Mi chiamo Martina, ho quindici anni e la mia vita venne stravolta quando un anno fa entrò Annabeth Chase in casa mia. Prima, però, vi racconto un po' di me.
Ero appena stata adottata dalla mia quinta famiglia, perché, si, insomma, sono orfana. Mia madre morì quando nacqui io e mio padre se ne andò e mi abbandonò appena seppe della morte di mia madre. O almeno, questo è ciò che mi hanno raccontato all'orfanotrofio. Venni subito adottata da due signori che non potevano avere figli e che avevano già adottato una altro bambino, Alex. Dopo circa un anno, mi venne diagnosticata una grave dislessia e una grande iperattività, tanto che a sei mesi riuscii a rompere le sbarre del lettino e a uscire. Insomma, davo non pochi grattacapi ai miei genitori adottivi. Tanto che quando compii sei anni scappai di casa. Quando mi ritrovarono, dopo tre giorni, i genitori adottivi annullarono l'adozione e l'orfanotrofio mi prese con sé. Mi iscrisse in una scuola pubblica, dove ci misi quattro mesi a farmi buttare fuori. Causa: rinchiusi un mio compagno che mi aveva tagliato i capelli con le forbici nel bagno e, in qualche strano modo, ne uscì completamente bagnato. Durante l'estate, un'altra famiglia mi aveva adottata e, dopo due anni, mi cacciarono di nuovo, poiché ero riuscita a farmi buttare fuori da entrambe le scuole in cui mi avevano iscritta. Venni subito riadottata da una signora che disse che "mi avrebbe fatta rigare dritto". Riuscì a tenermi con lei per ben due anni, poi io le annegai il gatto a cui avevo appena fatto mangiare il canarino e mi riportò all'orfanotrofio. Intanto, non ero riuscita a fare due anni di seguito nemmeno nei due college ai cui mi aveva iscritta. Quella stessa estate ero stata adottata da due giovani che erano certi che l'amore era l'unica soluzione, ma io riuscii ad allagargli la casa utilizzando il tubo dello scarico del water (potete immaginare da soli lo schifo) dopo ben due mesi. L'orfanotrofio mi iscrisse all'ennesima scuola privata e, durante l'anno, mi adottò l'ennesima famiglia. Era ormai l'estate della prima superiore, e devo dire che mi trovavo parecchio bene con questi genitori e feci di tutto per non farli arrabbiare, ma era molto difficile per me.
Era un pomeriggio uggioso a Torino, ma faceva comunque caldo e stavo leggendo un libro. Da quando ho cambiato la prima famiglia, ho capito che la mia vera famiglia era quella dei libri, che potevo sempre portare con me, che mi aiutavano a calmarmi quando ero agitata e mi tenevano compagnia quando all'orfanotrofio non avevo amici. Quel giorno era il turno di Città di cenere. Tutt'a un tratto sentii bussare alla finestra. Spostai la tenda e mi apparve Annabeth Chase davanti, separata da me solo da un vetro. Rimasi un attimo pietrificata, poi aprii e lei mi disse
-Presto, vestiti ed esci!-. Non so perché. Mi fidai. Presi una felpa col cappuccio, infilai le scarpe da ginnastica e urlai a mia madre -Vado a comprare un giornalino!-. Mi scaraventai fuori e me la ritrovai davanti. Annabeth Chase. In carne e ossa. Mi porse la mano. -Ciao, mi chiamo Annabeth. Sono felice che tu mi abbia ascoltata e sia subito venuta qui, ma non abbiamo molto tempo per chiacchierare. L'unica cosa che ti dirò adesso è che sei in pericolo di vita e che ti devo portare...-
Completai io la frase al posto suo -...al Campo Mezzosangue.
Lei mi fissò un attimo. -Come lo sai? Anzi, no. Non lo voglio sapere. Muoviamoci.
Mi prese per mano e iniziò a correre verso la metro. Fece in fretta i biglietti e entrò nella prima cabina disponibile. Ancora con il fiatone, le feci notare -Ma come... io credevo... che foste americani... credevo che il Campo Mezzosangue... fosse a Long Island.
Lei mi rispose -A quanto pare sai molte cose... forse un po' troppe. Immagino che tu abbia letto i libri. Quello che non sai è che Gea causò troppa magia nera e gli dei dovettero spostarsi qui in Italia. Quello che non sapevamo noi, è che gli dei avessero già iniziato a frequentare i mortali italiani, ma non solo. Adesso al Campo ci sono francesi, olandesi, tedeschi, spagnoli. Un po' di tutto insomma.
Quando finì, rimasi zitta per qualche secondo prima di dire -Ma tu sei americana. Come fai a sapere l'italiano?
