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«Verrò a questa cena, ma una promessa è una promessa, Archer.»
Archer sbuffò col suo piglio arrogante.
«Ti mostrerò camera mia, sei contenta? Ora andiamo. Siamo in ritardo»
«Uh, pensavo dicessi: "Non ha senso che tu voglia vederla, è solo una camera da letto". Perchè alimentare la mia curiosità?»
Lo vidi fermare la camminata e voltarsi verso di me. I suoi specchi densi m'inondarono le pupille.
«Perchè non è solo una camera da letto, Sabrina.»
Poi prese un lungo respiro che gli gonfiò il petto avvolto dalla camicia. «Hai finito?»
«Che starei facendo di male?»
«Non parlare di venire in camera mia. Non davanti ai miei genitori.»
«Scusa, ma non stiamo insieme io e te?»
«Sì ma evita argomenti scomodi a una cena di famiglia», rispose riprendendo ad avanzare verso la porta sontuosa.
Affrettai il passo e gli camminai di fianco. «Hai davvero paura che la tua fidanzatina possa metterti in imbarazzo?»
La pelle del suo collo si distese, lasciando intravedere la pulsazione della vena che l'attraversava. Archer si stava spazientendo sotto al mio sguardo divertito.
«Sabrina, per favore.»
«Mica ho detto che vengo da te per...»
Archer stavolta non ebbe il tempo di redarguirmi perchè la porta dinnanzi a noi si spalancò.
«Archer, ti aspettavamo.»
Un uomo ci salutò, poi si fermò a squadrarmi per qualche istante.
«Buonasera signor King.»
«Lei è Sabrina». Archer mi presentò al padre e gli occhi, che ardevano su di me, sembravano urlare "Mi raccomando, non fare cavolate".
L'uomo dal canto suo mi studiò con aria scettica.
«Sabrina?»
Forse il signor King disse altro, ma io non lo stavo più calcolando perché ci eravamo appena addentrati nella suite lussuosa.
La sala da pranzo che ci accolse mi lasciò senza parole: l'ambiente si apriva su una splendida vista delle montagne immerse nella notte, che riuscii ad ammirare attraverso un'enorme finestra. Il panorama era mozzafiato, forse il più bello che avessi mai visto. Ero così rapita da quella visione che non mi accorsi della presenza di una donna minuta, che si era materializzata accanto a me.
«Mamma, lei è Sabrina.»
Lo sguardo spietato che la signora King lanciò ad Archer fece trasalire anche me.
Ci salutammo con sorriso di circostanza. Appena mi allontanai, la sentii rivolgere immediatamente la sua attenzione al figlio. «È una cena di famiglia».
Il tono della madre era irritato, ma Archer non sembrò curarsene. «Sierra e Louis sono qui, no?», ribattè provocatorio.
Girai l'angolo e vidi la coppia già lì, seduta al tavolo da pranzo.
«Finalmente qualcuno che gli fa fare un po' di ritardo, al nostro Archie».
Louis si adagiò con la schiena alla sedia e mi fissò con il suo ghigno perfido nascosto dai riccioli biondi. Indossava una camicia color acquamarina che si intonava al colore dei suoi occhi.
Sierra, invece, seduta accanto a lui, non aveva una bella cera e quando mi vide il suo corpo si tese.
«Sabrina? Tu che ci fai qui?» m'interrogò con voce ansiosa.
«Stai bene?», le domandai.
Lei annuì e io ebbi uno strano presentimento.
I signori King si unirono a noi e finalmente ci accomodammo a tavola. Erano chiaramente tutti incuriositi dalla mia presenza, ma non ci fu il tempo di percepire l'imbarazzo, che arrivarono anche Elliott e Babi. Dopo averli salutati, tornai a Sierra, seduta davanti a me.
Continuava a guardarmi in modo strano, per un attimo pensai mi avesse scoperta. Di certo era confusa perchè non le avevo mai parlato di Archer e ora mi trovavo lì, insieme a loro.
«Di solito sono io l'argomento della serata... Mi sa che stasera faremo un'eccezione», sogghignò Louis, forse per mettermi a disagio.
Non fiatai, Archer lo investì con un'occhiataccia e iniziammo subito a mangiare.
Sierra aveva la faccia di una che era stressata dai preparativi del matrimonio, che però nessuno menzionava. Continuava a fissarmi, forse per captare indizi della mia presenza.
Parlammo del più e del meno: di Louis e dei suoi hotel a New York, di Archer e delle loro attività sulla neve.
Ebbi subito la netta sensazione che Louis fosse la pecora nera della famiglia, Archer il figlio perfetto, Babi la piccola di casa, mentre di Elliott non riuscii a farmi un'idea. Forse perchè in presenza dei suoi parlava poco e non aveva il suo solito spirito allegro.
Ma dopo l'antipasto e qualche bicchiere di vino, l'argomento principale della serata uscì a galla.
Sabrina.
«Quindi sei una cliente, oppure ho capito male?» domandò la signora King affondando la lama nella bistecca.
«Ha capito benissimo», risposi prima di sorseggiare il calice di vino.
Louis ridacchiò con gli occhi sul piatto, io invece proseguii.
«Sono qui con i miei genitori.»
«Tuo padre è il poliziotto, vero?»
Il signor King sembrava incuriosito e io lo ero altrettanto. I genitori di Archer erano dei tipi strani, più vecchi di come li immaginavo, e una cosa singolare la notai: per tutta la cena non avevano rivolto la parola a Sierra.
«Sì, mio padre lavora al dipartimento di polizia di Toronto.»
«Be' abbiamo un poliziotto nell'hotel... Male non fa, no?»
La battuta del signor King fece deglutire Sierra. Subito dopo udii il suono metallico di una posata che s'infrangeva sul pavimento in marmo.
Ci voltammo verso la madre, che all'improvviso era sbiancata in volto.
«Violare le regole non è consentito in questa famiglia» commentò Louis, catturando di nuovo l'attenzione generale.
«Ciò che vuole dire Louis, è che non succede mai nulla di strano, qui all'hotel» lo corresse in tono severo la madre.
Il biondo curvò la bocca in un sorrisetto subdolo. «Non dirlo a Elliott».
«Louis!» Per la prima volta, Archer aveva aperto bocca da quando era cominciata la cena e lo aveva fatto per rimproverare il fratello.
«Perché?», chiese il padre studiando il figlio più piccolo.
Elliott si strinse nelle spalle, poi abbassò lo sguardo con le guance tinte di rosa. «Ma niente, non...»
«Elliott. Che storie sono queste?» La signora King si infastidì e mise su un tono acido che zittì tutti quanti. «Stasera ho già assistito a sufficienti stranezze...»
«E tua mamma di cosa si occupa?» mi chiese il signor King, tornando di nuovo su di me.
«Mia madre è disoccupata», dissi, quasi fiera di sfidarli.
La smorfia altezzosa della signora King non mi causò alcun brivido.
«Capisco», mormorò prima di trafiggere Archer con uno sguardo di fuoco.
E la donna si innervosì, così tanto che prese a sbraitare contro la cameriera, quindi Sierra mi fece un cenno.
Dopo le prime due portate ci prendemmo una pausa, non so chi l'avesse deciso, forse era una buona norma.
«Io e Sabrina andiamo al bagno, scusateci» annunciò Sierra.
«Ti prego stavo morendo ma che problemi hanno?», esclamai quando ci chiudemmo in una stanza altrettanto lussuosa, che a quanto pare doveva essere un bagno.
«Gli stessi che hai tu! Non mi dici che frequenti Archer?», eruppe allargando gli occhi chiari.
«Ah be'...»
«È una cosa seria?»
«Lo conosco da poco...»
«No, intendo... è tutto vero o è una montatura?»
La mia regola era sempre la stessa. Mentire fino in fondo.
«Montatura che significa?», chiesi fredda.
«Finzione, Sabrina. In quale parte della loro vita rientri? In quella che mostrano, o in quella reale?»
«Non so di cosa parli, strano ti venga in mente una cosa del genere... Quale ragazza non vorrebbe stare con Archer King?»
Lei spostò gli occhi a lato.
Ero stata distratta per tutta la cena e non avevo notato tensioni tra Sierra e il signor King.
Ci farò caso, ora che andiamo di nuovo di là.
«Dobbiamo tornare». Sierra si risistemò i capelli allo specchio. Sembrava sempre in tensione come una corda di violino.
