«Prendimi un po' di latte, per favore, Jimin.»
«No.»
Jimin prese il latte dal frigorifero e lo passò a Taehyung. Lasciò una serie di impronte di farina sulla bottiglia, ma dato che il biondo davanti a lui ci lasciò metà dell'impasto sopra, non se ne preoccupò.
«Non sono sicuro che usciranno davvero biscotti. O che non saranno radioattivi, per lo meno.»
«Sei così pessimista, Taehyung. Impasta e basta.»
La brillante idea era frutto della noia e ne erano entrambi terribilmente consapevoli. Mai avevano imparato davvero a fare biscotti, ma si erano reinventati provetti pasticceri e adesso si trovavano nel mezzo di una cucina in cui sembrava essere esplosa una bomba di impasto e farina. Jimin si stava concentrando sulla ricetta, lasciando che la sua mente mettese da parte i pensieri che gli affollavano il retro delle palpebre ogni volta che chiudeva gli occhi. Era passato troppo poco per scordarsi degli avvenimenti del giorno prima e le garze sul suo ginocchio glielo ricordavano ogni volta che stendeva o piegava la gamba. Il pantalone di Yoongi restava celato nella sua cartella, pulito e profumato, un peso leggerissimo nella realtà ma imponente nella mente di Jimin.
«Non è che non sto impastando, è che è diventato un mattoncino. Non c'è nulla da impastare, qui ci vorrebbe un'affettatrice per tagliare in piccole palline di circa 5 centimetri.»
Taehyung fissò con odio la pagina del libro di ricette abbandonato sul bancone, la fatica che era evidente nei movimenti sotto sforzo delle braccia. Jimin rise e si appoggiò con le mani al marmo per non cadere. Il movimento gli fece piegare le gambe e gli provocò una fitta al ginocchio.
«Ahia.»
«Non hai ancora cambiato la fascia, Min? Dovresti.»
«Non mi va, onestamente. Non ho dei pantaloni larghi.»
«Prendi i miei. Ti obbligo a cambiarti quella garza. Su. Quando sarai tornato, avrò già infornato, stanne certo.»
Taehyung era così concentrato che la sua lingua faceva leggermente capolino dalle labbra, mentre le sopracciglia erano arcuate come fosse arrabbiato. Jimin gli sorrise e gli scompigliò i capelli tirati su da una bandana. Lavò le mani nel lavello della cucina prima di imboccare la porta. Zoppicò leggermente verso le scale e, proprio mentre passava davanti alla porta di ingresso, quella si aprì per rivelare null'altro che Min Yoongi, in tutta la sua gloria, chitarra dietro la schiena fasciata dalla giacca di pelle. Dietro di lui, la sua gang di amichetti parlottava amichevolmente, probabilmente di qualche fatto musicale. Yoongi alzò lo sguardo, che finì dritto su Jimin. Sorrise, strafottente come al solito.
«Stellina.»
«Idiota.»
«Stai salendo? Aspetta, ti aiuto.»
Yoongi si avvicinò velocemente, togliendo dalla schiena la chitarra e poggiandola poco cerimoniosamente sul divano. Jimin cercò di zoppicare via, un misto di testardaggine e imbarazzo che lo spingevano, ma il moro gli fece passare un braccio intorno alle sue spalle e gli afferrò la vita prima del previsto.
«Oh, ciao Minnie!»
«Ciao, Hoseok. Puoi dire al tuo amico idiota che non mi serve il suo aiuto?»
Hoseok rise di cuore. Jimin a volte si chiedeva come e perché uno dei ragazzi più popolari della scuola si fosse preoccupato abbastanza da diventare suo amico. A differenza di Yoongi, Jung Hoseok era famoso per essere solare, divertente, amichevole, gentile e, in tutto e per tutto, un angelo. Non c'era una singola anima che non sorridesse solo a vederlo sorridere o non fosse coinvolto dalla sua risata a ridere con lui. Educato, sensibile e disponibile. Unico problema? Così come era amico di Jimin, Hoseok era anche parte della cerchia di amici di Min Yoongi.
«Non hai altri insulti?»
