La tranquillità e il divertimento che avevo respirato fino a un'oretta e mezza fa si dissipano nel momento in cui mi sistemo davanti al laptop per controllare le e-mail.
Continuo a fissare il contenuto di un messaggio in particolare, raggelata sul posto. Massaggio le tempie, incredula. Mi dico che è uno scherzo, che non può succedere davvero.
Faccio un respiro profondo e mi allontano dalla scrivania, recupero il cellulare e mando un messaggio a Natalie. Cammino nervosamente per la stanza, la pioggia batte sulla finestra già da un po' e il cielo è grigio e tetro come la sottoscritta.
Che sta succedendo?
Adesso che inizio a essere un filo più lucida, sento il cuore che va a mille.
Ritorno alla scrivania e cerco qualsiasi cosa che possa ricondurmi al minimo indizio, ma niente. È tutto anonimo. C'è solo una gran bella minaccia. Una che non può vedere la luce del sole altrimenti rovinerebbe la carriera di molteplici persone, incluse mio padre. E dopo tutto quello che ha fatto per me... non posso permetterlo.
Soffoco un singhiozzo e chiudo di scatto il laptop.
Un milione e mezzo per il silenzio.
Un milione e mezzo per lasciare sepolto qualcosa che deve restare tale.
Dove li prendo un milione e mezzo di dollari? Non posso chiederli a papà, diventerebbe un segugio e vorrebbe sapere ogni singolo dettaglio e poi sarei costretta a mentirgli. Anche se, quale scusa posso inventare che sia decente abbastanza da domandargli tutti quei soldi? Andiamo.
Non posso nemmeno chiederli a Natalie, una cifra del genere ce la sogniamo in due. È vero, lavoro e con gli anni, non toccando un centesimo, potrei forse arrivare a una cifra così grande, ma in due settimane? No.
Jordan, così come qualsiasi altro membro della squadra è fuori discussione. Scopiamo, fingiamo, ma non siamo nient'altro. E poi, anche a lui, cosa dovrei dire? "Ciao, mi presteresti un milione e mezzo di dollari? Giuro che te li restituisco! Oh, non posso dirti a cosa mi servono ma devi fidarti."
Mi tollera a fatica. Figuriamoci se mi presterebbe tutti quei soldi senza fare domande.
Il punto è che non ce la faccio più. Questo segreto mi corrode da anni e ho giurato che lo avrei portato nella tomba con me, che lo avrei rivelato solo alle persone di cui mi fido ciecamente.
Di Jordan ti fidi, è inutile negarlo. Potresti dirgli la verità.
Scuoto il capo. Siamo tutta una finzione, non posso addossargli una cosa di questo calibro. Se si scoprisse, manderei all'aria contratti su contratti, lo so. La squadra ne risentirebbe moltissimo. E non voglio essere guardata diversamente dalle persone che ho imparato ad apprezzare in questi ultimi tre mesi. L'Australia mi ha fatto bene; ho concluso un libro su cui ero bloccata da mesi, fatto nuove amicizie, ho conosciuto Jordan Baxter, un uomo che, per quanto mi sforzi di ignorarlo, si insinua in ogni mio pensiero e mi fa battere il cuore. Ho persino un cane.
Non voglio tornare a Chicago con la coda tra le gambe, rintanandomi nel mio appartamento e rinunciare al mio mondo. Perché è chiaro che ne risentirebbe anche il mio lavoro. Basta un solo errore sui social. Uno solo e sei condannata alla miseria per anni. Non voglio diventare una di quelle persone che hanno la fedina social sporca. E non perché mi importi di restare immacolata ai loro occhi ma perché amo il mio lavoro e voglio continuare a farlo con serenità.
So cosa accadrebbe se venisse tutto fuori.
Perderei followers. Lettori. Vendite. Supporto.
Perderei supporto. Ed è a quello che tengo più di ogni altra cosa. Per svolgere un lavoro così pubblico, costantemente sotto l'occhio critico di lettori, blog e organizzatori di eventi, un'autrice ha bisogno di essere supportata. Quando ho annunciato di essere entrata nel blocco dello scrittore, i miei lettori non hanno fatto altro che incoraggiarmi a prendermi del tempo, a rilassarmi e scrivere quando ne sentivo il bisogno, senza pressioni. E per mi ha significato tutto. Ma so anche che le persone possono essere tanto comprensive quanto velenose, senza darti possibilità di spiegazione. So che in molti non capirebbero, che troverebbero modi di gettarmi in pasto ai lupi.
Perché, sui social, nessuno dimentica. Tutti trovano il modo di riportare a galla il minimo errore e non se ne esce. Una volta aperto il circolo, è in continua rotazione.
Gira. Gira. Gira. Non si ferma.
E si finisce col soffocare.
Col mollare.
A volte, anche per una stupidaggine, si finisce sottoterra.
So di essere abbastanza forte da non commettere certi atti, però so anche che rimarrei profondamente delusa perché si tratta della mia vita e non di romanzi immaginari.
