E adesso? Si domandò Zayn.
Adesso che conosceva la verità, che cosa avrebbe fatto?
Con Otis, non c'erano stati dubbi. Gli bastava sapere che lui lo odiava al punto da poter ammazzare Missy, e per questo meritava qualsiasi punizione la legge potesse prevedere.
Tranne, però, un piccolo dettaglio.
Non era andata così.
Il fascicolo che lui aveva messo insieme in due anni di faticose ricerche non aveva portato a niente. Sims ed Earl e Otis non significavano nulla.
Dovunque avesse cercato, non aveva trovato una risposta, ma questa si era presentata, improvvisa e inaspettata, sulla sua soglia, con indosso una giacca a vento e sull'orlo del pianto.
Ecco che cosa lo tormentava: era davvero importante quella risposta?
Aveva passato due anni della sua vita a pensare che lo fosse. Aveva pianto di notte, era rimasto sveglio fino a tardi, aveva iniziato a fumare ed aveva lottato senza arrendersi, convinto che l'emergere della verità avrebbe cambiato tutto. Era diventata per lui come un miraggio all'orizzonte, sempre irraggiungibile. E adesso, in quel preciso istante, la stringeva in pugno.
Bastava una telefonata e finalmente sarebbe stata fatta giustizia.
Finalmente sarebbe stato vendicato.
Era suo diritto.
Ma se poi la risposta non era quella che si era immaginato? Se il colpevole non era un ubriaco od un delinquente, doveva comunque considerarlo un nemico? Anche se si trattava di un ragazzo con le lentiggini, i pantaloni larghi, i capelli castani - impaurito e profondamente addolorato per quanto era successo -, che giurava che era stato un incidente impossibile da evitare? A quel punto era ancora importante? Poteva prendere il peso del ricordo della moglie e delle sue sofferenze negli ultimi due anni, aggiungerci la propria responsabilità come marito e come padre ed il suo obbligo verso la legge, e ottenere una somma quantificabile che giustificasse la punizione?
Oppure da quella somma doveva sottrarre l'età di un ragazzo, la sua paura, il suo evidente dolore e l'amore che lui provava per Liam, riportando così il totale a zero?
Non lo sapeva.
Sapeva solo che a pronunciare il nome di Brian ad alta voce gli restava un sapore amaro in bocca.
Sì, pensò, la verità aveva importanza.
Sapeva con certezza che sarebbe sempre stato così e che doveva fare qualcosa.
Nella sua mente non c'era altra scelta.
La signora Knowlson aveva lasciato accese le luci esterne, che diffondevano un alone giallastro sul vialetto mentre Zayn si avvicinava alla porta. Nell'aria aleggiava un lieve odore di legna bruciata. Lui bussò prima di infilare la chiave ed aprire piano la porta. Appisolata sulla sedia a dondolo, al riparo di una trapunta, tutta capelli bianchi e rughe, la padrona di casa sembrava uno gnomo. La televisione era accesa con il volume al minimo e Zayn entrò muovendosi con cautela.
La testa le si piegò di lato e lei aprì di scatto i suoi occhi sorprendentemente vivaci.
"Scusi per il ritardo." Disse lui e la donna annuì.
"Sta dormendo di là", gli spiegò.
"Anche se voleva restare alzato ad aspettarla."
"Meglio che non l'abbia fatto", rispose Zayn. "Prima che vada a prenderlo, vuole che l'aiuti a salire nella sua stanza?"
"No", rispose lei. "Non sia sciocco. Sono vecchia, ma mi muovo ancora piuttosto bene."
"Lo so. La ringrazio per avermelo tenuto oggi."
"È riuscito a risolvere tutto?"
Zayn non le aveva detto che cosa stava succedendo, ma lei aveva notato il suo turbamento mentre le chiedeva se Jonah quel giorno poteva andare a casa sua dopo la scuola.
"Veramente no."
La donna sorrise.
"C'è sempre un domani."
"Già", fece lui. "Come si è comportato oggi?"
"Era svogliato. E fin troppo tranquillo. Non è voluto uscire, così abbiamo preparato i biscotti in cucina."
Zayn sapeva che anche suo figlio era turbato.
Dopo averla ringraziata nuovamente, andò nella camera sul retro e prese in braccio Jonah, sistemandolo in modo che gli appoggiasse la testa sulla spalla.
Il bambino non si mosse neppure e lui capì che era sfinito.
Come suo padre.
Si chiese se avrebbe avuto di nuovo uno dei suoi incubi.
Lo riportò a casa e lo mise nel suo letto. Gli rimboccò le coperte, accese la lucina notturna e si sedette di fianco a lui, così piccolo e vulnerabile. Zayn si girò verso la finestra. Dalle tende filtrava la luce della luna; si alzò per chiuderle meglio. Sentiva il freddo che si irradiava dal vetro. Tornò dal figlio e gli passò teneramente una mano tra i capelli.
"Ora so chi è stato", mormorò, "ma mi chiedo se è giusto dirtelo."
Il respiro di Jonah era regolare, le sue palpebre immobili.
"Tu vuoi saperlo?"
Nell'oscurità della stanza, il bambino non rispose.
Dopo un po', Zayn uscì dalla camera e andò a prendersi una birra nel frigo.
Appese il giaccone nell'armadio a muro e vide sul fondo la scatola dove teneva i filmini.
