Devotion // Famiglia e Lealtà...

By mrsAlien1

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[La trilogia è completa] Un contratto di matrimonio. Un accordo terribile. Uno sconosciuto dalle mani gentili... More

ƬЯΛMΛ
F̶i̶r̶s̶t̶ ̶a̶c̶t̶
𝗣𝗹𝗮𝘆𝗹𝗶𝘀𝘁
𝓟𝓻𝓸𝓵𝓸𝓰𝓸
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𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 2
𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 3
𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 4
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Sequel
🐈‍⬛CARTACEO🐈‍⬛

𝓒𝓪𝓹𝓲𝓽𝓸𝓵𝓸 19 (2)

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By mrsAlien1

𝙽𝚒𝚎𝚗𝚝𝚎.
ɪʀɪɴᴀ
Parte 2

Il rimbombo fu netto.

La forza dello sparo assalì il mio corpo, salendomi lungo tutto il braccio, scuotendolo e percorrendo ogni centimetro della mia pelle.

L'avevo già fatto.

Avevo già sparato a bersagli fatti di carta, a latine di birra, piatti lanciati in aria.

Una volta, arrivavo persino a considerarlo un passatempo.

Ma quella fu la volta che innescò in me una sensazione di gelo.

Fissai senza ossigeno nei polmoni gli occhi di quel ragazzo. Vividi, pieni di terrore. La sua pelle era pallida, così pallida che le sue labbra sembravano bluastre come quelle di un cadavere. Mi guardava come se avesse visto un fantasma mentre il sudore gli colava da ogni parte della fronte, si mescolava alle lacrime e al muco che fuoriusciva dal suo naso. Gli zampillò un sospiro spezzato, mormorò qualcosa che non riuscii ad udire. La mia vista era sfuocata, a tratti metteva a fuoco quello sguardo e a tratti lo perdeva.

Respirava.

Respirava ancora.

Sconvolta, abbandonai i suoi occhi e mirai alle dita calde avvolte attorno al mio polso. Una mano grande reggeva la mia, se ne stava lì, ferma.

Mi servì ancora qualche secondo per capire quella situazione.

La mia mente non elaborava pensieri, era come avere la testa sotto acqua.

Passai gli occhi sul braccio teso di Edgar, mi persi tra le squame del serpente sulla sua pelle che copriva i rilievi delle sue vene fin sotto le maniche arrotolate della camicia e poi tornai di nuovo alla sua mano avvolta al mio polso. E poi più in là, finalmente appresi qualcosa che mi lasciò stordita.

La mia mira.

La punta della canna non era più impugnata per mirare alla fronte di quel ragazzo, era spostata appena appena di lato ma quei pochi millimetri avevano cambiato tutto.

L'orecchio di quello sanguinava, gli mancava la punta ma oltre a quello non aveva subito altri danni.

Vivo.

Era vivo.

Ma che...

A poco a poco, riuscii a farmi entrare nella testa che Edgar mi aveva impedito di ucciderlo ed ero a dir poco confusa se non scompaginata.

«Va bene così.» mormorò lui piano sopra la mia spalla, e poi procedetti a togliermi l'arma di mano. «Sei stata brava, micetta.» mi disse lasciandomi un bacio sulla tempia.

Va bene così?

Ero stata brava?

«Cosa?» riuscii a dire a stento mentre lui mi dava le spalle.

«Portatelo via e lasciateci soli.» asserì non badando minimamente a me, al mio stato palesemente scosso.

Nessuno obiettò.

La stanza fu svuotata in pochi attimi e io me ne rimasi bloccata nello stesso punto dove avevo premuto il grilletto mentre Edgar era tornato a sedersi sui divanetti.

Mi parve tutto surreale.

Ero stata sul punto di uccidere qualcuno.

No, non qualcuno.

Lì, davanti a me, c'era Abel.

Ero convinta di volerlo, ero pronta a guardare in faccia la mia prima vittima, il mio primo assassinio.

Puntai gli occhi in quegli di Edgar. «Perché?» bisbigliai ma non fui certa di essere riuscita a farmi udire, «Perché l'hai fatto?» gli domandai parlando più forte.

Edgar mi scrutava pensieroso e non aprì bocca.

Cominciai a tremare.

Il mio cuore rimbombava forte e io lo sentii soltanto allora.

Mi prendeva in giro?

Era forse stato un altro atto per umiliarmi?

Digrignai i denti, «Fottuto stronzo!» inveì duramente. «Perché l'hai fatto?» urlai moribonda, «Perché non mi hai lasciato finire?»

Non so perché gli feci quell'ultima domanda.

Sotto sotto, ero contenta di non averlo fatto. Delusa di me stessa, ma contenta di avere le mani ancore pulite.

