La donna in abiti cremisi strinse le palpebre contro il vento impetuoso. Cavalcava un destriero nero dalle ali di pipistrello, animale che veniva fornito a tutti i Nullificatori. Era un mezzo di trasporto rapido e affidabile; si chiamavano hazjy: erano grandi come un cavallo da corsa, ma con le zampe più lunghe e sottili e avevano un manto completamente nero, su cui spiccavano tre occhi color indaco. Erano capaci di volare a velocità incredibili e coprire grandi distanze in poco tempo: l'ideale, quando i Nullificatori venivano convocati dalla loro base segreta in città dall'altra parte del regno.
La Nullificatrice tirò le redini, trasmettendo all'animale magico l'ordine di scendere di quota. L'hazjy ubbidì; galoppando come fosse sul terreno, discese lentamente dal cielo e i suoi zoccoli produssero un tonfo ovattato, quando atterrarono in un campo incolto. S'inoltrò con sicurezza in una foresta di alte conifere scure, battendo una strada che conosceva a memoria. Zigzagò fra i tronchi dalle cortecce frastagliate e saltò i fitti arbusti del sottobosco, producendo a malapena qualche scricchiolio. Rallentò solo quando si avvicinò alla parete scoscesa di una bassa montagna. S'inerpicò sulla protuberanza di spuntoni rocciosi che ricordavano denti grigiastri, li aggirò con grazia e si infilò in una spelonca seminascosta.
La flebile luce del sole proiettava la sagoma tremolante di cavallo e cavaliere che si addentravano nella gola di roccia e tenebra, scendendo con una notevole pendenza nelle viscere della terra. Sembrò passare un'eternità prima che un altro fascio di luce squarciasse il nero del passaggio.
La donna sorrise appena sbucò fuori dalla grotta. Un senso di pace arrivò a riempirle il petto, come ogni volta in cui tornava a casa. Sbattendo le palpebre per abituare lo sguardo, si prese un attimo per contemplare la sua città dall'alto.
Hàl'Orh era sempre bellissima.
Una città sotterranea, una metropoli a giudicare dalla grandezza, era stata fondata dall'ordine religioso che aveva per primo creato i Nullificatori. Poco o nulla si conosceva su di esso. Lei stessa sapeva solo che era stato un gruppo di monaci (gli unici con tempo libero in abbondanza e nessuna preoccupazione di come mettere insieme il pranzo con la cena, come avrebbe detto il suo ex maestro) a ricercare un modo per fermare i Warlock che spadroneggiavano da anni sulla terra. L'ordine, tuttavia, era stato perseguitato e, per quel motivo, costretto a nascondersi.
Ormai erano passati più di seicento anni e quel rifugio improvvisato nel sottosuolo, creato da un manipolo di religiosi impauriti, si era evoluto in una vera e propria città, gestita da un'organizzazione, che proteggeva gli innocenti e dava ospitalità a creature d'ogni sorta.
La donna fece scendere l'hazjy lungo lo scosceso sentiero che fiancheggiava la rupe d'accesso. Sollevò lo sguardo sull'immenso soffitto della grotta: ricordava un cielo notturno, ma quelle che brillavano come stelle erano stalattiti di opale. La luce non mancava, grazie alle piccole foss. La donna incontrò due hazjy che venivano in senso contrario. Sorrise ai loro cavalieri, che ricambiarono, tutti portandosi una mano alla larga tesa del cappello rosso, com'era usanza tra Nullificatori.
Giunse infine ai piedi dell'alta rupe. Spronò l'hazjy attraverso le strade affollate, evitando un gruppo di ragazzini che ridacchiavano, passandole accanto di corsa. Li seguì con lo sguardo, notando le caratteristiche inusuali che sfoggiavano: chi una coda di bue e chi una di leone, chi degli zoccoli caprini e chi un paio d'ali bianche, chi le corna di ariete e chi le orecchie da gatto. Un senso d'appartenenza e di compiacimento la avvolse: era felice che Hàl'Orh non chiudesse i battenti a chi era diverso. Quei ragazzini non avrebbero potuto giocare allegri in superficie, dato che molte città aborrivano chi non era umano.
