L'AMORE CHE CI HA SALVATI

By manuelalucky

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Lucas è un ragazzo semplice circondato da amici e ragazze, con un unico obiettivo nella vita: terminare il li... More

Piccolo Appunto Prima Di Iniziare
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By manuelalucky

Due giorni.

Due giorni che penso e ripenso a quello che ha fatto, alla strada che ha scelto di intraprendere e sebbene faccia male non riesco veramente ad avercela con lui.

Come potrei serbagli rancore dopo tutto quello che gli ho fatto passare?

Non posso nascondere che da quando me lo ha detto non faccio altro che immaginarlo con questa fantomatica ragazza che nemmeno so chi sia. Lo penso mentre la sfiora, mentre la bacia e mentre si muove sopra di lei. Penso ai suoi movimenti e alla cadenza delle sue spinte mentre affonda in quel corpo che gli è estraneo. Penso a quello a cui può aver immaginato mentre assieme a lei apriva le danze al ballo dei debuttanti. Penso ai suoi gemiti soffocati in gola che sapevano poco di piacere, ma molto di tormento, infelicità e sofferenza. Ma anche se lo penso mentre se la scopa, cosa cambia se non ad aumentare la mia invidia?

Perché sì cazzo. La mia è solo invidia. Sana e pura.

Ma purtroppo non sono ancora venuto in possesso della bacchetta magica che mi permetta di cambiare il passato, anche perché se ce l'avessi l'avrei già usata per me per cancellare la merda che mi porto dietro e per far tornare tutto a come era prima. Ma so che è proprio il nostro passato a renderci quello che siamo oggi. Quindi se non fosse mai successo quell'incidente probabilmente non avrei nemmeno mai incontrato Lucas.

Ma qui e ora è oggi. Non ieri e non domani. E io per primo da lui non posso pretendere assolutamente niente dato che un noi non esisteva e non esiste ancora.

Ma anche se cerco con tutto me stesso di ignorare quello che ha fatto non posso negare che mi bruci e anche tanto e il susseguirsi delle mie emozioni, prima calme e poi agitate, creano dentro di me un calore in grado di consumarmi lentamente.

Ed è perché non siamo ancora niente che devo andare oltre e cercare di farmela passare nonostante tutto quello che mi circonda sembra urlarmi di non farmi ingannare e di fargliela pagare. Ma sarebbe davvero la scelta giusta? Dovrei sul serio mandare a fanculo l'unica persona che mi fa stare bene?

Tutti commettiamo degli errori. Chi inconsapevolmente e chi coscientemente.

E se ogni persona in questo mondo dovesse chiudere la porta in faccia a un'altra che ha sbagliato, a quest'ora saremo tutti soli.

È per questo che ora sto facendo su e giù per tutta la sala in attesa dell'ora in cui possiamo usare il telefono ancora indeciso se chiamarlo o meno, ma gli ho dato la mia parola che lo avrei chiamato per cui devo farlo. Giusto?

Ma alla fine chi voglio prendere in giro? È da quando mi sono alzato questa mattina che tra un pensiero e una imprecazione conto le ore e anche i minuti per poter alzare quella dannata cornetta e fare il suo numero. Le mani mi prudono dall'impazienza e il cuore batte sempre più forte mano a mano che si avvicina l'ora x. Come se questo nostro contatto fosse il nostro primo appuntamento ed è così facile volare con la fantasia e immaginarmi davanti a un armadio aperto mentre cerco quella maglietta che non uso da un po', ma che proprio questa sera ho voglia di indossare forse perché richiama il colore dei suoi occhi o solo perché penso potrà piacergli. Mi vedo mentre davanti allo specchio pettino e rispettino i miei capelli capricciosi e disordinati mentre decido se mettere una cintura nei passanti dei jeans o lasciare che mi scivolino lungo i fianchi. Mentre passo davanti lo specchio e ogni volta controllo di avere tutto in ordine come se l'aspetto fosse l'unica mia carta vincente per conquistarlo. Immagino tutto alla perfezione, controllando ogni minimo particolare nella mia testa come se quella fosse la realtà. Ed è così facile farlo che sembra essere già tutto successo. Ma forse un po' lo è. Non propriamente così, non come si è soliti intendere un rendez-vous, ma io e Lucas siamo pieni di primi appuntamenti. Da quel giorno in biblioteca fino a quando si è presentato qui. Ogni volta per noi era una prima volta fatta di scoperte e di accettazioni.

Da quando lo conosco, da quando quel giorno è entrato a gamba tesa nella mia vita, a ogni passo che facevo al mio fianco inconsciamente c'era anche lui. Lui che ha condizionato la mia vita, lui che l'ha rimessa in discussione più di una volta, lui che ha rivoluzionato il mio pensiero stravolgendo il mio mondo. E sempre grazie a lui ho iniziato ad aprirmi senza rendermene conto, lui che è stato in grado di accogliermi tra le sue braccia fisicamente e mentalmente.

