SEI MIA PER DIRITTO

By SilvanaUber

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2° libro della trilogia "SE TI PRENDO SARAI MIA". Da quando l'anima di Nadine è tornata nel futuro, la vita d... More

alec e nadine di nuovo insieme
COLLEGAMENTO
TRE ROSE ROSSE
PARTENZE
PROMESSA IN SPOSA
PORTAMI DA LEI
DOTTORESSA E PAZIENTE
SEI TU LA MIA FAMIGLIA
STALKER
C'E' UN VICHINGO NEL MIO SALOTTO
VIENI NEL MIO MONDO
SEI IL MIO INCHIOSTRO
E' TUTTO UN SOGNO
MIA MUSA
MAXIMILIAN ALEXANDER MACKENZIE O'BRAAM
INCONTRI
PRANZO (parte 1)
PRANZO (parte 2)
DOLORE
TUTTI HANNO UN PASSATO
LA CONDIZIONE DELLE DONNE
SEI MIA PER DIRITTO
QUESTO NUOVO, STRANO, PAZZO MONDO
HO DIFESO IL MIO AMORE
NON TI AMERO' MAI
ALTO TRADIMENTO
OGNI PEZZO AL SUO POSTO
booktrailer
MESSAGGIO PER VOI LETTRICI CHE STATE ANCORA ASPETTANDO INVANO UNA MIA RISPOSTA
AMMISSIONI
QUEL SEMPLICE TI AMO
VOGLIO PRESENTARTI UNA PERSONA
PER SEMPRE
UNO SCOMODO RICORDO
TUTTI CONTRO TUTTI
PASSIONE (attenzione: capitolo per un pubblico adulto)
HO BISOGNO DI ESSERE AMATO ANCHE IO
SO CHI SIETE
DISCOTECA
INCONTRI NELLA NOTTE
LA STORIA PUO' CAMBIARE
PAURA DI AMARE
MANO NELLA MANO
ALONE
LA VERITA' DENTRO DI ME
ALDILA' DI UN SOGNO
MI RITROVERAI
LA FINE DEI GIOCHI (capit. per pubblico adulto)
SOLO IL PRESENTE DAVANTI A ME
MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA
TERZO LIBRO
VOGLIO CHE TU SIA MIA

CONOSCO OGNI PARTE DI TE

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By SilvanaUber

POV NADINE

Stropicciai gli occhi e mi stiracchiai, nascondendo la testa sotto il cuscino quando un fascio di luce mi  centrò il volto. Avevo dormito bene, senza interferimenti da parte dei sogni per la prima volta in questi ultimi mesi. Così bene che avrei voluto tanto riaddormentarmi, ma la mia testa era già operativa, girando attorno ai ricordi della sera prima, vivisezionandoli con scrupolosa attenzione, e ricompattandoli in modo tale che potessero avere un senso.

Ma non c'era alcuna spiegazione logica a ciò che quel vichingo mi aveva raccontato.

Balzai seduta sul letto e mi infilai le mani tra i capelli, completamente sveglia. Dov'era si era cacciato quel dannato vichingo? Mi guardai attorno, frenetica, lasciando che gli occhi si posassero sui ogni angolo della stanza. Sbirciai persino dietro l'anta semi aperta dell'armadio. Dov'era finito? Se ne era andato?

Una strana pesantezza alla bocca dello stomaco sulle prime mi fece temere di dover correre in bagno per vomitare, ma in un secondo momento capii che quel malessere non era affatto legato alla mia gravidanza. Chiusi gli occhi e mi lasciai cadere di nuovo contro il materasso; come potevo rattristarmi al solo pensiero che quello sconosciuto con evidenti problemi psichici se ne fosse andato?  Avrei dovuto esserne felice, scolarmi un'intera bottiglia di vino per festeggiare e porre finalmente la parola fine a quella sottospecie di scherzo dai gusti discutibili.