Man mano che la donna si addentrava tra le strade polverose di Hàl'Orh, circondate da imponenti muri giallastri, vide Stregoni e Wiccan parlare fra loro; uno stormo di fate alte venti centimetri svolazzava sopra le loro teste e faceva sbocciare splendidi fiori sui davanzali altrimenti spogli. Quando sbucò sulla piazza principale della città, salutò le sirene che le ammiccavano dalla fontana. Si accigliò nervosa quando dette una fugace occhiata al palazzo della Comune: un edificio austero e imponente, come lo erano i Nullificatori.
Alto tre piani, con la facciata adornata da file e file di finestre gotiche, contornate d'oro, che poco contrastava con l'intonaco color sabbia. Una meridiana sedeva al centro, proprio sopra al timpano che schermava l'entrata. Al suo interno, dopo aver sceso innumerevoli gradini, dentro una stanza che si raggiungeva solo se si riceveva il permesso, c'erano le vasche dei Seyfhedd. Erano quattro creature simili a grandi gattucci, immersi in vasche di acqua rossa come il sangue, capaci di percepire l'aura dei Warlock e darne la posizione su una grande carta geografica collegata agli acquari da radici magiche. Era tuttavia raro che i Nullificatori entrassero in quella stanza. Lei stessa c'era stata poche volte; e ne era riconoscente. Non importava quanti orrori avesse visto: quella stanza, quelle creature acquatiche la riempivano di inquietudine più delle missioni che doveva svolgere. Per fortuna, gli incarichi le arrivavano attraverso i monaci.
Scacciando i brividi, lasciò la piazza e s'inoltrò in una stretta via laterale. Svoltò a sinistra due volte, cercando di non notare il miscuglio di forti odori speziati delle bancarelle del mercato. Giunse in una viuzza poco trafficata e smontò. Legò l'animale all'apposita sbarra di legno posta accanto al locale e vi entrò, scostando la tenda che ne copriva l'ingresso. L'insegna sopra di essa diceva: "I sogni di Hàl'Orh". La donna scese una scaletta buia e raggiunse una porta di vetri colorati.
La prima cosa che l'accolse quando entrò fu la musica. Era alta e avvolgente, quanto la cappa di calore dentro il seppur ampio locale. L'aria era pesante e densa di fumo e sudore, per non parlare dell'odore acre e speziato delle bevande alcoliche e di chissà che altro. C'era un bancone alla sua destra, con gruppi di uomini, donne e creature varie in piedi per ordinare da bere. A sinistra, lo spazio prima di una porta che dava sui separé, era occupato dai tavoli e da un palco sul quale suonava un'orchestrina di musicisti già brilli. Stando attenta a non scivolare sul pavimento lucido e appiccicoso per l'alcol (e sperò nient'altro), si fermò a debita distanza, cercando d'attirare l'attenzione del suo collega che stava dando spettacolo.
Sigma cantava a squarciagola con tre ragazzi mezzi nudi, mentre gli avventori ridevano e lo incalzavano, intonando quella canzoncina sconcia. La donna incrociò le braccia sul petto e si riservò un attimo per ammirare il corpo aitante del suo collega, avvolto solo in un paio di pantaloni neri.
Tutto era perfetto in lui (come in qualunque Nullificatore), così perfetto da sembrare finto. La pelle liscia, i muscoli scolpiti, ogni parte era fatta apposta per sedurre o esasperata al massimo per uccidere. I loro corpi erano un connubio eccezionale tra prestanza e fascino. Perciò non si stupì che i tre ragazzi sul palco non riuscissero a togliergli le mani di dosso. Anche se la voce sembrava quella di un maiale sgozzato, le mosse di danza erano languide e a ritmo con la musica, rendendo trascurabile la cacofonia che usciva dalla sua bocca.
Mentre due dei ragazzi facevano scivolare le mani cosparse di oli profumati sul petto e sulla schiena di Sigma, il terzo si staccò da loro e raggiunse il bordo del palco. Si fece passare una bottiglia di Dyospro, un liquore molto forte e fruttato, da uno degli avventori, che ricompensò con un bacio sulla guancia. La portò subito a Sigma che, senza interrompere il suo cantare sguaiato, stappò la bottiglia col pollice e bevve un sorso generoso. Restituì il fiasco e afferrò il giovane, tirandolo a sé. Stampò la bocca sulla sua, dai cui lati uscirono piccoli rivoli del liquore ambrato. Il pubblico esplose in un'ovazione entusiasta. Sigma si staccò dal ragazzo che lo guardava incantato e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Dette un bacio a ciascuno degli altri due che ancora cantavano e scese dal palco con un'ulteriore prova di agilità lasciva.