Lei rimase pensierosa per un po'. -Sai che non ci avevo mai pensato? Quando siamo venuti in Italia per Gea, non riuscivamo a parlare italiano, ma appena ci siamo trasferiti qua... Probabilmente è stato un dono degli dei. Anche i nuovi arrivati ci mettono una o due settimane a imparare la nuova lingua.
-Annabeth?- la chiamai.
-Sì?
-Poi mi fai un autografo?
Lei scoppiò a ridere.
-Guarda che dico sul serio! Sei uno dei miei idoli. Lo chiederò anche a Percy. E a Piper. E a Jason. E a Hazel, a Frank, a Leo, a Clarisse, a Tyson, a Chirone...
Ma lei era impallidita. -Marty... non lo sai? Leo è morto.
-Ma no! Non si è più fatto vedere, ma è vivo. Dopo essere morto, Festus gli ha iniettato il siero per farlo rinascere ed è andato a cercare Calypso. L'ha anche trovata.
-Okay. Ne riparleremo. Adesso dobbiamo scendere e prendere un treno.
Mi agguantò di nuovo per una mano e mi fece correre fino alla stazione del treno. Per fortuna aveva già i biglietti pronti, così salimmo direttamente sul treno in seconda classe.
-Allora...- iniziai. -Da cosa stiamo scappando?
-Prima un'idra mi veniva dietro, ma l'ho seminata prendendo Blackjak... tu mi sembri potente, quindi è meglio se ci muoviamo e non ci facciamo intercettare da nessun mostro.
-Okay. Dove siamo dirette?
-Questo treno ci porterà a Bologna, dove Percy ci aspetta con due pegasi. Da lì andremo su un'isola vicino a Ravenna, dove c'è il Campo.
Il treno partì, e io guardai fuori dal finestrino.
-Annabeth?
-Dimmi.
-Ci sono anche Carter e Sadie Kane?
-Sì.
-E avete combattuto contro Setne?
-Mmmh.
Pausa.
-Ma tu e Percy non dovevate andare a Nuova Roma?
-Ci andiamo durante l'anno scolastico, d'estate torniamo a casa.
-Ah. Dov'è adesso Nuova Roma?
-A Roma...
-Ah. Ti piace lì?
-Sì, molto.
-Mi piacerebbe andarci un giorno.
-Magari si può fare. Devi chiedere il permesso a Chirone.
Silenzio.
Dopo mezz'ora, passò il carrello del cibo. La ragazza ci chiese se volevamo qualcosa, ma Annabeth si irrigidì tutta e rifiutò.
-Martina?
-Sì?
-Non hai visto, vero?
-Cosa?
-Devi ancora imparare a guardare attraverso la Foschia. Quella era un'empusa. Stai attenta, soprattutto quando arriveremo a Milano e il treno sarà quasi vuoto. Tieni.
Mi passò un pugnale. Io la guardai. -Non so usare un pugnale, Annabeth.
-Non importa, almeno hai qualcosa con cui difenderti, anche se io sono qui apposta. Ho come l'impressione che non sia l'unica.
-Va bene.
Quando arrivammo a Malpensa, Annabeth si fece particolarmente guardinga e pronta. Avrebbe potuto scattare da un momento all'altro. Tirò fuori un altro pugnale e io la imitai.
E l'empusa ci apparve davanti di colpo. Annabeth era pronta e si lanciò subito sul mostro, mentre io rimasi paralizzata sul sedile. E mentre Annabeth combatteva, un'altra empusa mi si parò davanti.
-Ma guarda... una semidea. Sarà particolarmente facile ucciderti!
Non riescii a vederla nella sua vera forma, ma mi sembrò un vero schianto: capelli lunghi e mossi castani legati in una coda in cima alla testa, occhi grandi e azzurri e un leggero trucco.
Non so come, ma mi riscossi dalla mia paralisi e riuscii, con un movimento fulmineo, a infilarle il pugnale -che probabilmente lei non aveva notato- nello stomaco. Sparì in una nuvoletta di polvere, e io vidi Annabeth che mi si avvicinava, preoccupata.
-Va tutto bene? Ti ha fatto male?
-No, sto benissimo.
-Wow. L'hai uccisa.
-Mi sottovalutava. Non aveva neanche visto che avevo in mano un pugnale.
-Il treno sta per ripartire. Fra due ore saremo arrivate.
Il viaggio proseguì e non riuscii a fare a meno di pensare a quanto tutto fosse strano e meraviglioso allo stesso tempo. I miei sogni erano finalmente diventati realtà, tutte le cose che avevo immaginato ora erano reali.