Aprimmo la porta e, uscendo dal bagno, ci cristallizzammo entrambe, perchè la voce della signora King arrivò forte e chiara.
«Mi presenti una sconosciuta senza nemmeno avvisare?»
«Per cosa dovevo avvisarti?» chiese Archer infastidito.
«Che l'avresti portata qui, a una cena di famiglia.»
«Con Sierra non avete fatto storie.»
«Stasera», puntualizzò Louis.
«Sierra lasciala perdere. Non so nemmeno cosa passa per il cervello di Louis.»
«Sono qui eh.»
Louis non sembrava turbato da quella situazione difficile, era l'unico a mantenere il buon umore.
«Sì e io ti ho chiesto di ripensarci, di aspettare», sibilò il padre con tono duro.
Notai che Archer non aveva fiatato in difesa del fratello.
«Non la sopporti solo perché è Sierra. Natalie l'avresti accolta a braccia aperte», ribadì Louis.
«Non paragonarti a tuo fratello.»
Potei sentire il gelo scendere e ghiacciare quelle mura.
«È troppo affrettato e lo sai», disse Archer che centellinava le parole.
«Devo farmi dare consigli da te, che sei stato anni con una che non amavi neanche?»
«Io e Natalie ci conosciamo da quando eravamo piccoli e, se non sbaglio, io non ho mai pensato di sposarla.»
«Questo è un peccato Archie», intervenne la madre addolcendo il tono.
«Natalie era di buona famiglia», aggiunse il signor King.
«Natalie non c'è più, possiamo evitare di tornare sull'argomento?»
Le parole dure di Archer fecero innervosire sua madre.
«No, ora c'è Sabrina», ironizzò la donna.
«A me è simpatica». Per la prima volta udii la voce di Babi.
«Tesoro, in questa famiglia non possiamo valutare le persone in base alla loro simpatia. Godiamo di un patrimonio familiare che non possiamo permetterci di dissipare.»
La voce del signor King fu perentoria.
«Io e Sabrina non ci stiamo per sposare», ribadì Archer controvoglia.
«Quella ragazza è pericolosa e lo sai anche tu».
Tesi la schiena nell'udire le parole della signora King, Sierra si voltò a guardarmi stralunata.
«Mamma, hai paura che Sabrina spezzi il cuore al tuo Archie?»
La battuta di Louis causò lo scoppio delle risate da parte di Elliott e Babi.
«Finiscila tu», lo rimproverò Archer.
«E poi lasciatelo fare. Non lo vedete quanto è grosso? Saprà difendersi, il vostro figlioletto preferito.»
«Smettila di fare sempre l'idiota».
«Non capisco cosa ho sbagliato con voi due», borbottò la donna.
Sierra mosse il capo, mi fece un cenno e io intuii che voleva tornare di là.
La seguii, poi ci rimettemmo a sedere e il silenziò calò nuovamente.
Mentre consumavamo il dolce, prestai attenzione a Sierra e il signor King. Sembravano non calcolarsi, non c'era tensione. E io di film ne avevo visti molti.
E se non fosse questa la strada giusta?
Magari Sierra si trovava lì con qualcun'altro. Dopotutto, quello era l'ufficio del signor King, ma ciò non significava nulla. Poteva benissimo avere un appuntamento con un'altra persona...
La discussione si spostò sullo snowboard, sull'hockey e, infine, tasto dolente. La scuola.
«Elliott, è ora che tu cominci a preparati per i test d'ammissione».
«Papà, Elliott vuole fare lettere prossimo anno», s'intromise Louis.
«Può benissimo leggere poesie come passatempo.»
Elliott chinò il capo.
«L'università non è un passatempo», asserii io, andando in soccorso di Elliott.
Ero immobile, ma inevitabilmente tutte le attenzioni si spostavano sempre su di me non appena aprivo bocca.
La signora King ripiegò il suo tovagliolo di stoffa pregiata, poi mi lapidò con uno sguardo truce. «Come vi siete conosciuti e tu Archer?»
Non mi feci intimorire, partii con le bugie, sotto agli occhi esterrefatti dei fratelli.
«Lavoravo al golf club... quello a...»
Archer completava le mie frasi, le bugie scivolavano dalle mie labbra e volteggiavano in aria colpendo il signor King in pieno volto.
Fortuna che dopo il dolce quella tortura finì e potemmo alzarci.
Archer si fermò qualche istante a parlare con la madre, Babi e Sierra uscirono dalla suite, Louis restò con il signor King, mentre io osservavo Elliott, che sbirciava il padre con occhi mesti.
«Mi dispiace per prima. Penso che non sappia quanto ti ferisca», bisbigliai sottovoce.
«Penso lo sappiano, ma non gli importi» replicò lui in tono spento.
Finalmente ci salutammo, io uscii insieme ad Elliott e Louis, lasciando Archer con i suoi.
«Quanto durerà questa cosa Archie?», chiese sua madre.
Non potei fare a meno che indugiare vicino alla porta socchiusa.
«Non è niente di serio.»
«Ti conosco. Lo fai solo per avere un'accompagnatrice al matrimonio. Quel tipo di ragazza non fa proprio per te. Non è il tuo tipo.»
«No, decisamente no. Buonanotte.»
«Vieni a bere qualcosa con noi Sabrina?»
Sierra fece quella proposta quando eravamo ormai in corridoio.
Dalla sua inflessione potei intuire che avesse bisogno di parlarmi e capire cosa diavolo ci facessi lì insieme ad Archer.
«No», rispose Archer al posto mio.
«Ho cambiato voce? Non mi sembra», mi stizzii immediatamente.
Louis mi rivolse un cenno, ignorando completamente il fratello. «Ci trovi al bar se vuoi».
Sierra e Louis si allontanarono con Elliott e Babi, quindi mi voltai verso Archer, che camminava di fianco a me.
«Come sono andata?»
«Ottimo lavoro, Sabrina.»
«Ci diamo il cinque ora?»
«Vuoi altro?», mi provocò lui.
Ripensai alle ultime parole che si era scambiato con la madre e mi passò la voglia di scherzarci su. Scendemmo al piano inferiore senza fiatare.
«Vieni con me?», domandò Archer, fermando la camminata davanti alla porta della biblioteca.
Sollevai il mento quando bastò per incrociare i suoi specchi bui.
«No», risposi decisa.
Quello che Archer aveva detto a sua madre mi bruciava addosso. Lo sapevo che era finzione tra di noi, ma allora proprio per questo non sarei andata in camera sua.
Lui non si scompose più di tanto davanti al mio rifiuto, quindi lo lasciai davanti alla biblioteca e raggiunsi il bar.
La sala era affollata, Natale si avvicinava e l'hotel traboccava di ospiti.
Notai Sierra che continuava a guardarsi in giro con aria circospetta. Possibile fosse così paranoica a causa dei fotografi?
Mi avvicinai al loro tavolo a passo cauto e Louis sollevò gli occhi azzurri.
«I miei sono stronzi, non ce l'hanno con te, lo avrebbero fatto con qualsiasi ragazza. Per loro nessuna è all'altezza di Archer» disse, forse per rincuorarmi.
«L'hanno fatto anche con te?» domandai a Sierra.
«Se Ludovic King potesse uccidermi, lo farebbe».
Sussultai. Il tono serio in cui aveva pronunciato quella frase mi diede i brividi.
«Cosa pensano? Che tu e Archer siete ingenui e vi fate abbindolare da ragazze in cerca di soldi?»
Sierra e Louis scoppiarono a ridere lasciandomi esterrefatta. I due sembravano affiatati, non come una coppia, ma di sicuro erano in sintonia.
«Possiamo andare da qualche altra parte?», propose Sierra. Io ero ancora in piedi quando anche loro si alzarono.
«Ti senti seguita?» chiesi sottovoce.
«Lo sono, Sabrina.»
«Davvero? E da chi?»
Mi guardai intorno, eppure non vedevo nessuno. Possibile che a seguirla fosse la stessa persona che mi aveva inviato quei direct anonimi?
«Andiamo.» Louis tagliò i nostri discorsi con quella proposta e io decisi di andare con loro.
Sierra non tornò sul tema fotografi o giornalisti, quindi le chiesi dell'argomento più ovvio, quello che tutti sembravano voler evitare.
Il matrimonio.
«Quando arrivano le tue damigelle?»