Facendosi largo tra i tavoli e i clienti in piedi, che non risparmiarono una carezza al suo addome scolpito o alle sue terga, raggiunse la porta dei separé. Incrociò lo sguardo della Nullificatrice, come se avesse sempre saputo che lei era là a guardarlo, e sparì oltre la soglia. La donna lo seguì, infilandosi in uno dei piccoli salottini in cui avrebbero potuto parlare senza orecchie indiscrete attorno. Gemiti e ansimi uscivano dagli altri cubicoli disposti lungo il corridoio, ma lei li ignorò.
Sigma si sedette al tavolo della piccola camera addobbata da cristalli tintinnanti e luce soffusa. Afferrò un sigaro già acceso dal piattino, accanto a una bottiglia di Dyospro mezza vuota e incrociò i piedi sul tavolino. Inspirò una generosa boccata dal sigaro, la cui punta brillò di rosso. Allontanò le dita dal viso ed espirò il fumo, proprio mentre un paio di mani - che lui ben conosceva - gli afferrarono le spalle.
«Dovresti curarti questi buchi, Sigmuccio:» disse la donna, massaggiando la pelle tonica e scolpita, «hai delle belle spalle, sarebbe un peccato rovinarle.»
«Più tardi.» borbottò Sigma, ignorando l'orrendo nomignolo che lei gli aveva affibbiato.
Si aspettò che la collega lo lasciasse, ma le sue dita scivolarono lungo le clavicole, toccando le ferite che gli aprivano la pelle. Sigma strinse i denti; non aveva avvertito dolore, solo un lieve disagio. Sperò che le fosse sufficiente, ma le mani della donna accarezzarono per un secondo l'unica cicatrice che non sarebbe mai guarita: una stella a quattro punte, proprio al centro del petto, sopra al cuore. Poi si ritirarono sul collo in un moto lento e sensuale.
«Hai rischiato grosso, eh?» commentò, strascicando i polpastrelli sulle linee rosse che aprivano la carne dell'uomo.
Sigma sbuffò seccato e si protese per scaricare la cenere nel piattino, costringendola così a lasciarlo.
«Notte proficua la tua!» fischiò la donna, cambiando argomento e accennando alle sette gemme nere screziate di verde che Sigma aveva posato sul tavolo.
«Sotto più di un aspetto.» le strizzò un occhio.
La Nullificatrice rise, accomodandosi sulla sedia davanti a lui. Sigma la squadrò, inspirando una nuova boccata di fumo. Indossava un corpetto che esaltava sia le spalle larghe che il generoso décolleté e pantaloni aderenti in pelle sotto al cappotto rosso e al cappello che inclinò all'indietro con un pollice. Sulla corona del suo copricapo c'era una grossa E, che rifletteva di tanto in tanto le luci soffuse della stanzetta. I suoi capelli lunghi, dello stesso color ruggine che possedevano tutti i Nullificatori, erano divisi in treccine sottili, mentre la pelle era scura e liscia, il viso truccato e le unghie smaltate. Incrociò una gamba sul ginocchio dell'altra e si sistemò meglio sulla seggiola.
«Non le hai ancora portate al Mastro della Comune?» inquisì.
«C'è coda.» concluse in fretta Sigma.
La donna annuì, benché sospettasse che non fosse tutta la verità. Oltre a eliminare i Warlock, i Nullificatori avevano il compito di consegnare le pietre così ricavate ai Wiccan che lavoravano nella Comune di Hàl'Orh. Il più importante di tutti era il Mastro, da cui gli altri prendevano ordini. Ogni Nullificatore, se lo desiderava, poteva prendere con sé un proprio Wiccan personale, che si occupasse di guarire eventuali ferite e di preparare una pozione per loro fondamentale, denominata Elisir.
Non aveva un buon sapore, ma ovviava ad alcuni problemi cui la loro condizione di Nullificatori li esponeva. E, sebbene fosse indispensabile assumerne una fiala in un determinato lasso temporale, alcuni Nullificatori - come Sigma - erano riluttanti a berla.