Dopo le due ore pronosticate da Annabeth finalmente arrivammo. Meno male, perché non ce la facevo più a stare seduta e ferma su quello stramaledetto sedile.Uscimmo e Annabeth mi portò in una foresta abbastanza nascosta. Poi vidi tre figure: un cavallo nero e uno bianco e marrone, entrambi con le ali, e un ragazzo con i capelli neri e la maglietta arancione del Campo Mezzosangue. Percy. Era proprio lui. Percy Jackson. Annabeth gli corse incontro e lui la prese al volo.
-Ce l'avete fatta!- esclamò, stampandole un bacio sulla fronte.
-Già- disse lei. -Percy, ti presento Martina.
Io mi avvicinai. Ero piuttosto consapevole di avere la bocca aperta, ma non credo che sarei stata in grado di richiuderla.
-Perché mi guardi così?- mi chiese lui ridendo. -Ho qualcosa di strano in testa?
-Ha letto i nostri libri- intervenne Annabeth. -Siamo i suoi idoli, ha detto.
-Okay- disse lui continuando a ridere. -Martina, ti presento Blackjak e Birillo.
Mi avvicinai ai pegasi e andai ad accarezzare Blackjak. Sentii Birillo che nitriva e capii che stava dicendo: e a me, le coccole?
-Birillo ti sta chiedendo...- iniziò Percy.
-Lo so cos'ha detto-. Ops. Questa era la prima cosa che gli dicevo, e ho fatto pure l'impertinente.
Percy mi scrutò con quegli occhioni verde mare, così simili ai miei. Mi sembrava di poter vederci l'oceano attraverso quegli occhi. E poi, cavoli se era bello! Io me lo immaginavo carino, ma era proprio bello.
-Allora- mi spiegò Percy. -Tu andrai con Birillo, mentre io e Annabeth andremo con Blackjak. Non ti preoccupare di non saperlo guidare, lui seguirà noi. Tutto chiaro?
Annuii. Mi avvicinai a Birillo, ma era molto alto e non sapevo come salire.
-Aspetta, ti dò una mano- disse Percy avvicinandosi. Mi prese per i fianchi e mi tirò su e io mi aggrappai forte al pegaso. Non posso descrivere la sensazione che provai quando toccai Percy!
Birillo corse per qualche metro, poi si impennò e sbattè forte le ali, e mi ritrovai a volare. Birillo, volando, tornò vicino al punto in cui c'erano Percy, Annabeth e Blackjak, ancora a terra, e sentii una parte del loro discorso.
-Percy, ha i tuoi stessi occhi, ti assomiglia. Appena l'ho vista ho pensato di aver incontrato la tua versione femminile con i capelli biondi. E prima ha detto di aver capito cosa aveva detto il pegaso.
-Non lo so, Annabeth. Potrebbe. Staremo a vedere, la terrò d'occhio.
Sapevo a cosa stavano pensando. Credevano che fossi una sorellina di Percy, una figlia di Poseidone. Poi Blackjak partì e io, sopra Birillo, mi addormentai, dopo il pomeriggio più lungo ed emozionante della mia vita.
Quando mi svegliai, fu perché Annabeth mi stava scuotendo la spalla.
-Ehi, dai, sveglia! Siamo arrivati al Campo!
Di colpo, mi ricordai tutto quello che mi era capitato da quella mattina. Scivolai giù dal pegaso e capii di essere nel cortile delle stalle. Percy mi fece segno con la mano di seguirli, e così feci. Mi accompagnarono fino alla Casa Grande e, sul terrazzo, c'erano Chirone nella sua sedia a rotelle magica, il signor D e due satiri che giocavano a carte -a pinnacolo, immaginai.
Appena ci vide, Chirone si avvicinò per presentarsi. Il signor D non mi degnò neanche di uno sguardo.
-Benvenuta al Campo Mezzosangue. Mi chiamo Chiro...
-Sa già tutto- lo interruppe Percy. -Lei è Martina.
-Quei maledetti libri...- borbottò lui. -Glielo avevo detto a Rick di non pubblicarli.
-Rick Riordan era una semidio?- chiesi io.
-Si- mi rispose Chirone. -Figlio di Apollo. Quindi ne deduco che non ti serva nessun video di presentazione, solo un giro del Campo. Annabeth, potresti accompagnarla? Devo scambiare due parole con Percy.
-Sì, certo- rispose lei. Si allontanò dalla terrazza e io la seguii.
Mi mostrò tutto, i campi di fragole, il campetto di pallavolo, la mensa, e, per ultime, le capanne.
