Gio scandagliò con fare cospiratorio i nostri colleghi distribuiti nella mensa. Aggirò il tavolo dov'ero seduto e scelse il posto accanto al mio. Il suo vassoio mezzo vuoto venne abbandonato con la stessa grazia con la quale Gio depositava il cellulare sul pavimento.
I suoi capelli bruni fuggivano dalla cuffia da ogni direzione, come una folla di persone prese dal panico nel mezzo di un incendio.
Gioele si aggrappò alla sua sedia e si piegò di sessanta gradi su di me, ma tenendosi dritto come un compasso.
"Allora? Ce l'hai?" Bisbigliò.
Ce l'ho? Che cosa ho? Un caso di cardiomiopatia galoppante? Il mio cuore continuava a trotterellare su e giù per il mio petto come se fosse in un parco giochi.
"Nico!" Gio mi diede un colpo al fianco, e con la stessa mano violenta mi mostrò il palmo aperto. "Il mio polpo!"
Giusto. Il suo polpo.
Staccai la salma del mollusco dalla tasca a cui si era appiccicato, strappando qualche strato di pelle nel processo, e lo lasciai sulla mano tesa di Gioele.
"Bene." Borbottò lui, infilandosi quella cosa nella tasca del grembiule.
"Che ci devi fare?"
"Shh!" I suoi occhi scuri saettarono da un cuoco all'altro, come se i nostri colleghi non avessero di meglio da fare che spiare i nuovi stagisti nella pausa pranzo. Per sembrare più inconspicuo, Gioele chinò la testa sul suo vassoio e iniziò a spiluccare la fetta di pane che occupava il suo piatto. Ci aveva versato sopra dell'olio. E basta. Non c'era nient'altro nel piatto.
"Non avrai intenzione di andare avanti a pane e olio?"
"Ho anche i biscotti. Non ti ricordi?"
"Mi ricordo dei biscotti. Non avrai intenzione di andare avanti a pane, olio e biscotti?"
Gio si infossò nelle spalle. Mormorò un basso: "Non è colpa mia... c'è solo roba strana da mangiare."
La mia pasta alle zucchine si sentì discretamente offesa. E anche la normalissima fettina di manzo ai ferri che avevo preso per secondo.
"Ma in che senso, scusa? Possibile che non ti piaccia niente?"
Gioele appoggiò il mento sul tavolo e prese a mordicchiare l'angolo della fetta di pane come uno scoiattolino con le ghiande.
Dopo svariati minuti di smangiucchiamento, provai a smuoverlo con un gentile "ehi". Quando non ottenni ancora risposta, usai il manico della forchetta per pungolargli la guancia. Lui riuscì a rimanere impassibile, con il mento appiccicato al tavolo, ancora per qualche secondo.
Le sue labbra si allargarono in un sorrisetto mal trattenuto. Ed ecco che il mio cuore si imbizzarrì di nuovo. Passare un mese con Gioele mi avrebbe causato seri problemi cardiovascolari.
"Potremmo andare fuori durante la pausa. Non puoi pensare di fare un altro turno senza riempirti lo stomaco con un pasto decente. Cosa sarebbe per te cibo non strano? Una pizza può andare bene?"
Gio tornò a sedersi come una persona normale e si voltò per guardarmi. "Se andiamo fuori durante la pausa ne approfitto per comprare un barattolo. Credi che i molluschi si possano impagliare?"
"Io... non so... non credo. Forse. Non ne ho idea. È questo che vuoi fare con quel povero polpo?"
"No. Mi era solo venuto questo dubbio. Come lo dovremmo chiamare?"
"Il polpo?"
Gio fece di sì con la testa, e l'attimo dopo si gettò su di me per premere la mano sulla mia bocca. "No, non me lo dire!" Le sue labbra erano così vicine al mio viso che potevo sentire il suo fiato caldo. "Lo voglio indovinare da solo."
Non dissi assolutamente niente e non provai a muovere un muscolo. Ero consapevole di diverse teste che si stavano voltando per guardarci, ma Gioele non sembrava averlo notato.