«Sai, se avessi un tuo Wiccan, a quest'ora avrebbe già guarito quel bel fisico che ti ritrovi e preparato Elisir per i prossimi tre anni!» esclamò lei.
«Non ho fretta.» la informò Sigma adamantino, mentre faceva cadere la cenere nel piattino.
La donna alzò le mani in segno di resa. Dopotutto, neanche lei aveva ancora un Wiccan personale e non era giusto che facesse la paternale al suo amico. Anche perché era una scelta delicata. Tra i due doveva instaurarsi un rapporto di reciproca fiducia e cieca fedeltà. Non tutti i Nullificatori erano pronti a prendere quella decisione, che li avrebbe messi a nudo davanti a un completo estraneo, non senza prima conoscerlo meglio. Ma la conoscenza richiedeva tempo e Nullificatori come loro non ne avevano. Perciò usufruivano del Mastro della Comune (che, purtroppo, era spesso oberato).
«A cosa devo l'onore, Epsilon?» chiese Sigma, «Credevo fossi in missione a Jolì.»
«Sai come voglio essere chiamata.» disse la donna, afferrando la bottiglia di Dyospro accanto al cappello di Sigma. Bevve a canna senza fare complimenti.
Sigma fece una smorfia esasperata.
Per un attimo, si sentì in dovere di aprire un dibattito sull'uso di nomi, che non fossero quelli assegnati dopo il rito che li aveva resi Nullificatori, ma si trattenne. I nomi che si erano ricevuti alla nascita erano il retaggio di una vita passata che i Nullificatori avevano deciso di abbandonare. Designavano un'esistenza che ormai non c'era più. Un nome umanizzava, identificava e stabiliva un legame affettivo tra due individui. Ma un Nullificatore era tutto fuorché umano. Per questo, in molti sceglievano di non divulgare il nome della loro vecchia vita.
Quando un Nullificatore veniva ufficialmente riconosciuto con una delle ventiquattro lettere della Lingua Antica, aveva due scelte: farsi chiamare solo con essa, o continuare a tenere anche il nome legato a un'esistenza che non gli apparteneva più. Non erano in molti a scegliere questa seconda opzione. Epsilon non era a conoscenza del nome con cui Sigma era venuto al mondo, nonostante i due si considerassero amici. Anche i loro maestri erano di quel parere, ma la donna ci teneva a non essere chiamata con una lettera.
Sigma era ancora a disagio nell'onorare quella richiesta; era come se, nonostante fossero amici, colleghi che avevano condiviso esperienze e opinioni, lui non si sentisse degno di chiamarla in quel modo, poiché non aveva fatto nulla per avere il diritto di essere così intimo con lei. Tuttavia, Epsilon lo aveva più volte supplicato di usare il nome che aveva scelto, perciò, sebbene riluttante, Sigma l'accontentò.
«A cosa devo l'onore della tua presenza... Regina?»
Regina sorrise soddisfatta, poi posò la bottiglia e incrociò le gambe sul tavolino. «Ritorno adesso dalla missione a Jolì.»
Sigma occhieggiò con rimprovero le suole dei suoi stivali, ma disse: «Celebri un successo?»
La donna si morse il labbro e ammise riluttante: «Non proprio.»
L'uomo inarcò un sopracciglio. «Che vuoi dire? Hai nullificato quel Warlock, o no?»
«Certo che l'ho nullificato!» sbuffò indignata, «Non sarò la migliore come te, ma sono capace di fare il mio lavoro!»
Sigma ridacchiò, facendo cadere la cenere nel piatto con un gesto secco.
«Sai, di solito, se qualcuno mi fa dei complimenti, è perché prima l'ho pagato.» mormorò, poi aggiunse, facendole l'occhiolino: «E perché sono stato bravo a letto.»
La faccia di Regina crollò in un'espressione del tutto seccata.
Sigma afferrò la bottiglia che lei aveva rimesso sul tavolo e bevve. Si asciugò la bocca col dorso della mano e le chiese: «Allora, se non festeggi, perché sei qui?»
«Sicuro di non essere troppo impegnato a deflorare giovanotti innocenti per ascoltarmi?» fece lei in tono petulante.
Sigma roteò gli occhi, posando la bottiglia e riprendendo il sigaro. «Se lo fossi, non starei qui con te.»