«I voli hanno avuto dei ritardi, sotto Natale è un casino. Le mie amiche riescono a venire prossima settimana.»
Louis non fiatò. Possibile che mancasse poco e loro fingessero che quell'elefante nella stanza non esistesse?
E se si comportano così perchè sanno che quel matrimonio non si terrà mai?
Scacciai quel pensiero con una scrollata di capo e prima che me ne rendessi conto, dopo una camminata lungo i corridoi scuri, arrivammo all'appartamento di Louis.
La saletta era vuota e sembrava molto diversa rispetto all'ultima volta che l'avevo vista, durante la festa. I miei occhi si posarono sulle pareti di vetro che la circondavano, e m'imbarazzai lievemente.
«Vado a prendere da bere», disse Sierra.
La vidi avvicinarsi a una grossa porta blindata che sembrava nascondere una cantina per gli alcolici. Sparì dentro quell'antro oscuro e io tornai a guardare Louis, che sogghignò, poi mi rivolse la parola. «Le stanze sono vuote».
Avevo buttato l'occhio alle pareti e lui se n'era accorto.
«Sai io non giudico nessuno...», proseguì nel vedermi avvicinare al letto.
«Che vuoi dire, Louis?»
Con i polpastrelli sfiorai il vetro freddo.
«Che sei vuoi provare...»
Corrucciai la fronte e mi voltai di scatto.
«Come scusa?»
«Ognuno ha i suoi motivi. Indosseresti una maschera e nessuno ti riconoscerebbe.»
Perchè sembrava... sapesse?
«Sei mai stato da quella parte?»
Le sue labbra si tesero in una mezzaluna enigmatica. «Secondo te?»
Non fiatai, perciò si accostò al mio fianco e tornò alla carica.
«Vuoi provare?»
«No.»
«Puoi farlo anche da sola.»
«Cioè?»
«Vedi, alcune ragazze vengono di loro spontanea volontà. Se vuoi...»
Lui continuò a parlare ma le sue parole sfumarono, intrecciandosi ai miei ricordi.
"È Sabrina, proprio lei, la figlia del poliziotto."
«Quando ti trovi lì dentro, non vedi nulla di ciò che sta all'esterno. È come fossi bendata, loro possono vedere te, ma tu non puoi vedere loro.»
"Papà sarà così fiero di te."
I ricordi me li percepii addosso, li sentii mordere lo stomaco. Il tonfo sordo della porta blindata mi riportò alla realtà. Vidi Sierra uscire dalla stanza scura.
«Che nascondi lì dentro?», domandai a Louis, che spostò le labbra ricurve a lato. Era un ragazzo attraente, ma non mi ispirava fiducia. Ormai quelli così avevo imparato a conoscerli.
«Cadaveri di ragazze?» proseguii facendolo ridere, mentre rimanevo a fissare Sierra che versava lo champagne nei calici.
«Non so se le vado a genio», commentai con un filo di voce.
Louis inarcò un sopracciglio, prima di mormorare. «Le piaci. Te lo dico io. Sierra la conosco da anni.»
Sospirai, tornando con lo sguardo alle pareti di vetro.
«Pensaci, Sabrina»
«Mhm?»
«Nessuno ti riconoscerebbe.»
Scrollai il capo, negando quell'ipotesi assurda.
«Inutile dire che mio fratello impazzirebbe all'idea.»
Mi voltai ad ammirare il suo ghigno divertito.
In che senso?
«Avanti, lo sai anche tu che è tutta una messa in scena quella tra me e Archer», gli ricordai.
Louis annuì, era chiaro che sapesse tutto.
«Sì, ma non lo conosci», disse lui provocando tutta la mia curiosità.
I miei occhi si posarono nuovamente addosso a Sierra. «E la vostra?».
«A cosa ti riferisci, Sabrina?»
«E realtà o finzione, Louis?»
Ma in quel momento Sierra ci allungò due calici.
«Non c'era più lo champagne che mi hai chiesto tu, sarà finito.»
«Ma dove hai guardato?»
Louis si allontanò in cerca della bottiglia che desiderava.
I due continuavano a darmi vibrazioni strane, si comportavano come due veri amici quando stavano insieme.
«Perché non mi sembri felice di tutto questo, Sierra?» le chiesi nel vederla tirare giù una pillola insieme alla sorsata alcolica.
«Eccola». Louis tornò con una bottiglia tra le mani.
Quei due nascondevano qualcosa che andava oltre il matrimonio e forse Archer sapeva di cosa si trattava, ma non me ne avrebbe mai parlato.
Posai il bicchiere sul tavolino di vetro. «Mi sa che torno in camera.»
«Non vuoi nemmeno provare questo?», chiese Louis, come se il mio problema fosse la scelta dello champagne.
«No, meglio di no.»
Diedi loro la buonanotte e mi avvicinai alla porta.
«Ricordi la strada, Sabrina?», domandò Sierra.
Annuii, poi lanciai un'ultima occhiata a quella stanza che all'apparenza sembrava non nascondere nulla: c'erano vetri ovunque, tutto brillava sotto gli sguardi indiscreti... eppure ero sicura lì dentro ci fossero segreti che nessuno conosceva.
"Non crederete a quello che
ho visto in camera sua".
Mi svegliai con il cuore in gola. Avevo fatto sogni torbidi e il viso smunto di Sierra mi perseguitava nel sonno. Forse era solo il mio senso di colpa che prendeva forma.
Dovevo cancellare l'account anche se non postavo più nulla, non aveva senso tenerlo.
Quando mi alzai dal letto, trovai il messaggio di mia madre. Siamo al ristorante.
La sera prima avevo detto loro che sarei andata a cena con Sierra, quindi non avevano fatto troppe domande.
Scesi di sotto in cerca di un caffè e passando dalla lobby dell'hotel, vidi una sagoma alta, di schiena, vestita di nero. Ormai lo riconoscevo subito.
Si trattava di Archer e stava proprio davanti a... papà?
Perchè papà stava parlando con Archer?
Pensai a dove nascondermi, visto che mi trovavo nel mezzo del campo di battaglia. Individuai due colonne poco distanti e decisi che mi sarei riparata lì dietro.
«Sabrina!» Ero in procinto di fuggire ma papà mi beccò in pieno.
«Lei è Sabrina. Mia figlia.»
Archer mi posò gli occhi addosso, mentre le labbra si curvavano magneticamente.
«Piacere di conoscerti.»
Lo guardai male.
«Quindi ci sono due vasche, giusto?» chiese papà, tornando ai loro discorsi.
«E altre tre di sopra.»
«Mia moglie non ha intenzione di fare il massaggio di coppia»
«È un peccato. È rilassante e la vista è molto suggestiva.»
«L'hai già fatto?»
«Sì con la mia ragazza», rispose Archer, senza esitazioni.
«Quale ragazza?» borbottai infastidita.
«Archieee»
Molly, la signora impicciona, venne ad abbracciarlo, così mio padre ne approfittò per defilarsi. Ma non prima di richiamarmi.
«Sabrina, vieni o no?»
«Arrivo papà, chiedo solo una cosa in reception», dissi sbrigativa.
«Dov'è Natalie?» cinguettò la signora Molly.
«Ci siamo lasciati».
«E quindi? Come fai con le ragazze, Archer?»
«Le ignoro.»
La donna si voltò nella mia direzione.
«Lo vedo...»
Mi sorrise, poi ci salutò per unirsi alle sue amiche, ma a guardarmi non fu solo la signora Molly, c'era anche la ragazza bionda della reception, che aveva lo sguardo fisso su di me da quando mi ero avvicinata ad Archer.
«Quella ragazza ha una cotta per te», commentai fredda.
«Devi metterti qualcosa addosso, Sabrina.»
«Ascolti la gente quando ti parla?»
«Cosa c'è di interessante in quello che dici?»
«Sarà interessante ciò che dici tu... "La mia ragazza"...» gli feci il verso.
«La mia ex, ora vatti a vestire.»
«Non ti sembro vestita?» dissi indicando il maglione che mi ricadeva morbido sui jeans.
«Metti una giacca, usciamo.»
Non avanzai domande, ormai avevo capito che per Archer ero solo lavoro, soprattutto dopo quello che aveva confidato ai suoi genitori. Sarei andata fino in fondo, avrei preso i soldi, aiutato i miei e poi l'avremmo finita lì.