Eppure ero piena di rabbia perché niente di quello che faceva lui aveva senso, soprattutto in quel momento.

Mi aveva detto che ero stata brava.

In che modo ero stata brava?

Brava a farmi convincere da lui?

Brava a dimostragli che la mia lealtà gli fruttava?

Che ero ingenua?

Edgar non rispose. Era ancora assorto eppure i suoi occhi erano su di me. Era lì, mi ascoltava, mi vedeva e senza dubbio mi comprendeva.

Che cosa gli stava succedendo?

Che senso dovevo dare a quel silenzio?

«Edgar!» gridai e mi avventai su di lui.

Non mi serviva riflettere. Quel suo atteggiamento mi imbestialiva e non mi incuteva alcun timore.

Gli arrivai davanti.

Lui rimase seduto mentre io presi a spintonarlo contro le spalle. «Perché?» tuonavo e dalle spinte, passai a prenderlo a pugni contro il petto duro, la mia rabbia cresceva e lui non faceva una piega. Sollevai la mano ed ero pronta a colpirlo in faccia.

Lui finalmente reagì.

Afferrò il mio polso al volo e mi fermò. «Basta.» mormorò, «Volevo soltanto vedere se avresti premuto il grilletto.» rispose pacato.

Mi accigliai, quasi nauseata. «Per quale motivo?»

Edgar non mi rispose subito. Pareva davvero perso tra i suoi pensieri anche mentre mi scrutava. Qualcosa gli pesava sulla mente, quello lo potevo dire con certezza anche senza doverlo leggere. «Per studiarti.» mi rispose infine.

Studiarmi?

Tutta quella cattiveria soltanto per studiarmi?

Lo detestai profondamente in quel momento. «Studiarmi?», apostrofai e cercai di liberarmi dalla sua presa, «Non sono un tuo fottuto esperimento!» tuonai, «Smettila di trattarmi in questo modo!»

Lui si rabbuiò. «No, non lo sei, Irina.» disse piano e mi lasciò andare a quel punto. Feci subito un passo indietro. «Hai ragione, non lo sei.» ribadì sempre più arcigno, divenne di colpo truce e balzò in piedi. «Non sei niente di quello che mi aspettavo quando ho tenuto in mano quel fottuto contratto.» dichiarò duramente cominciando ad avvicinarsi a me.

Quella sua nuova faccia non mi piacque né tanto meno quello che aveva detto.

Cominciai ad indietreggiare.

Il cuore mi rimbombava forte nella cassa toracica.

«Che vuoi dire?» desiderai sapere, non comprendendo il suo improvviso cambiamento di tono né tanto meno ciò che voleva intendere con quella affermazione.

Lui non mi degnò di una risposta, il suo passo era determinato a raggiungermi. «Stai indietro.» gli ordinai ma non mi diede ascolto.

L'ennesimo passo addietro mi fece colpire il tavolo da poker con le natiche.

Edgar si piazzò davanti a me, guardandomi dall'alto. Sollevò una mano, la sinistra, quella dominante, e raccolse in un pugno saldo i miei capelli sulla nuca. Mi guardò negli occhi efferato, serrando la mascella minacciosamente. «Ti ho portata a quel altare per avvelenarti, per farmi odiare, per conquistarti come se fossi una criminale, un'assassina...una bastarda come me.», cominciò a dire con una voce bassa e sembrava davvero fuori di sé. «Ma non lo sei.» affermò come se quel fatto fosse qualcosa di inaccettabile.

Mi venne l'istinto di ridergli in faccia. Malgrado il timore che mi lasciava sulla pelle, volevo semplicemente ridere. Lo scrutai con un ghigno. «Io te l'avevo detto-»

«Chiudi la bocca.» sibilò e strinse di più la presa sui miei capelli, facendomi trarre un sospiro. Gli comparve inaspettatamente quella sua smorfia che simulava un sorriso che tuttavia non lo era affatto. «So bene che quel ruolo starebbe su di te come un mantello d'oro, quella violenza che brucia nei tuoi occhi non mente, hai fegato, eppure, mia bella micetta, ho tra le mani qualcosa che non riesco ancora a segnare.» disse, lasciandomi del tutto spaesata. In che modo voleva segnarmi e perché mai avrebbe dovuto farlo? Non sarebbe stato più facile lasciarmi andare e basta? «E questo mi fa incazzare perché non dovrebbe essere un mio problema e invece lo è e non so come fartelo pagare.» continuò lui sempre più alterato.

Cosa?

Mi era sempre più chiara una cosa, a quel punto, lo capivo sempre meno.

Tutto quello che accadeva nella sua testa, non l'avrei mai compreso.

Che cosa lo spingeva a farsi pensieri simili?