«Hai già un nuovo incarico?»
«Tutto 'sto giro di parole per chiedermi questo?» tossicchiò sorpreso.
«Allora, ce l'hai o no?» domandò lei impaziente.
«No. Credi che starei qui a spassarmela, altrimenti?» gesticolò frustrato con il sigaro.
«Ne vorresti uno?»
Sigma si bloccò. Studiò con molta attenzione la sua faccia come se volesse leggerle nel pensiero e capire cosa volesse davvero. Con cautela, replicò: «Che io sappia, i Seyfhedd non hanno fiutato nuove piste. Mi sbaglio forse?»
«Sì e no.»
L'uomo sollevò le sopracciglia intrigato. Regina si guardò attorno sospettosa, come se si aspettasse di essere ascoltata. Ma erano soli. Si sporse verso di lui e abbassò la voce comunque.
«Torno ora da Jolì. Ho nullificato il Warlock che ho trovato senza problemi, ma temo fosse perché era appena stato creato.»
«Oh, non sottovalutarti così: non sei la migliore, ma sei brava anche tu.» la interruppe Sigma con un sorrisetto sornione.
Regina sembrava sul punto di rispondergli male, ma fece un respiro profondo e proseguì. «Poco prima che ripartissi, in una delle torri di segnalazione di Jolì è arrivata una soffiata anonima.»
«Sai che novità!» sbuffò l'altro, «Ho perso il conto di quante persone denunciano il vicino come Warlock solo perché si scopa la moglie! Cosa ti fa pensare che questa sia degna di nota?»
«La sua provenienza.» ribatté la donna, «E alcune ricerche che ho fatto.»
Sigma tirò giù i piedi dal tavolo e si sistemò meglio sulla sedia; poi posò gli avambracci sulla superficie di legno sbeccato e si sporse, dandole tutta la sua attenzione.
«Cinque anni or sono, i Seyfhedd hanno percepito una presenza a Ovest, vicino a Jolì.» cominciò Regina, «Hanno mandato Eta a investigare: ha trovato due Warlock, ma è riuscita a nullificare solo quello appena trasformato. L'altro è fuggito.»
«Eta è riuscita a identificarlo?» domandò Sigma, togliendosi il sigaro dalla bocca.
«No.» replicò la donna, tuttavia aveva avuto una lieve esitazione.
«È un fatto successo cinque anni or sono:» riprese Sigma, che non aveva notato la piccola pausa, «che cosa c'entra con la tua soffiata anonima?»
La bocca rossa di Regina ebbe un guizzo, un tremolio che poteva essere di orgoglio o di agitazione.
«Prima che Eta tornasse indietro, si è trattenuta qualche giorno, nella speranza di beccare il Warlock fuggitivo.» proseguì il suo racconto, la voce scevra dalle emozioni che le erano balenate in faccia, «Proprio quando era pronta a partire, ha percepito qualcosa sul confine. È andata a controllare, ma ha perso quasi subito le tracce: ci sono almeno una cinquantina di piccoli villaggi tra Jolì e il Regno di Coyph.»
«E noi, per quanto bravi segugi, non abbiamo la precisione dei Seyfhedd nel localizzare i Warlock.» concluse amaro Sigma.
«Già.» concordò l'altra sconsolata, «Eta ha provato a setacciare i villaggi alla ricerca almeno del Warlock appena trasformato, ma non ha trovato nemmeno quello.»
Sigma si accigliò.
«Un Warlock appena trasformato è giovane, spaesato dalla trasformazione e ancora inesperto: è prono a farsi scoprire e nullificare, perché è raro che celi subito la sua aura.» mormorò, espellendo il fumo del sigaro in fare meditabondo.
«I Warlock, benché non lo diano a vedere, hanno paura d'incorrere in noi, per questo mascherano la loro aura corrotta, facendola passare per quella di un semplice umano. C'è un solo momento in cui non possono farlo: quando stipulano un Patto di Corruzione.»
«Non devi spiegarmi come operano i Warlock: non sono mica un iniziato!» sbottò l'uomo spazientito.
La donna si strinse nelle spalle. «Scusa, ma hai cominciato tu. Pensavo stessimo ripetendo le vecchie lezioni di Alfa ad alta voce.»
Sigma alzò gli occhi al soffitto.
