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CAPITOLO NOVE: REMEMBER WE DIE
Le vacanze di Natale stavano per giungere a termine: gli abeti pieni di decorazioni e le lucine colorate ancora facevano capolino da ogni angolo della strada e davano un aspetto più gioioso alla grigia Beacon Hills. Emma aveva sempre amato quella festa e per quanto avesse riempito casa sua di decorazioni, luci, stelle colorate e calze di ogni genere, non era riuscita a fare la stessa cosa nel loft di Derek.
Dopo aver parlato con Deaton, aveva cercato di distrarlo in tutti i modi, anche se sapeva che prima o poi avrebbero dovuto affrontare l'argomento e aveva deciso di convincerlo a fare un piccolo albero anche a casa sua, tanto per renderla più accogliente durante il periodo natalizio. Il ragazzo, ovviamente, non ne aveva voluto sapere niente: odiava il Natale e come cambiavano le persone in occasione di quella festività: sembrava che il mondo cominciasse a funzionare soltanto il 25 Dicembre e che ogni persona diventasse magicamente buona, quando in realtà si rivelava soltanto ipocrita. Emma aveva cercato di convincerlo in tutti i modi, ma il suo loft era rimasto esattamente così com'era. Dopotutto, anche la zona in cui Derek viveva non aveva grande spirito natalizio: la gente del quartiere aveva allestito un albero in mezzo ad un piccolo parco lì vicino, ma nessuna delle loro case brillava sotto il bagliore di luci colorate.
Diversamente da come si era aspettata, non faceva molto freddo e di neve se n'era vista ben poca: ma alla fine, era una cosa normale. Quella era la California e il sole scaldava la terra quasi tutto l'anno.
Appoggiò l'evidenziatore accanto al libro, sul tavolo di legno scuro, tornando alla realtà: alzò gli occhi da ciò che stava facendo e guardò Derek fare un paio di ultimi piegamenti prima di toccare di nuovo terra con i piedi e riposarsi qualche secondo. Il loft era diventato anche un po' casa sua e si meravigliava di se stessa per essere una bravissima bugiarda ed inventare una scusa diversa ogni volta che salutava sua madre e le diceva di uscire.
Guardò il ragazzo riprendere l'allenamento, mentre un pensiero continuava a bussare alle porte della sua mente: erano settimane che rimandava quella domanda, quel dubbio che aveva, ma non poteva più aspettare.
Aveva voluto che Derek si distraesse un po' e non pensasse troppo ai suoi genitori, ma lei aveva bisogno di sapere; a lei interessava scoprire come esattamente fosse morta la sua famiglia.
«Derek?»
Si staccò dalla sbarra, attaccata in alto, piombando a terra con entrambi i piedi e si voltò verso di lei, rimanendo in totale silenzio, ma incitandola a continuare con un solo sguardo.
«Esiste ancora casa tua?» chiese, non sapendo quale reazione aspettarsi «Voglio dire, è ancora in piedi oppure tu e Deaton l'avete venduta o-»
«No, è ancora là» la interruppe il ragazzo, appoggiandosi al tavolo. Per un attimo, Emma perse il filo del discorso, troppo concentrata ad osservare il petto di Derek che si alzava e abbassava ancora velocemente, per via dell'allenamento. Alcune gocce di sudore attraversavano pigre il suo collo, per poi scendere verso l'addome e arrivare infine all'elastico dei pantaloni della tuta, dove finivano tutte per essere assorbite dalla stoffa.
Il ragazzo sorrise sornione mentre ascoltava il battito cardiaco di Emma aumentare sempre di più e la osservava divertito mentre era ferma a fissare il suo corpo.
«Pensavo» riprese lei, distogliendo lo sguardo una volta per tutte e riportandolo sul suo viso «Che potremmo andare là e dare un'occhiata: magari troviamo qualcosa che la polizia non ha notato o che pensava non fosse utile»
Derek corrugò la fronte, rimanendo spiazzato di fronte a quella richiesta. Non entrava in quella casa da quando se n'era andato quella notte e non credeva di esser pronto ad entrarvi così all'improvviso dopo quasi vent'anni. La sua mente lavorava velocemente e il suo cuore era carico di angoscia e preoccupazione. Come poteva tornare lì? Come poteva farlo e pensare di sopravvivere ad una cosa del genere? In quell'edificio c'erano la sua infanzia, i bei ricordi della sua famiglia, di sua madre, delle sue sorelle. C'era l'unico ricordo che avrebbe voluto tanto dimenticare: la loro morte. No, non poteva farcela.
«Hai ragione, è un'idea stupida» la voce della ragazza lo riportò alla realtà. Aveva capito che per lui fosse troppo tornare in quella casa, lo aveva capito dal suo silenzio. Ma se davvero lì ci fosse stato qualcosa che avrebbe potuto aiutarla? Sapeva che non gli interessasse andare a fondo e trovare la verità – era abbastanza ferito così – ma a lei sì. Lei voleva sapere.
«No» rispose il ragazzo. Sarebbe stato impossibile per lui attraversare la soglia di casa, ma Emma aveva tutto il diritto di conoscere la verità e non sarebbe stato lui ad impedirglielo «Andiamo»
Dopo una doccia fredda e veloce e un viaggio di una decina di minuti in macchina, passato in rigoroso silenzio, la camaro nera di Derek si fermò in mezzo al bosco, esattamente di fronte alla sua vecchia casa. Non era stato più lì: ogni volta che aveva fatto un giro nel bosco aveva sempre evitato quella zona.
