi su come fare per tornare a casa. Dopotutto, ci doveva pur essere un motivo se la Stella aveva deciso di trasportarlo lì insieme a me.
Dovetti rimuovere tutte quelle riflessioni dalla testa nel momento in cui vidi il mio compagno, ancora accanto a me, saltellare ed agitarsi come un cucciolo di cane che è in procinto di ricevere la pappa. Mi alzai e, con faccia estremamente scocciata, gli feci cenno di guidarmi dovunque avesse intenzione di portarmi. Poi sospirai sconsolata mentre davo un'ultima fugace occhiata al libro. Anche per quella volta, avrei dovuto dire addio al mio tempo libero e ai miei tentativi di scovare un modo per tornare dai miei famigliari.
Spalancai occhi e bocca, incredula. Poi guardai verso Penguin e Shachi come per chiedere informazioni, ma loro in tutta risposta alzarono le spalle e mi sorrisero complici. Supponevo che ne sapessero quanto me. Mentre controllavo attentamente le parole scritte sul pezzo di carta che avevo tra le mani, iniziai a sogghignare. Ero al settimo cielo. Sul giornale c'era un intero articolo dedicato ai Pirati Heart e allo scompiglio che avevamo causato in una delle tante isole su cui eravamo sbarcati. La cosa abitualmente non mi avrebbe toccato, in fondo eravamo pur sempre pirati. Era più che normale per noi creare confusione e portare caos ovunque andassimo. Mi sarei perfino infuriata con quei due per aver interrotto uno dei miei sporadici momenti di relax. Ma quella volta c'era un particolare che mi aveva quasi fatto fare i salti mortali di gioia. Una buona parte di quell'articolo era dedicata a me. E, sotto al pezzo, compariva un manifesto. Un manifesto da ricercato. Il mio manifesto. Il mio avviso di taglia. Adesso avevo una taglia sulla testa anche io.
«Dobbiamo festeggiare!» si affrettò a fare presente il Pinguino. Tipico di lui, la sua unica preoccupazione era quanto alcol avrebbe potuto reggere il suo corpo. Non che avessi nulla da obiettare sulla questione del celebrare quella nostra – ma soprattutto mia – piccola vittoria.
«Vado ad avvertire Ryu,» ci comunicò Shachi, eccitato al pensiero che quella sera avrebbe potuto abbuffarsi di cibo e trangugiare qualsiasi bevanda alcolica avesse avuto davanti, per poi sparire nel lungo corridoio.
«Io vado a dare la notizia al resto della ciurma!» esclamò Penguin quasi cantando. Poco dopo anche lui uscì dall'infermeria e io rimasi sola.
Scossi la testa e risi. Una delle poche certezze che avevo, era che quei due non sarebbero mai cambiati.

"Il 'Chirurgo della Morte' Trafalgar Law causa scompiglio ancora una volta. Il luogo da lui prescelto, questa volta, è l'isola Fuyuka, isola invernale situata nel Nuovo Mondo. Secondo le autorità, il temibile pirata non avrebbe causato danni gravi né ai cittadini, né ai siti storici del posto in cui ha fatto incursione, complice anche il tempestivo intervento della Marina, i cui valorosi soldati hanno rischiato coraggiosamente le proprie vite riuscendo prontamente a contenere l'assalto. C'è stato solo un grande spavento generale per gli abitanti. Ma la vera sorpresa è stata una dei sottoposti del Capitano di una delle ciurme più chiacchierate degli ultimi anni. La ragazza dagli occhi nocciola, finora sconosciuta al resto del mondo, infatti, ha suscitato non poco scalpore e si è fatta notare per le sue particolari abilità."