«Stavo facendo una constatazione. Questo Warlock pare tenere alle sue creature, tanto da insegnare ad alcune a nascondersi fin da subito. Non è un giovane impulsivo, ma-»
«Può essere uno degli Antichi.» finì Regina, l'espressione seria e solenne, «La sua traccia lo è: Eta l'ha confermato.»
Sigma perse ogni residuo di giovialità o noia.
Tra le tante abilità straordinarie e terribili dei Seyfhedd c'era quella di distinguere ogni singolo Warlock localizzato, affibbiandogli una traccia univoca, così da poterlo riconoscere nel caso non si fosse riuscito a nullificare. Con "Antichi", invece, i Nullificatori identificavano (in maniera non ufficiale) i Warlock che erano in circolazione da prima che fosse creata la loro organizzazione. Erano quelli da cui guardarsi bene, poiché esperti e molto potenti.
Sigma spostò il peso sulla sedia, perdendo d'un tratto la sicurezza e la spavalderia che l'avevano contraddistinto finora. Prese il sigaro tra indice e pollice e lo roteò piano, studiandolo attentamente. Pareva in lotta con se stesso, gli occhi persi in un ricordo lontano e doloroso.
«Quindi è un Antico, però è uno di quelli di cui non conosciamo l'identità.» ponderò, come se stesse parlando più a se stesso che con la compagna. Infatti, teneva lo sguardo sul sigaro, tanto che non notò le spalle di Regina farsi più tese.
«Esatto.» confermò la donna in fare temporeggiante, «E la cosa peggiore è che, nel corso degli ultimi cinque anni, abbiamo percepito la sua traccia in diverse città, molto distanti fra loro. Prima a Xanoja, poi a Jolì, poi a Presshass, poi di nuovo a Jolì.»
«Per caso è stato anche ad Av'her?» sussurrò Sigma, ma la sua voce era molto bassa, tanto che non si stupì quando Regina non gli rispose.
Ciò che non poteva immaginare era che la donna l'aveva sentito benissimo, ma aveva scelto di ignorarlo.
«Ci fa girare a vuoto e continua a creare nuovi Warlock. Presto non riusciremo più a stargli dietro.» concluse urgente.
Sigma spostò l'attenzione dal sigaro alla sua interlocutrice. La scrutò a fondo, cercando di nuovo di leggerle la mente. Regina si lasciò fissare in quel modo snervante che avrebbe messo in soggezione chiunque senza mostrare alcun tipo di disagio. Lei e Sigma si conoscevano da quando erano diventati Nullificatori e, benché lo avrebbero negato entrambi, erano quasi sempre in sintonia. Le poche volte in cui avevano lavorato insieme erano stati efficienti e precisi, una macchina da guerra ben oliata che aveva portato a compimento la missione. C'era poco che potevano nascondere l'uno all'altra. Perciò, adesso che Sigma le dava la sua completa attenzione, si accorse di quanto fosse nervosa, come se gli stesse nascondendo qualcosa.
Il Nullificatore assottigliò gli occhi, gettò cenere nel piattino e si infilò il sigaro in bocca. La stecca di tabacco ballonzolò su e giù quando l'uomo riprese.
«Tu, però, l'hai trovato.» un'affermazione, non una domanda, «E vuoi il mio aiuto per nullificarlo.»
L'angolo della bocca di Regina guizzò, ma se per formare un ghigno orgoglioso o una smorfia intristita Sigma non seppe dirlo.
«Mi hai letto nel pensiero!» commentò, armeggiando con la bisaccia a tracolla per posarla sul tavolo, «Io e Gamma ci siamo fatti un'idea. Ma solo un'idea.» lo mise in guardia, mentre frugò dentro la borsa, tirandone fuori un foglio, «Dopo che ho ricevuto la soffiata anonima, che, come ti ho detto, viene dal confine Ovest, mi sono ricordata della missione di Eta e ne ho parlato a Gamma. Lui era ancora qui e si è offerto di andare a controllare in archivio. Ha trovato subito la traccia di questo Warlock e ne ha seguito a ritroso il percorso fino al primo avvistamento.» raccontò, «Analizzando i rapporti di missioni passate, io e Gamma abbiamo stabilito che siamo riusciti a nullificare tutti i nuovi Warlock creati da questo Antico. Tutti, tranne uno.»