Puntò i suoi occhi verdi sulla ragazza seduta vicino a lui e si accorse di quanto fosse curiosa e determinata a trovare qualcosa, anche se poteva percepire un pizzico di angoscia e dispiacere per averlo trascinato fino a lì. Gli occhi di Emma erano fissi sull'edificio, ancora ben conservato. Nei suoi sogni, era stato dipinto quasi come una casa degli orrori: buio, con le tegole che cadevano a pezzi ed una finestra – quella al piano terra – con il vetro completamente frantumato. Mentre, in realtà, era rimasta intatta: la tinta delle pareti esterne era sbiadita – da crema, erano diventate quasi bianche – e le tegole erano state rovinate dalle intemperie, ma per il resto poteva dirsi davvero una bella casa.
«Sognavi anche la casa?» parlò infine Derek.
Annuì «Sì, ma era molto più brutta e distrutta di quanto non sia in realtà» gli sorrise, poi sospirò «Senti, non dobbiamo farlo: possiamo tornare a casa e trovare un altro modo»
«Non preoccuparti, sopravvivrò»
Entrambi scesero dall'auto e si incamminarono verso la casa, lasciandosi il mezzo alle spalle. Derek tirò fuori le vecchie chiavi, leggermente arrugginite e salì velocemente i tre scalini del portico, infilandole nella serratura. Non si guardò intorno nemmeno per un secondo: non voleva vedere niente, voleva trovarsi faccia a faccia con i ricordi il meno possibile. Sapeva che sul portico ci fosse ancora la sedia a dondolo di sua madre, ma la evitò con tutte le sue forze.
Una volta fatta scattare la chiave nella porta, entrarono e la prima cosa che colpì entrambi fu il forte odore di muffa ed umido. I loro nasi furono punti dall'enorme coltre di polvere che alleggiava in giro per tutte le stanze. Come poterono constatare, ogni cosa era rimasta esattamente al suo posto ed ora tutto era ricoperto da immensi teli bianchi.
Il ragazzo non potè fare a meno di guardarsi intorno e rivivere i primi sei anni della sua vita, gli unici passati lì dentro: probabilmente, sotto quei teli, c'erano ancora la tavola intorno alla quale tutti si riunivano per mangiare, la scatola dei giocattoli posta in un angolo del salotto, il caminetto, la libreria di suo padre colma di libri – ne aveva talmente tanti, che aveva intenzione di comprarne un'altra ed occupare un'ulteriore parete. I ricordi lo colpirono come un pugno in faccia e per un momento, i suoi polmoni si svuotarono dell'aria necessaria per respirare e nella sua gola si formò un groppo difficile da mandar giù. Per la prima volta, assaporava la tristezza. Quella vera, quella che ti mette in ginocchio, che ti fa male al cuore e ti fa scappare, quella che ti fa piangere. Derek sentiva le lacrime nascoste dietro ai suoi occhi pronte ad uscire, ma non voleva farlo lì, non voleva che Emma lo vedesse così vulnerabile e perso, come un bambino.
«Avevate una soffitta?» chiese all'improvviso Emma, aggirandosi per le stanze del piano terra, alzando di tanto in tanto un telo per vedere cosa vi si nascondesse sotto.
«Sì, al terzo piano» rispose con la voce roca e leggermente tesa. Emma lo guardò per un attimo, valutando la possibilità di andarsene una volta per tutte, ma non ne ebbe il tempo, visto che il ragazzo la superò e si diresse verso il piano superiore, salendo le scale.
Si affrettò subito dietro di lui ed in un attimo furono di sopra: un piccolo, ma lungo corridoio su cui si affacciavano diverse porte si apriva di fronte a loro. Emma non si fermò e continuò a salire le scale, per arrivare alla soffitta.
Quando si accorse che il ragazzo non l'avesse seguita si bloccò sul posto «Non vieni?»
Lui si voltò di scattò, come se fosse ripiombato nella realtà all'improvviso e accennò un sorriso «Voglio vedere una cosa, ti raggiungo subito» disse «La soffitta è sulla destra»
Emma lo guardò preoccupata per un'ultima volta, prima di scomparire e percorrere a passo svelto l'ultima rampa di scale. Derek chiuse gli occhi, cercando di respirare correttamente e riprendere il controllo delle sue facoltà mentali. Ce la stava mettendo tutta per non crollare di fronte a lei e adesso aveva bisogno di un minuto per riprendersi definitivamente. Si inoltrò nel corridoio, proprio come succedeva nei suoi sogni, e si fermò di fronte alla porta della sua camera. Era la stanza protagonista dei suoi incubi, quella in cui molte volte aveva rivisto sua madre tenere in braccio Emma.
Appoggiò delicatamente la mano sulla maniglia, per paura che si disintegrasse da un momento all'altro e la spinse verso il basso, aprendo la porta.
Anche in quella stanza tutto era ricoperto da teli bianchi e i piccoli granuli di polvere si muovevano pigramente nell'aria. Per un momento, vide di nuovo se stesso da piccolo giocare con Cora e Laura; vide sua madre arrabbiarsi con lui in un pomeriggio di luglio per aver tirato i capelli alle sue sorelle; vide suo padre aiutarlo a rimettere in piedi un trenino che Cora gli aveva distrutto per vendicarsi; rivide le uniche persone di cui si fosse davvero fidato, le uniche che lo avessero davvero amato. Alzò qualche telo, rivelando i suoi vecchi giocattoli, i vecchi fogli scarabocchiati adesso divenuti gialli e pieni di muffa, il suo letto con la testata bianca e quei pochi libri che sua madre gli aveva regalato, ma che lui non aveva mai letto.