«Tantissimi, questo però mi piace proprio tanto. Problemi?»
«Solo che non collabori, in questo momento. Alza la gamba, sali sul gradino.»
«Non mi dare ordini.»
«Solo a letto quello, principessa.»
«'Fanculo.»
Jimin salì più velocemente le scale, le risatine divertite della band di Yoongi dal piano di sotto che, mischiate alla vicinanza di Yoongi e alla sua mano sul suo fianco, lo mandavano di circa 20 gradi sopra la temperatura necessaria di un corpo umano.
«Vuoi una mano, Jiminie?»
«No, grazie.»
«Peccato. Posso darti almeno la mia tuta? Mi piace vedertici dentro.»
Jimin sospirò, chiudendo la porta del bagno in faccia a Yoongi. Sentì una risata roca e scosse la testa, ancora rosso in faccia e sotto l'effetto di Min Yoongi. Togliere i pantaloni non fu difficile, quello che Jimin non riuscì a fare era poggiare il batuffolo di cotone con il disinfettante sulla ferita. Non che fosse particolarmente profonda, ma era comunque abbastanza grande da preoccuparlo al punto da volerla disinfettare. Non che la cosa gli piacesse. Per quanto aveva voluto odiare Yoongi il giorno prima, quello era davvero l'unico modo che poteva essere usato per costringerlo a disinfettare le ferite. Solo sorprenderlo e farlo senza avvisare. Perciò, senza contare, abbassò la mano e si morse quasi a sangue le labbra quando il dolore e il bruciore si propagarono di nuovo per la sua gamba. Un mugolio di dolore gli fece stringere la mano attorno al bordo del lavandino. Quando fu sicuro che era abbastanza, prese una garza dal mobiletto del bagno di Taehyung e la fasciò intorno al suo ginocchio. Non era il lavoro esperto e certosino di Yoongi, ma avrebbe tenuto abbastanza ed era il massimo che in quel momento avrebbe fatto.
Unico problema? I pantaloni. Si era dimenticato di passare a prendere la tuta di Taehyung e adesso era a gambe nude e di rimettere i jeans non se ne parlava. Si avvicinò alla porta e la schiuse leggermente: nessuno in vista. Controllò un altro minutino dallo spazio tra lo stipite e la porta e poi la aprì il necessario per uscire, lasciando i suoi pantaloni appoggiati al lavandino. Camminò in punta di piedi, sentendo conversazioni provenire dal piano inferiore. Era oramai quasi arrivato, la vedeva, la salvezza alla fine del corridoio, quando la porta della camera che aveva liberato con Taehyung si aprì. Yoongi, i capelli ancora umidi da quella che Jimin pensò doveva essere stata una doccia, la maglia bianca e larga che in alcuni punti del suo petto si appoggiava umida alla pelle, uscì con nonchalance, un asciugamano ancora fra le dita. Si bloccarono entrambi sul posto, come cervi in autostrada, Jimin veloce ad arrossire con le mani che tiravano giù la felpa, Yoongi che fece scivolare senza problemi gli occhi giù per le sue gambe.
«Uhm... di questo passo ti ammalerai, Jimin-ah.»
«Hai i capelli bagnati.»
«Beh.»
«Il bue che dà del cornuto all'asino.»
Yoongi sollevò un sopracciglio e aprì la bocca per rispondere, ma alcuni passi pesanti, come di scarpe con una grossa suola, si sentirono provenire dalle scale.
«Yoongi hyung! Ti sto venendo a prendere, ci stai mettendo troppo!»
Il moro spalancò gli occhi e si slanciò verso Jimin, afferrandogli il gomito e tirandolo a sé. Nel giro di due secondi, Jimin era schiacciato, senza pantaloni, sul legno della porta di Yoongi, fra la superficie fredda e il corpo del moro, una sua mano a coprirgli la bocca e il suo viso molto, troppo vicino. Yoongi fece segno di stare zitto e lo tenne così, fermo, mentre i passi si avvicinavano. Con l'altra mano, chiuse a chiave la porta. Jimin non sapeva se era la mano di Yoongi premuta contro le sue labbra o la sua vicinanza o la situazione in sé, ma non stava più respirando, i polmoni pieni del suo profumo, così forte ora che era appena uscito dalla doccia.