Continuai a pensarci anche dopo, mentre io e Archer stavamo seduti vicini, sul sedile posteriore dell'auto che ci conduceva verso una meta ignota. Attorno a noi si susseguirono sfilze di alberi innevati, ma ben presto ci avvicinammo a un piccolo centro abitato.
«Dove andiamo?»
«Abbiamo uno shooting», rispose gelido.
«E non mi avvisi?»
«Perché dovrei? Lo sai che abbiamo appuntamento ogni giorno.»
Sbuffai, lui si voltò a studiarmi.
«C'è qualcosa che ti ha dato fastidio, Sabrina?»
«Figurati. Per infastidirmi devi fare qualcosa e mi pare che tu non faccia proprio un bel niente.»
Archer aprì la bocca stranito, ma non disse nulla. Persino l'autista sembrava curioso, ma noi restammo in silenzio per tutto il viaggio.
«La concorrenza?», chiesi quando ci fermammo davanti alla piccola baita che aveva tutta l'aria di essere un'hotel.
«No, è sempre di mia proprietà.»
Ovviamente ad aspettarci c'erano l'immancabile agente Cassia, insieme a due fotografi.
L'ambiente era più spartano e meno lussuoso rispetto al King's hotel e pullulava di giovani. Tra questi, una ragazza bionda dagli zigomi affilati. Indossava un golfino bianco e jeans aderenti che fasciavano il suo fisico slanciato.
Mi sembrò di riconoscerla.
Lei sollevò immediatamente lo sguardo quando io e Archer le sfilammo accanto, ignorandola.
Oh no, Natalie.
Uscimmo in una bellissima terrazza che dava sulla vallata, e lì un tavolo stracolmo di dolci catturò la mia attenzione.
Dovevo mangiare tutta quella roba?
«Cosa devo fare?», chiesi con un nodo in gola.
La mia voce tremò, così tanto che Archer lasciò sfrecciare i suoi occhi attenti nella mia direzione.
«Tu niente. Fanno loro». Archer indicò i fotografi.
«Archer?»
Mi voltai e Natalie era lì, proprio davanti a noi.
Archer però non si girò, rimase con lo sguardo fisso al tavolo. «Mhm?»
«Parliamo un attimo?»
«Sono impegnato.»
Gli occhi sottili della bionda si posarono su di me e io volli sparire.
Ecco perché ero lì.
Sapevo quale fosse il mio ruolo, ma bruciò lo stesso e fu altrettanto spiacevole per Natalie, che girò i tacchi e tornò dentro.
«Fare ingelosire la tua ex non era nel contratto.»
«Mi hai accompagnato allo shooting, Sabrina. Come da contratto.»
Gonfiai le guance e buttai via l'aria con una smorfia adirata. Aveva sempre ragione lui.
«Vado a prendere un tè», annunciai in un impeto di ribellione.
«Puoi andare».
«Non era una domanda, non ti stavo chiedendo il permesso», puntualizzai acida.
Archer mi fulminò con due occhi spietati. «Non fare danni».
«Ci proverò.»
Rientrai e notai un piccolo gruppo riunito intorno a Natalie, sui divanetti. Gli schiamazzi provenienti dalla zona relax del ristorante si facevano udire, dando l'impressione che alcuni di loro fossero già un po' brilli, nonostante fossero soltanto le undici del mattino.
«La nuova ragazza di Archer King», sentii dire uno di questi.
Si lasciarono andare ad altri commenti che io ignorai di proposito.
Mi diressi al buffet e lì individuai la zona bevande.
«Ciao» Un ragazzo moro mi sorprese davanti alla postazione del tè.
Avevo appena inserito una bustina nella tazza vuota, quando lui me la indicò. «Posso?»
Si stava offrendo di prepararmi il tè, chi ero io per rifiutare?
Annuii così mi versò l'acqua bollente nella tazza che tenevo in mano.
Lo ringraziai, poi il ragazzo mi salutò con un sorriso.
Mi sorpresi di quell'atto di gentilezza inaspettato, dopotutto, ero diffidente con qualsiasi essere di sesso maschile.
Il ragazzo tornò dagli amici seduti sui divani e solo allora mi accorsi che faceva parte del gruppo di Natalie.
«Quella non è proprio una santa. Nate se l'è fatta la prima sera.»
Mi voltai di scatto. Mi stavano guardando tutti e uno di questi mi fece un gesto volgare con la lingua.
Volli morire. Di nuovo.
«Che fai?», chiese Archer nel vedermi immobile, nel bel mezzo del ristorante.
Trasalii e per poco non mi cadde la tazza bollente dalle mani. Archer me la sottrasse prima che facessi qualche sciocchezza, poi i suoi occhi sottili finirono su quei ragazzi.
«Perchè il tè non lo prendi all'hotel?»
«Archer... »
Il cuore mi martellava nelle tempie a causa dell'umiliazione.
«Torna pure a casa, ci vediamo dopo», sussurrò tono in rassicurante.
«Ma...»
«Fa' come ti dico.»
Ci rimasi male. Non per le parole di quei ragazzi, avevo subito cose ben peggiori, ma per Archer. Mi trattava come un burattino da rispolverare al momento del bisogno e posare quando non gli serviva più. Me n'ero andata da quella baita, sì, ma non prima di aver lanciato un'occhiataccia a Natalie. Sicuramente non mi voleva lì perchè sapeva che prima o poi le avrebbe parlato. Mi chiesi cosa si sarebbero detti.
Non mi importa un accidente di Archer King, continuavo a ripetermi.
Eppure non riuscivo a non pensarci. Mi ero promessa di farlo solo per la pubblicità, ma forse il problema ero io: ero incapace di viverla in modo distaccato. Non ero in grado di non ossessionarmi con un ragazzo.
Arrivai in camera e mi lanciai sul letto.
Come aveva potuto rispondere così a sua madre? Non ero il suo tipo, ma perchè non le aveva detto che non mi avrebbe scaricata subito dopo il matrimonio?
Forse la vera domanda da fare era un'altra: Perché mi stavo illudendo?
In un attimo vidi la parete davanti a me, ricoperta delle nostre foto insieme.
«Che succede?» chiese mia madre entrando come un tornado nella mia stanza.
«Niente»
Lei mi squadrò, e vedendomi con una smorfia sofferente soffocata nel cuscino, si allarmò.
«Sabrina!»
«Ti ho detto "niente"!»
«Dimmi che "niente" non è il nome di un ragazzo», si aggiunse pure mio padre.
«Sabrina da quanto lo conosci?»
O mio dio.
«Posso restare da sola? Grazie.»
Loro lasciarono la stanza con gli sguardi preoccupati e dopo poco li udii discutere animatamente dalla loro camera.
«Non di nuovo», disse mia madre.
«È forse colpa mia?»
«Come ha fatto a conoscere un ragazzo qui?»
«Non possiamo impedirle di vivere la sua vita.»
«Non di nuovo, Dave.»
Scivolai nel sonno e fui di nuovo assalita dagli incubi. Nel buio, un peso mi schiacciava il petto e le presenze oscure nella stanza mi terrorizzavano.
Mi sentivo intrappolata in quel letto, perciò tentai in tutti i modi di svegliarmi ma era del tutto invano. Sapevo sempre di star sognando, sapevo di volermi svegliare eppure non ci riuscivo mai.
Schiamazzi. Musica. Ragazzi.
Mi trovavo a una festa. Era quella festa.
Stavo davvero sognando?
Mi guardai le mani e non riuscii a contarmi le dita. Sì, stavo decisamente sognando.
Poi però qualcuno bussò alla porta e io sobbalzai. Improvvisamente, riuscii a spalancare gli occhi e, con il respiro rotto e il petto ansante, mi diressi all'ingresso.
Aprii la porta, ma non c'era nessuno in corridoio. Prima di richiuderla però, notai una card abbandonata sul tappeto.
Era una chiave dell'hotel con sopra scritto un orario.
Perchè non può mandarmi messaggi fanno come le persone normali?
Il mio unico pensiero fu la biblioteca.
Ancora frastornata dal riposino pomeridiano, controllai l'ora: erano le otto di sera, quindi decisi di farmi una doccia e cambiarmi.
Scesi di sotto per mangiare qualcosa, ma una volta al ristorante, notai il ragazzo moro con cui avevo parlato nel pomeriggio.
Non era lui che mi aveva presa in giro, eppure esibiva uno zigomo tumefatto.
«Sabrina, giusto?»
Lo guardai confusa.