Girovagò per un po' in quella stanza, completamente immerso nei suoi pensieri: sentiva di avere un masso gigante al centro del petto, ma almeno era felice di aver superato una delle sue più grandi paure: il ricordo della sua famiglia. Forse, andare lì quel giorno non era stata per niente una brutta idea e, ancora una volta, doveva ringraziare Emma per questo.
Fu proprio un rumore strano al piano di sopra – proveniente dalla soffitta – ad attirare la sua attenzione ed a riportarlo bruscamente alla realtà. Uscì velocemente dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle e prese a salire le scale a grandi falcate, arrivando a destinazione in pochi secondi.
«Che succede?» chiese allarmato, vedendo Emma sommersa dagli scatoloni.
«Niente» rispose, ridendo «Cercavo di tirar giù questo scatolone, ma mi è caduto addosso»
Derek scosse la testa divertito, aiutandola a rialzarsi. Poi si guardò intorno e rimase piacevolmente sorpreso da ciò che vide: sapeva dell'esistenza di quella soffitta, ma non che fosse piena zeppa di scatoloni. Evidentemente ai suoi genitori, piaceva davvero tanto conservare le cose: si andava da cianfrusaglie di ogni genere ad oggetti più significativi, come i trofei di basket di suo padre o le toghe, che avevano indossato per la laurea, appese ad una gruccia, infondo alla stanza.
«Allora, da dove cominciamo?» chiese, sfregando le mani una contro l'altra. Faceva troppo freddo anche per lui, ma si sfilò comunque la giacca e la passò ad Emma che batteva i denti e tremava come una foglia.
«Quello che è successo prima che le nostre madri si conoscessero non ci interessa, giusto?» cominciò la ragazza, aggirandosi tra gli scatoloni «Quindi, dobbiamo partire dal momento in cui sono diventate amiche»
Gli occhi di Derek si illuminarono «Il college!»
Riuscirono a trovare cinque scatoloni che riportavano la scritta college: due erano del padre del ragazzo, tre della madre. Decisero di scartare quelli del signor Hale, per concentrarsi sugli altri.
Passarono le successive due ore ad analizzare attentamente ogni oggetto – importante o meno che fosse – che Talia Hale avesse conservato con così tanta cura, ma non giunsero a niente di concreto. Sembrava che le loro madri fossero state amiche soltanto nella memoria di Deaton, perché lì – in mezzo a tutti quei ricordi – non c'era niente che potesse essere ricollegato alla loro amicizia e alla loro morte.
«Qui non c'è niente» parlò infine Derek con un tono arrendevole.
«Qua nemmeno» gli fece eco Emma.
Ormai senza speranze si alzò e cominciò a frugare nel terzo ed ultimo scatolone. Stava morendo di freddo e, ad essere sinceri, non vedeva l'ora di andarsene, ma per lo meno la giacca di Derek le dava un po' di calore.
Aveva le mani piene di polvere, però continuò a cercare. Si liberò di oggetti inutili, come vecchi quaderni pieni zeppi di appunti, libri, medaglie vinte a qualche gara di matematica e riconoscimenti ricevuti. Infine, fu una piccola busta bianca da lettere ad attirare la sua attenzione. Era sul fondo della scatola, come se fosse stata coscienziosamente nascosta. La prese con non poche difficoltà, visto che si era attaccata allo scatolone e la portò alla luce.
L'aprì con cautela, aspettandosi una lettera: in realtà ciò che vide fu una fotografia. Era ingiallita e rovinata sui bordi; raffigurava tre ragazze, il giorno della loro laurea.
«Derek» lo chiamò con la gola secca, senza staccare gli occhi da quell'immagine. Il ragazzo le fu vicino in un secondo e i suoi occhi furono catturati subito da quelle tre ragazze.
«Questa» riprese Emma, con voce tremante indicando una delle tre «E' tua madre, giusto?»
Il ragazzo ne indicò un'altra «E questa dovrebbe essere la tua: sei la sua copia»
Emma potè notare che avesse ragione: era tale e quale a sua madre. Entrambe avevano i capelli scuri, gli occhi azzurri e la pelle chiarissima.
«E questa chi è?» riprese infine ed entrambi spostarono gli occhi sulla terza ragazza.
«C'era una lettera insieme alla foto? O un biglietto? Qualsiasi cosa» cominciò Derek, ma Emma scosse la testa. Per caso, però, girò la fotografia notando che riportasse delle scritte. Chiunque avesse lasciato quel messaggio, aveva usato quell'immagine come una cartolina. Il tratto della penna si era scolorito con il tempo, ma era ancora leggibile.
"Essere laureate non significa perdersi di vista una volta per tutte e per sempre; però, nel caso accada, ricordate che saremo migliori amiche per sempre! Con amore, Joan" diceva la fotografia.
Un silenzio quasi assordante riempì la stanza e i due non poterono far altro che guardarsi per minuti interi negli occhi, con un'espressione dubbiosa stampata sul volto.
Emma si rigirò quella fotografia tra le mani, collegando finalmente quel nome al viso della ragazza rimasta «Lei deve essere Joan, hai mai sentito parlare di lei?»
Derek scosse la testa deciso. In realtà, non si ricordava nemmeno la madre di Emma, quindi quella Joan gli era sconosciuta al cento per cento.
«E nemmeno Deaton, visto che non ce n'ha parlato» aggiunse.
«E se parlassimo con lei?» riprese Emma, improvvisamente sicura di essere vicina a scoprire la verità «Magari vive qui, è sposata, ha figli...»
«Non sarebbe male, ma come la troviamo?» obbiettò il ragazzo «Non sappiamo nemmeno il suo cognome»
La ragazza annuì, abbandonando ogni speranza che si era creata. Il nome Joan non era molto utilizzato, ma era sicura che a Beacon Hills ce ne fosse più di una. Poi però, le venne in mente un'idea.