Invece restai immobile sul letto, incapace di pensare, lo sguardo fisso sul soffitto. La mente incastrata nel ricordo di quel volto perfetto e inquetante che aveva la capacità di addolcirsi appena la sua attenzione ricadeva su di me. Avevo chiaramente seri dubbi sulla storiella che mi aveva raccontato, eppure non riuscivo ad averne sui sentimenti che diceva di sentire per me. Erano palesati in ogni suo movimento, nascosti in ogni suo sguardo, urlati in ogni sua parola. Restava comunque un mistero di come potesse provare qualcosa per me dal momento che non mi aveva mai vista. E quindi si ritornava all'ipotesi che fosse un bravissimo truffatore.         

Il mio cellulare trillò un paio di volte. Mi tuffai contro il comodino, spostando alcuni giornali per acciuffarlo. Sullo schermo lampeggiava la bustina dei messaggi. 

Lunedì, 23 novembre 2015 - Ore 7.48

da: Mary Crosswell

Ehi neo-sposina, buongiorno. Ti ho lasciato in salotto un sacchetto di plumcake e un vichingo addormentato sul divano :) Fa di lui ciò che vuoi, ma ti prego non denunciarlo. Ho il sospetto che non abbia mentito del tutto.... vabbhe ne parliamo dopo. Sei libera in pausa pranzo? 

Digitai velocemente la risposta:

Lunedì, 23 novembre 2015 - Ore 8.02

da: Nadine Low

Perchè quel vichingo è ancora a casa mia? Potevi mandarlo via. Ti rendi conto che mi hai lasciata da sola con un tipo che....

Cancellai il messaggio e digitai una nuova risposta:

Lunedì, 23 novembre 2015 - Ore 8.03

da: Nadine Low

Ti telefono più tardi. Ciao.

Balzai giù dal letto e mi avvicinai alla porta, posandovi contro l'orecchio per qualche secondo, cercando di captare possibili rumori. Quindi abbassai la maniglia e guardinga sbirciai lungo il corridoio.

"Oh merda", boffonchiai, richiudendo d'istinto la porta.

Purtroppo il piede del vichingo si infilò svelto tra lo stipite e senza difficoltà riaprì l'uscio, scagliandosi davanti a me in tutta la sua maestosa figura. Se te stava eretto, a testa alta, nudo dalla testa i piedi, senza ostentare la minima vergogna. La sua erezione era evidente e proiettava il suo membro verso l'ombelico, seguendo una sottile linea di peluria scura.

Al colmo dell'imbarazzo gli voltai le spalle, maledicendomi per non aver pensato nemmeno per un istante che, nell'epoca da cui diceva di venire, la gente dava pochissima importanza alla nudità. Avevo letto abbastanza libri da sapere che in molti dormivano senza alcun tipo di indumento e che spesso si lasciavano vestire da dozzine di servitori o da una donna che sceglievano per farsi assistere persino durante il bagno. Solo nei secoli più recenti gli uomini e le donne avevano associato la vergogna al corpo umano.  

Gemetti e arrancai verso il letto, togliendo il lenzuolo da sotto le coperte e gettandoglielo addosso.

"Vestiti", ordinai. "Ora!".

"Tutte le donne del futuro esigono obbedienza da parte dei loro uomini?", protestò, avvolgendo il suo meraviglioso corpo dentro il lenzuolo che, malgrado tutto, non riuscì a celare completamente l'erezione ancora pulsante che premeva contro la stoffa.

"Sei scandaloso", borbottai, incapace di distogliere lo sguardo dal suo ventre.

La perfezione del suo membro era proporzionata alla muscolatura e dava l'idea di non essere ancora al massimo del suo turgore.

"E' dunque questa la ragione che vi spinge a guardare la mia verga?", mi beffeggiò.

Lo guardai con con aria di sfida. Lui ricambiò con un sorriso, che subito si spense.

"Cos'è questo rumore?", chiese, fiondandosi alla finestra.

Lo fissai stranita prima di decidermi ad avvicinarmi. Tirai la tenda e scrutai attentamente il giardino, addocchiando subito i miei slip che giacevano ancora vicino ai bidoni dell'immondizia. Ma non c'era alcun rumore fuori dall'ordinario che mi suggerisse cosa potesse aver attirato l'attenzione di quell'uomo.

"Sento un rombo ma non vi sono nuvole che possano presagire un temporale", spiegò.