Così recitava l'articolo all'inizio. Sotto di esso c'era il mio avviso di taglia accompagnato da una fotografia in cui sorridevo beffarda. Il vantaggio di avere quel corpo e quel viso era che non potevo venire male in foto. Tuttavia mi chiesi quando potevano avermela scattata. Pazienza, non era importante saperlo. Sorvolai anche su quanto avevano detto della Marina quei giornalisti idioti. Non era vero niente. Erano dei buoni a nulla fifoni. Quello che era importante era che ora la mia testa valeva venti milioni di Berry. Non ero a conoscenza del come o del perché, visto che a quanto mi ricordassi non avevo fatto nulla di male. Né sapevo a quali particolari abilità si riferisse l'articolo. Ora, su quell'isola era successo di tutto, ma ciò che era scritto in quel brano era avvolto da un alone di mistero.
Fissai ancora una volta il mio avviso di taglia e, ancora una volta, senza accorgermene fui pervasa dalla gioia. Non che fossi contenta di avere una taglia sulla testa, ma quello significava che ero qualcuno. Che forse, da qualche parte, qualche pazzo mi temeva. Venti milioni di Berry non erano tanti, ma era un buon inizio. Anche Rufy aveva cominciato da trenta. Tutti avevano cominciato dal basso, nessuno escluso. Roger stesso all'inizio dell'avventura che avrebbe cambiato la storia della pirateria altro non era che un semplice mascalzone vagabondo. Il mio obiettivo era arrivare a cento milioni, anche se dubitavo molto sulla sua riuscita. Dopotutto, l'unica abilità che avevo che era degna di nota era quella di saper ricucire le persone. In combattimento, in mezzo a quei mostri di potenza, ero un moscerino che tentava di combattere contro un T-rex. Ma non mi sarei arresa. Avrei proseguito per quella strada, avrei continuato la mia avventura e un giorno, forse, avrei coronato tutti i miei sogni e completato tutti i miei obiettivi.
Tuttavia la mia gioia durò poco. Finì nell'esatto momento in cui notai l'articolo a pagina successiva, che era il continuo di quello precedente.

«Law!» gridai infuriata, dirigendomi a passo svelto verso il suo laboratorio e spalancando la porta.
«Che cos'è questo scempio!?» urlai sbattendo il giornale sul tavolo, proprio davanti a lui, e costringendolo ad interrompere la sua ricerca al microscopio.
Mi guardò piuttosto male. Quasi avevo paura che potesse folgorarmi e uccidermi definitivamente con il suo Counter Shock.
«Cosa c'è?» Il suo tono di voce era alquanto scocciato.
«Leggi.» Indicai il foglio con una forza tale che avrei potuto bucare il tavolo.
«Tsk. Assegnano le taglie a cani e porci, a quanto pare,» commentò acido.
«Non quello.» Ignorai la sua provocazione e gli indicai l'articolo giusto.

"La misteriosa ragazza che fa parte della tanto temuta ciurma di pirati capitanata da Trafalgar Law, il cui nome sembra essere Cami, possiede le stesse abilità del suo capitano.
La giovane donna, apparsa all'improvviso dal nulla, ha suscitato l'interesse dei media grazie alla sua speciale capacità di rubacuori. Infatti, non solo sembra essere avvezza alla stessa perversione del suo capitano – quella, appunto, di rubare cuori a chiunque capiti a tiro – ma pare anche che tra tutti i cuori, ne abbia rubato uno in particolare, molto prezioso."

Sotto allo spezzone c'erano due foto. A sinistra c'era sempre una mia foto mentre tenevo in mano un cuore umano, mentre sulla destra c'era una foto mia e di Law che apparentemente ci abbracciavamo. La sua mano sinistra sfiorava la mia coscia destra, mentre io sembravo cingergli il collo con le braccia. Entrambi stavamo ghignando divertiti. Adesso capivo molte cose. Era un enorme equivoco. Tutto. L'intera faccenda era una colossale stronzata. Ma purtroppo non era finita lì, perché l'articolo continuava.

"Trafalgar Law e la ragazza dagli occhi nocciola sono stati visti in atteggiamenti intimi. Più persone lo hanno confermato e le fonti sono attendibili.
Che il 'Chirurgo della Morte' si sia fatto rubare il cuore da questa fantomatica Cami? Che il tenebroso pirata si sia lasciato travolgere dalla passione per questa giovane ragazza? Qualunque sia la verità, la sua vicinanza con Trafalgar Law la rende pericolosa, facendole guadagnare una taglia e l'appellativo di 'Regina di Cuori'."