Dopo più di un anno mi sto dando una seconda possibilità e sto per rinascere. Come è successo a quella famosa Fenice del mito egizio che è risorta dalle acque e che simboleggia, non solo l'eternità dello spirito, ma anche tutte le morti e le rinascite compiute in vita. E ogni volta che muore fa tesoro dei suoi sbagli e grazie a una maggior comprensione di essi, si forgia per rinascere più forte di prima. Perché morire e rinascere in vita significa voler abbandonare per scelta determinati atteggiamenti, azioni, situazioni e modi di pensare poiché daranno sempre lo stesso risultato.

Ed è per questo che ora aspetto impaziente di avere tra le mani quel telefono. Cerco di non pensarci, ma qua dentro è impossibile perché non ho altro da fare.

"Era il tuo ragazzo?".

Mi fermo e mi volto verso l'unico ragazzo che può aver parlato dal momento che è l'unico vicino a me. È seduto sul divanetto e chissà da quanto tempo continuo a camminargli davanti, molto probabilmente disturbando la sua voglia di starsene in disparte.

Lo osservo cercando di capirlo. Qualità che ho affilato grazie al mio perenne silenzio. Ma più lo guardo e più noto solo una sincera curiosità.

"No, è solo un amico". Gli rispondo.

"Però ti abbracciava".

"Sì beh. È complicato da spiegare".

"È per lui che sei qua?".

Una strana domanda dato quello che ha potuto vedere di noi.

"No. Sono qua per colpa mia".

Mi guarda indeciso se proseguire questa discussione o lasciar cadere il discorso.

"Tutti noi siamo qui per colpa di qualcuno. Magari indirettamente, ma sempre a causa di un'altra persona".

Vista in questo modo non posso che dargli ragione, ma nessuno mi ha spinto a farmi del male per cui per quanto riguarda la mia storia io sono qui per colpa mia.

"Tu per chi sei qui?". Gli chiedo, evitando di rispondere alla sua affermazione.

"Per mio padre".

Lo guardo e mi sembra impossibile che anche lui sia qui perché ha avuto problemi in famiglia, ma poi pensandoci mi accorgo che io di questi ragazzi che mi circondano non so un cazzo.

"Cosa ha fatto?".

"Farei prima a dirti cosa non ha fatto".

Abbandono la mia marcia solitaria e mi siedo accanto a lui che a quanto pare sembra aver bisogno di parlare con qualcuno che non sia la psicologa del centro.

"Cosa non ha fatto allora?".

"Non ha accettato il mio essere gay".

Guardo gli altri ragazzi, non ho mai fatto veramente caso a loro fino a questo momento, ho sempre cercato di tenermi alla larga, ma ora che mi ritrovo seduto a parlare con uno di loro mi vien da interrogarmi sulle loro storie, sulle loro vite. Perché sono qui?

"Cosa ha fatto?". Gli chiedo, immaginando che la risposta non mi piacerà.

"Quello che sapeva fare meglio, picchiarmi. Ho sopportato, ho tenuto duro, molte volte lo lasciavo sfogare su di me per non farlo sfogare su mia mamma, ma una sera è rientrato prima da lavoro e mi ha visto mentre stavo baciando il mio fidanzato".

Non lo interrompo. So cosa sta provando in questo preciso istante e so per esperienza che parlarne a qualcuno estraneo ai fatti, aiuta. Per cui aspetto rispettando i suoi tempi.

"Ho detto a Giulio di andarsene, l'ho praticamente messo alla porta mentre continuavo a tenere sott'occhio mio padre che era come una bomba a orologeria. Ma è stato meglio così perché non so cosa sarebbe potuto succedere altrimenti. Credo se la sia presa, forse ha pensato che non volevo presentarlo alla mia famiglia, ma lui non sapeva niente di quello che succedeva all'interno di quelle quattro mura e volevo continuare a tenerlo all'oscuro di tutto. Ricordo che ho pensato che lo avrei chiamato più tardi o al massimo il giorno dopo per farci pace, ma non è mai successo".

"E cosa è accaduto dopo?".

"Le ho prese. Eravamo a casa io e lui da soli e ha pensato di fare la sua performance migliore. Mi ha rotto varie ossa e per la prima volta ha osato picchiarmi anche sul volto. Non lo aveva mai fatto, non aveva mai reso visibile nessun segno affinché nessuno potesse sospettare di nulla. Poi mi ha lasciato moribondo in cucina. Con solo il dolore a farmi compagnia. È stato lì che ho pensato che non valevo niente. Perché non avevo nemmeno il coraggio di difendermi e mi vergognavo così tanto di quello che ero che con le ultime forze rimaste ho aperto uno dei cassetti contenente dei coltelli e mi sono tagliato un polso".