-Ti porto alla undici, se hai bisogno chiedi al tuo capogruppo, se no puoi trovare me e Percy nelle nostre capanne o al campo di allenamento. Ricordati che dopodomani ci sarà la caccia alla bandiera.
Entrò nella capanna di Ermes e dentro c'erano una trentina di ragazzi, la maggior parte con qualche tratto simile. Tutti si girarono a guardarmi quando entrai.
-Lei è Martina. È appena arrivata al Campo ma sa già tutto. Ha letto i libri.
Un ragazzo mi si avvicinò. Era più alto di me, sul metro e settanta -non che ci voglia tanto a superarmi, dato il mio metro e cinquanta- e avrà avuto uno o due anni in più di me. Aveva i capelli castani e gli occhi verde ghiaccio, più scuri intorno alla pupilla.
-Ciao- mi salutò sorridendomi. Gli feci anch'io un piccolo sorriso. -Mi chiamo Andrea. Il nostro capogruppo è via per un'impresa, quindi per adesso sono io il capogruppo. Regolare o indeterminata?
-Indeterminata- gli risposi io.
-Sei fortunata. C'è un ultimo letto laggiù in fondo sopra il mio.
Me lo indicò.
-Puoi andare Annabeth, grazie. È in buone mani- disse lui facendomi l'occhiolino. Lei mi salutò con la mano e uscì. Andrea mi fissò.
-Non sembri una figlia di Ermes, ma non si sa mai. Capiremo presto di chi sei figlia. Tu credi che sia tuo padre o tua madre?- mi chiese dirigendosi verso il suo letto. Io lo seguii.
-Non lo so- risposi. Si sedette e mi fece segno di mettermi vicino a lui. -Sono stata adottata tante volte e mi hanno detto che mia madre è morta quando sono nata e mio padre se la svignò appena lo scoprì.
-Il cognome è di tuo padre o tua madre?
-Di mia madre. Withelaw.
-questo potrebbe essere un indizio. Molto probabilmente il tuo genitore divino è maschio... Aspetta un attimo. Maria?- urlò. Una ragazza si avvicinò.
-Puoi prestarle una maglietta?-
Lei ravanò in una sacca e ne tirò fuori una.
-Non so se ti va- mi avvisò. -Sei così piccolina...
-Me la farò andare. Grazie.
Guardai Andrea.
-Se vuoi mi giro- disse lui ridendo. Ma lo fece subito. Mi sfilai la canottiera nera che avevo e misi la maglietta arancione del Campo. In effetti mi andava larga. Parecchio. Andrea mi guardò e si mise a ridere.
-Ti va enorme!- capii subito, però, che non mi stava prendendo in giro, così risi anch'io. -Stasera dopo cena andiamo a prenderti qualcosa da vestire, okay?
-Sì, va bene. Dove?
-Nel magazzino. Adesso lo abbiamo riempito di vestiti, se no dovevamo ogni volta attraversare il mare e andare in negozio. Così è più comodo.
Sentii in lontananza il corno che annunciava la cena. Andrea si alzò.
-In fila!
Io mi misi per ultima e seguii tutti fino alla mensa. Purtroppo, c'era la grigliata. Andrea, vedendo che non prendevo la carne, mi incoraggiò.
-Ehi, serviti pure. Puoi mangiare tutto quello che vuoi.
-Ehm, io...insomma, sono vegetariana.
-Ah. Questo è un po' un problema, visto che mangiamo sempre la grigliata.
-Tranquillo, non importa! Mangerò la verdura e la frutta, mi basterà. Non mangio tanto.
-Si vede! Sei così magra e minuta!
Gli sorrisi e infilzai delle zucchine.
Poi andammo tutti a bruciare qualcosa per i nostri genitori. Io buttai un peperone alla griglia, ma a differenza di tutti gli altri non dissi nessun nome, anche se nella mia testa stavo pensando: Poseidone, se sei tu mio padre, ti prego, fai in fretta!
Andammo a sederci ai tavoli e io mi ritrovai schiacciata tra Andrea e una ragazza indeterminata di nome Silvia. Chiacchierammo un po' e scoprii che era sempre rimasta all'orfanotrofio e che, come me, era stata espulsa da tutte le scuole in cui era stata. Finita la cena, gli altri si sparpagliarono, ma Andrea mi prese per un braccio e mi trascinò con lui.
-Ehi, dove mi stai portando?
-Al magazzino, no? Dai sbrigati che fra mezz'ora c'è il falò e il tuo genitore potrebbe riconoscerti.
Si mise a correre e io lo seguii. Quando entrammo, al bancone c'era un ragazzo biondo e riccio e con gli occhi da cerbiatto marroni che ci sorrideva. Era tenero.