«L'annuario!» esclamò, voltandosi di scatto verso gli scatoloni e lasciando la foto tra le mani di Derek. Frugò tra tutti i libri che aveva tirato fuori, fino a trovare ciò che le interessasse davvero «Frequentavano lo stesso corso, quindi il suo nome deve pur essere da qualche parte»
Lo sfogliò velocemente, con la fronte leggermente corrucciata e il ragazzo non potè far altro che sorridere compiaciuto. Emma era più intelligente di quanto avesse pensato; per quanto non volesse ammetterlo, era una specie di versione femminile di Stiles. Lui era sempre stato la forza fisica, ma Emma era assolutamente la mente. Ammirava la sua voglia di scoprire la verità, anche se sapeva quanto le facesse paura, quanta rabbia avrebbe riportato a galla, ma ne andava fiero. Era contento di aver trovato una di quelle persone che non si abbattono, non si arrendono al primo ostacolo. Lui si era sempre sentito così, senza mai trovare qualcuno che fosse esattamente il contrario. Ma adesso che c'era Emma, era sicuro di aver finalmente raggiunto un suo equilibrio.
«Joan Millstone!» esclamò la ragazza, riportandolo alla realtà «Sapevo che l'avrei trovata qui»
«Adesso potremmo chiedere a Stilinski» Emma corrugò la fronte senza capire, così Derek si chiarì «E' lo sceriffo: dovrebbe conoscere ogni abitante di questa città. Chiediamo a lui e vediamo se sa darci qualche informazione»
La ragazza sorrise felice e infilò tutto di nuovo nello scatolone. Avevano ottenuto ciò che volevamo, o perlomeno, una minima parte. Piccola, ma comunque importante: sicuramente adesso si trovavano più vicini alla verità di quanto lo fossero stati qualche ora prima.
Derek ripiegò con cautela la fotografia e la infilò nel portafoglio, poi prese per mano Emma ed uscirono definitivamente da quell'edificio. Era stato difficile per lui rivivere tutti quei ricordi, ma una volta fuori, voltandosi verso la sua casa, potè constatare che fosse stato triste, ma non così dura come aveva sempre pensato. Quel tuffo nei ricordi gli era stato utile: era sicuro che da quel momento in poi, non avrebbe avuto problemi ad aggirarsi in quella zona e a ripercorrere con piacere le memorie della sua infanzia.
Tornò alla realtà e si avviò all'auto, convinto che Emma lo stesso seguendo. Solo quando aprì lo sportello e fece per salire, si accorse che la ragazza si fosse incamminata verso la direzione opposta.
La chiamò un paio di volte, ma non rispose. Sembrava stesse camminando ad occhi chiusi come se fosse attratta da qualcosa e completamente ipnotizzata. Così la seguì, senza mai fermarla, senza mai chiamarla. Camminarono per un tempo che ad entrambi sembrò interminabile e si fermarono solo quando le scarpe di tela di Emma si inzupparono d'acqua.
Derek alzò lo sguardo di fronte a sé e notò il lago. Serrò la mascella di scatto quando si accorse che fosse il luogo sognato da Emma, nonché dove fossero stati uccisi i loro genitori. La ragazza stava in piedi di fronte a quella distesa d'acqua con gli occhi persi nel vuoto. Non conosceva la strada per arrivare lì, eppure aveva camminato sicura fino alle sue rive. Era come se ci fosse stata una calamita ad attirarla, come se riuscisse a sentire di nuova le loro urla. Non riusciva a distogliere lo sguardo e sentiva come se avesse dovuto fare un passo in più ed unirsi completamente all'acqua. Nella completa assenza delle sue facoltà mentali, mosse un piede verso il lago, ma Derek l'afferrò per un braccio, bloccandola.
Emma sbattè gli occhi velocemente risvegliandosi da quello stato di trance e voltandosi verso di lui: cosa stava facendo? Come era arrivata fino a lì? Non se n'era accorta.
Fece un passo indietro, impaurita, scontrandosi con il petto del ragazzo.
«Ehi, stai bene?» mormorò lui. Il suo respiro caldo solleticò il collo di Emma, che chiuse gli occhi e si rilassò contro il suo corpo.
«Io- Io non lo so-» balbettò «Era come se il lago mi chiamasse, come se-»
La voce le morì in gola e il cuore prese a batterle forte nel petto: cosa le stava succedendo? Quella era la realtà, non uno dei suoi incubi. Si rifugiò tra le braccia di Derek e si strinse al suo busto.
«Tranquilla» la consolò, cercando di evitare il fatto che stesse tremando talmente tanto da spaventarlo e si avviarono di nuovo alla sua camaro «E' tutto passato, sta tranquilla»
Le mani di Derek erano appoggiate saldamente sulle cosce della ragazza, mentre le loro labbra si incontravano freneticamente, nel piccolo abitacolo della camaro, parcheggiata di fronte alla casa di Malia. I vetri oscurati non lasciavano trasparire alcuna immagine, ma a loro non interessava. Emma non aveva mai pensato di trovarsi in quella situazione, a baciare in quel modo un ragazzo, malamente a cavalcioni sulle sue ginocchia, nella sua auto: le loro labbra si rincorrevano, ostacolate di tanto in tanto da qualche risata, soffocata poi da un altro bacio; le piccole mani della ragazza stringevano la maglietta di Derek, mentre quelle del ragazzo erano ferme sulle sue gambe, perché se solo si fosse mosso, sarebbe stato un bel casino. Buttò la testa all'indietro – per quanto fosse possibile – gemendo vergognosamente quando le labbra di Emma lasciarono le sue e si spostarono sulla mascella, per arrivare fino al collo. Se fossero stati al loft, completamente soli e più comodi, probabilmente avrebbe urlato di piacere. Strinse la presa sulle sue gambe, quando sentì Emma mordicchiargli scherzosamente la pelle delicata del collo.