«Senti, scusa per oggi... i miei amici a volte esagerano.»
«Chi ti ha fatto quel livido?», chiesi diretta.
«Ehm... nessuno.»
Si schiarì la voce sotto al mio sguardo indagatore.
«Ti va di uscire con me una sera di queste? Ci beviamo qualcosa.»
«Sto con Archer.»
Il ragazzo sollevò entrambi i sopraccigli folti.
Già, proprio colui che probabilmente ti ha ridotto in questo stato.
Il ragazzo si avvicinò a me, tanto da sussurrarmi nell'orecchio.
«Sono un amico di Natalie, so come funziona con i King. Sei solo di figura per Archer. Se invece ti va di divertiti per davvero...»
«Divertirmi?»
Il suo sguardo malizioso fu eloquente e io mi sentii sprofondare.
Ma certo, si era già sparsa la voce.
Non riuscii più a ribattere, quindi lui si allontanò con i suoi amici poco distanti, che non la smettevano di sogghinare. Era tutto molto strano, ma decisi di non pensarci.
Ingannai il tempo mangiando un boccone con i miei, poi decisi di precipitarmi in biblioteca. La card apriva proprio quella porta, ma di Archer non c'era traccia lì dentro. Erano le nove e cinque e lui non era mai in ritardo.
Possibile che se lo fosse dimenticato?
Andai al ristorante, ma Archer non era nemmeno lì, quindi decisi di fiondarmi in reception, dove la solita ragazza bionda mi accolse con un'occhiata infastidita.
«Sai dov'è Archer?»
«Lui va in sauna quando è chiusa e tutti gli altri hanno finito, ma tu... Dovresti saperlo, no?»
Non risposi alla sua smorfia odiosa, perchè girai i tacchi e raggiunsi gli spogliatoi.
La sauna era chiusa poichè l'orario di accesso era passato, solo Archer poteva andarci quando gli pareva. Decisi di tentare comunque, bussando alla porta, ma non ottenni alcuna risposta. Solo in quel momento notai la finestra che affacciava sul balcone. Sebbene fosse chiusa, le tende erano spostate, così mi avvicinai e intravidi una figura nell'oscurità.
Spalancai gli occhi. Era Archer.
«Provi nuove emozioni?» chiesi aprendo la porta.
Lui entrò dentro facendomi ombra con la sua altezza.
Indossava un paio di boxer addosso, nient'altro che non fosse il suo fisico scolpito.
«Cos'è successo?» mi allarmai.
«Stavo per andare in sauna e ho sentito chiedere aiuto dal balcone. Mi sono precipitato e qualcuno mi ha chiuso fuori in mutande», soffiò innervosito.
Non lo disse, ma era chiaramente stata una ripicca degli amici di Natalie.
«Non hai freddo?»
«Secondo te non ho freddo?», replicò acido.
Era chiaro che i suoi abiti non erano più dove li aveva lasciati e non c'era traccia di asciugamani, avevano rubato anche quelli.
Lo vidi afferrare il cellulare da un armadietto.
«Ti vado a prendere qualcosa?»
«No, gli abiti li ho in camera mia.»
«Chiama tuo fratello.»
«Ho scritto a Cassia», bofonchiò controvoglia.
«Dobbiamo aspettarla qui?»
«No, andiamo verso la biblioteca. Fammi strada, usciamo», ordinò indicandomi la porta.
«Perchè in biblioteca?», domandai senza ottenere risposta.
«C'è qualcuno sì o no?» chiese nel vedermi affacciata in corridoio.
Feci cenno di no con la testa, quindi Archer mi seguì.
Uscimmo con passo cauto e percorremmo il corridoio. Avevamo appena fatto qualche metro, quando notammo l'arrivo di altre persone dal lato opposto.
«Cazzo.»
Archer aprì la prima porta che trovò alla sua destra, poi mi spinse all'interno di uno stanzino. E lì smisi di respirare.
SIERRA
La notte precedente, avevo lasciato Louis nel suo appartamento e mi ero diretta verso la mia camera con un pensiero fisso: Sabrina non si sarebbe fermata.
Era determinata a scavare sempre più a fondo, e io non potevo permetterlo. L'avevo ingannata, facendole credere che il mio timore fosse legato ai paparazzi e alla paura di mostrarmi in pubblico, ma in realtà, temevo che scoprisse il mio piano.
La sera della festa in maschera avevo esagerato con la messa in scena, eppure era vero, stavo diventando paranoica. Il piano mi rendeva paranoica. E il matrimonio smetteva di essere una priorità, giorno dopo giorno.
Con quei pensieri in testa raggiunsi il ristorante, e il mio sguardo si perse oltre la finestra, abbagliato dallo spettacolo della neve che cominciava a cadere. Là fuori, insieme ai loro genitori, vidi due bambine.
Improvvisamente, fui trasportata indietro nel tempo, quando giocavo nella dimora della famiglia in cui mia madre lavorava. I profumi e gli odori erano gli stessi, di casa.
La bambina bionda giocava sempre con me, anche se sua madre le aveva detto di fare attenzione, poiché "Sierra non è tua amica, è solo la figlia della signora delle pulizie."
Tuttavia, lei condivideva i suoi giocattoli con me, senza mai chiedere nulla in cambio.
Tornai con lo sguardo alla grande sala dell'hotel, e lì la vidi.
Natalie.
SABRINA
Battei le scapole contro la parete; non fu doloroso, ma in un attimo io e Archer ci ritrovammo di fronte, confinati in uno spazio ristretto.
Il suo petto nudo si muoveva rapido contro il mio, avvolto dal vestito di lana.
«Ci è mancato poco...» sussurrai.
Lo vidi inviare un messaggio alla sua assistente, probabilmente per informarla del fatto che ci trovavamo lì dentro.
Archer si passò una mano tra le ciocche ribelli, poi i suoi occhi scesero sul mio viso.
Non parlò, sembrava aspettare che i nostri respiri si regolarizzassero nel buio.
«Perché hai picchiato quel ragazzo?»
«Non so di che cosa tu stia parlando, Sabrina.»
«Archer, non era stato quel ragazzo a prendermi in giro...»
Il fiato mi si spezzò, dovetti incamerare un ampio respiro, ma quando lo feci, il suo buon profumo m'inondò i polmoni e m'impedì di proseguire oltre.
«Che situazione del cazzo», lo sentii mugolare tra i denti.
Il mio sguardo scivolò subdolo lungo la sua mandibola ben definita, seguendo il percorso giù per il collo teso, il petto ampio, e il torace possente, fino a posarsi sull'elastico dei boxer.
«Sai Archer, sembra che alla fine, tutta questa situazione, non ti è poi così... indifferente.»
Risalii lenta, e tornando con gli occhi nei suoi, potei notare che mi stava fissando con due pupille dilatate.
«Quindi tu avresti il coraggio dirmi che io ti sono indifferente, Sabrina?»
«Può darsi», replicai rifuggendo la sua occhiata penetrante.
«Ho detto "niente bugie tra di noi"». Mi riprese il mento con due dita, costringendomi a riallacciare quel pericoloso gioco di sguardi.
Affaticata, sospirai a lungo.
«Sei solo un bel ragazzo. Tutto qui.»
Lui non rilanciò, la sua bocca piena si curvò in una mezzaluna attraente.
«Cos'è che ti fa ridere?»
«Non crederai che io voglia davvero qualcosa da te, Sabrina?»
Lo fissai dal basso, senza fiatare.
«Mi sono appena lasciato, l'ultima delle mie intenzioni è infilarmi dentro a qualche casino.»
«Io sarei... un casino quindi.»
Si inumidì il labbro con una passata svelta di lingua. «Bè sì, lo sei.»
Tesi i polpacci e, puntando i piedi, mi sollevai sulle punte.
«Lo prendo come un complimento», soffiai sulle sue labbra ricurve.
Ma il suo sorriso si trasformò presto in una linea dritta.
«Cosa ci facevi di sotto, con Louis?»
Quella domanda mi sorprese. Da quando Archer s'interessava a cosa facevo?
«Ero solo curiosa.»
«Cosa ti incuriosisce tanto, Sabrina?»
«Non lo so... Alla fine, se ci pensi, nel contratto non ci sono vincoli personali.»
«Che vorrebbe dire?»
«Che posso fare quello che mi pare. Dato che nelle camere dell'hotel hai messo la regola "niente ospiti"... Lì sotto non ci sono regole, giusto?»