La guardò un istante, poi la sollevò e la portò in salotto. L'appoggiò sul tavolino davanti al divano e l'aprì. Prese un nastro a caso, lo infilò nel videoregistratore e si mise seduto. Lo schermo dapprima era nero, poi sfocato e infine apparvero le immagini.
C'erano dei bambini seduti a tavola in cucina, che si agitavano come forsennati, braccia e gambe infantili sventolavano in giro come bandiere in una giornata divento. C'erano anche degli adulti, che entravano e uscivano dall'inquadratura. Zayn riconobbe la propria voce. Era la festa di compleanno di Jonah e l'obiettivo lo mise a fuoco. Aveva due anni ed era seduto sul seggiolone con in mano un cucchiaio, che batteva sulla tavola, ridendo soddisfatto a ogni colpo. Poi si vedeva Missy, che si avvicinava con un vassoio di budini. Su un budino c'erano due candeline accese e lei lo mise davanti a Jonah, poi intonò: "Tanti auguri a te", e gli altri genitori la seguirono in coro. Dopo pochi minuti le facce e le manine dei bambini erano tutte impiastricciate di cioccolata. L'obiettivo si posò su Missy e lui udì la sua voce che la chiamava. Lei si voltò sorridendo; aveva gli occhi allegri, pieni di vita. Era una moglie ed una madre felice della sua condizione.
L'immagine svanì e dopo un attimo emerse un'altra scena, in cui Jonah stava cercando goffamente di aprire i regali. Poi ci fu un salto temporale di un mese, al giorno di San Valentino.
La tavola era apparecchiata con cura, Zayn se la ricordava bene. Aveva tirato fuori il servizio buono e la luce tremolante delle candele faceva scintillare i bicchieri di cristallo rendendo romantica l'atmosfera. Aveva cucinato lui, quella sera: sogliola e gamberetti con salsa al limone, riso pilaf e insalata di spinaci come contorno. Missy era in camera a vestirsi; le aveva chiesto di non scendere finché non era tutto pronto. L'aveva ripresa con la telecamera nel momento in cui entrava in soggiorno. Quella sera, a differenza che alla festa di compleanno del figlio, non sembrava né una moglie né una madre; era una giovane donna affascinante pronta per andare a una prima teatrale a Parigi o a New York. Indossava un vestito nero scollato, con i tacchi alti e gli orecchini di perle; aveva i capelli raccolti in uno chignon e qualche ciocca sciolta le incorniciava il bel viso.
"Che magnifica sorpresa!" Aveva esclamato guardando la tavola. "Grazie, tesoro."
"Non c'è di che, amore mio." Rispondeva lui.
Zayn ricordava che a quel punto lei gli aveva chiesto di spegnere la telecamera e che si erano seduti a mangiare. Dopo cena avevano fatto l'amore per ore, persi tra le lenzuola.
Era così immerso nel ricordo di quella serata, che udì appena la vocina alle sue spalle.
"È la mamma?"
Con il telecomando, lui fermò il nastro e si girò.
Jonah era in piedi nel corridoio.
Gli sorrise, un po' imbarazzato.
"Che succede, campione?" Chiese. "Non riesci a dormire?"
Jonah annuì.
"Ho sentito dei rumori che mi hanno svegliato."
"Mi spiace. Devo essere stato io."
"Quella era la mamma?" Chiese di nuovo. Fissava Zayn, lo sguardo fermo e deciso. "Alla televisione?"
Zayn avvertì la tristezza nella sua voce, come se avesse accidentalmente rotto un giocattolo prediletto.
Batté una mano sul divano, non sapendo bene che cosa dire.
"Vieni qui. Siediti accanto a me."
Dopo una breve esitazione, Jonah si avvicinò al divano trascinando i piedi.
Lo cinse con un braccio e il bambino alzò lo sguardo su di lui, in attesa, grattandosi una guancia.
"Sì, era la mamma." Rispose infine Zayn.
"Perché è alla televisione?"
"È una cassetta. Sai, quei filmetti che facevamo ogni tanto con la telecamera. Quando eri piccolo."
"Oh", fece lui.
Poi indicò la scatola.
"Sono tutte cassette?"
Zayn annuì.
"Anche lì c'è la mamma?"
"In alcune."
"Posso guardarle con te?"
Zayn lo strinse a sé.
"Adesso è tardi, Jonah...avevo quasi finito anch'io. Magari un'altra volta."
"Domani?"
"Magari domani."
Quella risposta parve soddisfarlo, almeno per il momento, e Zayn spense la lampada sul tavolino alle sue spalle. Si sdraiò sul divano e Jonah si rannicchiò contro di lui. Al buio, le sue palpebre cominciarono a chiudersi. Zayn sentiva il suo respiro farsi più lento. Sbadigliò.
"Papà?"
"Sì."
"Guardavi quelle cassette perché sei di nuovo triste?"
"No."
Zayn accarezzava la testa di Jonah lentamente, metodicamente.
"Perché è morta la mamma?"
Zayn chiuse gli occhi.
"Non lo so."
Il petto di Jonah si alzava e si abbassava a ritmi regolari.
Su e giù, con respiri profondi.
"Vorrei che fosse ancora qui."
"Anch'io."
"Non tornerà più."
Un'affermazione, e non una domanda.
"No."
Jonah non disse altro prima di addormentarsi.
Zayn lo tenne tra le braccia.