«Perché non chiamiamo questi cazzo di media e non gli diciamo che ci sposiamo, già che ci siamo!?» gli gridai dopo cinque minuti di intensa discussione, in cui lui non aveva detto una parola. Praticamente avevo strillato e strepitato solo io. Non solo sembrava che l'articolo non lo infastidisse, ma addirittura che non lo riguardasse minimamente. E questo mi mandava in bestia.
«Non capisco perché la cosa ti turbi tanto. È solo un nomignolo, che non potrai cambiare comunque in alcun modo,» affermò, calmo ed impassibile come al solito.
«Senti, Law,» iniziai, stringendo le mie dita attorno alla sua felpa. «Non intendo essere la tua sgualdrina.»
Mi avvicinai pericolosamente a lui. Ero totalmente accecata dalla rabbia, per qualche motivo che ancora non riuscivo a comprendere.
«È assurdo! Io i cuori li aggiusto, non li strappo dal petto delle persone, come te!» esclamai poi, esasperata.
«Ho ucciso per molto meno,» fece lui alquanto infastidito, abbassando lo sguardo sulle mie mani. Mollai la presa sul suo indumento e allargai le braccia in segno di resa. Se non importava a lui, non sarebbe importato nemmeno a me.
Poco dopo, Law rise sommessamente e abbandonò la schiena sullo schienale della sedia.
«Il fatto di essere etichettato come tuo amante dovrebbe infastidire più me che te. Non trovi?» Sogghignò compiaciuto.
Mi portai le mani ai fianchi e simulai un'espressione offesa.
«Sei fortunato ad avere una finta amante come me. E il fatto che tu non abbia detto niente in proposito, ci porta a due conclusioni. O sei gay e non vuoi che la gente lo sappia, e per questo ti serve una copertura; e diciamocelo, io sono proprio una bella copertura,» affermai compiaciuta, facendo scorrere le mie mani su tutto il corpo per evidenziarne la sagoma. «Oppure... sei fiero di me ma non lo vuoi ammettere e questo è il tuo modo contorto di farmelo sapere.»
Incastonai i miei occhi ai suoi ed alzai un sopracciglio. Lui mi fissava con un'inespressività tale che non avevo la minima idea di cosa gli potesse passare per la mente. Stava pensando all'articolo? Stava pensando a delle torture a cui sottopormi? Stava pensando alla cena?
«In ogni caso, se fossi gay, non dovresti nasconderti. Io sarei contenta per te se facessi coming out e trovassi l'amore della tua vita. Magari con un uomo al tuo fianco ti addolciresti un po', diventeresti meno odioso e renderesti la vita più facile a noi che siamo i tuoi poveri sottoposti.»
Incrociò le braccia e per un po' non disse niente. Teneva lo sguardo fisso sul microscopio e sembrava pensieroso. Forse stava riflettendo sulla sua ricerca, quella che avevo interrotto entrando nel suo studio come un uragano.
«Per fortuna l'hai notato. Non ce la facevo più a mantenere questo segreto. Ora con te posso aprirmi ed essere sincero. Mi sono tolto un peso,» annunciò con voce soave poco dopo, fissandomi negli occhi. Sembrava sollevato.
Il mio cuore perse un battito. Forse anche più di uno. Aggrottai la fronte, spalancai gli occhi e lo guardai atterrita. Io stavo scherzando, ma lui a quanto pareva no. Era gay? Sul serio? E io, in tutto questo tempo, non me ne ero accorta!? Effettivamente, però, questo spiegava molte cose.
Lo fissai per qualche altro secondo totalmente scioccata, aspettando che dicesse o facesse qualcosa. Lui mi guardò con un'espressione impassibile, appena prima di ghignare arrogantemente. Sentii i muscoli del mio corpo distendersi e quelli del mio viso aprirsi in un sorriso.
«Sei proprio un bastardo,» gli dissi, ridendo. E io che ero convinta che non si prestasse a questi "stupidi scherzi". A quanto pareva mi ero sbagliata. O forse avevamo raggiunto un punto nel nostro rapporto in cui lui cominciava a fidarsi di me, a non vedermi più come una mocciosa immatura ed insicura, ma come una persona degna di stima. E il fatto che scherzasse con me in quel modo stava a significare che piano piano si stava aprendo e mi stava dando la possibilità di vedere il vero Law.