Il cellulare squilla, così lo afferro subito. «Pronto?»
«Cosa cazzo ho appena visto?!» sibila Natalie. «Dimmi che è uno scherzo.»
Mordo il labbro inferiore, cercando di non piangere. «Non si riesce a trovare niente, è tutto anonimo.»
«Merda, Cali. Cosa... che hai intenzione di fare? Vuoi chiamare la polizia?»
«E aprire di nuovo questo calvario anche qui in Australia? Non se ne parla. È tutto nascosto per un motivo.»
«Ma chi può essere stato? A parte la polizia, me e tuo padre non lo sa nessun'altro.»
«Non lo so...» Un singhiozzo sfugge dal mio controllo. «Ma se venisse fuori mi farebbero a pezzi. Specie adesso che sto con Jordan.»
«Dovresti parlarne con tuo padre e poi tornare a Chicago. Andiamo alla polizia e vediamo cosa fare, loro avranno dei tecnici per queste cose, no? Forse possono fare i loro magheggi e scoprirlo.»
«E se non trovassero niente e il ricattatore lo scoprisse? Se riuscisse a monitorare tutto e facesse uscire la notizia? Ho paura» mormoro, agitata.
«Merda. È un disastro» mormora. «Ascolta, io ho qualcosa da parte. Non è molto, ma se posso aiutarti anche in minima parte—»
«No.» La interrompo all'istante. «Devo sbrigarmela da sola. Parlo con papà. Volevo tenerlo fuori ma è impossibile non farlo. Vediamo cosa mi dice, poi ti faccio sapere.»
«Cali, al momento sei agitatissima ed è comprensibile ma andare dalla polizia è la cosa più giusta da fare. Sono certa che loro sapranno come muoversi e ridurranno al minimo il danno se dovesse accadere la cosa. Dopotutto, chi vorrebbe una squadra australiana e un intero fandom contro? Risolvere il problema è nel loro interesse.»
Annuisco piano. «Hai ragione. È che mi sento... mi sento...»
«Messa con le spalle al muro. In trappola. Lo capisco» dice, comprensiva. «Lo dirai a Jordan? Non lo chiedo perché voglio metterti ancora più ansia, ma perché si tratta di roba grossa.»
«Non posso dirglielo. Non ancora. È...» Passo una mano sul viso. «Jordan deve restarne fuori.»
«Da cosa devo restare fuori, Calista?»
Sobbalzo, voltandomi di scatto in direzione della porta, adesso aperta. Talmente in ansia, non mi sono accorta di niente. Jordan mi scruta minaccioso, la fronte corrugata e le braccia conserte.
«Cali?» Mi richiama Natalie, preoccupata.
«Tutto a posto. Devo... devo andare.» Attacco ancor prima che Nat possa rispondermi.
Ho gli occhi gonfi, rossi, alcune lacrime sulle guance che non ho asciugato e il volto stravolto. Non ho bisogno di un genio per dire che non ho scampo adesso.
«Ti conviene non inventarti scuse, Calista.» Mi avverte, gelo nel suo tono.
«Non sono costretta a dirti niente, sono affari personali.» Sollevo il mento, nel vano tentativo di dimostrarmi sicura di me. La verità è che vorrei solo crollargli tra le braccia perché la coscienza ha ragione. Tre mesi e mi fido di lui. Anche se non mi parla, anche se ho scoperto da poco il suo passato. Anche se vuole solo portarmi a letto. Mi fido di lui perché sento che dopo tutto ciò che ha passato non aprirebbe mai bocca. Mi fido perché sono certa che non mi esporrebbe mai. Come lo so? Perché lo studio dal primo momento. Ed è fedele. Alla sua famiglia, ai suoi amici, alla squadra.
«Calista.» Muove un passo nella mia direzione, riempiendo la stanza con la sua presenza possente. «Sei in lacrime, sconvolta e mi hai nominato. Voglio sapere cosa cazzo sta succedendo.»
Trattengo a stento le lacrime, sforzandomi di non cedere. Ho la vista appannata, perciò sposto lo sguardo sulla finestra.
«Calista. Devi parlarmi. Non si reagisce in questo modo per una stronzata, quindi parla.» Un altro passo.
«Mia madre» butto fuori, tra le lacrime, sull'orlo di una vera e propria esplosione. Sento la pressione, il panico, l'ansia, lo stress. Mi assalgono. Mi tormentano.
«Tua madre. Okay. Adesso dimmi perché stai piangendo.» Il suo tono è cauto, come se stesse cercando di avvicinarsi a un animale ferito.
Ed è così che mi sento. Ferita. Ferita. Ferita.
Stanca.
Una bomba in procinto di scoppiare.
E quando lui pronuncia ancora una volta il mio nome, come se volesse consolarmi, prendersi il dolore che mi avvolge... scoppio.
«Perché l'ho uccisa, Jordan!» urlo tra le lacrime. «L'ho uccisa.»