«Yoongi hyung!»
«Sto scendendo, Daeho. Solo un secondo.»
Yoongi parlava con qualcuno della sua band, quel certo Daeho che era fuori dalla porta, ma i suoi occhi erano ancorati in quelli di Jimin, così vicini da potersi perdere gli uni negli altri.
«Muoviti, dobbiamo andare! Tuo cugino è uno spasso ma penso stiamo rovinando i suoi piani di pasticceria.»
«Vai via, Daeho. Arrivo subito.»
«Okay!»
Il suono dei suoi passi pesanti ricominciò e poi si allontanò fino a confondersi con il resto della conversazione al piano inferiore. Yoongi rimase fermo, ancora attaccato a Jimin, ancora abbastanza perché i loro petti si alzassero e abbassassero allo stesso ritmo affannoso. Poi si staccò, come scottato, la mano che passava nei capelli e i passi confusi. Jimin si portò una mano al petto, cercando di calmare il cuore impazzito.
«Ti diverti a girare nudo in casa con degli sconosciuti dentro?»
«Non avrebbero dovuto salire, gli sconosciuti.»
Jimin corrucciò le sopracciglia. Yoongi sembrava arrabbiato. Come se avesse in qualche modo di proposito cercato di mostrarsi nudo a qualcuno che neanche conosceva. Il castano cominciò a infastidirsi al modo in cui Yoongi si passava la mano sul volto, palesemente indisposto.
«Comunque non è l'idea migliore. Poteva esserci chiunque altro dei ragazzi qui, anziché me.»
«Non avrebbe dovuto. Vuoi farmi la predica perché tu e i tuoi amichetti siete piombati senza preavviso qui? Davvero?»
Jimin si staccò dalla porta, avvicinandosi a Yoongi. Era pronto a difendere quella che considerava estensione di casa sua a tutti gli effetti. Il moro si girò verso di lui, le narici che si aprivano dalla rabbia e l'espressione corrucciata che gli trasformava il viso in una smorfia infastidita.
«Non è una predica. Chiunque ti poteva vedere mezzo nudo.»
«Non doveva esserci nessuno qui, questa non è casa loro.»
«Neanche casa tua, Jimin.»
«Neanche tua.»
«Io ci abito, qui.»
Erano vicini, troppo vicini, ma Jimin non riusciva a fermarsi. Yoongi non aveva motivo di essere arrabbiato. Erano i suoi amici in territorio non loro, invadevano i confini. Questo voleva dire guerra, ovviamente verso il generale. E se il generale era Min Yoongi, Jimin era già pronto con le baionette in mano.
«Non dovevo vederti neanche io qui, a prescindere. Perché non ti sei cambiato in bagno?»
«Idiota, già mi hai visto in costume, cosa cambia? Non avevo i pantaloni perché qualcuno si è intromesso nei miei piani e mi ha scortato nel bagno senza farmeli prendere.»
«Non è la stessa cosa di un costume, Jimin.»
Jimin puntò una mano sul petto di Yoongi, che mantenne la posizione, il fuoco negli occhi. Bastava una scintilla e la benzina che ricopriva i loro corpi e la distanza fra loro sarebbe esplosa in una danza di fiamme incandescenti. Jimin spinse leggermente il moro, che si spostò solo il necessario per non farsi travolgere.
«Come non sarebbe la stessa cosa, mh?»
«Non è la stessa cosa, Jimin.»
Erano parole sputate fra i denti, come costasse ad entrambi contenere le emozioni, la rabbia, il desiderio, il trasporto che li tirava l'uno all'altro. Yoongi non si mosse, quando Jimin lo spinse leggermente di nuovo. Si fissarono in cagnesco un altro secondo.
«Sei un coglione, Min Yoongi.»
«'Fanculo, Jimin.»