«Emma, dio-» provò, respirando con leggero affanno «I morsi no, ti prego»
La sentì ridere contro il suo petto, soddisfatta di aver trovato il suo punto debole. Lo avrebbe sicuramente usato a suo favore.
Aprì gli occhi per guardarla: le sue guance erano arrossate, ma vive e gli occhi brillavano. Spostò le mani dalle sue gambe, al viso della ragazza facendo di nuovo scontrare le loro labbra. Diceva sempre di odiare quelle situazioni così schifosamente romantiche e di detestare il fatto di sentirsi come un adolescente che ha a che fare con la sua prima cotta, ma in quel momento non gli importava. Preferiva concentrarsi sul respiro irregolare di Emma, sul suo battito cardiaco, sui loro corpi che si toccavano e poi allontanavano in continuazione, su quella sensazione di eccitazione che ormai aleggiava in quello strettissimo ambiente già da un po'. Quel bacio fu più lungo rispetto agli altri e Derek si sentì quasi soffocare dalla sua intensità. Ne ebbe conferma quando il corpo di Emma si mosse troppo contro il suo, facendolo gemere più del dovuto.
«Ragazzina, è meglio se ti fermi» le disse, recuperando fiato, dopo aver interrotto il bacio «Se continui così, non mi basteranno nemmeno dieci docce fredde per riprendermi»
Emma si fermò di scatto, arrossendo fino alla punta delle orecchie, ma prima che potesse replicare o baciarlo di nuovo, qualcuno bussò impaziente al finestrino.
Derek sapeva che fosse Malia, così roteò gli occhi infastidito per esser stato interrotto e abbassò il vetro oscurato.
«Cosa vuoi?»
Malia arricciò il naso «Non ne posso più delle vostre effusioni e poi siamo in ritardo, possiamo andare?» esclamò scocciata, guardando l'amica.
«Dacci cinque minuti»
La ragazza assottigliò lo sguardo «Uno»
«Quattro» insistette Derek.
«Tre minuti, non un secondo di più»
Roteò di nuovo gli occhi, alzando il finestrino fino a chiuderlo per poi tornare a baciare Emma, che sorrideva divertita. Ricambiò il bacio, giusto in tempo, visto che di nuovo l'amica bussò allo sportello della loro macchina.
«Non sono passati tre minuti» si lamentò Emma, guardando supplichevole Malia.
«Forse non nel vostro mondo idilliaco e pieni di arcobaleni ed usignoli, ma nel mio – quello reale - sì» disse «Stiles ci sta aspettando»
«E' meglio che vada» sospirò Emma, guardando Derek. Lui si sfilò la giacca nera di pelle e, come al suo solito, gliel'appoggiò sulle spalle.
«Fa attenzione» l'ammonì.
Emma annuì e dopo un ultimo bacio veloce, saltò giù dall'auto, dirigendosi verso quella di Malia, che la stava aspettando appoggiata allo sportello con uno sguardo truce stampato sul volto. Derek le stava simpatico – per quanto potesse dire di conoscerlo – ma quando si trattava di Emma, diventava irrecuperabile.
Gli rivolse un'ultima occhiata, prima di salire in auto e partire: il viaggio fu silenzioso, ma breve visto che la casa della ragazza non si trovava molto lontana dalla stazione di polizia. Quando parcheggiarono di fronte all'edificio, la prima cosa che notarono fu la jeep azzurra di Stiles e la figura del ragazzo intento a chiudere lo sportello.
«Siete in ritardo» si lamentò, raggiungendole ed avviandosi all'interno.
«Emma era troppo occupata a limonare con Derek, colpa sua!»
Sulla faccia di Stiles si formò una vera e propria espressione di disgusto che presto si tramutò in una risata piena di gusto, quando le guance di Emma si tinsero di un rosa più acceso del normale. Per quanto le volesse bene, adorava metterla in imbarazzo.
Dentro la stazione di polizia, tutti erano occupati così nessuno si accorse del loro arrivo e della loro presenza. Nessuno, ad eccezione dello sceriffo Stilinski. Stava uscendo dall'edificio a passo spedito, ma si fermò di scatto quando notò il proprio figlio, accompagnato dalle due ragazze. Sapeva che ogni volta che Stiles si trovasse lì, era perché aveva bisogno di sapere qualcosa che in realtà non avrebbe dovuto conoscere.
«Cosa ci fate qui?» domandò con sguardo indagatore.
«Dobbiamo cercare informazioni su una persona» rispose il figlio, rimanendo sul vago.
Lo sceriffo assottigliò lo sguardo «Adesso non posso aiutarvi, devo uscire per un'emergenza e... E comunque non potreste proprio stare qui!»
«Per favore, papà!» si lamentò il ragazzo «Entriamo, cerchiamo e ce ne andiamo: nessuno si accorgerà di noi»
L'uomo chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando di recuperare la calma. Certe volte si chiedeva se quel ragazzo fosse davvero suo figlio, visto che era iperattivo e troppo curioso. In poche parole, tutto il suo contrario. Riaprì gli occhi puntandoli sulle ragazze che lo stavano silenziosamente pregando con i loro sguardi.
«Va bene: fate la ricerca nel mio ufficio» disse sottovoce e Stiles sorrise soddisfatto «Se entra qualcuno, dite che mi state aspettando»
I tre ragazzi esultarono e l'uomo scosse la testa, ormai arreso, avviandosi verso l'uscita. Poi si bloccò e si rivolse di nuovo a loro «Chi state cercando?»