-Ehi, Andre, se provi a fottere qualcosa ti denuncio- lo avvisò scherzando.
-Marty, lui è Marco, figlio di Apollo. Marco, Martina, indeterminata.
Marco mi guardò attentamente.
-Domani voglio vederti tirare con l'arco, hai i capelli uguali ai miei, non si sa mai- mi avvisò.
-Okay.
-Bando alle ciance, abbiamo del lavoro da fare e poco tempo- intervenne Andrea. Mi prese di nuovo per un braccio e mi portò velocemente dove c'erano i vestiti. Cercammo una taglia più piccola della maglietta che indossavo, ma non ne trovammo: avevo già una S e a me sarebbe servita una XS, che lì non c'era. Prendemmo quindi quattro magliette, tre pantaloncini di jeans -che per fortuna mi andavano-, un pigiama e un po' di biancheria.
-Dammi due magliette, così le nascondo sotto la mia e non dobbiamo pagarle- sussurrò a un tratto Andrea. Avrei dovuto aspettarmelo: era un figlio di Ermes! Ma non protesta, anzi.Gliele passai e lui le nascose per bene. Andammo al bancone e Marco fece il conto. -Venti dracme d'oro e tre d'argento- disse, porgendo la mano. Andrea tirò fuori i soldi dalla tasca e glieli diede. Quando uscimmo, mi passò i vestiti. Io lo guardai riconoscente.
-Grazie.
-E de che?- riuscii a sentire un leggero accento siciliano nelle sue parole.
-Per i vestiti. Per avermeli comprati.
-Ma figurati!- ribattè lui allegro. -Tanto i soldi non erano mica miei!
-Hai fottuto anche quelli?- chiesi io ridendo.
-Certo! Andiamo al falò adesso.
Mi accompagnò dove c'erano tutti gli altri ragazzi del campo raccolti in cerchio, e notai che eravamo sotto un tettuccio di legno. Poi mi ricordai che anche la mensa ce l'aveva. Io e Andrea ci sedemmo vicini con gli altri di Ermes, io con i vestiti nuovi in grembo.
-Andre, perché c'è il tetto?
-Per quando piove, ovvio!
-Ma qui non piove mai- constatai. -Le nuvole ci girano attorno.
-No, questa è una cazzata che si è inventato Rick.
-Ah.
Proprio in quel momento Chirone entrò nel cerchio.
-Oggi sono arrivate al campo due ragazze nuove- annunciò. -Meredith.
Una ragazza si alzò dal gruppo di Ermes.
-E Martina. Possono venire anche il resto dei ragazzi che non sono ancora stati riconosciuti.
Io mi alzai tremando, insieme a un gruppetto di cinque persone della casa undici. Raggiungemmo Chirone e lui mormorò una specie di preghiera in greco antico. Forse stava chiedendo agli dei di riconoscerci. Di colpo, un'aura rosa circondò Meredith e le apparve una colomba sulla testa. Era uno schianto. Vestito bianco simile alle toghe greche ma in seta pregiata e con uno scollo molto profondo le circondò il corpo, un'acconciatura stupenda molto elaborata le adornava i capelli e sul volto aveva un trucco leggero ma molto d'effetto. Riconosciuta. Figlia di Afrodite. Lei sembrò danzare nel suo abito mentre si dirigeva verso i ragazzi di Afrodite, che intanto battevano le mani. Notai che anche Silvia, la ragazza con cui avevo parlato a cena, era lì, aspettando di essere riconosciuta. Sopra la testa di Silvia apparve un martello, simbolo di Efesto, così come sulla testa di un ragazzo corpulento alla mia sinistra. Entrambi andarono dai loro fratelli, e rimanemmo io e altri tre ragazzi. Uno venne riconosciuto da Apollo, un altro da Ares e l'ultimo da Ermes. Rimasi solo io. Ma sopra la mia testa non apparve nessun ologramma di luce. Chirone mi fece segno di tornare a sedermi, e continuò a osservarmi anche mentre cantavamo tutti insieme. Io, non conoscendo i canti, mi limitai ad ascoltare, ma notai che anche Andrea rimase zitto.
-Marty, non te la prendere se non ti hanno riconosciuta- disse a un tratto. Feci spallucce. In realtà ero piuttosto scocciata, ma cercai di mantenere un'espressione neutrale. Andrea, probabilmente, se ne accorse, ma non fece commenti.
Finiti i canti, tornammo nelle nostre capanne per andare a dormire. Indossai il pigiama nuovo -rosa con delle mucche disegnate sulla maglia- e mi addormentai di colpo.