Non so quanto tempo passai con la sua mano premuta sulla mia bocca. Credo fossero un centinaio di battiti del mio cuore, quindi appena una manciata di secondi.
Un momento prima era così vicino da essere praticamente in braccio, e quello dopo era tornato a smangiucchiare il suo pane.
"Q-quindi... qua-qual è il nome?"
"No! Lo devi pensare tu!" Rispose irritato. "Ma non me lo devi dire! Lo voglio indovinare."
"Oh, ok..." Dovevo pensare al nome per il polpo. Un nome... dai, che ci vuole? Un nome qualsiasi. Poli...petto? "Uh, dovrei avvisarti che non ho una mente molto creativa."
"Ma sì, invece!" Gioele mi puntò la fetta di pane contro come se fosse un'accusa. "Ho visto la foto della torta che ti ha fatto vincere l'ultima gara. Pan di Spagna al cocco, crema di limone e rum, decorata con foglie di palma e fiori tropicali in pasta di zucchero e cioccolata. Non fraintendermi, sembra disgustoso, ma molto creativo."
Scoppiai a ridere per quell'inatteso "sembra disgustoso". Lo aveva detto così seriamente che non avevo idea se fosse una battuta o meno. "Ehm, grazie," ridacchiai. Se l'aveva vista, doveva essere andato a cercarla apposta su internet. Questo sì che era interessante.
"Cosa non ti ispira della mia torta?"
"Il cocco, la crema di limone e la pasta di zucchero. Avrei mangiato il cioccolato."
Mi venne da ridere ancora di più. "Era cioccolato plastico, non è commestibile. Serviva solo come decorazione."
"Oh. Allora non avrei mangiato niente."
Si ficcò in bocca l'ultimo pezzo di pane e bevve un sorso d'acqua. Non avevo dubbi che non avrebbe mangiato la mia torta. Probabilmente era la persona più schizzinosa che avessi mai incontrato. Cucinare per lui doveva essere un'impresa.
"Mi è appena venuta in mente un'idea." Annunciai.
"Ti è venuto in mente il nome?"
"No, ma se riesco a pensare ad un nome, tu in cambio faresti una cosa per me?"
"Certo." Rispose lui. "No, aspetta. Che cosa?"
"Quando passiamo da un supermercato per quel tuo barattolo, vorrei che mi dicessi quali cibi di piacciono e quali non ti piacciono."
"Ah," Gioele fece spallucce con una spalla sola, "certo."
Nella mia mente si stava abbozzando un piano malvagio su come far ingerire a Gioele qualcosa che non fosse pane, olio o cioccolato.
...
L'insegna rosso accattivante del Despar ci attirò a pochi passi dall'hotel. Le porte scorrevoli si aprirono su un clima antartico. Erano le tre del pomeriggio, già dall'ingresso sembrava un negozio deserto.
Probabilmente era meglio così, ci sarebbero state meno persone a guardarmi strano mentre prendevo appunti al supermercato. Tirai fuori il mio fidato taccuino e la mia micro-matita dell'IKEA, che stava giusta giusta in tasca.
Gioele osservò il corridoio d'entrata, disseminato di piantine d'appartamento sfiorite, poi osservò me con il mio taccuino. Non fece nessun commento, parve a malapena registrare la cosa.
Guardò la sezione più avanti della parafarmacia e nella musica bassa bisbigliò fra sé e sé: "barattolo".
Non so chi di noi due fosse più strano.
"Iniziamo dal reparto orto-frutta?"
"Mh."
Non ero mai sicuro di cosa volessero dire i suoi mh. Avanzammo verso le file di cassette della frutta. Gioele stava guardando in ogni direzione tranne che verso il reparto interessato.
"Gio? Ci sei?"
"Mi dimenticherò del barattolo."
"Ma siamo entrati apposta."
Lui fece di no con la testa. Iniziò a sfregarsi le mani, continuando a guardare da una parte all'altra senza sosta.