Gli sembrava tanto piccolo, quasi un neonato, e sentiva il lieve profumo di shampoo nei suoi capelli. Gli baciò la sommità del capo, poi posò la guancia contro la sua pelle morbida.
"Ti voglio bene, Jonah."
Nessuna risposta. Fu molto faticoso alzarsi dal divano senza rischiare di svegliarlo, ma per la seconda volta quella sera, portò il figlio in camera sua e lo mise a letto. Uscì dalla stanza lasciando la porta socchiusa.
Perché è morta la mamma?
Non lo so.
Zayn tornò in salotto e rimise il nastro nella scatola, rimpiangendo che Jonah l'avesse visto, rimpiangendo che avesse parlato di Missy.
Non tornerà più.
No.
Rimise la scatola a posto nell'armadio a muro, provando il doloroso anelito di poter cambiare anche quello.
Fuori sulla veranda, nel gelido buio della notte, Zayn aspirò un lungo tiro di sigaretta, la terza della serata, e fissò l'acqua scura del fiume. Era rimasto lì da quando aveva messo via le cassette, cercando di dimenticare il suo triste colloquio con Jonah. Era sfinito e arrabbiato e non voleva pensare al figlio e a quello che avrebbe dovuto dirgli. Non voleva pensare a Liam, Brian, Louis, Otis, o a un cane nero che balzava fuori dai cespugli. Nemmeno a coperte e fiori, oppure a una svolta nella strada che era stata il principio di tutto.
Voleva diventare insensibile.
Dimenticare.
Tornare indietro a un tempo più felice, innocente.
Rivoleva la sua vita.
Accanto a sé, proiettata dalle luci nella casa, vedeva la sua ombra che lo seguiva, come i pensieri che non riusciva a lasciarsi dietro. Era convinto che Brian sarebbe stato rilasciato, anche se lui l'avesse arrestato. Avrebbe ottenuto la libertà vigilata, magari gli sarebbe stata sospesa la patente, ma non sarebbe finito dietro le sbarre. Era minorenne quand'era accaduto il fatto; c'erano le attenuanti e il giudice, riconoscendo il suo pentimento, sarebbe stato clemente.
E Missy non sarebbe mai più ritornata.
Il tempo passava.
Si accese un'altra sigaretta e la fumò con avidità. Il cielo era coperto da nubi scure; sentiva il rumore della pioggia che intrideva il terreno. Sulla superficie dell'acqua comparve il riflesso della luna, spuntata da dietro le nuvole. Una luce morbida si diffuse per il giardino.
Zayn scese dalla veranda e si incamminò sulle lastre di ardesia che formavano un sentiero nel prato. Conducevano al capanno dove teneva gli attrezzi per il giardinaggio, quello era sempre stato il suo regno e Missy ci andava di rado. Ma è stata lì, l'ultimo giorno. Sulle pietre si erano formate delle pozzanghere, sentiva l'acqua sotto i piedi mentre proseguiva sul sentiero che costeggiava la casa e curvava oltre il salice che lui aveva piantato per Missy. Sua moglie ne aveva sempre voluto uno in giardino, considerava quegli alberi allo stesso tempo tristi e romantici. Passò accanto all'altalena e superò una macchinina abbandonata lì da Jonah. Pochi passi ancora e giunse al capanno. Zayn prese la chiave da sopra lo stipite della porta. La serratura scattò con un clic, lui aprì e venne accolto dall'odore di muffa. Sul ripiano c'era una torcia, l'accese e si guardò intorno. Un ragno aveva tessuto la sua tela nell'angolo vicino alla finestrina. Diversi anni prima, quando se n'era andato, suo padre gli aveva dato alcune cose da conservare, che aveva chiuso in una grande scatola di metallo. Il lucchetto era piccolo e Zayn lo spezzò con un martello che era appeso alla parete poi sollevò il coperchio.
Due album, un diario con la copertina in pelle, una scatola da scarpe piena di punte di freccia che suo padre aveva trovato vicino a Tuscarora.
Zayn scostò tutto e sul fondo trovò quello che cercava.
La pistola, infilata in un contenitore, sembrava in buone condizioni.
Era l'unica arma nella casa di cui Louis fosse all'oscuro.
Passò la notte a oliarla, assicurandosi che fosse pronta a sparare.
Zayn non venne a prendermi quella notte.
Ricordo che, ancora stanco morto, all'alba mi sforzai di alzarmi per fare una doccia. Ero indolenzito per l'incidente e, mentre aprivo il rubinetto, provai una fitta lancinante dal petto alla schiena. La testa mi pulsava quando mi lavai i capelli. I polsi mi dolevano quando feci colazione, ma terminai prima che i miei genitori si mettessero a tavola, perché sapevo che, vedendomi in quello stato, mi avrebbero fatto domande alle quali non ero ancora pronto a rispondere.
Mio padre doveva andare al lavoro, ed essendo quasi Natale mia madre sarebbe uscita a fare spese.
Li avrei informati dopo, quando Zayn fosse venuto a prendermi.
Liam mi chiamò poco più tardi chiedendomi come stavo.
Io gli rivolsi la stessa domanda.
Mi disse che Zayn era stato da lui la notte prima, che avevano parlato per pochi istanti, ma che non sapeva che cosa pensare.
Neppure io.
Però rimasi in attesa.
Anche Liam aspettò.
I miei genitori continuarono la vita di sempre.
Mio fratello mi richiamò nel pomeriggio.
"No, non è ancora venuto." Gli dissi.
