Due giorni dopo...
Tornai a scuola e come sempre ignorai il vociare delle persone che stavano entrando prima di me.
Volevo ignorare tutti e tornare alla mia invisibilità.
Le ultime parole famose.
«Moccioso, allora sei vivo. Noi due dobbiamo fare quattro chiacchere a quattr'occhi.» Fernand mi prese alla sprovvista e con la sua allegria, mi circondò con un braccio e mi sorrise.
«Eh? Cosa intendi?» Mi guardò circospetto e poi tornò con un sorrisetto stampato in faccia.
«Non fare il finto tonto. Sei sparito nel nulla per giorni amico. Come credi che l'ho preso questo tuo silenzio?» Mi domandò retorico, questa volta con un velo di verità nelle sue parole.
«Non sono stato bene Ferny...» Gli dissi solamente. Tanto aveva capito che non sarei stato di molte parole.
«Non é una scusante Dale. Se con Heidi non volevi parlarci, almeno potevi dire a me quello che stavi passando. Gli amici servono anche a questo, altrimenti ha senso solo che ti faccia ridere?» Mi spalleggiò, scherzando ironicamente.
«Hai ragione. Ma per me é tutto nuovo. Non ho mai avuto degli amici o ...» In quel momento mi mancarono le parole.
Eliane fece il suo ingresso, insieme al suo solito gruppo di fanatici giocatori di basket.
La guardai per qualche minuto, ma lei sembrò non accorgersi minimamente di me. Come sospettavo, si era divertita con me e per l'ennesima volta era tornata nel suo mondo.
«Terra chiama Dale. Moccioso mi spieghi che cos'hai?» Fernand mi dispiace avvicinò al viso e mi guardò indagatore.
«Che cosa?» Mi ero perso nei miei pensieri e non appena fui le sue parole, un velo di rossore si fece largo sulle mie guance.
«Mh, tu non me la racconti giusta.» Sicuramente, aveva capito qualcosa dai suoi occhi verdi che mi guardavano con circospezione.
Tanto valeva che ne parlassi almeno con lui, altrimenti la confusione che avevo in testa mi avrebbe ucciso ancor prima che aprissi bocca.
«E va bene...» Lo trascinai in bagno con me per evitare che qualcuno ci sentisse e feci peggio dei gossip che le ragazze si raccontano tra loro.
Le parole fluirono dalla mia bocca, una dopo l'altra e non seppi quante volte cambiò la sua espressione facciale. Mille stati d'animo in un secondo, decisamente.
«Quindi mi stai dicendo che tu e....» Gli misi una mano sulla bocca.
«Sh! Abbassa la voce.» Gli risposi, mentre qualcuno usciva da uno dei bagni e ci guardava come se fossimo dei gay arrapati.
Non appena sbatté la porta per andarsene, mi venne da pensare che avesse ascoltato tutta la conversazione.
Cazzo.
Una volta soli, gli tolsi la mano dalla bocca e Fernand tornò a respirare l'aria nei polmoni.
«Non farlo mai più, moccioso. Vuoi farmi morire per caso!?» Si mise una mano sul petto teatralmente e poi tornò a sorridere con nonchalance.
«Comunque sei veramente un coglione fattelo dire.» Lo guardai di traverso e ahimè aveva ragione.
«Non puoi rovinare il rapporto che stai creando con Heidi, per quella specie di...» Non so cosa volesse dire, ma sembrò trattenersi prima di finire quello che voleva realmente dirmi.
«Non puoi farti mettere i piedi in testa in questo modo. Prima ti bacia e poi ti seduce...Ne va della tua sanità mentale, parliamoci chiaro. Devi capire cosa vuoi tu e non ricapitare in una situazione del genere mai più. Quello che ti chiedo é prenditi il tuo tempo. Riflettici bene, perché Heidi si merita felicità e tu gliela potresti dare. Dale, ascoltami, sei un bravo ragazzo. Non lasciarti sopraffare dagli eventi. La stessa cosa con tuo padre...» Le parole che diceva avevano senso.
«Se lui é tornato nella tua vita, ci sarà un motivo no. Non lasciare tutto al caso. Credo che voglia riallacciare i rapporti con te e perché no? Meglio tardi che mai, ma se non gli dai una possibilità, lo rimpiangerai per il resto della tua vita. Vedi come va e poi decidi. Lo stesso con Heidi e quell'altra. Se sei confuso la cosa che puoi fare é stare lontano da entrambe e vedere cosa succede.» Continuò con quelle parole, che avevano rapito completamente la mia attenzione. E pensare che a vederlo così riflessivo, non sembrava nemmeno Fern.