Avrei potuto dirgli che me ne sarei ricordato io, ma avevo l'impressione che Gio sarebbe stato in ansia ugualmente fino a che non avesse messo le mani sul suo barattolo.
"Allora lo prendiamo per primo e poi torniamo indietro?"
Fece entusiasticamente di sì con la testa e si incamminò troncando la nostra conversazione.
Gli andai dietro seguendolo da un corridoio all'altro, superando rapidamente il reparto frigo e insinuandoci in una nicchia un po' nascosta piena di utensili da cucina.
Gioele prese un bel barattolino di vetro con il coperchio in latta, di quelli buoni per fare le confetture. Se lo rigirò tra le mani da ogni lato prima di convincersi che fosse quello che cercava.
"Ok, ora facciamo la tua cosa."
La mia cosa durò molto più a lungo di quanto avessi previsto. Gioele non aveva gusti difficili, aveva gusti pressoché impossibili. Mangiava verdure solo se erano crude, e meglio se erano scondite. Di conseguenza, non mangiava nessuna di quelle verdure che necessitavano di essere cotte prima di essere mangiate: niente peperoni, niente melanzane, niente zucchine.
"Peperoni e zucchine si possono mangiare crudi. Puoi marinarli e farci l'insalata."
L'espressione che fece rese abbastanza chiaro cosa pensasse della mia idea.
Procedemmo oltre. Mangiava fragole, ma solo se tagliate a pezzi e condite con lo zucchero. Mangiava mele, ma non troppe. Mangiava banane, ma solo se erano tagliate a pezzetti molto piccoli, altrimenti gli veniva da vomitare.
Mangiava i mandarini, ma impiegava mezz'ora a finirne uno, perché prima doveva togliere tutti i semini e la roba bianca.
"Quella roba bianca si chiama albedo. E si può mangiare, è ricco di fibre."
"No, no, ti assicuro che non si può mangiare."
Il reparto latticini fu molto rapido. Non beveva latte, lo yogurt era un affare ancora più lungo del mandarino, perché secondo Gioele non si poteva mangiare in altro modo che intingendo solo la punta del cucchiaino e mai riempiendolo completamente. Questo valeva per qualunque cosa della stessa viscosità dello yogurt, o del budino. Ma tanto non aveva importanza, perché il pericolo di incappare in un pezzo di frutta nel suo yogurt rendeva del tutto inavvicinabile l'intera categoria.
Le uova le mangiava sode o fritte, ma fritte in poco olio, e senza sale. Tra le carni erano accettabili solo quella di maiale e quella di pollo, tagliate in fettine sottili, cotte in poco olio e con poco sale.
Iniziai a sentirmi scoraggiato, ma verso il reparto delle paste, mi resi conto di riuscire a riconoscere delle regolarità nelle sue leggi folli.
Le dimensioni avevano molta importanza. Se qualcosa non poteva essere ridotto ad un boccone di due centimetri cubici, non poteva essere mangiato. Se era più piccolo, allora doveva essere reso praticamente invisibile, altrimenti non poteva essere mangiato.
La consistenza era al secondo posto di rilevanza. Sì alle cose croccanti, no alle cose molli. Sì alle cose viscose, ma solo se non c'erano grumi di alcun tipo.
Avevo praticamente esaurito il mio taccuino. La mia povera matita dell'IKEA stava andando in fiamme.
Nel gruppo di ciò che era assolutamente vietato c'era tutto ciò che aveva un sapore troppo forte. Di ogni tipo. No al piccante, no all'aceto, no al troppo salato, no al troppo speziato. Persino no al troppo dolce. A quanto pare, miele, caramello, zucchero filato e marshmellow erano immangiabili.
Pensavo che con il dolce sarei andato sul sicuro con lui, e invece no.
D'altronde l'aveva detto che non avrebbe mangiato la mia torta.
Arrivammo alla cassa e Gioele pagò il suo barattolo. La signora disse: "Grazie di essere passati." E Gio rispose: "Anche a lei."