«Joan Millstone, la conosce?» rispose Emma.
L'uomo accennò un sorriso tirato e «Buona fortuna»
Le due ragazze si guardarono perplesse per un paio di secondi, poi non appena la voce di Stiles le richiamò, si affrettarono all'interno dell'ufficio dello sceriffo e si chiusero la porta alle spalle.
Stiles si sedette alla scrivania e aggeggiò con il computer, fino a che non riuscì ad aprire l'applicazione che avrebbe dovuto aiutarli a cercare quella donna, all'interno dell'archivio della polizia.
Malia ed Emma rimasero in piedi vicino a lui e, dopo aver digitato il nome nella barra di ricerca, attesero i risultati: ciò che si aprì di fronte ai loro occhi non era per niente quello che si erano aspettati.
Saltarono volontariamente le notizie sull'identità della donna, concentrandosi su una voce a fine pagina: "deceduta".
«E' morta?!» esclamò Stiles, staccando in modo drammatico le mani dalla scrivania e appoggiandosi alla poltrona. Malia sbuffò, mentre il cervello di Emma cominciò a lavorare immediatamente, riempiendosi subito di domande.
«Come è morta?» fu la prima che riuscì a formulare, dopo un momento di stupore. Aveva capito di dover arrendersi: tutti quelli che avrebbe potuto usare per arrivare alla verità erano morti e sembrava che il destino ce l'avesse con lei.
«Non lo dice» rispose Stiles «Ma... Possiamo fare una ricerca su internet»
La ragazza tirò fuori immediatamente il cellulare per cercare informazioni: non era sicura di trovarne visto che quella donna avrebbe potuto benissimo avere un normale tumore o attacco di cuore – per cui non c'era motivo di riportare la notizia su internet o su un qualsiasi giornale – ma lo fece. Ormai non aveva più niente da perdere e si poteva comunque tentare.
Tra tutte le voci che apparvero, decise di aprire la prima e cominciò a leggere «"Joan Millstone, avvocato di 26 anni, viene ritrovata morta sul ciglio dell'unica strada che porta dalla periferia di Beacon Hills al bosco. Non sono ancora note le cause del decesso, ma sul corpo della vittima sono state ritrovate molte ferite, probabilmente morsi di animali. Uno in particolare ha attirato l'attenzione della polizia: è un morso molto profondo sul collo. Sembra quasi che ci siano bestie molto feroci che si aggirano nel bosco di Beacon Hills, ma che abbiano voluto soltanto divertirsi con questa ragazza, senza cibarsene completamente. Soltanto nei prossimi giorni, l'autopsia potrà rivelare in quali circostanze sia morta"»
Emma alzò gli occhi lentamente dallo schermo del cellulare per osservare la reazione dei due amici: Stiles era a bocca aperta, probabilmente più sorpreso di lei e Malia aveva un sopracciglio inarcato, segno evidente che ci fosse qualcosa che non le tornasse.
«Non dice altro?» il ragazzo fu il primo a parlare, rompendo quel silenzio carico di tensione.
Emma ritornò alla realtà e riprese a muovere il dito sullo schermo, leggendo velocemente altri articoli a lei dedicati «No, qui dice che è morta un anno prima dei miei genitori e che anche l'autopsia ha confermato che sia stata uccisa da alcuni animali»
«C'è qualcosa che non mi torna» intervenne Malia, appoggiandosi con una gamba alla scrivania.
«E' quel "morso sul collo" che non convince» si intromise Stiles, simulando le virgolette con le mani.
«E se fosse stata morsa davvero? Da un lupo mannaro, però» azzardò Emma.
Stiles aggrottò la fronte «Chi avrebbe potuto morderla? ...E perché?»
«A quei tempi, erano solo due i lupi mannari di Beacon Hills: Talia e Deucalion» rispose.
«Tu pensi che Talia...?» chiese Malia, lasciando cadere la frase. Non poteva essere, era troppo assurdo.
«Mia madre sapeva che fosse un lupo mannaro, quindi non vedo perché non avrebbe dovuto saperlo anche Joan: alla fine erano migliori amiche, no?» cominciò.
Stiles cominciò a capire, ma era più convinto che avesse potuto essere stato l'altro a morderla «E se fosse stato Deucalion?»
Emma ci riflette «Derek mi ha detto che il morso può trasformarti od ucciderti completamente; quindi, se Deucalion l'avesse davvero morsa, perché prendersela con mia madre e Talia?» disse «Potrebbe esser andata così: Joan voleva a tutti i costi essere un lupo mannaro e Talia, alla fine, ha acconsentito e l'ha morsa. Ma il morso non ha avuto l'effetto desiderato e Joan è morta. Probabilmente Deucalion aveva qualche rapporto con la Millstone e la sua morte lo ha spinto a vendicarsi»
«Tu credi che fossero innamorati?» chiese Malia.