Jimin non si rese conto di quello che stava succedendo quando Yoongi gli afferrò le guance e le strinse nelle mani, facendo scontrare con violenza le loro labbra. Non si fermò, non ebbe il tempo di fermarsi a riflettere. Agì di impulso, chiuse nei pugni la maglia di Yoongi mentre le sue labbra rispondevano con fervore al bacio. Era caldo ed era affrettato ed erano scontri voraci di pelle, di denti, di lingua, ma Jimin si sentì svenire lo stesso. Dietro le palpebre chiuse, vedeva le stelle, mentre Yoongi lavorava le sue labbra come le conoscesse a memoria. Attirò più vicino a sé il corpo di Yoongi, fino a che non fu quasi fra le sue gambe aperte, e quando il moro si staccò per baciarlo dall'altra parte del suo naso, lo aspettò con fretta. Le sue labbra erano così morbide e così dolci, come stesse assaggiando un pezzo di cielo. Era una sensazione strana, era un bacio così esperto che Jimin si sentì sciogliere, mentre il mondo girava in entrambe le direzioni e le sue ginocchia diventavano molli.
Alcune gocce fresche gli bagnarono la pelle dai capelli di Yoongi e quando Jimin dovette trattenere un gemito perché il moro gli aveva delicatamente morso il labbro inferiore, la trance in cui le labbra di Yoongi lo avevano buttato si interruppe. Jimin aprì gli occhi e si staccò da Yoongi, mettendo fra loro alcuni passi di distanza. Con le labbra che ancora chiedevano quel contatto che dava alla testa e il fiato corto, Jimin si azzardò a guardare Yoongi. Era una visione, le labbra rosse come ciliege che chiedevano di essere toccate di nuovo, gli occhi scuri, un luccichio che li rendeva liquidi, i capelli scompigliati sulla fronte e la maglia stropicciata dove Jimin lo aveva spinto a sé. Aveva il fiatone e lo guardava come avesse appena aperto il paradiso con una mano. Il castano fece un altro passo indietro, fino a che la sua schiena non toccò con un tonfo soffocato la porta.
«Jimin-»
Yoongi fece qualche passo verso di lui, ma Jimin strizzò gli occhi e scosse con forza la testa. Tastando alla cieca la porta dietro le sue spalle, afferrò la maniglia e si catapultò fuori. Fece pochi passi verso la stanza di Taehyung prima che Yoongi lo seguisse. Ignorò i suoi passi dietro di lui e si infilò nella stanza del suo migliore amico, sperando che fosse finita lì, ma Yoongi doveva avere altri piani.
«Jimin.»
«No.»
Prendendo alla rinfusa un pantalone comodo dall'armadio di Taehyung, Jimin si nascose dietro l'anta per infilarlo ed evitare Yoongi anche solo un altro secondo in più.
«Jimin.»
«Ho detto no.»
«Possiamo parlarne?»
Jimin strinse i lacci sul davanti del pantalone.
«No.»
«Scusami.»
«Dimenticalo e basta. È stato un errore.»
«Non avrei dovuto farlo senza chiederti nulla, ma non credo sia stato un errore.»
Yoongi aveva negli occhi un'espressione dispiaciuta. Era così poco in tema con le sue labbra ancora gonfie e rosse e Jimin ebbe l'impulso di ricominciare a baciarlo, ma si bloccò, la voglia di fuggire viva nelle vene.
«Lo è stato. Facciamo semplicemente finta non sia successo.»
«Non sarebbe un errore, se me lo permettessi, Jiminie.»
Jimin strinse la maniglia della porta così forte che le nocche gli divennero bianche. Yoongi era dietro di lui, vicino, troppo vicino, e il castano ebbe l'impulso di fuggire o di girarsi e gettarsi di nuovo su di lui. Respirò forte, strizzando gli occhi fino a che non vide tutto bianco.
«Ti ho già detto come la penso.»
«Sbagli, Jiminie. Guardami.»
Il castano rimase fermo, a respirare. La mano di Yoongi lo toccò gentilmente e lo girò delicatamente fino a che non fu con le spalle alla porta, di nuovo, ora di fronte al moro. Il suo sguardo era così dolce, così ferito e speranzoso insieme che Jimin si sentì come di tenere in mano una teca di cristallo con tutta la sua speranza.