Poi infilò la mano nella tasca della felpa e tirò fuori il polpo morto. La cassiera lo fissò mentre svitava il barattolo e ci infilava dentro le spoglie del mollusco.
"Ah, è per un compito di scienze." Balbettai.
Gioele avvitò il tappo. "Ma no, non è vero."
"Sì, che è vero. Arrivederci." Lo presi per le spalle e lo spinsi fuori dalle porte scorrevoli.
Continuai a spingerlo anche sul marciapiede, sentivo che altrimenti si sarebbe fermato davanti alle vetrine del supermercato per ammirare il suo polpo in barattolo.
"Hai pensato al nome?" Mi chiese inclinando la testa all'indietro per guardarmi mentre lo spingevo.
"Ah, no. Mi verrà in mente qualcosa."
"Come fa a non venirti in mente niente? Io ho già pensato a trenta nomi diversi."
"Perché non gli dai tu il nome, allora?"
"Perché sono tutti nomi di Pokémon o di personaggi shonen. Vorrei qualcosa di diverso."
Lo lasciai andare quando ci trovammo ben lontani dai confini del Despar, e a quel punto continuammo a camminare per semplice inerzia fino a che non trovammo una pizzeria al taglio dove facemmo scorte di cinque o sei tranci. Una volta carichi e pronti per la cena, tornammo a vagare lungo le strade grigie di Torino.
"Mi dispiace, te l'ho detto, non sono molto creativo. Mi vengono solo cose con la parola polpo."
"Allora pensa al protagonista del tuo film preferito. Lo chiamiamo così."
Non volevo rispondere che non avevo un film preferito, perché mi avrebbe fatto sembrare una persona molto noiosa.
Gioele si impuntò quando arrivammo all'intersezione e mi prese la mano per tirarmi sulla stradina di destra. Con la frequenza con la quale mi dava infarti, avrei avuto bisogno di una bara al più presto.
Ma io mi lasciai tirare, perché sentivo di voler andare ovunque volesse portarmi.
Alla vista di una piazzetta iniziammo a rallentare. Le sue dita scivolarono giù e si appesero al mio mignolo.
"Ci sediamo sotto alla statua di quel tizio brutto? Sono stanco."
"Certo." Risposi con un po' di timore. Prima o poi si sarebbe accorto che avrei risposto certo a qualunque cosa mi avesse chiesto.
Così ci sedemmo davanti alla recinzione che proteggeva una statua rialzata su dei blocchi.
Effettivamente il tizio scolpito nel marmo non era un gran bel vedere. Aveva un naso appuntito all'insù e gli occhi a palla.
Gioele lasciò andare il mio mignolo per afferrare la recinzione e leggere l'iscrizione. "Paleopaca." Provò una volta. "Pale-o... paca." Provò due volte.
"Paleocapa." Intervenni. "Pietro Paleocapa. Ecco, possiamo chiamarlo così il polpo."
"No, è un nome terribile. E poi, voglio sapere qual è il tuo film preferito."
"Ah, piacerebbe anche a me." Ridacchiai.
Lui mi guardò aggrottando le sopracciglia.
"Non ho grandi interessi." Risposi sentendomi già invadere dall'imbarazzo. "Mi piace la cucina, e ogni tanto guardo Junior Bake Off, ma non guardo granché di altro. Sono una persona un po' noiosa."
Gioele disse: "aah", annuendo, come a volermi dare ragione. Fece un po' male.
"Perché Junior?"
"Cosa?"
"Perché guardi Junior Bake Off e non quello normale?"
Sentii le guance scaldarsi. Potevo sempre mentire, ma mi sembrava scorretto, non pensavo che Gioele avrebbe mentito.
"Perché gli adulti che danno di matto mi fanno tristezza, ma i bambini mi fanno ridere. Ecco l'ho detto. Mi piace anche guardare compilation di bambini che cadono, se ti può interessare. Le trovo esilaranti."