Sigma si tolse il sigaro di bocca. «Quello sul confine Ovest.»
«Che, guarda caso, è proprio il luogo da cui proviene questa.» terminò, sventolando il foglio piegato.
«Questo però non prova che sia ancora là.» commentò cauto Sigma, «Potrebbe aver lasciato il villaggio ed essersi dato alla pazza gioia, senza per forza stipulare Patti.»
«Qual è l'unica cosa che vogliono i Warlock?»
«Anime umane.» Sigma si strinse nelle spalle, «I Warlock sono insaziabili per natura. Più un'anima è pura, per esempio, perché di una persona gentile e altruista, e più gli fa gola, perché ne scaturirà un potere immenso alla trasformazione.»
La donna aprì il foglio che aveva tirato fuori dalla borsa e glielo porse. Sigma lo afferrò e gli dette una scorsa veloce.
«Qui dice solo che è stato rinvenuto il cadavere di un certo Jontha Mysbeth. Non sono stati trovati effetti personali sulla vittima e l'assassinio è stato classificato come rapina più omicidio.» sollevò lo sguardo dal foglio a lei, «Non è raro trovare una banda di briganti fuori dai centri abitati che rubano e uccidono. Non bisogna scomodare la Magia ogni volta che qualcuno commette un crimine.» la rimbrottò, posando il foglio sul tavolo.
«Lo so. Ma molti crimini all'apparenza semplici si sono rivelati l'opera di un Warlock o di uno Stregone. Leggi la parte in calce.»
Sbuffando, Sigma riprese la lettera e l'accontentò. «Mm... c'è un segno sospetto dietro al collo della vittima. È comunque troppo poco per mandare qualcuno di noi.»
«Lo so.» ripeté Regina, annuendo riluttante, «Ma, sommato a tutte le ricerche che abbiamo fatto io e Gamma, potrebbe essere una traccia lasciata dal nostro Warlock sfuggente.»
«Anche se presenti il caso ai Seyfhedd, ti diranno la stessa cosa che ti dico io: non basta.»
«Fokve'bindel! Non ti ci voglio mandare in veste ufficiale!» sbottò Regina seccata.
«Aspetta. Vuoi mandare me?» domandò Sigma confuso.
Regina esitò, boccheggiando senza parole. Si spostò nervosa sulla sedia, come se il sedile avesse sviluppato una serie di punte acuminate. Distolse lo sguardo dal compagno, cosa che lo irritò non poco.
«Regina, questa è la tua indagine.» disse piccato, «Tu e Gamma avete fatto le ricerche, tu ti sei fatta il culo per mettere insieme gli indizi: perché vuoi che ci vada io e che mi prenda il merito se hai ragione?»
Ma la donna non replicò. Evitava di guardarlo negli occhi, giocherellando con le dita, come se all'improvviso avesse paura di rispondere. Sigma posò il sigaro nel piatto, si drizzò e la fissò con estremo rimprovero.
«Tiro a indovinare, o mi degni di una risposta?»
La donna sobbalzò, come se si fosse ricordata in quel momento che doveva parlare.
«E... Ecco. Ne ho parlato con Gamma e anche lui è d'accordo.» balbettò.
Sigma si passò una mano tra le ciocche rosso scuro per ricomporsi e liberò uno sbuffo seccato. «E quale sarebbe questa ragione per cui anche il tuo maestro è d'accordo?»
«Perché sospettiamo che quel Warlock... che sia...»
«"Che sia?" Regina, non so leggere nel pensiero, puoi esprimerti-»
«Quello legato a Serin Dalmatz!» esplose infine.
Sigma ammutolì. Si afflosciò sulla sedia, come se fosse stato una marionetta cui qualcuno aveva tagliato i fili. La sua mente corse lontano, contro la sua volontà, a un tempo e un luogo in cui era felice, in cui non c'erano né dolore né sofferenza, in cui una donna bellissima gli sorrideva, lo stringeva fra le braccia e gli cantava una canzone. Mentre Regina riprendeva fiato, lui chiuse gli occhi, cercando di combattere le orribili immagini del suo passato che tornavano prepotenti alla memoria. Vide altro, vide se stesso bambino, piccolo e spaventato, mentre correva, attorniato dal clangore imponente di armature che marciavano, e sentì una voce, atterrita quanto lui, ma che voleva dargli conforto.