«Quindi stai cercando di dirmi che hai contemplato l'idea di farti guardare mentre uno sconosciuto ti scopa?»
Spalancai la bocca.
«No!»
Archer spinse un braccio sopra la mia testa e mi ritrovai in trappola.
«È proprio più forte di te, non riesci mai a dire la verità, vero Sabrina?»
«La cosa non ti riguarda, Archer.»
«Tu, adesso, mi riguardi.»
Non gli credevo. Era tutta una menzogna. Ma la sua mascella irrigidita lasciava intendere che la cosa lo innervosiva per davvero.
«Questo cosa vorrebbe dire?», domandai facendomi piccola contro il muro.
«Non fare cazzate. A meno che tu non sia in camera mia.»
Sentivo che tutta quella tensione sarebbe esplosa da un momento all'altro ed ero certa la percepisse anche lui.
«Aspetto solo l'invito formale allora», ironizzai.
Archer deglutì, vidi il suo pomo slittare rapido.
«Stiamo troppo vicini, Sabrina.»
Abbassai lo sguardo. «Eppure non ti dispiace.»
In un attimo indietreggiò e sebbene il suo corpo non mi toccasse, l'erezione che gli tendeva i boxer era impossibile da ignorare.
«Eccoti.»
Una voce femminile mi disorientò.
Mi voltai e ci misi un po' a individuare chi fosse. Cassia.
La donna entrò nello stanzino con dei vestiti in mano, studiò dapprima Archer, poi me, con aria di rimprovero.
«Grazie tante», sbuffò lui afferrando bruscamente la camicia e i pantaloni che lei gli aveva affibbiato.
Archer si voltò per cambiarsi, io rimasi spalmata contro il muro, incapace di parlare.
«Dove state andando?», domandò la donna quando lui si voltò, già vestito.
«È tutto sotto controllo», fece Archer. Cassia gli si avvicinò gli sistemò il colletto della camicia.
«Mi raccomando, tua madre è venuta a farmi mille domande su Sabrina.»
«E cosa le hai detto?»
«Ho confermato la tua storia, ma quella povera donna non era felice.»
«Bene...»
Archer mi fece un cenno e io lo seguii fuori da lì.
«Non ti sei persa nemmeno un attimo, eh.»
«Ti ho visto mezzo nudo, vuoi dirmi che non posso guardare mentre ti rivesti?»
«Ci vediamo domani.»
Senza preavviso, Archer liquidò me e Cassia, ma se la donna se n'era andata, io non feci altrettanto.
Lo seguii fino alla biblioteca.
«Che intenzioni hai?», mi domandò confuso.
«Non lo so, tu?», lo provocai mostrandogli la card che mi aveva fatto recapitare.
«Ah, quella è perchè ti avevo promesso che ti avrei fatto vedere camera mia.»
«Quindi ti stai tirando indietro?»
Archer sollevo un sopracciglio, ma l'attimo di stupore durò poco perchè fece un giro intorno alla mia figura e andò a chiudere la porta.
Eravamo nella biblioteca, da soli.
«Non mi tiro indietro. Tu, piuttosto, sei sicura?»
Mi trafisse con uno sguardo deciso che mi levò le parole per una manciata di secondi.
Cominciai scrutare l'ambiente intorno a me, certa che l'accesso alla sua stanza fosse nascosto lì, da qualche parte, tra quelle pareti fitte di libri.
«Sì.»
Archer non se lo fece ripetere: aprì il cassetto della scrivania in mogano antico ed estrasse una benda nera.
Il mio cuore accelerò disperato.
«Che significa?», chiesi elettrizzata.
«Siccome non voglio ragazzine tra i piedi nei momenti più inopportuni, facciamo in modo di non mostrarti la strada per arrivarci.»
Ci avevo visto giusto.
Archer tornò vicino a me e si posizionò alle mie spalle.
Mi lasciai bendare.
Poi non so cos'altro accadde, mi limitai a camminare sotto la sua guida. Archer posò una mano sul mio fianco e dovetti inarcare la schiena perchè percepii i suoi polpastrelli affondare nella mia carne.
Nel buio più totale, udii un clic metallico, seguito dal rumore di qualcosa che si spostava sul pavimento.
Mi mossi senza paura, guidata dal velo di mistero che avvolgeva ogni mio gesto.
«Ci sono degli scalini, attenta», lo sentii soffiare sulla mia gola. Un brivido mi percosse, ma decisi di andare avanti e presto avvertii i miei piedi poggiarsi sui gradini. Proseguii cauta.
«Hai paura?» mormorò languido nel mio orecchio.
Deglutii eccitata.
«No.»
Per evitare che inciampassi, Archer posizionò anche l'altra mano sul mio fianco.
«Attenta, ti ho detto.»
Quando arrivammo all'ultimo gradino, lui non mi avvisò, quindi mi arrestai bruscamente. Archer si scontrò con me, urtando con il suo corpo contro il mio.
«Prosegui. Non ho detto di fermarti.»
Il riverbero profondo della sua voce vellutata mi diede i brividi.
Finalmente, dopo una sfilza di passi, avvertii il suono di una porta che si schiudeva, infine, un tonfo dietro di me.
Inclinai leggermente la testa, percependo il suono cadenzato dei suoi passi. Il profumo di Archer, avvolgente e pericoloso, m'invase le narici e allora capii che era lì, di fronte a me.
I suoi pollici scivolarono con delicatezza sui miei zigomi, sollevò la benda e io sprofondai nei suoi occhi neri. Dopo avermi restituito la vista, Archer si spostò a lato, permettendomi di ammirare lo spazio intorno a noi.
«Ah.»
Il respiro mi morì in gola.
Non potevo credere ai miei occhi. Quella non era una camera, ma una reggia. Le vetrate davano sulle montagne e non c'erano pareti, solo finestre che regalavano uno spettacolo mozzafiato.
«Come fai con la privacy?»
Fu la prima cosa che gli domandai. Dopotutto, lì non esistevano muri.
«Così.» Archer azionò un telecomando e le tende si spostarono a lato, oscurando i vetri. «E comunque, le finestre danno su un versante disabitato.»
Lui si versò da bere, io invece mi ero già voltata ad ammirare la doccia imponente che torreggiava in mezzo alla camera da letto.
«Quindi è proprio vero che ti piace guardare...»
Lo vidi tirare giù un'avida sorsata e improvvisamente avvertii anch'io le labbra secche.
«L'unico a usarla sono io.»
«Guarda che sono adulta, so come va il mondo»
Un sorriso gli curvò le labbra da dietro il bicchiere.
«Immagino...» commentò avvicinandosi a me.
«Cosa immagini?»
Archer si leccò il labbro inferiore e lo feci anch'io, di rimando.
«Perché devi sempre oltrepassare il limite, Sabrina?»
«Mi piace ricordarti che, nonostante tu faccia il presuntuoso, quella volta ti è piaciuto.»
«Visto che lo sai, vedi di non sporcarti allora», disse indicando la doccia con un cenno del capo.
Strinsi le cosce tra loro, inebriata dal suo profumo, che aleggiava in quell'ambiente appesantito dalla tensione.
Poi la mia attenzione fu catturata da una mensola e da una piccola corda sospesa su di essa.
In cerca di una spiegazione, mi girai verso Archer che affossò le spalle.
«Che c'è? Amo la barca a vela.»
«Ti piace proprio prendermi in giro, non è così?»
«Quasi quanto a te piace provocarmi, Sabrina.»
I nostri sguardi scivolarono pericolosamente sulle rispettive labbra. Dovetti allontanarmi.
«A tua madre non sono piaciuta?», domandai continuando a curiosare in giro.
«Decisamente no.»
«Questa Natalie è così perfetta?»
«Natalie è di buona famiglia, posa come modella, si laureerà in legge e fa beneficenza. Tu?»
Ehm... io una volta ho portato un gattino ferito dal veterinario.
Mi ammutolii, quindi Archer ne approfittò per commentare «Già...»
«Be', di certo non ho il tuo curriculum...» azzardai osservando i trofei di golf.
«Vorrei proprio leggere il tuo, Sabrina. Sarebbe... vuoto?»
Mi irrigidii e prima che potessi parlare lui mi anticipò.
«Ma se non hai precedenti penali, direi che posso accettarlo.»
Deglutii.
O porca miseria.
«Be' ora che ho visto camera tua...»
