Él 2 ||Paulo Dybala

By unnomequalsiasiii

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Eva, 27 anni, insegnante di pianoforte e musica Paulo, 28 anni, nuovo giocatore della Roma Se ami qualcuno la... More

You're just in time make your tea and your toast
I frigoriferi delle donne sole
All we have is now
Saudade
Il fascino della novità
Again
Due vite
Life isn't easy
Punta alla luna
Muchachos
Solo chi sogna può volare
In vino veritas
L'imperfezione è bellezza
Happy Birthday lad
Falling
Nove giorni
Born to fight
Joya
Jaque
You are your only limit
Eva's secret
Do you get déjà-vu?
Less perfection more authenticy
Sotto la pioggia
Not the same as it was
Amantes amentes (pazzi amanti)

Lasciamo fare al tempo

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By unnomequalsiasiii

Eva

24 dicembre 2022

"In che senso non sarai qui domani?"
"Mi dispiace, hanno organizzato l'ennesima cena per festeggiare, non posso non presentarmi"
"E me lo dici alle cinque del pomeriggio della Vigilia? Ti pare normale?"
"Qui a Buenos Aires è mezzogiorno, non ci avevo pensato"
"Beh, sarebbe stato comunque troppo tardi"
Presi un respiro profondo e mi trattenni dal troncare improvvisamente la chiamata, come avrei voluto fare.
"Come cazzo dovrei dirglielo io adesso?" strillai.
"Non lo so, suppongo capirà, ho appena vinto un Mondiale!" esclamò con insopportabile insolenza.
"Ha solo tre anni, questo non è un fottuto gioco, Paulo! Come pretendi possa capirlo?"
"Mi dispiace, Eva" ripetè per l'ennesima volta, poi riattaccò.
Non ci vidi più dalla rabbia, scaraventai il cellulare contro il parquet, riducendo lo schermo in mille pezzi. Per fortuna Paulino non era in casa, ma al compleanno di un compagno della nuova scuola materna, e non dovette assistere a quella scena penosa.
"Vaffanculo, non posso crederci!" dissi ad alta voce, sapendo non potesse sentirmi nessuno.
Mi portai la mano sinistra sul fianco e la destra in fronte, cercai di regolarizzare il respiro e mantenere la calma, per evitare di distruggere altre cose in casa. Iniziai a disperarmi quando mi resi conto di non potermi permettere un cellulare nuovo, non avevo risparmi da parte, erano stati tutti investiti nell'appartamento e nel trasloco.
Lo odiai ancora più forte, per non rendersi conto dei sacrifici che avevo fatto per lui, e per la sua non riconoscenza in merito. Sapevamo perfettamente entrambi che se avesse voluto avrebbe rifiutato l'offerta e sarebbe corso qui, per passare il Natale con noi. E non mi sarei illusa se non lo avessi sentito dirmi che ero il centro del suo mondo, l'unica per cui ne valesse la pena.
Non ero psicologicamente pronta a realizzare che la sua fosse l'ennesima menzogna perciò, prima di annegare, mi ricomposi e mi sedetti al pianoforte, l'unico modo che conoscevo per liberare la mente dai pensieri bastardi.
Mossi le mani sui tasti senza leggere nulla, e la memoria muscolare mi portò verso "Our future" di Giovanni Allevi, un brano tratto dal suo ultimo album intitolato "Estasi", pubblicato nel 2021.
Era uno tra i miei pianisti e compositori preferiti, per altro lo sentivo molto vicino a me, in quanto anche lui lottava contro un tumore causato da una malattia rara, che al contrario di mio figlio non era ancora riuscito a sconfiggere.
Mi lasciai trasportare completamente. Non suonai adeguatamente, tremavo e spesso mancavo le note, ma poco importava.
Quale sarebbe stato il nostro futuro? Nonostante mi ostinassi a mettergli tra le mani quello di mio figlio, sapevo stessi facendo un errore madornale. Lo conoscevo, conoscevo la sua inaffidabilità, ma continuavo ad illudermi potesse cambiare. 
La verità era che gli era impossibile porre gli altri davanti a se stesso, benché avesse quasi raggiunto la soglia dei trent'anni faticava ad abbandonare l'adolescenza, perlomeno mentalmente.