Non aveva telefonato nemmeno a lui. Trascorse anche quella giornata e giunse la sera.
Di Zayn, nessuna traccia.
Il mercoledì Liam tornò a scuola. Gli assicurai che gli avrei telefonato lì se Zayn fosse arrivato.
Io rimasi a casa, ancora in attesa.
Aspettai invano.
Quando venne il giovedì, capii che cosa dovevo fare.
Zayn era fermo in macchina, stava sorseggiando una tazza di caffè comprata al bar.
La pistola era sul sedile accanto a lui, nascosta sotto i giornali, carica e pronta a sparare.
Il finestrino cominciava ad appannarsi e lui lo pulì con la mano.
Doveva vedere chiaramente.
Era nel posto giusto, lo sapeva. Gli bastava restare in osservazione ed agire al momento opportuno.
Quel pomeriggio, appena prima del crepuscolo, il cielo rosseggiava all'orizzonte quando salii in macchina. Faceva ancora freddo, ma l'ondata di gelo era passata e la temperatura si era alzata di qualche grado. La pioggia dei giorni precedenti aveva sciolto tutta la neve; al posto dei prati ammantati di bianco ora vedevo l'erba marrone in letargo per l'inverno.
Finestre e porte del vicinato erano decorate con ghirlande e nastri rossi, ma in macchinami sentivo slegato dalla stagione, come se avessi dormito per molto tempo e dovessi aspettare ancora un anno. Mi fermai solo una volta lungo la strada, per la mia solita sosta.
Credo che il negoziante ormai mi riconoscesse, dal momento che facevo sempre lo stesso acquisto.
Vedendomi entrare, mi aspettò al bancone, annuì quando gli dissi che cosa volevo e tornò qualche minuto dopo. Non avevamo mai scambiato quattro chiacchiere. Neppure quel giorno mi chiese a chi fossero destinati; non l'aveva mai fatto.
Mentre me li porgeva, tuttavia, ripeté la solita frase che diceva tutte le volte.
"Sono i più freschi che ho."
Mise i soldi in cassa e batté lo scontrino. Mentre mi avviavo alla macchina annusai il profumo, una fragranza dolce di miele. Aveva ragione: ancora una volta i fiori erano davvero splendidi. Li misi sul sedile di fianco a me. Percorsi strade familiari, strade dove avrei preferito non essere mai passato, e parcheggiai fuori dal cancello. Mi feci forza e scesi dall'auto. Non scorsi nessuno al cimitero. Mi strinsi nel cappotto e mi incamminai a testa bassa; non avevo bisogno di guardare dove andavo.
Il terreno era bagnato, si attaccava alle mie scarpe.
In un attimo arrivai alla tomba.
Come sempre rimasi colpito da quanto fosse piccola. Era un pensiero ridicolo, ma non potevo evitarlo. Notai che però era molto curata. L'erba era perfettamente tosata e c'era un garofano di seta in un vasetto davanti alla lapide. Era rosso, come tutti quelli sulle lapidi circostanti, e capii che ce li aveva messi il guardiano.
Mi chinai e lasciai cadere i fiori sul granito, facendo attenzione a non toccare la pietra.
Non l'avevo mai fatto.
Uno strano pudore me lo aveva sempre impedito.
Poi lasciai vagare la mente.
In genere pensavo a Missy e alle decisioni sbagliate che avevo preso; quel giorno i miei pensieri si rivolsero a Zayn.
Forse fu per questo che non sentii i passi che si avvicinavano, finché non mi raggiunsero.
"Fiori", disse Zayn.
Si voltò al suono di quella voce, mezzo sorpreso e mezzo spaventato.
L'uomo che da giorni stava aspettando era in piedi accanto a una quercia, i cui rami si allungavano paralleli al suolo. Portava un lungo cappotto nero e i jeans e teneva le mani in tasca.
Brian si sentì sbiancare in volto.
"Non ha più bisogno di fiori", disse Zayn. "Puoi smettere di portarli."
Lui non rispose.
Che cosa avrebbe potuto dire?
L'altro lo fissava.
Con il sole basso sull'orizzonte, il suo viso era in ombra, i suoi lineamenti nascosti. Brian non aveva idea di che cosa stesse meditando di fare. Zayn spinse il cappotto infuori con le mani, come se reggesse qualcosa sotto le falde.
Come se nascondesse qualcosa.
Rimase immobile dov'era, e per una frazione di secondo Brian provò l'impulso di correre via.
Di scappare.
Dopotutto, aveva quindici anni meno di lui, una volata gli sarebbe bastata per raggiungere la strada, dove ci sarebbero state macchine e passanti. Ma quel pensiero lo abbandonò fulmineo com'era arrivato, prosciugandolo di tutte le energie. Non aveva più riserve. Erano giorni che non mangiava. Non ce l'avrebbe mai fatta, se Zayn aveva davvero intenzione di inseguirlo. E, soprattutto, sapeva di non avere nessun luogo dove andare.
Così Brian rimase fermo davanti a Zayn,che era ad una ventina di passi da lui.
Lo vide alzare leggermente il mento e aspettò che facesse qualcosa, un gesto di qualche tipo; forse, pensò, anche lui aspettava la sua reazione. Venne colpito dal pensiero che dovevano assomigliare a due pistoleri del vecchio West, che si affrontavano pronti a sparare.