«Nella mia testa é tutto un gran casino. Mi ripeto che non devo sbagliare, ma non ci riesco. Sono debole.» Mi buttavo giù sempre e comunque.
«Ei moccioso, non fare così. Ti do una botta in testa per farti rinsavire. Suonerà contradditorio, ma se sei così fuori dal mondo. Puoi provare a prenderti il tuo tempo e capire cosa vuoi davvero.» A quel punto, mi chiesi davvero che cosa volessi nella mia vita.
Fernand mi aveva fatto da psicologo e non lo avrei mai ringraziato abbastanza per avermi ascoltato.
Ormai non era dato per scontato.
Si era così abituati a parlare di sé, che ascoltare era diventato un optional. In quanti lo avrebbero fatto al suo posto?
In che casino si stava cacciando Dale.
Dovevo aiutarlo in qualche modo e l'unica cosa era mettergli in testa che non doveva ferire nessuno. Men che meno se stesso.
Era meglio che riflettesse su quello che voleva realmente.
Che, poi, già avevo capito che tra lui e Heidi li legava una profonda amicizia, ma forse non c'era quel qualcosa in più. D'altro canto sapere che suo padre era rientrato nella sua vita, mi aveva fatto capire che cosa stesse passando.
Poi, come non bastasse, quella pazza bionda e tatuata lo aveva messo ko.
Ora toccava a me.
Dopo quello che gli avevo detto, sperai di aver riacceso qualcosa dentro di lui. Doveva svegliarsi una buona volta e prendere in mano la sua vita.
Pensare che non ero così pensieroso da un bel po' di tempo. Abituato a sorridere sempre a mettere di buon umore la gente. Forse, anche io dovevo ridimensionare il mio status e smettere di fingere di essere un attore nato in una commedia surreale.
Una volta fuori andammo a lezione, riprendendo la corsa verso i nostri posti per la lezione di matematica.
Ci prendevamo a spallate come due bambini e tutto sembrava essere tornato alla normalità. Ne ero felice.
Il moccioso mi era mancato parecchio.
Quella mattina avevo visto Dale rientrare a scuola.
Finalmente, era tornato. Dire che ero entusiasta era limitato, ma avevo anche un magone allo stomaco che mi impediva di andare da lui a chiedergli come stesse.
Vedendolo in compagnia di Fernand, avevo deciso di lasciargli il suo spazio. Forse, lo avevo oppresso con la mia attenzione e aveva bisogno di tempo.
«Guarda chi si rivede, ci incontriamo spesso per i corridoi ultimamente mia bella Heidi.» Quella voce fastidiosa tornò alle mie orecchie. Ci mancava solo lui.
«Hucherson, ancora tu. Non mi sono mica spiegata qualche settimana fa?! Ti ho detto che non devi parlarmi. Devi starmi alla larga e farti la tua vita. O non comprendi quando qualcuno ti dice di no?» Dovetti guardarlo verso l'alto, visto la differenza di altezza che ci distingueva.
Una cosa che lo accomunava a Eliane era il sorriso strafottente.
Il fastidio tornò più forte di prima e incrociai le braccia al petto, evidentemente nervosa.
«Qualcuno si é svegliato storto anche stamattina vedo.» Se la rise e questa sua presa per il culo non era per niente piacevole.
«Che cosa vuoi ancora da me? Non avevamo già discusso la scorsa volta in quello stanzino striminzito.» Gli chiesi ironicamente, alzando gli occhi al cielo. Sbuffai perché avevo ben altro a cui pensare, piuttosto che stare lì a parlare con lui.
«Lo sai benissimo.» Questa volta divenne serio e mi guardò negli occhi molto intensamente.
Li distolsi immediatamente. Non era il caso che qualcuno ci vedesse a scuola parlottare e guardarci, travisando quello che non era.
«Smettila di dire cazzate Hucherson, altrimenti non rispondo di me.» Questa volta sperai vivamente che smettesse si dirmi quelle cose.
Non faceva altro che farmi incazzare ancora di più.
Perché?
Forse non mi era passato del tutto, il modo in cui mi aveva trattato. Pensavo che con lui avrei potuto avere una storia come si deve, ma mi sbagliavo.