"Non aver paura, Coniglietto!", diceva. Lo chiamavano così, quando era piccolo e rideva e saltava nel loro giardino, nascondendosi tra i cespugli e facendoli diventare matti. Lo chiamavano così, quando la sfortuna e la crudeltà non avevano ancora bussato alla loro porta e poteva giocare felice e spensierato, ignaro dell'orribile destino che lo avrebbe stravolto.
Poi sbatté gli occhi e tutto cessò.
«Ne sei sicura?» chiese in non più di un bisbiglio.
Regina si prese un attimo per rispondere, colpita da quanto sembrasse fragile la voce che di solito era profonda e sicura.
«La traccia è quella.» affermò, «È la stessa del Warlock che Eta ha inseguito. Non sono certa che sia ancora là, ma se c'è-»
«Ci vado.»
Regina sobbalzò al tono perentorio che aveva usato adesso. Perciò gli disse cauta: «Senti, Sigma, è solo un'idea. Mi dispia-»
«Cosa devo aspettarmi?» la troncò Sigma, come se non fosse successo nulla.
«La presenza di un Warlock cui dai la caccia da anni. E forse di uno che ha creato.»
«Intendevo dal villaggio.»
«Oh. La chiusura mentale di un villaggio che non dà ospitalità.»
Sigma imprecò sottovoce. Per giungere all'aspetto geopolitico del loro regno attuale, erano state combattute guerre sanguinose più di cinquecento anni prima. Erano servite per unificare sotto un unico territorio umani e creature magiche. Tuttavia, non si era arrivati a una vera e propria pace tra le razze. Era più una tregua, una tolleranza forzata, che si reggeva sul rispetto dell'ordine pubblico dato dalla presenza di vigilanti e Nullificatori che fungevano da deterrente a chiunque volesse usare la Magia per far del male al prossimo. Ciononostante, ai villaggi e alle città era permesso dichiararsi inospitali a chiunque non fosse umano.
«Un bel covo di bigotti, insomma.» Sigma schioccò la lingua.
«Già. Ma non dare ospitalità non significa che non ci siano clandestini mimetizzati tra gli umani.» gli ricordò la donna.
Come i Warlock nascondevano la propria aura ai Nullificatori, così anche le creature magiche potevano mascherare con amuleti o pozioni la propria vera forma agli occhi degli umani.
«Inoltre, c'è una comunità wiccan legittimamente insediata, di cui, fra l'altro, la vittima era il capo.» terminò Regina, poi lo mise in guardia, «Avrai vita dura laggiù.»
«Meno dura della tua, se scoprissero con quale aspetto sei nata.»
Regina sussultò, ma fece del suo meglio per ricomporsi. Annuì solenne, poi si alzò.
«I nostri superiori non ne sanno ancora nulla. Mantieni le cose così, se non dovessi scoprire niente. E tienimi aggiornata.» si raccomandò, avvicinandosi e chinandosi su di lui per dargli un bacio sulla guancia. Sigma mugugnò e si pulì la faccia sulla mano. Lei rise, «Voglio sapere tutto quello che fai laggiù! E, quando dico tutto, intendo tutto.»
Sigma grugnì un assenso, poi incrociò i suoi occhi quando lei gli afferrò la spalla nuda.
«Ciò che troverai laggiù può essere orribile e cambiarti l'esistenza.» lo avvisò in tono dolce e solenne, «Se, in qualsiasi momento, avrai bisogno di me, io ci sarò.»
Sigma tentennò incerto. La bocca ebbe una sorta di spasmo che lei ricondusse a un sorriso, mentre lui le picchiettò imbarazzato la mano con la sua.
«Lo so... Regina.»
Regina sorrise, gli strinse la spalla e fece per scivolare sinuosa verso l'uscita, ma la voce dell'altro la fermò.
«Sai, potevi anche solo dire che mandi me perché sono il migliore.» le lanciò un ghigno sornione.
La donna sbuffò dal naso in fare altezzoso.
«Il tuo ego non ha bisogno d'incentivi!» disse e se ne andò.
Sigma scosse la testa e ridacchiò, tornando a fissare il foglio che gli aveva lasciato. Lo raccolse e prese un'altra generosa boccata dal sigaro.
«Ol'Hallow, eh?»