❝<<Quando partiamo papi?>> Haruiki aveva le mani ben strette alla ringhiera dello yatch mentre saltellava su e giù entusiasta. Un cappellino di paglia in testa, una canottiera bianca e un jeans chiaro strappato sulle ginocchia. Era quello più emozionato di tutti all'idea di partire finalmente per il Brasile.
Shōyō gli sorrise dolcemente abbassandosi alla sua altezza, gli lasciò un bacio sulla guancia per poi prendere a fargli il solletico sui fianchi. Haruiki rise, e lo stesso fece Shōyō. <<Partiamo presto presto. Devi aspettare solo un poco poco perché il capitano sta controllando che tutto sia apposto prima di partire verso il mare aperto>>
Haruiki si voltò verso il padre sorridendo allegramente e annuendo con diversi cenni della testa. Riportò subito lo sguardo verso il mare, chiedendo al padre perché fosse tutto buio e perché i pesciolini non accendessero la luce; nel mentre Dalai chiacchierava con Pedro su quali fossero le funzionalità della nave, quanto andava veloce e a che ora sarebbero arrivati in Brasile, chiedendogli inoltre come funzionava il fuso orario e se fosse uguale in tutte le Nazioni. Pedro sorrideva rispondendo diligentemente ad ogni quesito del bambino.
Shōyō prese Haruiki in braccio, che nel mentre si teneva il cappello di paglia con una mano per impedire che finisse in acqua. Era nuovo, lo aveva comprato proprio per quell'occasione e non voleva che qualche pesciolino dispettoso se lo mangiasse o glielo portasse via.
Si voltarono entrambi ad osservare Dalai e Pedro parlare e ridere allegramente su un divanetto bianco, poco distante un tavolino che Pedro aveva fatto allestire con tante buonissime caramelle e cioccolata. Shōyō sorrise dolcemente a quella vista perché non aveva mai visto Dalai aprirsi così tanto con "uno sconosciuto."
Haruiki portò entrambe le manine sulle guance del papà, in modo da voltarlo verso di lui. Aveva le sopracciglia aggrottate in un tenero broncio e le guance gonfie come due piccoli palloncini. <<Papi?>> La sua voce era pregna di confusione. Ed era adorabile. Shōyō trovava tutto adorabile in Haruiki, persino i suoi capricci e i suoi colpi di testa che lo facevano temere che un giorno sarebbe diventato un serial killer.
Shōyō gli lasciò un bacio sulla punta del naso sorridendogli allegro. Aveva staccato il cellulare qualche ora prima di salire sullo yacht — aveva fatto salutare ai bambini Tobio e Atsumu, i nonni. Shōyō aveva parlato con i suoi genitori promettendogli che li avrebbe avvertiti appena arrivato a Rio. Era calmo, niente avrebbe potuto interrompere quella tranquillità in cui si era rifugiato. <<Che c'è, squaletto? Cosa ti turba? Non sei più felice di partire per vedere gli squali?>>
<<Perché ci sono papà Tsumu e Tobi Tobi lì?>>
Shōyō inarcò un sopracciglio. Seguì la direzione che stava puntando Haruiki. Sì, quelli erano proprio Atsumu e Tobio. Atsumu e Tobio che stavano scendendo dalla macchina sgangherata di Kageyama. C'era anche Tsukishima, che ruotò gli occhi al cielo quando Atsumu e Tobio iniziarono a litigare su chissà che cosa.
Shōyō era confuso. Abbastanza confuso. Molto confuso. Anche Dalai e Pedro erano confusi, tanto da smettere di chiacchierare, alzarsi e avvicinarsi a Shōyō chiedendo che cosa ci facessero quei tre lì. Shōyō non lo sapeva e non avrebbe voluto saperlo, voleva solo partire per Rio e sorseggiare pinã colada senza pensare ai problemi della vita.
Mise giù il bambino e si avvicinò alla transenna, sporgendosi leggermente con il busto al di fuori e tendendo l'orecchio. Stava cercando di capire che cosa mai Atsumu e Tobio stessero cercando di dirgli, muovendo le braccia in quel modo e urlando. Haruiki dietro il padre saltellava su e giù muovendo entrambe le braccia a mo' di saluto.
<<COSA? NON RIESCO A CAPIRVI. NE RIPARLIAMO QUANDO TORNO DA RIO, SONO SOLO DUE SETTIMANE, OKAY?>>
Atsumu scosse la testa, le braccia, le mani in negazione.
Tobio continuava ancora ad urlargli, ma Shōyō ancora continuava a non capire che cosa gli stesse urlando.
Lo yatch non era ancora salpato, ma aveva lasciato il porto spostandosi di una ventina di metri; il capitano aveva fatto ciò, sia per controllare meglio i funzionamenti della nave che per permettere ai passeggeri di fare un tuffo in mare nell'attesa di partire.
Quindi, erano lontani. E ciò giustifica Shōyō dal non capire una beata mazza di quello che l'ex-marito gli stava urlando.
Shōyō si spostò verso lo sportello aperto dello yatch, che Pedro aveva aperto cercando di convincere i bambini a fare un tuffo prima di partire. Ma che sia Dalai che Haruiki avevano rifiutato. Si sporse verso l'esterno, sopracciglio inarcato e orecchio teso a capire che cosa stesse dicendo. Ma anche in quel caso nulla. Zero assoluto.