Quando il silenzio divenne opprimente, Brian girò lo sguardo verso la strada. Notò che la macchina di Zayn era parcheggiata dietro la sua. Non ne vedeva altre. Erano da soli, in mezzo alle lapidi.
"Come facevi a sapere che ero qui?" Chiese infine.
Zayn rispose dopo un po'.
"Ti ho seguito", disse. "Immaginavo che prima o poi saresti uscito di casa e volevo stare da solo con te."
Brian deglutì, chiedendosi per quanto tempo lo avesse sorvegliato.
"Tu le porti dei fiori, ma non sai nemmeno chi fosse, vero?" Proseguì Zayn con voce calma.
"Se l'avessi conosciuta, le porteresti dei tulipani. Erano i suoi fiori preferiti, gialli, rossi,rosa, le piacevano tutti. In primavera li piantava sempre in giardino. Lo sapevi?"
No, pensò Brian, non lo sapevo.
Da lontano giunse il fischio del treno.
"Sapevi che Missy era preoccupata che le venissero le rughe intorno agli occhi? Oppure che a colazione le piaceva il pane tostato? Che aveva sempre desiderato possedere una Mustang cabrio? Che quando rideva, mi ci voleva tuttala mia forza di volontà per non saltarle addosso? Sapevi che era la prima donna che io avessi mai amato?"
Si fermò per costringere l'altro a guardarlo.
"Questo è tutto quello che mi rimane, adesso. I ricordi. E non ce ne saranno più. Me li hai rubati tu. E li hai portati via anche a Jonah. Sai che lui ha gli incubi da quando è morta? Che nel sonno chiama ancora la mamma? Devo prenderlo in braccio e cullarlo per ore, finché non smette. Capisci come mi sento in quei casi?"
I suoi occhi trafissero quelli di Brian, inchiodandolo nel punto in cui si trovava.
"Ho passato due anni a cercare di scovare l'uomo che mi aveva distrutto la vita. La mia e quella di Jonah. Ho perso questi due anni perché non riuscivo a pensare ad altro."
Zayn abbassò lo sguardo a terra.
"Volevo trovare la persona che l'aveva uccisa. Perché sapesse di che cosa mi aveva privato quella notte, e pagasse per la sua colpa. Non hai idea di quanto mi abbiano consumato questi pensieri ossessivi. Una parte di me desidera ancora ucciderlo. Fare alla sua famiglia lo stesso danno che lui ha fatto alla mia. E adesso ho davanti quell'uomo. Che sta mettendo i fiori sbagliati sulla tomba di mia moglie."
Brian si sentì mancare il cuore.
"Tu hai ucciso mia moglie", continuò Zayn.
"Non ti perdonerò, né lo dimenticherò mai. Quando ti guarderai allo specchio, voglio che te lo ricordi. Che pensi ogni volta a quello che mi hai portato via. Mi hai tolto la persona che amavo di più al mondo, hai preso la madre di mio figlio e anche due anni della mia vita. Te ne rendi conto?"
Brian annuì in silenzio.
"Ora ascoltami bene. Puoi raccontare a Liam quello che è successo qui oggi, ma solo a lui. Ti porterai questa nostra conversazione, e tutto il tuo segreto, nella tomba. Non devi cedere alla tentazione di parlarne con qualcun altro. Mai. Né con i tuoi genitori, né con la tua futura moglie, né con i tuoi figli, o il tuo confessore, oppure i tuoi amici. E cerca di fare qualcosa di buono della tua vita, qualcosa per rimediare e che non mi faccia pentire della mia decisione. Promettimi che farai come ti ho detto."
Zayn rimase a fissarlo per essere sicuro che avesse capito e aspettò che annuisse.
Poi si voltò e si allontanò.
Solo in quel momento Brian si rese conto che lo lasciava libero.
Più tardi quella sera, quando Zayn venne ad aprirgli, Liam rimase sulla soglia a guardarlo senza parlare, finché lui uscì di casa richiudendosi la porta alle spalle.
"C'è Jonah che dorme", gli disse. "Meglio stare fuori."
Liam incrociò le braccia e guardò verso il giardino.
"Non sono sicuro del motivo per cui sono qui", esordì Liam, esitante.
"Ringraziarti non mi sembra molto appropriato, ma non posso neppure ignorare quello che hai fatto."
Zayn annuì impercettibilmente.
"Mi spiace per tutto quanto. Sono profondamente addolorato per te, non riesco nemmeno a immaginare quello che devi aver passato."
"No, infatti, non puoi."
"Io non sapevo di Brian, te lo giuro."
"Lo so."
Lo guardò.
"Non avrei mai dovuto credere il contrario. Scusa se ti ho accusato ingiustamente."
Liam scrollò la testa.
"Non devi."
Lui distolse lo sguardo, come se stesse cercando le parole giuste.
"Credo anch'io di doverti ringraziare... per avermi fatto conoscere la verità."
"Ho dovuto farlo. Non avevo scelta."
E poi, dopo un momento di silenzio, Liam si strinse le mani e chiese: "Come se la cava Jonah?"
"Bene. Anche se non benissimo. Non sa nulla, ma credo abbia intuito che stava succedendo qualcosa dal mio strano comportamento. Ha avuto un paio di incubi nei giorni scorsi. A scuola come va?"
"Finora bene. Negli ultimi giorni non ho notato nulla di insolito."
"Meglio così."
Liam si passò una mano tra i capelli.
"Posso farti una domanda? Non devi rispondermi, se non vuoi."