Avevamo chiarito la faccenda sulla sua eterosessualità. Ora restava da chiarire tutto il resto.
«Quindi? Che facciamo?» chiesi io, riprendendo in mano il giornale che avevo abbandonato sulla scrivania del Capitano.
«Se la cosa non ti è di troppo disturbo, io vorrei finire la mia ricerca al microscopio» affermò, affilato.
Digrignai i denti, innervosita dalla sua eccessiva tranquillità. «Intendo per l'articolo.»
«Eviti di farti catturare,» mi consigliò, intento ad esaminare un altro vetrino.
Sbuffai. Non che avesse torto, ma non mi era di alcun aiuto così. Per di più, non avevo capito se fosse ironico o meno.
«Capitano!» Una voce quasi stridula alle nostre spalle fece voltare entrambi. Era Penguin. Come facesse ad avere tanta energia per andarsene a gridare per tutto il sottomarino, non lo sapevo.
Prima di parlare osservò leggermente stupito prima me e poi Law.
«Oh,» esclamò sorpreso. «Allora lo sai,» affermò – anche se sembrava più una domanda – rivolto al chirurgo.
«Sì, lo sa. E stiamo cercando di trovare una soluzione al problema,» risposi al posto del Capitano, stizzita.
Il pinguino corrugò le sopracciglia. «Quale problema?»
«Nessuno,» replicò Law, impassibile come al solito, mentre scriveva dei dati su un quaderno o qualcosa del genere.
«Come fai a dire che non c'è nessun problema!? Il problema c'è eccome!» gridai infuriata.
«La questione è irrilevante, per quanto mi riguarda,» dichiarò il mio interlocutore – se così si poteva chiamare, visto che parlava a malapena – gelido.
«Ma che cazzo, Law! Come fa ad essere irrilevante? Me lo spieghi?» gli chiesi, cercando di tranquillizzarmi e chinandomi per guardarlo negli occhi, sebbene lui fosse occupato a guardare negli oculari del microscopio. Avevo di nuovo abbandonato il quotidiano sul tavolo. Non volevo che si spiegazzasse troppo per colpa della mia furia, era pur sempre un reperto da tenere immacolato.
«Ehi, Cami, calmati. Non è successo nulla di male,» disse l'altro mio compagno, avvicinandosi a me. Forse voleva proteggere il capitano dalla mia ira. Non aveva capito che se il chirurgo avesse voluto, avrebbe potuto spazzarmi via con un solo colpo. Quali che fossero le sue intenzioni, evidentemente non aveva letto l'articolo per intero. Tipico di lui. Non faceva mai niente per intero, ad eccezione dell'ubriacarsi e del suo pisolino pomeridiano.
Sospirai e mi rimisi in posizione eretta. Mi sarei dovuta rassegnare al fatto di essere stata etichettata come l'amante di Law. La cosa che mi dispiaceva di più era che era scaturito tutto da un equivoco, e che il mio nome sarebbe stato associato per sempre a quello del mio Capitano. Non avevo una taglia sulla testa per ciò che avevo fatto, ma per le persone a cui ero legata. Era incredibile come ogni più piccola azione potesse essere rigirata e usata contro di te, per farti sembrare una persona che non eri assolutamente. Ed era ai limiti dell'assurdo che la gente non solo lo permettesse, ma credesse anche a tutte le notizie false che venivano propinate loro. Possibile che nessuno alzasse un dito su quella grave situazione di mala-informazione? Era tutto un immenso malinteso. In un certo senso mi sentivo nella stessa situazione di Ace, seppur in una forma molto meno grave della sua. Anche lui era stato vittima dei suoi legami, e per anni si era trascinato dietro le derisioni degli altri e aveva portato dentro quel peso, accompagnato da un'incredibile rabbia e un immenso disprezzo verso quel rapporto di parentela che lo aveva condannato senza che lui avesse fatto niente di male. Ma ormai non potevamo più farci niente. Questa era la realtà. Io ero appena diventata la fidanzata di Trafalgar Law, che ruba i cuori e va in giro a farsi chiamare "Regina di Cuori".
Sbuffai una risata. Dovevo cogliere al volo quell'occasione.
«E va bene. Vogliono una Regina di Cuori? E allora avranno una Regina di Cuori.» proclamai incrociando le braccia, con il tono più deciso che avessi mai sentito provenire da me.
Il pinguino annuì sogghignando. «Così ti voglio,» mi incoraggiò, alzando il pugno a mezz'aria. Non ero sicura che avesse capito il nesso, visto che non aveva letto tutto l'articolo, ma pazienza. Non era il tipo che si faceva domande scomode o paranoie inutili.
Ricambiai il sorriso e il cenno d'assenso. Poi mi venne in mente una cosa. Ripresi il quotidiano in mano per accertarmi di aver letto bene le parole contenute nell'articolo. Quando ebbi finito, mi rilassai, allentai la presa sul giornale e iniziai a ridere prima sommessamente e poi fragorosamente.
«Si può sapere perché ridi adesso?» chiese il mio compagno, che non riusciva a comprendere la mia logica. Law, invece, il cui lavoro quel giorno era stato interrotto – da me e dalla mia furia – proprio sul più bello, serrò la mascella ed alzò gli occhi al cielo, molto seccato. Prima o dopo avrebbe usato la sua Room per farmi a pezzettini e gettare la mia testa in mare.
Vidi Penguin scuotere la testa, roteare le pupille e soffiare un "donne", come se tutto il genere femminile fosse altamente volubile. Io, però, stavo ridendo per una ragione che in quel caso non c'entrava nulla con l'essere lunatici.
"L'avevo detto a Marco che sarei diventata una regina!" pensai tra me e me, mentre mi asciugavo gli angoli degli occhi, umidi per le troppe risate. Di certo non si poteva dire che non mantenevo le promesse. Non sapevo perché la cosa mi suscitasse tanta ilarità, ma non mi importava. In fondo, molto in fondo, ero contenta di avere una taglia sulla testa, seppure piccola in confronto a quelle esorbitanti che circolavano nel Nuovo Mondo, e di avere un soprannome che incutesse almeno un po' di terrore. D'altronde, non era importante la storia che c'era dietro ad essi ma quella che vi avrei costruito sopra.
Mi chiesi se anche la Fenice, la ciurma di Rufy e il resto delle persone che avevano avuto l'occasione di conoscermi in quel mondo, avessero letto le notizie uscite quella mattina. Feci una piccola risata al pensiero di come ognuno di loro avrebbe potuto reagire. Avevo motivo di credere che sarebbero stati fieri di me. Soprattutto perché non conoscevano la verità sugli eventi che avevano causato la stesura di quell'articolo. Ma in realtà, sospettavo che sarebbero stati lo stesso fieri di me e di tutta la strada che avevo fatto per arrivare fin lì. Ero riuscita a sopravvivere per ben due anni nel Nuovo Mondo, nel mare governato dalle persone più potenti di quel particolare universo, che tanto faceva paura ai pirati di quel tempo. E questo bastava per certificare il mio valore come persona, combattente e medico.