Haruiki ruotò gli occhi al cielo, perché doveva pensare sempre a tutto lui? Si avvicinò al padre spingendolo verso il mare. Tobio si sbatté una mano in pieno viso, si tolse la giacca in pelle nera che aveva deciso di indossare quel giorno, le scarpe da ginnastica e si gettò in acqua nuotando verso l'idiota.
Shōyō era bravo a nuotare, molto bravo. Ma era talassofobico, quindi i mare aperto tendeva a farsi prendere dal panico perché non sapeva che cosa potesse esserci al di sotto, se qualcosa avesse potuto trascinarlo e non farlo più tornare in superficie.
Tobio si avvicinò prendendo un grosso respiro. Shōyō era diventato pallido mentre si guardava attorno, mentre cercava di capire che cosa potesse esserci sotto quell'acqua scura. <<Ehi, sono arrivato. Ci sono io adesso>>
Shōyō si aggrappò istintivamente all'ex-marito; le braccia legate attorno al collo, i loro nasi, le loro bocche, i loro corpi troppo troppo vicini. Shōyō prese un respiro profondo, ansimava a causa dell'ansia che stava uscendo dal suo corpo, alzò lo sguardo verso lo yatch, aggrottò le sopracciglia e puntò un dito verso il minore dei suoi figli. <<Haruiki, giuro su tutti gli dèi di questo mondo, che appena esco da qui tu sarai in punizione per il prossimo mese e mezzo. Vedrai la luce del sole a trent'anni, te lo giuro — qualcosa gli sfiorò la gamba, forse la pinna di un pesciolino. Shōyō impallidì di colpo, urlò e si fece più vicino a Tobio affondando il viso nell'incavo del suo collo. — Che cazzo era? Che cazzo era quel coso?>>
Tobio inarcò un sopracciglio, nel mentre che lo stringeva maggiormente contro il suo corpo arpionando le braccia attorno alla sua vita sottile. <<Un pesce?>>
<<Che cazzo vuol dire che ci sono i pesci?>>
<<È un mare, Shou. Dove cazzo vorresti che ci fossero i pesci? È il loro habitat naturale questo e tu lo stai decisamente inquinando con la tua presenza. Guarda che se si incazzano è finita, eh!>>
<<Zitto, zitto, zitto>> Si strinse ancora di più a lui, per quanto potesse riuscirci. Il viso ancora infilato nell'incavo del collo, gli occhi chiusi e le gambe incrociate attorno all'inguine di Tobio, che di certo non disprezzava quella situazione.
Tobio gli sorrise dolcemente lasciandogli un bacio sulla testa. <<Va tutto bene, non ti lascio andare>>
<<Promesso promesso?>>
<<Promesso promesso>>
• • • x •
Shōyō si stava asciugando i capelli con un asciugamano bianco, nel mentre che fulminava Atsumu, Tobio e Kei con lo sguardo. Avrebbe voluto incenerirli, ammazzarli sul posto per avergli rovinato la vacanza... prima ancora che questa, effettivamente, iniziasse. Ma che cazzo volevano? Lui ormai non lavorava più nel branco, tutte le loro problematiche politiche non erano affare suo. Non più, perlomeno. <<Perché siete qui? Volevate farmi fuori utilizzando mio figlio?>>
Kei scrollò una spalla. <<Non sarebbe stato male, in effetti>>
Tobio scacciò quel commento con una mano, ruotò gli occhi al cielo riportando l'attenzione su Shōyō. Shōyō che lo stava già osservando, gli occhi luminosi e uno sguardo attento, curioso. <<Siamo qui perché Atsumu ha scoperto una falla all'interno del conteggio dei voti dell'elezione. La falla è un sabotaggio. Hirohito ha manipolato i risultati delle elezioni per fare in modo che a vincere fosse Atsumu, e non tu. È arrabbiato con te perchè... aspetta, un fottuto momento, perché cazzo non mi hai mai detto che quel porco ci ha provato con te? Perché cazzo non mi hai mai detto che ti aveva chiesto di sposarti?>>
Shōyō inarcò un sopracciglio. <<Perché non me l'hai mai chiesto, ecco perché non te l'ho mai detto — scrollò una spalla indifferente per poi spostare l'attenzione su Atsumu. A Tobio quell'indifferenza fece male, molto male, tremendamente male. — Gliel'hai detto? Che saresti venuto qui da me a dirmelo, intendo>>
<<No, gli ho fatto credere che avrei chiamato Tobio e che saremmo venuti qui a prendere i bambini. Che ero d'accordo con lui, che ti avrei portato via i bambini e ti avrei rovinato sia a livello professionale che a livello personale. Lui ci ha creduto e->>
Shōyō sorrise alzando un angolo della bocca, schioccò la lingua contro il palato battendo le mani e alzandosi dal divanetto bianco su cui si era seduto. <<Faglielo credere, allora. Portate i bambini con voi e parlate male di me. Ho avuto un'idea geniale per affossarlo una volta per tutte>>
A Tobio fece paura quella determinazione.
Ma allo stesso tempo la trovò anche sexy.
Tremendamente sexy.❞