Zayn si voltò.
"Vuoi sapere perché ho lasciato andare Brian?"
Lui annuì.
Zayn impiegò parecchio tempo a rispondere.
"Ho visto il cane."
Liam lo guardò, sorpreso.
"Un grosso cane nero, proprio come aveva detto Brian. Correva in un giardino a poca distanza dal luogo dell'incidente."
"Passavi di lì e lo hai visto per caso?"
"Non proprio. Lo stavo cercando."
"Per scoprire se Brian aveva detto la verità?"
"No. Lo sapevo già. Però avevo in testa una folle idea, che non riuscivo a scacciare."
"Che idea?"
"Ti ho detto, era folle."
Liam lo guardò incuriosito, aspettando che continuasse.
"Quando sono tornato a casa, il giorno in cui Brian mi ha raccontato tutto, ero sconvolto e continuavo a pensare che dovevo fare qualcosa. Qualcuno doveva pagare per ciò che era successo, ma non sapevo chi, finché non mi venne l'idea. Così ho preso la pistola di mio padre e sono uscito di notte in cerca di quel dannato cane."
"Volevi sparargli?"
Lui scrollò le spalle.
"Non ero neppure sicuro di trovarlo, ma non appena mi sono avvicinato alla zona, l'ho visto. Stava dando la caccia ad uno scoiattolo in giardino."
"E allora gli hai sparato?"
"No. Sono arrivato lì con l'intenzione di farlo, ma quando l'ho avuto a portata di mira, mi è venuto da pensare che era una pazzia. Voglio dire, stavo ammazzando il cane di una famiglia sconosciuta. Solo una persona mentalmente disturbata farebbe un'azione del genere. Così mi sono girato e sono risalito in macchina. L'ho lasciato andare."
Liam sorrise.
"Come hai fatto con Brian."
"Sì", disse lui. "Come ho fatto con Brian."
Dopo un attimo di silenzio, Liam allungò un braccio per prendergli la mano.
"Ti sono grato. Sei stato molto generoso", disse.
Zayn gli strinse brevemente la mano prima di allontanare la sua.
"L'ho fatto anche per me. E per Jonah. Era ora di lasciare perdere. Avevo già buttato via due anni della mia vita e non vedevo il motivo di continuare così. Una volta che me ne sono reso conto...non so...è stato come se fosse l'unica cosa da fare. Qualsiasi punizione potesse subire Brian, non mi avrebbe restituito Missy."
Si portò le mani al viso e si strofinò gli occhi.
Rimasero entrambi in silenzio per un po'.
Il cielo sopra di loro era pieno di puntini luminosi e Zayn si ritrovò a fissare la stella polare.
"Ho bisogno di un po' di tempo", mormorò.
Liam annuì, capendo che si riferiva a loro due.
"Lo so."
"E non posso dirti nemmeno quanto."
"Vuoi che ti aspetti?"
Lui ci rifletté a lungo.
"Non me la sento di fare promesse, Liam. Su di noi, cioè. Io ti amo ancora, ho passato gli ultimi due giorni a tormentarmi proprio su questo. Per me tu sei importante. Cavolo, sei l'unica cosa bella che mi sia capitata dalla morte di Missy. E anche Jonah ti è affezionato, in questi giorni gli sei mancato molto. Ma una parte di me non riesce ad accettare quello che è successo. Non riesco a dimenticare e tu sei suo fratello."
Liam serrò le labbra.
Era ferito, ma non se la sentiva di dargli torto.
"Non so se potrei convivere con questo fatto. Anche se tu non c'entri niente, stare con te sarebbe un po' come dover stare vicino a lui. Fa parte della tua famiglia e...io non sono pronto. Non sarei in grado di affrontare una situazione del genere. E non so se mai ci riuscirò."
"Potremmo trasferirci", suggerì lui.
"Potremmo cercare di ricominciare da un'altra parte."
Zayn scrollò la testa.
"Dovunque andassi, questa consapevolezza mi seguirebbe. Lo capisci anche tu"
Tacque, guardandolo negli occhi.
"Non so proprio che cosa fare."
Liam sorrise triste.
"Nemmeno io", ammise.
"Mi spiace."
"Anche a me."
Dopo un attimo, Zayn gli si avvicinò.
Lo baciò dolcemente e lo tenne stretto a lungo tra le braccia, nascondendo il viso tra i suoi capelli.
"Ti amo, Liam", mormorò.
Liam era molto triste, si appoggiò contro di lui come per imprimersi nella memoria la forma del suo corpo.
Si chiedeva se sarebbe stata l'ultima volta che si abbracciavano.
"Anch'io ti amo, Zayn", sussurrò con voce spezzata.
Si staccarono e Liam fece un passo indietro, cercando di frenare le lacrime.
Zayn rimase immobile e Liam prese le chiavi dalla tasca della giacca. Le udì tintinnare mentre le tirava fuori. Non riusciva a pronunciare le usuali parole di commiato, temendo che fossero definitive.
"Ti lascio tornare da tuo figlio", disse infine.
Alla luce soffusa della veranda, gli parve di scorgere lacrime anche negli occhi di Zayn.
Si asciugò il viso e disse: "Ho comprato un regalo di Natale per Jonah. Ti dispiace se un giorno passo a portarglielo?"
Zayn guardò lontano.