Notai allora che il suo volto era inclinato verso il cielo e ne seguii la traiettoria dello sguardo, notando la piccola scia bianca che attraversava il cielo. Era un aereo, molto lontano, quasi ingiottito dall'orizzonte, il cui rumore era così familiare che sulla prime non vi avevo fatto caso.

Lo indicai. "E' solo un aereo".

I suoi occhi si socchiusero, sorpresi e allo stesso tempo persi dietro a qualche ricordo. "Gli uccelli volanti. Sì! Me ne avevate parlato".

Mi piantai un dito al centro del petto. "Io?".

"Voi", confermò. Lo sguardo ancora fisso sulla scia bianca. "Mi avevate spiegato che nel futuro la gente poteva volare su degli uccelli fatti con lo stesso metallo della mia spada".

"Non ricordo di averlo fatto", stetti al suo gioco.

Il vichingo strappò a forza gli occhi da ciò che stava guardando per posarli contro i miei. Erano così sopresi da ciò che avevano appena visto che sembravano quasi sconvolti. Nessuna finzione, solo un grande sbalordimento. Non poteva fingere così bene. Non poteva recitare la sua parte senza mai tradirsi. 

"Non potete ricordarlo. Quando lord Stuart vi ha rispedita nel futuro, i vostri ricordi sono stati cancellati".

"Chi è lord Stuart?".

"Lo stregone che vi ha riportato indietro nel tempo".

"Se è vero ciò che sostieni, perchè i tuoi ricordi invece sono intatti?", cercai di metterlo in difficoltà.

Ma lui non battè ciglio, fornendomi la risposta automaticamente, senza concedere al proprio cervello il tempo necessario per escogitare una scusa che mi avrebbe fatto dubitare di lui. "Su di me ha effettuato un sortilegio diverso. Poteva lasciarmi i ricordi, in modo che potessi ritrovarvi e riconoscervi, ma vi era il rischio che questo viaggio mi strappasse l'anima".

"E lo ha fatto?".

Sorrise. "Siete viva, no? Direi che allora la mia umanità è intatta".

Restai a osservarlo per un lungo momento, assimilando lentamente quelle nuove informazioni. Non vi era nemmeno un appiglio a cui potessi aggrapparmi per mettere in dubbio la sua versione. Quindi scrollai le spalle e gli passai accanto.

"Dove andate?", mi chiamò, urgente.

"A drogarmi di caffè".

In un attimo mi si piazzò di fronte, sbarrandomi la strada. La mascella tanto stretta da farmi capire che qualcosa doveva averlo infastidito.

"Alle donne non è concesso l'uso delle droghe. Ed io non lo concedo a mia moglie".

"Sì, lo hai già detto ieri", sbuffai, quindi riformulai la frase. "Il caffè è una semplice bevanda".

Annuì, una sola volta. "Mostratemi questo caffè. In seguito stabilirò se farvelo bere o meno".

"Stai scherzando?".

Mi fissò serio. "Secondo voi?".

"No", sussurrai, frustrata. "Non stai scherzando". Quindi afflosciai le spalle, indicandogli la cucina. "Vieni a vedere questa diabolica bevanda".

Per un lungo momento restai con la schiena posata contro l'anta del frigorifero e le braccia incrociate al petto mentre il vichingo si prendeva tutto il tempo necessario per annusare il liquido nero, lasciando che il vapore lo colpisse dritto sul viso. Infine posò la moka sul lavello e con un colpo della mano la rovesciò a terra.

"Ma cosa...?".

"Non potete bere quell'intruglio", sentenziò.

"E ti sembra una ragione valida per rovesciarlo a terra? Chi lo pulirà, ora? Non potevi svuotarlo nel lavandino, accidenti a te?".

Il vichingo mi si avvicinò di un passo, minacciosamente serio, sovrastandomi con la sua statura. "State forse imprecando contro di me?".

Spinta da un masochistico coraggio gli puntai un dito al petto. "Io sto imprecando contro di te, contro il mondo intero, contro ogni dannatissima cosa. Io non vivo senza caffè, mi hai capita? E scordati di dettare leggi in casa mia ".