Lanciai un'occhiata verso la scalinata, pronta a fuggire, ma Archer si avvicinò a me con uno sguardo intenso che mi fece tremare le ginocchia.
«Vuoi andartene adesso?»
Veramente no, ma non vorrei stare qui a parlare di me.
«Hai qualcosa da bere?» Cambiai discorso facendogli assottigliare gli occhi.
«Sì.»
«Me lo puoi offrire o devo fare da sola?»
Archer non battè ciglio, si voltò e dal suo minibar recuperò un bicchiere di cristallo e ci versò del liquore.
«Perchè sei andata da Louis?»
Mi lasciò il drink, studiandomi attentamente.
«Che c'è? Vuoi sapere cosa ci siamo detti?», domandai facendo ondeggiare il liquido scuro nel bicchiere.
«Voglio saperlo, sì.»
«Penso te l'abbia già detto lui.»
«Voglio saperlo da te, Sabrina.»
«Ma non ti fidi di me.»
«Non mi fido delle donne.»
Ingurgitai un sorso che mi bruciò la gola. «Come hai scoperto di Natalie?»
«Mi hanno inviato una foto in forma anonima.»
«E ci hai creduto subito?»
«Avevo già il sospetto che lei stesse con me solo per convenienza. La nostra storia era finita da tempo, forse non volevo ammetterlo.»
«Sei stato così illuso da credere nell'amore?»
«Tu non ti saresti illusa al posto mio?»
«Mia madre non ama mio padre.»
Archer mi studiò per qualche istante, poi si avvicinò a un mobiletto. Da lì recuperò un fascicolo con dei documenti e me lo mostrò.
«Siediti», ordinò indicando il letto matrimoniale.
Io rimasi immobile.
«Dobbiamo parlare?» chiesi lanciando uno sguardo distratto al mio riflesso. Il vestitino di lana mi fasciava il fisico, lasciandomi le gambe scoperte.
«Siediti, ho detto.»
Ad Archer però non importava un accidente di me.
«Sei sempre così serio?», lo sbeffeggiai.
«Tu hai sempre tempo da perdere?»
«Io sono in vacanza qui, eh», gli rammendai.
«Non più.»
Un ghignò mi affiorò sulle labbra.
«Ho un lavoro, hai ragione. Ma quando arriva la parte divertente? Perché per adesso tu vuoi solo parlare, parlare, parlare...»
Archer sembrò cedere alle mie parole. Posò i documenti sul tavolo.
«Pensi non lo sappia?»
Mosse due falcate e gli bastarono per farmi indietreggiare verso il letto.
«Cosa?»
«Pensi non sappia che anche la tua è tutta una messa in scena, Sabrina?»
Mi mancò il fiato quando la sua figura imponente torreggiò su di me per rubarmi il bicchiere dalle mani. Le mie ginocchia s'indebolirono, dovetti sedermi sul materasso.
«Che non appena mi avvicinerò troppo a te...»
Sollevai il mento per incontrare i suoi specchi scuri.
«Tu farai un passo indietro», concluse serrando la mascella.
«Be' avvicinati e scoprilo da solo», lo incalzai.
Schiarendosi la voce, Archer si ricompose immediatamente e tornò agli alcolici, forse pentito di essersi lasciato andare in quel modo.
«Ti ho descritto la routine che dovremo seguire», proseguì versandosi ancora da bere.
«Abbiamo una routine?», m'indispettii.
«Sì, ci vedremo di frequente, tutti dovranno vederci insieme fino al matrimonio.»
«E cosa facciamo quando ci vediamo?», lo pungolai con voce smorfiosa.
Archer sganciò il primo bottone, allentando il colletto della camicia.
«Ti spogli? Ti facevo all'antica, pensavo ti ci volesse una cena lume di candela prima...»
Stesi le gambe sul suo letto e mi accomodai tra i cuscini, lui invece trattenne lo sbuffo che gli causava la mia impertinenza.
«Durante gli appuntamenti decideremo come organizzarci, Sabrina.»
«Che emozione» ironizzai, mentre lui proseguiva a sbottonare i polsini.
Tirò su le maniche, rivelando gli avambracci allenati. «Ti terrò la mano durante la cena se vuoi....»
«E dimmi, Archer... mi bacerai?»
Archer rimase con il capo chino, i riccioli scuri a coprirgli la fronte, alzò solamente gli occhi bui e mi colpì con uno sguardo intenso.
«Se necessario.»
Mi trafisse con un tono suadente che mi fece infiammare le cosce.
«Cosa c'è, dopo tutte le provocazioni, ora arrossisci al solo pensiero di un nostro bacio, Sabrina?»
Avanzò verso di me, ormai anche le guance mi avevano tradita.
«Certo che no, io...»
Si fermò al bordo del letto e poi disse: «Vieni più vicina.»
Il suo ordine deciso mi mandò in subbuglio, sentii la lingua fremere nella bocca.
Con un cenno mi indicò il bordo del letto, quindi mi avvicinai al suo corpo, ancora in piedi.
Accorciai la distanza e sedendomi sui talloni sul materasso, rimasi a guardarlo mentre versava del liquore in un bicchiere fondo.
Ipnotizzata dai suoi movimenti, ben presto intuii cosa volesse fare. Mi bruciò la bocca di un'occhiata famelica, poi vi avvicinò il bicchiere.
Dischiusi le labbra per bere e, con la testa leggera, dopo poco lo guardai sorseggiare dallo stesso calice.
«Non avresti dovuto aggredire quel ragazzo», dissi sottovoce.
«Grazie del consiglio non richiesto, Sabrina.»
«Ha detto... Ha detto che tu mi usi come figurante.»
Il suo sopracciglio s'inarcò, invogliandomi a continuare.
«E ha aggiunto che se voglio divertirmi, posso andare da lui.»
Archer chiuse gli occhi per un breve attimo, poi la sua voce si fece così profonda da farmi ardere il basso ventre.
«Ti ha chiesto di vederlo?»
Annuii e mordendomi il labbro assaporai il gusto velenoso del whisky.
«Ci andrai?», domandò con gli occhi ridotti a due spiragli.
«Be'.... chi lo sa...»
«Lo so io. Tu non ci andrai.»
Mi scappò una risatina divertita.
«Non so come funziona nel tuo mondo, ma non sarò mai qualcosa che puoi controllare, Archer.»
Lui continuò a bere e a fissarmi senza battere ciglio.
«Perchè sai, io e te abbiamo un contratto, ma non c'è scritto da nessuna parte che non posso frequentare altre persone.»
Archer non fiatava. Sembrava non passasse ossigeno sotto al torace avvolto dalla camicia bianca.
«A che pensi Archer?»
«Penso che tu abbia bisogno di qualcosa, Sabrina.»
Tutto il mio corpo vibrò di eccitazione. Il suo tono di voce si era fatto denso, carico di una sfumatura seducente, quasi ammaliante.
«Ma non sarò io a dartelo.»
Tirò giù un altro sorso, poi accostò il viso al mio.
Sentii le labbra bruciare quando con le dita mi carezzò l'avambraccio che si riempì di brividi sottili.
Non so cosa mi stesse proponendo, o forse, promettendo, ma era sicuramente qualcosa di proibito.
«Cosa dovrei...»
Si chinò verso il mio orecchio. «Farai da sola e io guarderò soltanto.»
Strinsi le cosce e m'inumidii sotto al suo sguardo bramoso. Come poteva essere così sfacciato da chiedermi una cosa del genere?
«Puoi farlo per me?»
Divenne incalzante nel momento in cui mi vide in silenzio.
Sì.
«Non fa parte dell'accordo», lo rimbeccai mentre le sue dita scivolavano sul mio polso.
«No, ma è qualcosa che vogliamo entrambi.»
Sentii una morsa restringersi tra le mie gambe. Mi trovai immobile, non seppi come agire, faceva troppo caldo con il suo sguardo addosso e mi sarei anche tolta tutti i vestiti, ma non ero così brilla da poterlo fare. Restai immobile, i pugni chiusi sulle cosce lasciate scoperte dal vestito.
«Sbaglio, Sabrina?»
I miei sensi erano all'erta e mi accorsi subito che si stava per allontanare da me, perciò lo afferrai dalla camicia.
Le nostre labbra vicine non si sfiorarono per un soffio.