Farmi pagare qualcosa che lui non riusciva a fare?

Tuttavia, in qualche modo ne feci velocemente le somme.

Edgar non era un tipo che si faceva influenzare dagli altri.

Lui leggeva le persone come un libro aperto e pianificava nei minimi dettagli il ruolo che avrebbero poi avuto in quei suoi progetti.

Su di me si era sbagliato.

Mi aveva piazzata tra i suoi schemi pensando che sarei stata spietata, che lui sarebbe stato giustificato a trattarmi in un certo modo e invece mi ero dimostrata lontana da ciò che forse voleva o preferiva.

Non riusciva a segnarmi perché gli facevo pena o perché, in qualche modo, gli dispiaceva rovinarmi?

Eppure nonostante quella mia conclusione avesse un qualche minimo di senso, c'era una cosa che non mi quadrava.

Perché avevo come l'impressione che ci fosse molto di più dietro?

Lo studiai a lungo prima di dire qualcosa.

La sua furia non cessava.

Presi un respiro profondo e mi specchiai nei suoi occhi con tutta la calma che riuscii a raccogliere. «Non sei obbligato a segnarmi, Edgar.» gli mormorai pacata, «Puoi sempre lasciarmi andare.»

Lui scosse la testa e cogliendomi del tutto alla sprovvista sorrise. «Finché morte non ci separi.» mormorò, e spinse la parte bassa del suo corpo contro di me. «Ci siamo legati così e solo quella condizione potrà renderti libera un giorno, ti è chiaro questo, micetta?» mi domandò, tornando quello di sempre.

«Cristallino.» dissi irritata «Solo la tua morte sta tra me e la mia libertà.» ironizzai.

«Bene.» ghignò lui, poi lasciò andare la presa sui miei capelli, mi afferrò dalla vita e mi sollevò a sedere sopra il tavolo, piazzandosi tra le mie gambe.

Prese le mie mani e se le portò sulla camicia. «Aprila.» mi ordinò.

Aggrottai la fronte, sul punto di ritirarle.

Non ero in vena di passare da una me che aveva appena rischiato di uccidere una persona, dalle parole che erano venute fuori poco prima e mi avevano lasciato con uno strano presentimento addosso, a una me pronta a soddisfarlo.

Ero ancora piuttosto scossa.

«Non dirmi che non vuoi.» mormorò Edgar accarezzandomi le cosce, «Sai che non riesco a farne a meno.» disse sottovoce passando gli occhi sul mio corpo, costringendomi a rabbrividire istantaneamente, «Sei sempre lì che mi studi, che cerchi di entrare nella mia testa.», abbassò di poco la testa per essere più vicino al mio volto. «Sai quello che mi fai.» bisbigliò a pochi centimetri dalle mie labbra, indicandosi con gli occhi la patta dei pantaloni. Quel modo di porre le cose, mi scaldò la pelle, mi suscitò un fremito al ventre. Schiusi le labbra per respirare meglio e lui ghignò, raddrizzandosi. «Non essere timida, sono tuo marito, procedi.»

Mi morsi il labbro e irritata dai desideri che si innescarono nella mia testa, cominciai a sbottonargli la camicia. «Potresti contenerti qualche volta.» lo rimproverai dando un'occhiata svelta al crescente rigonfiamento che gli appariva sotto la cintura.

Lui sollevò una mano e mi accarezzò il volto. «Ma come...mi assicuro sempre che tu stia bene.» disse a bassa voce, «Posso impegnarmi di più, se vuoi.» aggiunse serio.

Lo fulminai. «Smettila.» fiatai con affanno.

Sentivo le mie guance accaldarsi.

Tra le cosce un palpito mi costringeva ad arricciare le dita dei piedi.

Era spaventoso come riuscisse sempre a trascinarmi nella lussuria e ancora di più mi spaventava il fatto che nonostante il nostro legame fosse tenuto insieme da un filo sottilissimi, quando lo sentivo contro pelle, Edgar diventava il mio respiro. Diventava tutto ciò a cui mi stavo aggrappando e non lo rinnegavo.

Non aveva alcun senso.

Eppure ogni cosa stava ugualmente in piedi.

La sua camicia era aperta.

Il capo del serpente era lì, davanti ai miei occhi.

Nathair.

Che diavolo aveva fatto per farsi dare quel dannatissimo nome?

C'entrava forse la sua prima vittima?

Quella a cui non aveva sparato?

Lo toccai.

La sua pelle era calda, i suoi muscoli perfetti, proporzionati.

Non era l'unico a trarne piacere. Anche a me piaceva toccarlo ma ancora di più mi piaceva vederlo cambiare sotto le mie mani, mi piaceva vederlo reagire ad un semplice sfioro che compivo al buio. Ancora non sapevo quali fossero i suoi punti più sensibili, dove avrebbe voluto che mirassi per farlo andare fuori di testa.