Dovevo rendermi conto che nonostante per noi contasse soltanto Paulo, la cosa non era reciproca, e avrei dovuto imparare a conviverci.
Mi ero annullata per lui, ma non era abbastanza da concederci un pranzo di Natale.
Sotto il piccolo albero che avevamo sistemato in soggiorno, accanto al sofà, c'erano cinque regali, tre dei quali riportavano sulla targhetta la scritta "per Paulino".
Due erano da parte mia, gli avevo comprati nel corso dei mesi quando esprimeva il desiderio di riceverli, così da portarmi avanti. Il terzo ci era stato spedito da Anna già tutto confezionato, non sapevo cosa contenesse e non volli chiederglielo. Nel pacco proveniente da Torino c'era anche una busta per me: il quarto regalo posato in quel momento sul parquet.
L'ultima confezione era ciò che io e il piccolo avevamo deciso di prendere a zio, per dirgli grazie di essere sempre presente. 
Smisi improvvisamente di suonare, mi alzai afferrandolo con violenza e mi diressi in camera da letto. Aprii l'armadio e lo scaraventai dentro, in modo che non dovessi più vederlo e continuare a pensarci. Mio figlio non se ne sarebbe accorto, tantomeno se Paulo non si fosse presentato il giorno dopo.
"Che maleducato del cazzo!" mi lasciai andare, sbattendo i palmi delle mani contro le ante appena chiuse.
Qualche lacrima scivolò sulle guance, e furono meno di quanto mi aspettassi. Non faceva male, ero soltanto delusa. Dentro di me non c'erano sentimenti, non quelli della nostra precedente relazione, ma tenevo tanto a lui, e non meritavo di esser trattata in quel modo.
Ero eccitata nel vederlo, nel parlargli e nello stargli accanto. Lo amavo, sì, ma non come la prima volta. L'amore vero se l'era portato via il Paulo ventenne, e non sarebbe mai più stato in grado di restituirmelo, nemmeno con le migliori intenzioni.
Indossai al volo le scarpe e andai a recuperare il mio nanetto, era sempre bello vederlo scorrazzare in giro felice, circondato da altri bambini della sua età.
La mamma di Brian, il suo amichetto, mi offrì un pezzo di torta che rifiutai, avevo il voltastomaco. 
Il tema del compleanno era Bing, personaggio estremamente in voga tra i bambini. A breve Paulino avrebbe compiuto quattro anni, mi domandai se avrebbe chiesto una festa, dato che fino ad allora non ne aveva potuta avere nemmeno una.
In macchina mi raccontò di quanto fosse stato bello, di come avesse giocato sugli scivoli gonfiabili, bevuto coccola e mangiato rosticceria.
Erano le prime esperienze che faceva, e ne era entusiasta! Al contrario di me, che mi sentivo terrorizzata all'idea che potessero escluderlo o considerarlo diverso.
Dopo trenta minuti buoni bloccati nel traffico riuscimmo a rientrare a casa, dovevo ancora abituarmi alle strade affollate di Roma. Ci aspettava la nostra solita routine: doccia con lavaggio dei capelli, indossare il pigiamo, cena e lettura di una storiella prima di andare a dormire.
Non cambiò nulla, la Vigilia non fu per noi speciale, l'unica cosa in più che facemmo fu guardare il concerto natalizio de Il Volo che trasmettevano in televisione. 
Lo portai a letto alle dieci in punto, concedendogli qualche ora in più rispetto al normale. A causa del Mondiale non riusciva più ad addormentarsi tanto presto.
Mi stesi accanto a lui e per una volta mi sentii rilassata, sapendo non ci fosse alcun rischio che il mattino seguente suonasse qualche sveglia che mi ero dimenticata di disattivare, dato che il cellulare era decisamente passato miglior vita.
L'ultima cosa a cui pensai fu il motivo per il quale si dicesse "passare a miglior vita", dando per scontato che la vita dopo la morte fosse beata. Tutta colpa della narrazione dantesca, dove il paradiso era destinato a pochi, e la maggior parte giaceva nel purgatorio per chissà quanto. Nel peggiore dei casi, si veniva direttamente spediti da Lucifero.
Arrivai alla conclusione che non lo avrei mai capito.

25 dicembre 2022, 07:34 a.m.