Archer riprese a carezzarmi la mano, dolcemente, e dopo averla raccolta, l'accompagnò sotto il mio vestito. Il suo dorso ruvido sfregò sulla mia pelle sensibile, facendomi irrigidire i muscoli delle gambe.
«Perché vuoi che lo faccia?»
Ritrasse la mano prima che questa mi sfiorasse le mutande, poi con il pollice mi sollevò il mento.
«Lo sai perchè. Voglio guardarti perdere il controllo sul mio letto, dove nessun altro potrà vederti. Solo io.»
Mi contrassi e fece male non sentire nulla a colmare il vuoto.
«Vedo che sei pronto a violare le regole quando ti fa comodo.»
La mia mano scivolò oltre il cotone delle mutande, ma Archer non potè vederlo perchè il vestito mi copriva l'inguine e la cosa mi diede coraggio.
«Vedo che tu sei obbediente, quando ti fa comodo.»
Pronunciò le sue parole crudeli, poi bevve un sorso senza scollarmi gli occhi di dosso.
«Non provare a fermarti».
Ero già tesa e quella frase non aiutò affatto.
Mi diede sollievo trovare le mie dita, ma il suo sguardo mi faceva ribollire le vene.
«Mi lasci fare da sola perchè sai di non esserne in grado?»
Archer distese le labbra in una curva magnetica e mi afferrò dai capelli sciolti, facendomi tendere la schiena. La nuca bruciò per la presa ferrea e dovetti reclinare il collo.
«Continua», soffiò sulle mie labbra assetate.
Il suo timbro mi carezzò la gola come miele bollente e mi fece immaginare il suo corpo sovrastare il mio, proprio su quel materasso.
Con l'altra mano gli sfiorai camicia. Le mie dita serpeggiarono lungo il tessuto pregiato e con gli occhi scesi oltre la cintura. Lo vidi eccitato e lo sentii respirare a fatica quando il mio vestito si alzò appena sulle cosce, rivelando il mio intimo leggermente abbassato e la mia mano che si muoveva in circolo.
«Io...»
Gemetti frustrata, perchè in realtà in quel momento volevo soltanto lui. Il suo torace ebbe qualche spasmò rapido e vederlo così smanioso, mi fece pulsare sotto alle dita.
«Ti piace...», constatai.
Archer mi posò un dito sulle labbra e m'invitò al silenzio, lasciando che solo i miei gemiti riempissero la stanza.
Inarcai la schiena, trovando il movimento giusto e lui sembrò perdere il controllo.
Non poté resistere, passò le labbra sul lato del mio collo e solleticò la mia pelle con il calore del suo respiro. Bastò quel gesto a darmi coraggio.
«Archer...», sussurrai bisognosa.
Non l'avrei supplicato, ma il mio tono docile parlò al posto mio e quando la sua mano calda scivolò tra le mie cosce, trattenni il respiro.
Spostai a lato l'intimo e mi spinsi contro di lui che non mosse il palmo, lo fermò davanti alla mia fessura, il calore che emanava la sua pelle mi fece perdere la testa. Mi strofinai con impeto, contro di lui, che sogghignò appena.
«Ho visto tuo padre questa sera.»
Le sue parole sfumarono nella mia mente, d'un tratto mi ritrovai in un labirinto di pensieri torbidi e confusi.
«Ti ha chiesto di me?»
«Sì», rispose colpendomi con uno sguardo lascivo, proprio tra le mie cosce.
Le sue dita si avvicinarono pericolosamente al mio clitoride, che pulsava ogni volta che percepivo il calore della sua mano.
«Cosa... cosa gli hai detto?»
Intensificai il movimento dei fianchi e andai incontro alla sua mano che, seppur ferma, era in grado di trasmettermi sensazioni piacevoli.
«Gli ho detto che non deve più preoccuparsi. Ci sono io, ora, a occuparmi di te.»
Ondeggiai dolcemente e dovetti ingoiare un gemito di frustrazione perchè Archer non aveva alcuna intenzione di alleviare i miei bisogni. Quando però sollevai di poco il peso per provare a fermare quell'agonia, lui assottigliò lo sguardo, invitandomi a tornare sul materasso.
Infiacchita da tutta quella tensione, riportai il peso verso il basso e proprio allora i suoi indice e medio scivolarono subdoli nella mia fessura stretta.
Archer si morse il labbro quando mi riempì fino in fondo.
Ero stata io a muovermi, ma lui sapeva quello che stava facendo, perché arcuò le dita al momento giusto, toccando un punto troppo piacevole.
Mi sentii contrarre, così forte che la pancia fece male, quindi dovetti aggrapparmi alla sua camicia, ma il suo buon profumo non mi dava sollievo, anzi, aumentava solo quel tormento.
«Sabrina...» Le sue labbra lucide si avvicinarono alle mie, trascinandomi ancora nell'illusione di un bacio. «Non sapevo di farti impazzire.»
Non avrei dovuto rispondere a tono, ormai non sarei stata credibile e nemmeno lui sembrava voler continuare quel tira e molla, eppure fu più forte di me.
«Tu non... non mi fai nessun effetto», mentii.
Lo sentii ansimare, mentre con le labbra calde tracciava i confini del mio collo. «Dio, sei così bagnata. Allora perchè sei così bagnata?»
La sua voce, il suo respiro, il suo profumo. Tutto di lui mi inebriò, facendomi dimenticare qualsiasi cosa. Anche la paura che qualcuno mi stesse filmando.
Ora desideravo solo una cosa. Baciarlo. Stavo impazzendo.
«Archer» Iniziai a gemere il suo nome, con le labbra pulsanti e la gambe stanche.
«Stai ancora pensando di vedere quel ragazzo?», gemette eccitato.
No.
«Forse, chissà...»
Fu violento il modo in cui mi contrassi intorno alle sue dita quando passò il pollice caldo sul mio clitoride sensibile. Cominciai a boccheggiare e mi accorsi che il corpo di Archer si era fatto teso quanto il mio. D'istinto sfiorai i bottoni della sua camicia, rubandogli un mugolio sofferto.
«No, non ora».
Archer abbassò il tono di voce, ormai languido, poi mi sollevò di poco il vestito rivelando la mia fessura liscia e bagnata.
«Ti vedrai con quel ragazzo sì o no?», ripetè.
Gemetti quando lui mi sottomise a una dolce minaccia: le sue dita si ammorbidirono, come se fosse in procinto di ritirarle, privandomi di quel gioco lussurioso.
Mimai un cenno di no con la testa.
«Non ho sentito.»
«No, certo che no.»
Gli bastarono quelle parole che iniziò a spingere dentro di me trovando subito il ritmo giusto, ma quando percepii il mio corpo ormai al limite, venni sopraffatta dall'agitazione.
Guardai in giro, c'erano finestre ovunque e per un attimo mi sentii osservata. Il pensiero mi riempì le vene di adrenalina, forse perché sapevo che ero al sicuro, eravamo da soli.
«Ci sono solo io, nessun altro, Sabrina», mormorò dolcemente, tranquillizzandomi.
Poi sua lingua leccò il mio lobo con lussuria.
«Vuoi di più, niña?», ansimò eccitato.
«Sì», pronunciai con gli occhi sulla sagoma spessa della sua erezione, costretta nei pantaloni.
«Non adesso. Devi imparare a essere paziente.»
Un flusso bollente mi travolse perchè Archer cominciò ad affondare le dita in profodità, le spinse un paio di volte e io persi il controllo del mio corpo. Fu un'ondata violenta, implacabile, che voleva mangiarmi viva, quindi presi un lungo respiro e, finalmente, le mie gambe cedettero, trascinandomi nell'oblio, mentre mi abbandonavo alle sue braccia rassicuranti.
Il calore si diffuse in tutto il corpo e mi lasciò addosso una profonda sensazione di pace, tanto da levarmi il respiro e la vista per qualche secondo.
Quando tornai a mettere a fuoco l'ambiente intorno a me, vidi Archer con i capelli scompigliati e la camicia sgualcita: tra quelle pieghe stropicciate potevo riconoscere le impronte delle mie mani impazienti.
Risalii con lo sguardo per guadagnarmi la sua occhiata famelica, mentre si portava le dita alla bocca, inumidendole con una passata di lingua.
Con il respiro ancora impazzito, mi risistemai il vestito, poi alzai lo sguardo e notai qualcosa di cui non mi ero accorta prima.
Archer si stava spogliando.
E niente.... 👼
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A presto 💫