Usai le unghie, sopra l'addome, soltanto per vedere come avrebbe reagito.

Gli sfuggì un sospiro basso che per poco lo portò a buttare la testa all'indietro ma rimase comunque a guardarmi.

D'un tratto prese le mie mani e se le portò giù, all'altezza dell'inguine.

«Anche lì.» pretese. «Prendilo.»

Deglutii pesantemente e procedetti senza alcuna esitazione ad aprigli la cintura e poi i pantaloni.

Infilai la mano dentro ai boxer strinsi le dita attorno al suo fallo.

Era duro, incredibilmente caldo ed era la prima volta che lo toccavo. Lo tirai fuori, studiandolo quasi senza fiatare. Lo avvolsi leggermente più forte con la mano ma non riuscii a far toccare il pollice con il medio, appena due centimetri li separava. Edgar mise la sua grande mano sopra la mia e la mosse, incitandomi a muoverla su e giù. Alzai gli occhi nei suoi, seguendo quel tacito invito e lui schiuse le labbra, godendo.

Lo trovai incredibilmente attraente in quello stato.

Un angelo che perdeva controllo di sé stesso per mano mia.

Quando tornai a guardare il suo fallo, ad esso brillava la punta e mi parve anche molto più grosso.

«Basta così.» disse Edgar tra i denti, fermandomi all'improvviso.

Mi tolse la mano e si abbassò, prendendo il mio volto tra le mani e mi baciò. I suoi baci erano sempre così devastanti. Mi rubava ogni grammo di ossigeno, mi lasciava le labbra gonfie e doloranti, costringendomi e leccarmele per lenire quella sensazione ciò nonostante mi piaceva. Era come avere la sua bocca sulla mia per tutto il tempo.

Quando si scostò dal bacio, mentre mordeva il mio collo, le sue mani si infilavano sotto la gonna del vestito. Mi sfilò le mutande e mi spinse a lasciarmi cadere completamente sul tavolo.

Appena due settimane prima, incitata dalle parole dello zio quando aveva accennato ad un erede, mi ero presa la libertà di andare da una ginecologa e assicurarmi di non rischiare. Mi aveva inserito un contraccettivo al braccio, così quando Edgar si fece spazio dentro di me senza alcuna protezione, non mi allarmai.

«Cazzo, Irina.» gemette al mio orecchio, mentre mi sovrastava e cercava spazio dentro di me.

Gli avvolsi le braccia attorno alle spalle e staccai completamente il cervello.

«Edgar.» fremetti anche io, stringendolo contro di me.

Non l'avrei mai capito ma nei momenti come quelli, avevo la sensazione che le nostre anime fossero perfettamente allineate.

Da quella sera, nessuno dei due accennò più a quella conversazione o a quella che era successo prima.

Col passare dei giorni arrivai a credere che Edgar si fosse mostrato per la prima volta vulnerabile e incerto, ma anche lì la convinzione mancava.

Attorno a noi c'era sempre più quiete.

Una strana quiete.

Qualcosa che non avevo mai sperimentato ma anche quella non durò a lungo.

«Tua cugina è in città.» mi informò Markus una mattina mentre stavo stesa su un lettino a dare libero spazio a pensieri di poco conto.

«Quale?» dissi con disinvoltura, senza alzarmi.

«Magda

Sospirai. «Di certo non è venuta qui a farsi un giro per i casinò. Vuole che la incontri.» dissi tra me e me.

«Che vuole fare?»

Ci pensai su.

Non avevo alcuna preoccupazione. Il peggio, pensai, è già passato. «Falla seguire da qualcuno.» gli ordinai, «La accontenterò con una visita a breve.»

.📌.

Dai, questa volta Edgar è stato buono.💩

Vero?🤺

VERO?💀

Anyway!🙄

Mi chiedo se qualcuno di voi ha già capito, o per lo meno, ha qualche sospetto su cosa spinga Edgar a fare certe cose. In questo capitolo ha quasi rischiato di dire a Irina la vera ragione che sta dietro a tutto ma, come al solito, è stato bravo a tenersi i segreti per sé.🚩👺💭 

In più, a me è sembrato molto frustrato, voi che dite? Io così non l'avevo mai visto e ho persino avuto dei ripensamenti quando stavo scrivendo!✍🏻💢💢🖕🏻

Mah.👀

E poi chi cazzo è questa Magda? Vi domanderete voi. Vi rispondo subito! Un'altra troglodita della famiglia Fagarò che non sa stare al suo posto! 💀💩🚩

Byeeeeeeee👻👻

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