Feci fatica a svegliarmi, non ero pronta ad accettare l'arrivo di quella giornata che sapevo già si sarebbe rivelata penosa, e tantomeno potevo accettare che il sole fosse appena sorto e ci fosse già  qualcuno che suonava insistentemente al campanello del nostro appartamento.
Barcollai fino al soggiorno, dove accesi le luci e controllai l'orologio. Pensai che quel qualcuno fosse completamente pazzo a presentarsi la mattina di Natale ad un orario così indecente, tra l'altro senza che il portinaio potesse rimproverarlo, dato che era il suo meritato giorno di riposo, per poter trascorrere le feste con la sua amata famiglia.
Aprii le tapparelle il più pacatamente possibile, per evitare di disturbare Paulino, ma il pazzo non sparì, e continuò a citofonare.
"Chiunque lei sia, mi ha rotto il cazzo, vada via" gli intimai al citofono, sperando di risolvere in breve la situazione.
Ero certa fosse un venditore, un testimone di Geova o insomma, uno di quei personaggi che non si fa problemi ad importunare la gente nei propri spazi personali.
"Eva"
"Come conosce il mio nome?"
Ovviamente era scritto sul campanello, come avevo potuto non pensarci?
"Nena, sono io"
Mi pietrificai, rendendomi conto di non aver riconosciuto la sua voce, resa metallica dall'interfono. Aprii il portone senza dire una parola.
Non lo aspettai sulla soglia come solitamente facevo, non avevo il coraggio di uscire lì fuori. Socchiusi la porta e lo attesi tra la fine dell'ingresso e l'inizio del living. Passai il minuto che intercorse tra quando avevo deciso di farlo entrare e la sua apparizione davanti i miei occhi ad odiarmi, per aver pensato le peggiori cose sul suo conto.
La mia opinione era improvvisamente cambiata? Dov'era finita la mia coerenza? Non lo sapevo, non sapevo più niente.
Non riuscii a parlare, non riuscii ad insultarlo, o a dirgli quanto fossi incazzata con lui. Non me ne diede il tempo, non appena mi vide mi corse incontro e mi baciò, abbandonando per la stanza, in maniera totalmente casuale, i suoi bagagli.
Per quanto tempo avevo desiderato riavere le sue labbra calde intrecciate mie, le sue mani che si muovevano delicate sulla mia schiena spostando i capelli, per poi afferrare la nuca come per reggersi. 
Racchiuse il mio mento tra pollice ed indice, continuò a far sfiorare le nostre bocche, poi affondò nuovamente la lingua nella mia. Nessuno dei due ebbe la forza di staccarsi, era un momento così intimo e così nostro che interromperlo sarebbe stato un sacrilegio. 
Ci spostammo a tentoni verso il divano, quando trovai lo schienale mi ci appoggiai, riuscendo a reggere il peso del suo corpo che spingeva contro il mio. Si sfilò il giubbotto, e non esitò a far lo stesso con la casacca del mio pigiama.
Mi riempii di brividi da capo a piede, per il freddo e l'eccitazione. Non facevo sesso da prima che mio figlio si ammalasse, era passato un secolo.
Fu in quel momento che mi ricordai..
"P-Paulino" sussurrai tra gli ansimi.
L'ultima delle mie intenzioni era procurargli un trauma irremovibile, cosa che sarebbe successa se ci avesse trovati a farlo in soggiorno.
Mi afferrò dai glutei tirandomi sù, e la memoria mi portò ad aggrapparmi ai suoi fianchi con le gambe, lo faceva sempre quando voleva che ci spostassimo senza esplicitarlo.
Finimmo in bagno, chiuse la porta a chiave e mi ci sbatté contro. Continuava a muoversi svelto sul mio corpo con carezze e baci, nel frattempo l'unico indumento rimastomi addosso era il reggiseno, mentre lui era completamente nudo. 
Le sue dita erano dentro di me, andavano veloci, mentre con l'altra mano mi copriva la bocca per evitare che mi sentissero. Venni prima del previsto, i miei punti sensibili erano deboli, non riuscivo a ricordare l'ultima volta che avessi avuto un orgasmo.