Mi mostra i segni che da quel giorno fanno parte di lui, non sono molto evidenti per cui mi sembra strano che sia qui.

"Per loro è sempre un tentato suicidio e non importa se ero comunque morente a causa di altre ferite e che il mio gesto non sia servito a niente". Risponde ai miei pensieri.

"E tuo padre?".

"Non ho più chiesto di lui. Ma credo che mia madre lo abbia cacciato da casa a meno che non abbia sporto denuncia lei stessa".

Spero vivamente che sia in prigione quel pezzo di merda, ma a lui non dico nulla perché non voglio turbarlo ulteriormente.

"E il tuo ragazzo?".

Fa una mezza risata sarcastica e poi mi risponde.

"Giulio non sa nulla".

"Cosa vuol dire che non sa nulla? Nessuno lo ha avvisato?".

"Mia mamma sa che avevo un ragazzo, ma non gli ho mai parlato di lui".

"E tu?". Sono senza parole. Come può averlo lasciato così?

"Io cosa? Cosa dovrei dirgli? Che mi hanno rinchiuso qui dentro dopo che ho cercato di togliermi la vita perché ero stanco di essere pestato quasi a morte?".

Lo guardo e vorrei scuoterlo per le spalle e urlargli in faccia di svegliarsi, ma poi mi rendo conto che fino a poco tempo fa nemmeno io volevo niente da nessuno quindi come posso biasimarlo? Per cui quando riprendo a parlare lo faccio con calma.

"Credo che Giulio meriti di sapere la verità, penso che vorrebbe saperlo".

"Come puoi dirlo?".

"Perché ci sono passato".

"Hai detto che non era il tuo ragazzo".

"È vero, non lo è. Ma c'è il sogno. Ed è anche grazie a lui se ora sto cercando di venirne fuori".

Restiamo in silenzio per un po' e poi parla ancora.

"E se per lui fosse troppo? Se mi avesse già dimenticato?".

"Se, se, se. Chiediglielo e poi parleremo di tutti questi se".

"Ho paura".

"Tutte le cose importanti fanno paura. È normale".

Ce ne rimaniamo seduti come se tra di noi non fosse avvenuta nessuna conversazione e mentre io aspetto ancora l'ora per chiamare, lui chissà a cosa starà pensando. Chissà se chiamerà quel ragazzo o se lo lascerà scappare via. In ogni caso quello che io so per certo è quello che riguarda me. E dopo questa conversazione le mie insicurezze si trasformano in solide certezze.

Non so per quanto dovrò restare qua dentro, ma non voglio affossarmi e non voglio più rinunciare a niente per cui dovrò darmi da fare. Molto di più di quello che avrei immaginato perché rinchiuso qui dentro non ho molte possibilità di ricreare l'atmosfera ideale per conquistare un ragazzo come Lucas. E so benissimo che se domani a scuola arrivasse un nuovo ragazzo potrebbe portarmelo via senza che io me ne accorga dato che sono momentaneamente incapace di difendere i miei desideri.

Quando sento l'orologio rintoccare l'ora mi alzo e cammino velocemente verso la stanza in cui si trovano i telefoni. Mi siedo nell'ultima postazione, quella che garantisce un po' più di privacy e compongo il suo numero.

Uno, due, tre squilli. Quattro. Sto quasi per cedere. Cinque e quando al sesto sento accettare la telefonata sorrido al mio riflesso e mi rianimo come se fosse davanti ai miei occhi.

"Pronto?".

Lo sento chiedere e credo non abbia salvato il numero di telefono, altrimenti si sarebbe accorto che a chiamarlo ero io.

"Ehi!".

"Daniel! Ciao!".

"Come stai?".

"In ritardo".

"Per cosa?". Chiedo ansioso.

"Compleanno di mamma. Dovevo essere a casa mezz'ora fa, ma l'allenamento è durato di più e ora sono sicuro che non appena metterò piede in casa mi rifilerà una solfa lunga e noiosa sull'importanza della puntualità".

"Non ha torto".

"Le stai dando ragione per caso?".

"Non potrei mai mettermi contro mia suocera". E questa mia affermazione detta con il cuore che batte a mille e che vuole sembrare una battuta, in realtà nasconde una nota delicata e sottile che suona di verità, che spero riesca a cogliere.

Nessuno dice niente per due secondi e mai prima d'ora due secondi mi sono sembrati così infiniti.

"Quando te la presenterò cambierai idea".