«Cosa c'è?»
«Perché no?»
«Lo sai che non è quello che voglio.»
«Non vuoi me o non vuoi quello che pensi che io sia?»
Jimin sostenne il suo sguardo, nonostante la velata accusa fosse affondata nella sua mente come un masso in acque torbide. Era perché non gli piaceva Yoongi o perché non gli piaceva quello che pensava di lui? Era lui o la sua reputazione?
«Non voglio essere una tua scopata da esibire come trofeo, Yoongi. Non ho alcuna intenzione di finire nella lista.»
«Ti ho già detto che non è così, Jimin. Non so neanche come fare a fartelo capire.»
«Non ce n'è bisogno, Yoongi. Non ti credo.»
Jimin prese un grosso respiro, abbassando finalmente da Yoongi lo sguardo e girandosi per uscire dalla porta. Quando stava per aprirla, si girò un attimo solo di nuovo verso il moro.
«Dimenticalo, Yoongi. È meglio così.»
E poi fuggì, il corridoio aspettato come un'oasi nel mezzo del deserto.
-
«Dove eri finito, Minnie? Ti sto aspettando da secoli!»
«Avevi detto che dovevano essere pronti quando sarei tornati. Ti ho dato dei minuti di vantaggio.»
«Avevo detto infornato, ma lasciamo stare.»
Jimin gli rivolse un sorriso di scuse e cominciò a sistemare la cucina, azioni meccaniche che distoglievano la sua mente dagli avvenimenti ancora vivi nella sua mente. Nel salotto, un leggero baccano si sentiva dal divano dove erano seduti i membri della band di Yoongi. Jimin non li vedeva tutti, ma non se ne interessò davvero.
«Che ci fanno qui loro?»
«Ah, la band? Devono andare a delle prove e non hanno voluto lasciar tornare a casa solo soletto Yoongi. Carini.»
Il castano annuì ma rivolse a quello che doveva essere Daeho una lunga occhiata indisposta. Salutò con la mano Hoseok. Lui di sicuro non era nella band, ma probabilmente si era unito per spirito di iniziativa. Tipico di Hoseok.
«Mh.»
«Non pensi siano carini? A me stanno simpatici. E non sei amico di Hoseok?»
«Oh sì. Ma lui non è nella band.»
«Ah. Capisco. Strano, allora ci manca di sicuro qualcuno.»
Jimin alzò le spalle, guardando sul suo telefono l'orario. Era tardi e sua madre lo avrebbe sicuramente rimbrottato per l'ora a cui si ritirava a casa. Si diresse verso l'attaccapanni dove la sua cartella giaceva, appesa, abbandonata. Estrasse la stoffa morbida del pantalone di Yoongi e lo posizionò sopra il mobile all'ingresso, dove dalle scale era immediatamente visibile. Cercò di non farlo piegare, poiché, nonostante non sopportasse il suo proprietario, glielo aveva comunque prestato e non era carino darlo indietro non in ottime condizioni.
«Hey, Min! Te ne vai?»
«Sì, hyung. Si è fatto già tardi, quindi meglio così. Ci vediamo domani a scuola?»
Hoseok gli rivolse un sorriso e Jimin ricambiò con un suo piccolo e tirato. Alzò la mano in segno di saluto e poi si affacciò in cucina, dove Taehyung era ancora intento ad impilare biscotti in piramidi fallimentari, il suo grembiule ancora ben stretto in vita.
«A domani, Taehyungie. Mi raccomando, non far cadere i biscotti.»
«No, Min, sono diventato esperto. Non c'è modo che cadano.»
Jimin sbuffò una risata e uscì dalla cucina. Si rivestì velocemente di giacca e scarpe. Quando si infilò la tracolla sulle spalle, individuò al bordo del suo campo visivo Yoongi che scendeva le scale. I loro sguardi si incrociarono per un secondo, prima che Jimin prendesse la maniglia ed uscisse dalla porta, senza voltarsi indietro. L'aria fresca lo colpì in pieno e, d'istinto, infilò una mano in tasca. Il tessuto morbido di un paio di guanti neri e senza dita lo accolse, oramai familiare.