Gliene chiesi ancora, qualunque cosa mi stesse facendo, e prima che potessi rendermene conto ero piegata sul lavandino, e finalmente ci eravamo completati. All'inizio fu lento, straziante, come a voler immortalare quell'istante che sembrava perduto da anni, poi aumentò, ricordandomi cosa significasse fare l'amore con Paulo Dybala.
Raggiunsi l'apice del piacere altre tre volte, e quando arrivò anche per lui decise di restare in me ancora un po', quanto bastava per imprimere quelle sensazioni all'interno della sua mente per sempre.
Ci accasciammo sul pavimento, esausti. Mi attirò tra le sue gambe, posai la schiena contro il suo petto, e mi lasciai cullare. Accarezzò il mio tatuaggio sulla schiena, sorprendendosi di non averlo mai visto prima. C'era scritto "resilienza", e non ci fu bisogno che gliene spiegassi il significato.
"Grazie per aver mantenuto la promessa" esclamò affannato.
Non risposi.
"Sei bella da togliere il fiato" aggiunse.
Arrossii.
"Non dovrei nemmeno parlarti, figuriamoci far sesso con te" dissi.
"Non dirlo mai più, abbiamo fatto l'amore, Eva"
"A maggior ragione non avrei dovuto"
Sospirò.
"Come devo fare con te?"
"Innanzitutto dovresti smetterla con queste sorprese" lo ammonii.
"Ho provato a chiamarti, hai staccato il telefono"
Il telefono.. cazzo, me n'ero scordata.
"È in un cassetto in cucina con lo schermo frantumato, è inutilizzabile"
Glielo avrei mostrato, ma non volevo alzarmi, e non volevo allontanarmi da lui.
"Perché sei qui, Paulo?" gli domandai finalmente.
"Perché non c'è niente che mi interessi di più che passare il Natale con voi"
Dovevo crederci?
"Dov'è Oriana?"
"A casa sua, in Argentina"
L'aveva lasciata lì?
Lo baciai, così istintivamente che ne rimasi sorpresa. Era tutto nuovo per me, le mie reazioni erano impreviste e quasi ne avevo paura. Perdere il controllo mi terrorizzava.
Ne valeva la pena per uno come lui?
Ma non era uno qualsiasi, era il mio Paulo.
"Cosa dovremmo fare adesso io e te?" chiese.
"Non lo so, proviamo a lasciare fare al tempo, che ne dici?"
"Il futuro mi spaventa"
"Spaventa anche me, ma è risaputo che prendiamo molto spesso decisioni sbagliate, credo che ci facciano bene un paio di mesi di riflessione"
"Poniamo come limite massimo il 5 febbraio"
"Il mio compleanno?"
"Mh-mh"
Se n'era ricordato, sapeva quanto odiassi quel giorno, e che avessi espresso la volontà di passarlo per sempre soltanto con lui. Quella data era perfetta per segnare l'inizio o la fine di tutto.
"Lo sai che non ho mai firmato le carte del divorzio, vero?" disse.
Certo che lo sapevo, e da parte mia non c'era stata la minima reazione. Infondo era ben chiaro come sarebbe andata a finire.
"Hai fatto la tua scelta"
"Alla quale non ti sei ribellata"
"Non ne avevo motivo"
Silenzio, soltanto lo schiocco delle nostre lingue che danzavano armoniose.
"Ora ti prego Nena, dammi il permesso di farlo di nuovo. Altrimenti corri di là e copriti, perché credimi, non riesco a resisterti"
Salii a cavalcioni su di lui ma non mi lasciò prendere le redini, voleva controllare la situazione per evitare che gli sfuggisse di mano. Gli avevo procurato un trauma così grande che lo riportava addirittura a letto.
Mi lasciai dominare, nonostante la mia natura m'imponesse tutt'altro, e restai sotto di lui a godermi il suo corpo sudato che si muoveva sopra al mio.
Nessuno dei due sarebbe voluto uscire di lì, ma c'era qualcuno che non aspettava altro che essere svegliato per poter spiare sotto l'albero tutti insieme.
Fu così contento di vedere zio non appena spalancò gli occhi, lo guardò come un dono caduto dal cielo. Non pensò minimamente a me, com'era giusto che fosse, il suo idolo era tornato e doveva tormentarlo con le sue curiosità su quello che il Mondiale era stato.
Paulo fu dolcissimo con entrambi, ci sedemmo sul tappeto e scartammo i pacchi uno ad uno, come una vera famiglia la mattina del 25 dicembre.