«Non lo so, ma dovevano conoscersi molto bene, se Deucalion ha poi deciso di sterminare due famiglie»
«Però manca qualcosa» parlò Stiles, che era rimasto in silenzio durante tutto quel tempo. La teoria di Emma era abbastanza convincente, ma conosceva Talia Hale attraverso le (poche) parole di Derek e non le sembrava il tipo di Alpha che andava in giro a mordere la prima persona che trovasse, solo per soddisfare un suo effimero desiderio «Joan è il collegamento tra tua madre e Deucalion, è il movente; ma quello che manca è l'anello che unisce Joan a quell'odioso Alpha»
Era stato piuttosto difficile prendere quella decisione. In vita sua, non aveva mai pensato che un giorno si sarebbe ritrovato di fronte al quel cancello grigio topo, di ferro battuto mezzo arrugginito. L'aria era umida e una coltre nera di nuvole aleggiava sopra la sua testa. Aveva bisogno di fare quel passo da solo, per cui – non appena Emma se n'era andata con Malia – aveva approfittato della situazione. L'atmosfera era inquietante e tetra persino per uno come lui, che viveva costantemente nel grigiore e nella solitudine di una vita che non sopportava. Sospirò, chiudendo per qualche secondo gli occhi, cercando di percepire le sue stesse emozioni. Sentiva rabbia, tristezza, paura. Fare quel passo lo terrorizzava e avrebbe voluto scappare a gambe levate, ma doveva smetterla di comportarsi come un ragazzino, che si rifiutava di vincere ciò che lo spaventasse di più.
Aprì gli occhi, puntandoli sulla nebbia che creava un'ombra profonda sul cimitero e decise di entrare. In tutti quegli anni, non era mai andato a trovare la sua famiglia: aveva sempre evitato quel posto e il fatto stesso che fossero tutti seppelliti lì. Solo il pensiero che fossero sotto terra gli metteva angoscia, ma adesso era il momento di superarla. Superò il cancello e si incamminò tra le lapidi che sembravano osservarlo. Notò che anche altre persone fossero presenti all'interno, mentre parlavano ad una tomba in particolare o sistemavano i fiori su un'altra.
Il cimitero di Beacon Hills non era grande e – con sua grande sorpresa – non fu così difficile trovare la sua famiglia.
Fu strano, quasi assurdo vedere i nomi dei suoi genitori e delle sue sorelle incastonati nella pietra. Si guardò un po' intorno, poi si accucciò e puntò gli occhi sulla foto di sua madre. Anche in quella circostanza, pensò che fosse davvero bella. Una delle poche cose che ricordava della sua infanzia era quella moltitudine di momenti in cui suo padre le dicesse quanto fosse bella e quanto i suoi figli lo fossero, visto che erano tali e quali a lei.
Sorrise al pensiero e si sedette definitivamente a terra, ignorando l'erba umida.
«Ho trovato Emma» disse, accennando un sorriso tirato, mentre continuava a guardarsi intorno per vedere se qualcuno lo stesse fissando. Trovava stupide le persone che parlavano alle lapidi, eppure lui stava facendo la stessa cosa e in quel momento non sembrava così patetica «E' accaduto così in fretta, però... Credo che sia speciale. E se tu fossi stata qui e me lo avessi detto per prima, probabilmente ti avrei dato torto»
Una folata di vento lo fece rabbrividire, ma il suo sguardo non si mosse dalla figura di sua madre «Mi dispiace per-» parlò di nuovo, ma il magone che aveva inghiottito per tutti quegli anni non gli dava la possibilità di parlare «Non ho mantenuto la tua promessa, mamma: se avessi saputo prima cosa fosse successo, avrei ucciso Deucalion con le mie stesse mani e risparmiato ad Emma di vivere praticamente sotto scorta» una lacrima calda ed estranea rigò il suo volto. Cercò di ricacciare indietro tutte le altre, ma non ci riuscì «Non so cosa fare, come agire. Sta accadendo tutto troppo velocemente e rischio di mettere in pericolo la sua vita. Non me ne frega nulla della mia, capisci? Io voglio solo che lei sia al sicuro, voglio vederla sorridere. Odio quando le si forma quella piega orribile sulle fronte, ogni volta che pensa troppo e che è preoccupata; oppure quando gli occhi le si riempiono di lacrime perché è triste o ha paura. Non-» ispirò profondamente «Non voglio vederla così»
Si bloccò immediatamente, asciugandosi le guance bagnate con il maglione, quando un'anziana donna, gli passò vicino. La guardò allontanarsi lentamente e infine, decise di alzarsi e andarsene una volta per tutte.
Adesso quelle tombe sembravano molto meno spaventose di prima, ma ugualmente tristi. Prima di uscire dal cimitero, si voltò di nuovo verso il nome di sua madre e lo fissò intensamente «Prometto che la proteggerò, anche a costo di morire»
«Gliel'hai detto?»
«Cosa?» scattò Emma, voltandosi verso Malia, mentre la stava accompagnando al loft di Derek. Era talmente presa da tutte le domande che giravano come un vortice nella sua mente che non aveva ascoltato l'amica mentre alternava discorsi e le parole di una canzone, che stavano passando alla radio.
«Del ballo d'inverno» rispose Malia, con fare ovvio.
Emma alzò leggermente le spalle e sospirò «Non mi interessa venire»
«Cosa? Scherzi?!» esclamò l'altra.
«Sì, ok, forse un po' mi interessa, ma lui non verrebbe mai: sai com'è fatto»
Malia sorrise, entrando finalmente nella piccola via, alla fine della quale c'era l'edificio in cui si trovava il loft di Derek. Qualche goccia d'acqua aveva preso a cadere e se non fosse subito corsa dentro, si sarebbe beccata un bell'acquazzone.
«So che è un cretino» disse Malia, all'improvviso, fermandosi di fronte all'entrata con una ruota sul marciapiede «Prova a chiederglielo: voglio che la mia migliore amica venga con me a quella festa»
Emma rise e le assicurò che avrebbe provato, poi la salutò con un bacio sulla guancia e si rintanò dentro l'edificio salendo velocemente le scale.