Gioele rise buttando indietro la testa e sbattendo contro l'inferriata di metallo. "Ow." Si massaggiò la nuca fissando il vuoto e sorridendo. "Magari il tuo film preferito è pieno di bambini che cadono. Oppure un film sulla cucina. Che ne pensi?"
"Non saprei."
"Prova a immaginare che un disastro apocalittico abbia distrutto tutti i film del mondo, ogni canale streaming, dvd, videocassetta, tutto distrutto. Ma un giorno trovi la custodia di un dvd che si è salvato. Uno solo. Quale film vorresti che sopravvivesse per il futuro dell'umanità?"
Mi immaginai a vagare per un'isola deserta ricoperto di stracci, una vecchia custodia mezza disintegrata tra le mie mani. Cosa desidererei che rimanesse vivo per le generazioni a venire?
"Il Grande Dittatore."
Gioele batté le mani saltando sul posto: "Il tuo film preferito! Aspetta... cos'è?"
"È Charlie Chaplin!" Risposi vagamente oltraggiato.
Gioele non si accorse del mio tono, o non gliene importò. Si piazzò il barattolo davanti agli occhi e squittì: "CHARLIE CHAPLIN! Ecco un bel nome."
Poi si voltò verso di me. "Ma non è quello dei film muti, super vecchi?"
"Sì, ma il Grande Dittatore non è un film muto. Davvero non ce l'hai presente? Quello in cui fa Hitler? Devi aver sentito il discorso di quel film da qualche parte."
Gioele scosse le spalle. "Ne dubito. Non ho mai visto un film in bianco e nero. Ne hanno proiettato uno a scuola quando ero alle medie ma mi sono addormentato. Ma se hai scelto questo per il futuro dell'umanità, dev'essere bello."
"È più che bello, è importante. Se il mondo fosse sull'orlo della fine, penso che sia ciò di cui avrebbe bisogno l'umanità. Tu invece cosa sceglieresti?"
"Balto." Rispose senza esitare per un secondo.
"Il... cartone animato sul cane?"
"È un cane-lupo. Ma sì." Gioele abbassò lo sguardo sul suo barattolo e lo fece girare piano, osservando il suo contenuto che sbatteva contro le pareti di vetro. "È il mio film preferito, ma non è davvero... importante. Non penso che sarebbe ciò di cui ha bisogno l'umanità, ma è ciò che vorrei io. Sono una persona un po' egoista."
Tutto a un tratto s'ingobbì. L'allegria si assottigliò visibilmente.
"Non sei egoista."
Lui fece "mhh".
"Non lo sei." Mi avvicinai un poco. Strisciai più vicino. Il mio cuore iniziò a battere nella gola. "Mi hai regalato quella carta dei Pokémon e mi hai prestato quei peluche, anche se tu ci tieni tanto."
Gioele tirò le labbra. Alzò lo sguardo e non sembrò sorpreso di trovarmi più vicino.
"Volevo piacerti. So di essere irritante. Non volevo trovarmi a fare un mese di stage con qualcuno che mi odia. Vedi, non era proprio disinteressato."
"È un sentimento normale. Anch'io volevo piacerti. Non vado d'accordo spesso con le persone."
"Davvero??" Fece lui con tono incredulo, come se non sapesse spiegarsi il perché. Non stava prendendo per il culo, davvero non capiva perché. Forse ci conoscevamo ancora da troppo poco tempo, non si era ancora accorto che ero il tipo di persona saccente e facile alla rabbia che non è capace di prendere niente alla leggera.
"Davvero. Le persone tendono a trovarmi fastidioso."
"Anch'io!" Esclamò tutto contento, come se avessimo appena scoperto di essere dello stesso segno zodiacale. Il suo sorriso si aprì da un orecchio all'altro. "Forse insieme ci annulliamo."
L'umanità è sull'orlo dell'estinzione, un disastro apocalittico ha distrutto ogni film sulla faccia della Terra, eccetto uno. Quale vorreste che si salvasse?
Io dovrò puntare tutto sul Re Leone. Mi dispiace, umanità.
Eva Blu, 21 agosto 2023