Al piccolo i regali piacquero da impazzire, il suo zietto gli aveva portato dall'Argentina un gioco didattico per imparare lo spagnolo divertendosi, e un completo della Nazionale personalizzato in onore della vittoria.
"Ne abbiamo uno anche per la signora di casa" disse rivolgendosi a me, ed estrasse dalla busta una maglia con annesso pantaloncino.
Sul retro c'era ovviamente il suo numero, accompagnato dalla scritta "Dybala's gf", ovvero l'abbreviazione di Dybala's girlfriend: la fidanzata di Dybala.
"Sei matto!" esclamai divertita.
"Assolutamente sì" rispose, e nel momento esatto in cui il piccolo si voltò, indaffarato con le sue nuove cose, mi diede un dolce e discreto bacio a stampo.
Avevo le farfalle nello stomaco, decisamente un brutto segno.
"C'è anche qualcos'altro"
Dalla tasca del gubbino abbandonato sul divano apparve una scatolina, non esitò ad aprirla e a mostrarmi il contenuto: un anello in oro bianco tempestato da pietre rosa.
"È rodocrosite, una pietra tipica argentina. Rafforza il corpo e la mente, ed è adatta al recupero psico-fisico post-traumatico. Non ho avuto dubbi, non appena l'ho visto l'ho subito immaginato indosso a te"
Restai senza parole. "Meraviglioso" era decisamente un aggettivo che lo avrebbe sminuito anziché valorizzarlo come meritava.
Afferrò la mia mano sinistra, e lo fece scivolare lungo l'anulare.
"Bingo, ti sta divinamente. Ricordavo perfettamente la taglia" esclamò.
"Paulo, io non so mai come ringraziarti"
"Non devi"
"Invece sì, devo. Ero incazzata a morte con te ieri, ho distrutto il mio telefono per la rabbia, ho pensato cose orribili sul tuo conto e su di me, per esserci cascata ancora. Anna Todd ha scritto nei suoi libri: non so di cosa siano fatte le anime, ma la mia e la tua sono fatte della stessa cosa, quante volte ce lo siamo ripetuto? Ed è vero, è assolutamente vero. Sono così fortunata ad averti"
Mi alzai di scatto ricordandomi di dove avevo riposto il suo regalo, lo recuperai il più velocemente possibile.
"Questo è da parte nostra, per te" glielo porsi.
Mi guardò incredulo: "Eva, non era necessario" disse, sapendo non me lo potessi permettere.
Gli regalai un bracciale Armani, e non lo feci per caso.
"È-è il mio bracciale della felicità?" gli occhi gli diventarono lucidi.
Annuii: "sì, è il tuo bracciale della felicità. So quanto è stato difficile per te in Qatar, ti serve per ricordarti che andrà tutto bene"
"Ci sei tu a ricordarmelo, ed io lo ricordo a te"
"Tenere i braccialetti ai polsi è il promemoria della nostra felicità, quella insieme" e gli mostrai il braccio, facendogli capire che avevo ricominciato ad indossarlo.
Ci abbracciammo, stringendoci forte.
"Ti ricordi il Natale del 2015?"
Avviai quel discorso poiché ci avevo pensato spesso nelle ultime settimane, e mi sembrava un bel momento da ripescare.
"Come potrei dimenticarlo? C'erano i miei nipoti, mia mamma, e abbiamo fatto l'amore per la prima volta"
Ridemmo entrambi.
"Gli manchi, sai?"
"A chi?"
"Ai ragazzi, che ormai stanno diventando adulti"
"Lautaro è ancora innamorato di me?"
"Probabile"
Ridemmo ancora, finalmente spensierati.
Ci consegnò l'ultimo regalo: un pezzo di rete della finale che aveva tagliato e tenuto con sé. Voleva restasse da noi, nel nostro appartamento.
Avrebbe consegnato la sua medaglia d'oro al museo della Roma, affinché gliela custodissero, lui avrebbe tenuto la maglia usata quella sera, noi invece un quadratino di rete dove aveva segnato il gol che aveva cambiato le sorti di una nazione intera.
Dostoevskij a suo tempo disse: "Ho sempre pensato che non v'è nessuna felicità maggiore di quella della famiglia", e mai come quel giorno ne capì il significato, io che una vera famiglia non l'avevo quasi mai avuta, se non grazie a lui.

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