Quella sera, prima di andare a letto, sorrisi con malinconia. Se solo i miei amici e la mia famiglia mi avessero potuto vedere... Di certo alcuni sarebbero stati fieri di me, altri spaventati e altri ancora sconcertati. Mia madre sarebbe stata estremamente preoccupata ed ero sicura che se fosse venuta a saperlo sarebbe stata sull'orlo di uno svenimento. Del resto, la nostra era una dote di famiglia. Per fortuna, però, nessuno avrebbe potuto dirglielo. Il mio migliore amico, invece, non ci avrebbe creduto mai e poi mai, mentre mia cugina avrebbe avuto paura di me e della mia potenziale pericolosità. Sospirai, mentre una piccola lacrima solitaria scendeva sulla mia guancia. Quanto mi mancavano. Tutti loro. Dio, mi mancavano perfino gli odiosi e infiniti pranzi di Natale assieme. Avrei dato tutto quello che avevo, persino i venti milioni di Berry che pendevano sulla mia testa, per rivederli, anche solo per qualche minuto.
Decisi che quella giornata si sarebbe conclusa in modo allegro. Dopotutto, non c'era nulla per cui essere tristi. Forse c'era da preoccuparsi un po', considerato che ora valevo qualcosa e che presto avrei potuto avere alle calcagna Marines, cacciatori di taglie e brutti ceffi vari. Però sapevo che chiunque avesse provato a farmi del male poi se la sarebbe vista con i miei compagni. C'erano loro con me, adesso. Mi avrebbero protetta, ne ero certa, così come io avrei fatto con loro. La Stella aveva fatto una buona cosa. Ne aveva fatta più di una, a dire la verità, tra i tanti casini in cui mi aveva messo. Perché alla fine tutte le sue azioni apparentemente strampalate mi avevano portato a questo. Avevo trovato i miei compagni, finalmente.
E fu proprio con questo pensiero che, appena prima di addormentarmi, iniziai a ricordare il susseguirsi di eventi completamente equivoci che aveva spinto il Governo Mondiale a ritenermi pericolosa e ad assegnarmi una taglia sulla testa.




Angolo autrice
Salve! Come state? <3
Sì, lo so, non aggiorno da una vita... Vi chiedo scusa! In ogni caso, eccomi qui con un altro capitolo, il primo di questa terza parte della storia, per la precisione. Pare che adesso Cami abbia una taglia sulla testa! Un avvenimento che in realtà è nato da un enorme equivoco. Equivoco che verrà spiegato meglio e chiarito nei prossimi capitoli, promesso.
Nel frattempo ringrazio chiunque abbia avuto la voglia e la pazienza di continuare a seguire la storia fino a qui e chi continuerà a seguirla. Grazie anche a chi vorrà lasciare una stellina e/o un commento!
A presto! <3

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