Quando si ritrovò di fronte alla porta del loft, bussò decisa – mentre tremava di freddo, visto che la giacca nera di Derek era umida e non la riscaldava più – e aspettò che le aprisse, mentre spostava il peso da un piede all'altro. Il ragazzo aprì con forza il portone, senza nemmeno guardarla in faccia, e tornò a sedersi sul divano. Capì subito che ci fosse qualche problema: sembrava più stanco del normale, i suoi occhi erano tristi e il suo viso troppo pensieroso. Si sfilò la giacca e si sedette vicino a lui, appoggiando lentamente una mano sul ginocchio. Lui alzò lo sguardo su di lei e accennò un sorriso.
«Tutto bene?»
Derek appoggiò a sua volta la mano su quella di Emma e fece intrecciare le loro dita «Adesso che sei qui, va molto meglio» inspirò «Avete scoperto qualcosa?»
«Sì, ma non ne voglio parlare adesso» rispose.
Ovviamente era importante e voleva discuterne con lui, ma per quel giorno entrambi avevano fatto abbastanza e adesso, era troppo stanca per creare ulteriori teorie. Avevano bisogno che le rotelle dei loro cervelli si fermassero per un po' e si prendessero una pausa.
«Rimani?» le chiese, guardandola mentre i suoi occhi la pregavano «Non voglio restare da solo stasera»
Sul viso di Emma si aprì un sorriso a trentadue denti: si avvicinò a lui e fece combaciare le loro labbra in un bacio veloce, che Derek intensificò immediatamente appoggiando le sue mani sulle guance della ragazza, attirandola a sé. Sognava anche la notte momenti del genere: quando – anche solo attraverso il tatto – si rendeva conto di quanto avesse bisogno di lei, della sua presenza, del suo odore e del suo cuore che batteva nel petto. Aveva bisogno di Emma, perché lo faceva sentire vivo e gli faceva vedere le cose sotto un'altra luce.
«Rimango» parlò lei, interrompendo il bacio, con sguardo birichino «Solo se posso farmi una doccia e mangiare una pizza per cena»
«Affare fatto» rispose Derek, facendole l'occhiolino «Metti uno dei miei maglioni, stasera fa freddo»
La ragazza gli schioccò un bacio sulla guancia e si alzò dal divano, nonostante Derek facesse di tutto per tenerla lì con sé. Si incamminò verso le scale a chiocciola, quando si ricordò delle parole di Malia. Scosse la testa: quello non era assolutamente il momento più adatto per discutere di una cosa del genere.
«Perché sei così nervosa?»
Lei sbuffò, maledicendolo per le sue doti ultra sviluppate, e si voltò, tornando di fronte a lui «Posso chiederti una cosa?» Derek annuì «Tra un paio di settimane, c'è il ballo invernale a scuola e mi stavo chiedendo se volessi accompagnarmi»
Il ragazzo rimase per qualche secondo in silenzio, divertito dalla situazione «Tutta questa angoscia per... Un ballo?»
«Hai detto che non ti piace la scuola e questo genere di cose, quindi ho pensato che-»
«Ti accompagno» la interruppe Derek.
«Davvero?» esclamò sbalordita.
«Sì»
Emma sorrise felice, correndo verso di lui e saltandogli letteralmente addosso, cogliendolo di sorpresa. Fece scontrare le loro labbra, facendolo ridere.
«Va a farti la doccia!» la riprese lui «...Prima che cambi idea»
«Sì, signore!» esclamò, staccandosi immediatamente da lui e correndo su per le scale.
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a/n: salve lupetti :-)
questa volta sono stata molto brava e sono riuscita ad aggiornare entro 10 giorni! in realtà sono 11, ma shh, facciamo finta di niente!
allora, questo capitolo è wow: lunghissimo! di solito riesco a scriverlo tutto in una mattinata, ma per questo ne ho impiegate tre e per non so quale motivo ho dovuto scrivere e riscrivere alcune parti perchè non mi piaceva come venissero fuori
comunque, come già detto, questo capitolo è molto triste - dal punto di Derek, specialmente: ha fatto questo tuffo nei ricordi ed è quasi affogato, ma ha superato la paura del ricordo della sua famiglia ed insieme ad Emma ha fatto qualche passo avanti nella ricerca della verità
ho voluto darvi una tregua dai Demma, inserendo Malia e Stiles, anche perchè la storia comprende persino altri personaggi e poi di solito è Stilinski che si occupa di entrare di nascosto nella stazione di polizia e di essere puntualmente beccato dal padre; anche la scena in cui i Demma si baciano in macchina l'ho inserita per smorzare un po' l'atmosfera (non era programmata in scaletta) e perchè un po' di sana e buona eccitazione ci vuole sempre, no?
riguardo al prossimo capitolo, avremo il ballo che - vi avviso sin da subito - non sarà granchè, ma il resto sarà abbastanza sorprendente: non vedo l'ora di farvelo leggere! di nuovo, vi dico sin da ora che non so quando posterò perchè ho un esame mercoledì all'Uni ed uno il 16: se riesco, cerco di pubblicarlo tra mercoledì ed il 16, vedremo!
non ho altro da aggiungere, ma vi lascio con una domanda: cosa sarà successo ad Emma, quando si è ritrovata all'improvviso a fissare il vuoto di fronte al lago?
ah, ultime tre cose: 1) grazie grazie grazie per le 1,6K e passa letture e per le 147 stelline: continuate a votare perchè mi fa davvero piacere che leggiate con questo interesse e, magari, se vi capita, suggerite a qualcun altro la storia! 2) come sempre, potete trovare la storia regolarmente aggiornata su Efp (link in bio) 3) non preoccupatevi (!!!), presto aggiornerò anche aphonia (a proposito, grazie mille per i commenti, visto che vi piace la continuerò di sicuro!)
un bacio, Giulia