«Non sono cazzate. Heidi é la pure verità. Non faccio altro che pensare a te, ogni fottuto giorno. E ti chiedo scusa per l'ennesima volta. Non volevo andasse così, ho sbagliato e sono stato uno stronzo lo so.» Mi stava buttando addosso tutta la sua frustrazione e pretendeva anche che lo stessi ad ascoltare.
«Basta così.» Non volevo più stare a sentire. Mi guardai indietro e la me dello scorso anno avrebbe pagato oro per ascoltare delle parole come quelle.
Mi voltai per andarmene da lì all'istante, ma come settimane prima me lo impedì.
«No aspetta. Mi devi guardare negli occhi mentre lo dici.» Ma era tutto inutile, perché avevo messo su un muro che era difficile da scalfire.
Ora avevo Dale al mio fianco.
Così, gli pestai un piede e scappai via per la prossima lezione mentre dietro sentii la sua voce imprecare per il dolore.
Dopo che dissi quelle parole, scattò qualcosa di allarmante. Non riusciva guardarmi a lungo negli occhi e qualcosa doveva pur significare.
Mi pestò un piede e le mie fottute dita chiesero pietà.
La vidi allontanarsi e avrei voluto corrergli dietro e fermarla. Avrei voluto farle capire che ci tenevo ancora a lei e non sopportavo averla lontana.
Ogni volta che provavo a parlarle seriamente finiva così.
Lei che mi teneva testa e non sopportavo che fosse ancora incazzata con me dopo un anno.
D'altro canto, sapevo che c'era qualcos'altro di fondo per cui mi buttava addosso tutte quelle parole d'ira dal modo in cui reagiva. Forse, le mancava il ricordo di come eravamo prima che tutto andasse a puttane.
Strinsi la mano a pugno per frenare l'incazzatura verso me stesso. Non mi lasciava nemmeno l'opportunità di rimediare e in più le voci che circolavano, dicevano che si stesse frequentando con quel ragazzo tutto fumo e niente arrosto.
Cosa ci trovava in lui?
Ero stato un coglione e ora non sapevo come riconquistarla. Ma un modo lo avrei trovato, poco ma sicuro.
Qualcun altro, ora, me la stava portando via.
Non ci potevo credere.
«Coglione dove seri finito. Dopo ti unisci a me e Bella, alla pausa pranzo?» Colin arrivò in tutto il suo splendore, prendendomi alle spalle.
Non capirò mai perché doveva sempre fare lo sbruffone davanti a tutti, ma almeno con me cercava di esserlo meno perché sapeva con chi aveva a che fare.
«Sì ci sono.» Gli risposi, mettendo le mani nelle tasche per dirigermi alla lezione di filosofia.
«Ma ti ho visto parlare con la tua fiamma prima.» Alzò le sopracciglia, come a voler sottolineare qualcosa che non c'era.
«Non era niente.» Sperai che mi credesse, anche se era tutto il contrario del niente.
Durante la pausa pranzo, cercai con lo sguardo la ragazza che occupava tutti i miei pensieri.
La cercai, ma senza risultati. Non era lì.
Dove poteva essere?
Al suo posto, vidi quello che aveva rubato il suo cuore. O almeno così credevo.
Aveva il fascino del bravo ragazzo, cosa che non mancava nemmeno a me. Però, leggevo come un qualcosa mascherato. Non voleva essere al centro dell'attenzione e questo lo vedevo dal modo in cui cercava di evitare qualsiasi moto nell'atto di mangiare.
Il suo amico, invece, era completamente l'opposto. Sorridente e sempre al centro degli occhi indiscreti. Pieno di sorrisi e di attenzioni per tutti, proprio come Heidi.
Pensare che passassero del tempo insieme, mi fece venire una sensazione sgradevole all'altezza del cuore.
Era Gelosia.
Qualcosa che non avevo sperimentato spesso, dato che ottenevo sempre quello che volevo.
Con lei, invece, era diverso.
Quella ragazza sarebbe stata in grado di fottermi il cervello un giorno o l'altro. Soprattutto, con il suo tenermi lontano che non faceva altro che rafforzare la mia voglia di tenerla vicino a me; la sua bellezza che non era cambiata di una virgola ai miei occhi e avrei voluto baciarla non solo con lo sguardo e con i suoi modi di fare; Anche quelli non erano cambiati. Era rimasta la ragazza buona di sempre e sapere che era rimasta la stessa, anche dopo quello che avevo combinato, mi faceva sperare di potermi riavvicinare a lei in qualche modo.
Alla fine, il detto diceva: la speranza é l'ultima a morire.