"Può darsi che non ci trovi. Stavo pensando di andare a Nags Head la settimana prossima. Louis ha una casetta lassù e ha detto che posso usarla. Ho bisogno di starmene via per un po', capisci?"
Liam annuì.
"Io invece resterò a casa, se vorrai darmi un colpo di telefono."
"D'accordo", mormorò lui.
Nessuna promessa, pensò.
Fece un altro passo indietro, si sentiva svuotato, anelava a trovare qualcosa da dire che potesse cambiare le cose. Con un sorriso tirato, andò alla macchina, sforzandosi di mantenere il controllo.
Gli tremavano leggermente le mani quando aprì la portiera e si voltò a guardarlo. Lui non si era mosso; la sua bocca era serrata in una linea dritta. Si infilò dietro il volante.
Zayn lo stava osservando, avrebbe voluto chiamarlo, chiedergli di restare, assicurargli che avrebbe trovato un modo per rimediare a tutto.
Dirgli ancora che lo amava e lo avrebbe sempre amato.
Ma non lo fece.
Liam accese il motore. Zayn si spostò verso le scale e lui sentì un tuffo al cuore, ma poi si rese conto che era diretto verso la porta.
Non lo avrebbe fermato.
Ingranò la retromarcia e partì.
Sentiva le lacrime scendergli lungo le guance. Quando Zayn aprì la porta, Liam ebbe la desolante sensazione che quella fosse l'ultima immagine che avrebbe conservato di lui.
Non poteva più restare a New Bern.
Sarebbe stato troppo doloroso incontrarsi in giro; così si sarebbe dovuto trovare un altro lavoro.
Un altro posto dove ricominciare.
Di nuovo.
Una volta sulla strada, accelerò, sforzandosi di non voltarsi indietro.
Me la caverò, si disse. Qualunque cosa accada, ce la farò, del resto mi è già capitato.
Con o senza Zayn, sopravviverò.
Non è vero, gridò all'improvviso una voce dentro di lui.
Allora crollò: con gli occhi annebbiati dalle lacrime, si fermò sul ciglio della strada.
Mentre il vapore cominciava ad appannare i finestrini, Liam pianse come non aveva mai fatto prima.
"Dov'eri?" Chiese Jonah. "Ti ho cercato, ma non ti trovavo."
Liam era andato via da mezz'ora, ma Zayn era tornato sulla veranda.
Era appena rientrato quando si era trovato davanti il figlio.
"Ero fuori in veranda."
"Che cosa facevi lì?"
"C'era Liam."
Il viso di Jonah si illuminò.
"Davvero? E dov'è?"
"No, adesso non è più qui. Non poteva fermarsi."
"Oh"
Alzò il visino verso il padre.
"Fa niente", disse, senza riuscire a nascondere la delusione.
"Volevo solo mostrargli la torre che ho costruito con i Lego."
Zayn si accovacciò alla sua altezza.
"Puoi mostrarla a me."
"Tu l'hai già vista."
"Lo so. Ma puoi farmela vedere di nuovo."
"Non ce n'è bisogno. Io volevo che la vedesse il signor Payne."
"Mi spiace, allora. Magari puoi portarla a scuola domani per mostrargliela."
Jonah scrollò le spalle.
"Va bene."
Zayn lo osservò attentamente.
"Che cosa c'è che non va, campione?"
"Niente."
"Ne sei sicuro?"
Jonah non rispose subito.
"Credo che mi manchi, ecco."
"Chi? Il signor Payne?"
"Sì."
"Ma lo vedi a scuola tutti i giorni."
"Lo so, ma non è lo stesso."
"Non è come quando è qui, vuoi dire?"
Jonah annuì, con aria persa.
"Avete litigato, voi due?"
"No."
"Però non siete più amici."
"Ma certo che lo siamo. Siamo ancora amici."
"Allora perché non viene più qui?"
Zayn si schiarì la gola.
"Ecco, in questo momento le cose sono un po' complicate. Quando sarai cresciuto, capirai."
"Oh", disse Jonah.
Poi rimase assorto.
"Non voglio diventare grande", dichiarò alla fine.
"E perché?"
"Perché i grandi dicono sempre che le cose sono complicate", fu la risposta.
"A volte è così."
"Ti piace ancora il signor Payne?"
"Sì", rispose Zayn.
"E tu gli piaci?"
"Credo di sì."
"Allora che cosa c'è di complicato?"
Aveva un'espressione implorante e Zayn in quel momento capì che il figlio, non solo sentiva la mancanza di Liam, ma gli voleva anche bene.
"Dai, vieni qui", gli disse, abbracciandolo senza sapere che altro fare.
Due giorni dopo, Louis si presentò a casa sua mentre stava caricando la macchina.
"Sei già in partenza?" gli chiese.
Zayn si voltò.
"Oh ciao, Louis. Ho pensato che fosse meglio partire presto. Non voglio rischiare di trovare traffico."
Chiuse il bagagliaio e si girò.
"Grazie ancora per averci prestato la casa."
"Nessun problema. Ti serve aiuto?"
"No, grazie, ormai ho finito."
"Quanto tempo starai via?"
"Non lo so. Magari un paio di settimane, fino a Capodanno. Sicuro che non ci siano problemi?"
"Non preoccuparti...hai accumulato ferie sufficienti a stare lassù un mese."
Zayn scrollò le spalle.
"Chissà. Magari lo farò."
Louis gli lanciò un'occhiatina.