E nella mia testa ringrazio qualsiasi divinità per la risposta che mi ha dato.

"Me lo segno allora".

"Segna, segna! Tu come stai?".

"Bene adesso che ti ho sentito. Sei arrivato?". Attraverso la cornetta sento la macchina spegnersi e la portiera aprirsi per poi richiudersi, dopodiché sento i suoi passi sul vialetto di ghiaia e il baule aprirsi. Ascolto tutto e immagino ogni singolo istante come se fossi lì con lui al suo fianco, mentre lo osservo tirare fuori il borsone del calcio con dentro la sua divisa sporca e sudata.

"Appena adesso. E sapere che stai bene rende felice anche me".

Sorrido anche se non può vedermi e poi lo saluto. "Forse è meglio se ci salutiamo dato che sei giunto a destinazione".

"Ormai sono in ritardo tanto vale che parliamo un altro po', non credi?".

Appoggio i gomiti sul ripiano dove è posato il telefono e mi prendo la testa tra le mani incastrando la cornetta tra l'orecchio la spalla per poi tirarmi leggermente i capelli in segno di felicità.

Lo volevo, tanto. Ma non ci speravo dato il pessimo tempismo.

Così parliamo.

Mi racconta di come sta andando il torneo e mi dice che alla prossima partita ci saranno dei talent scout di alcune università per offrire delle borse di studio ai giocatori che riterranno più idonei ai loro standard. Per quello quel pomeriggio l'allenamento è durato di più. Mi dice a quale università vorrebbe andare, le domande che ha presentato e mentre lui mi parla di scuola io mi rendo conto che ho appena gettato al vento un anno perdendo la possibilità di andare con lui e di seguirlo. Quindi per forza di cose saremo costretti a dividerci dato che tutte le sedi che ha scelto e a cui ha fatto richiesta sono molto distanti da dove abitiamo, obbligandolo a iscriversi nei dormitori o ad affittare un appartamento.

Cerco di non pensarci, cerco di rimanere sereno perché non è il momento adatto per pensare a questo e tanto meno non voglio rovinare la sua serata.

Rimango ad ascoltarlo intervenendo solo per ridere di lui e per chiedere di Alice, per sapere come sta la sua migliore amica ed è così che scopro che si sta vedendo con un ragazzo di cui lei non ha voluto rivelargli la sua identità per paura che glielo rubi.

"Lo sai che non vuole dirti chi è solo perché sicuramente è più piccolo di noi e si vergogna?".

Gli dico con le lacrime agli occhi dalle risate causate dalla sua voce e per l'imitazione di quella dell'amica.

"No. Non è possibile!".

"Scommettiamo?".

"Ma non può essere così. Me lo avrebbe detto, dai!". Insiste.

"Cosa scommettiamo?".

Tra di noi cala il silenzio. Uno di quei silenzi di due persone che stanno valutando bene le loro possibilità.

"È difficile pensare a qualcosa con te là dentro".

"Possiamo riscattare la vincita quando uscirò". Propongo.

"Okay. Cosa ne dici di una serata romantica? Chi perde la dovrà organizzare".

Fisso il soffitto bianco sopra di me e per la prima volta mi sembra di notare qualche sbrilluccichio o forse sono solo i miei occhi che riflettono la gioia e la delicatezza che scaturiscono dal mio cuore.

"D'accordo!". Gli dico e già provo a immaginare quello che potrebbe organizzare per me perché sono troppo convinto d'avere ragione.

Parliamo per altri dieci minuti di un po' di tutto, ma in realtà di niente e solo quando vengono a chiamarmi sono costretto a chiudere la telefonata.

Lo saluto facendolo promettere di scusarsi con sua mamma da parte mia e poi aggancio.

Abbiamo parlato per un'ora intera, ma avrei continuato per tutta la notte.

Quando rientro in stanza il mio compagno già dorme grazie alle pastiglie che è costretto a prendere e vedendo il suo stato non posso che essere felice per quella che è la mia vita adesso.

Prendo il libro che ho lasciato sotto il cuscino e riprendo da dove lo avevo interrotto la sera prima, struggendomi per una storia d'amore che non ha eguali. Perché capitolo dopo capitolo è riuscita a rapirmi cuore e mente portando a infatuarmi dei due protagonisti e a farmi innamorare del loro amore impossibile e non concesso, facendomi desiderare più di una volta di fermarmi a metà libro, dove la loro storia è ancora in fiore.

Perché tutte le storie d'amore quando arrivano alla loro massima bellezza, dovrebbero continuare a navigare così senza fare un passo indietro e nemmeno nessuno in avanti. Facendoci provare quella serenità e quell'appagamento fino all'ultimo respiro.

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