"Senti, sono venuto a dirti che Harvey non formalizzerà le accuse contro di te. Pare che Otis abbia deciso di non sporgere denuncia. Quindi ufficialmente la sospensione è finita e potrai rimetterti al lavoro appena torni."
"Ottimo."
Jonah uscì precipitosamente in giardino facendoli girare verso di lui.
Salutò Louis, quindi corse di nuovo dentro, come se avesse dimenticato qualcosa.
"Allora, Liam verrà a trovarvi per qualche giorno? Anche lui è il benvenuto a casa mia."
Zayn, che fissava ancora la porta, si girò a rispondergli.
"Non credo. C'è qui tutta la sua famiglia e, durante le feste, non penso che ce la farà a raggiungerci."
"È un peccato. Ma vi vedrete al tuo ritorno, vero?"
Zayn abbassò lo sguardo e Louis afferrò il messaggio.
"Non va troppo bene, eh?"
"Sai com'è."
"A dire il vero, no. E' da un po' che non ho relazioni sentimentali, a parte mio marito. Però nel vostro caso è un peccato."
"Ma se non lo conosci nemmeno, Louis."
"E che importa? Dicevo che è un peccato per te."
Si infilò le mani in tasca.
"Senti, non sono venuto qui a ficcanasare. Sono affari tuoi. In realtà c'è un altro motivo. Qualcosa che mi lascia ancora perplesso."
"Ah, sì?"
"Stavo ripensando a quella telefonata sai, quando mi hai detto che Otis era innocente e mi hai suggerito di chiudere le indagini."
Zayn non disse niente e Louis lo scrutò da sotto il cappello.
"Immagino che tu ne sia ancora convinto."
Dopo un po', Zayn annuì.
"Nonostante le dichiarazioni di Sims e di Earl?"
"Sì."
"Non lo dici solo per poterti occupare personalmente della questione, vero?"
"Hai la mia parola, Louis."
Lo sceriffo intuì che diceva la verità.
"Va bene", concluse.
Si strofinò le mani sulla giacca, come per pulirle, poi si toccò il cappello.
"Allora... divertiti su a Nags Head. Pesca un po' anche per me, d'accordo?"
Zayn sorrise.
"Ci puoi contare"
Louis fece qualche passo, poi si fermò di scatto e si girò.
"Senti...c'è ancora una cosetta."
"Quale?"
"Brian Payne. Non ho ancora ben chiaro il motivo per cui lo stavi portando dentro quel giorno. C'è qualche affare in sospeso di cui dovrei occuparmi mentre sei via? Qualcosa che dovrei sapere?"
"No", rispose Zayn.
"Ma che era successo? Non me lo hai ancora spiegato bene."
"È stato un equivoco, Louis."
Zayn esaminò il bagagliaio dell'auto.
"Soltanto un equivoco."
Lo sceriffo fece una risata.
"Sai, è buffo."
"Che cosa?"
"È la stessa identica risposta che mi ha dato Brian Payne."
"Hai parlato con lui?"
"Dovevo verificare la sua versione, capisci. Era rimasto coinvolto in un incidente mentre era sotto la custodia di uno dei miei agenti. Era mio dovere accertarmi di come erano andati i fatti."
Zayn impallidì.
"Stai tranquillo. Ho fatto in modo che durante il nostro colloquio non ci fosse nessun altro in casa."
Una pausa significativa, poi si strofinò il mento con la mano, pensieroso.
"Vedi", proseguì infine, "continuavo a pensare a queste due cose che non mi convincevano e l'investigatore che è in me aveva la sensazione che fossero in qualche modo collegate."
"Invece non lo sono", si affrettò a precisare Zayn.
Louis annuì, serio in volto.
"Immaginavo che lo avresti detto, ma io dovevo accertarmene. Senti, voglio essere chiaro: c'è qualcosa che adesso dovrei sapere a proposito di Brian Payne?"
Zayn avrebbe dovuto immaginare che il suo capo non era uno stupido.
"No", rispose soltanto.
"D'accordo. Allora lascia che ti dia un consiglio", disse Louis.
Zayn era curioso di sentirlo.
"Se con il tuo comportamento mi stai dicendo che è finita, allora fai che lo sia davvero, d'accordo?" gli disse lo sceriffo, serio.
"Che cosa significa?"
"Se è finita, finita sul serio, allora non lasciare che questa storia ti rovini il resto della vita."
"Non ti seguo."
Louis sospirò.
"Mi segui benissimo, invece".
N/A:
Quanto è cucciolo Jonah che sente la mancanza di Liam? Tra loro si è creato un rapporto unico e speciale che va ben oltre il rapporto insegnante-alunno, ma Zayn è troppo orgoglioso e troppo ferito nel profondo per ammettere a se stesso che Liam ormai è parte fondamentale della vita di Jonah. La parte che preferisco è quando Jonah scopre Zayn guardare le vecchie cassette di Missy. Avevo le lacrime! Il momento in cui ho pensato al peggio è stato quando Zayn ha seguito Brian fino al cimitero, credevo lo uccidesse veramente, però ha sorpreso tutti mantenendo la calma e decidendo poi di non denunciare Brian. Era la cosa più giusta da fare, non poteva rovinare la vita di un ragazzo per colpa di un grave, ma pur sempre incidente.
Volevo ringraziarvi per tutti i commenti carini, siete le più dolci e ne aspetto tanti altri ;)
E' finita! Sono così triste, però c'è pur sempre l'epilogo! A presto :)