La sua espressione mi lasciò capire che avrebbe fatto comunque come gli pareva, e conclusi che avremmo potuto dibattere all'infinito su diversi argomenti senza riuscire ad arrivare a nulla. Poco importava se si trattava di uno scherzo o della verità. Sia che stesse recitando, sia che fosse davvero del XVII secolo, lui si credeva un vichingo e come tale ragionava. L'idea che una donna potesse disubbidirgli non era nemmeno presa in considerazione. Il fatto stesso che non avesse sbottato davanti alla mia protesta avvalorava la poca importanza che dava alle mie parole.

"Perchè sei ancora qui?", mi lagnai, voltandogli le spalle per prendere della carta assorbente. 

"Dove altro dovrei essere quando voi siete qui?".

La mia mano si paralizzò sulla carta e sentii chiaramente il mio cuore aumentare i propri battiti. Raddrizzai le spalle e mi accucciai a terra, accanto alla macchia di caffè, pregando che lui non si fosse accorto dell'effetto che le sue parole avevano avuto su di me. Atterrita ed esultante, cominciai ad asciugare il pavimento. Atterrita perchè non ero quel genere di donna che si lasciava influenzare da due moine, ed esultante perchè una parte di me, nascosta chissà dove dentro il mio cuore, reagiva ai sentimenti di quel vichingo come se essi rappresentassero una carezza. Evitai di ricercare in profondità le cause di una simile contraddizione emotiva, poichè la risposta non mi sarebbe piaciuta. In nessun modo avrei facilmente accettato che tra me e lui, nonostante ci conoscessimo da meno di ventiquattro ore, ci fosse una connesione. I colpi di fumine erano delle banali storielle per giustificare  i colpi di testa da parte dei ragazzini. Ed io ero adulta, dannazione!

Stropicciai la carta e la gettai nel bidone, quindi tornai a voltarmi verso di lui, certa che avrei trovato i suoi occhi puntati su di me. Invece mi ero sbagliata, perchè tutta la sua attenzione era concentrata verso il pomello di accensione del forno.

"Alec?", lo chiamai, demoralizzata, gettando un'occhiata frettolosa verso l'orologio da perete. Il mio turno all'ospedale sarebbe iniziato tra meno di un'ora. "Ti stai vendicando di me per qualcosa che ho fatto, non è così? Non sono riuscita a salvare qualcuno a te molto caro? Avanti, potresti anche ammetterlo ormai".

I suoi occhi si staccarono di colpo dal pomello, scattando su di me. Erano così scuri e intensi che mi ritrovai a retrocedere. Una strana luce li attraversava. Non era cattiveria, tuttavia portava in sè una buona dose di sensuale minaccia. 

"Ti assicuro, moglie, che se dovessi mai decidere di vendicarmi di voi, non nutrireste dubbi al riguardo", disse, roco.

Era estremamente chiaro in che modo si sarebbe vendicato di me. Torsi le mani, imbarazzata, distogliendo lo sguardo. Mi avebbe stuzzicata, tormentata fino allo sfinimento. Fino a ridurre in brandelli la mia volontà di respingerlo. Fino a farmi implorare di essere presa da lui. Qualunque sentimento dicesse di provare nei miei confronti era vero. E lo era ancora di più il suo desiderio di  essere ricambiato. E aveva tutte le armi per uscire vincitore da quella battaglia a cui non aveva ancora dato il via. Era ben coscente del potere che il suo fascino aveva sulle donne, e lo avrebbe sfruttato tutto. 

"Devo andare a lavoro", balbettai, senza fiato. Dovevo allontanarmi da lui.

La sua mano scattò sulla mia guancia. Il pollice disegnò dei piccoli cerchi sulla pelle in un movimento tanto delicato da farmi solo desiderare che quel contatto aumentasse di intensità. 

"State scappando da me, moglie?".

"Non sono tua moglie".

"Negarlo non cambierà le cose".

Mi concessi un respiro e il suo profumo, virile e muschiato, minacciò il mio autocontrollo. "Devo andare".

"Vengo con voi".

"No".

Inarcò un sopracciglio. "No?".

"Se ti vedono ti arresteranno. Hai picchiato il mio capo e non so quanti infermieri".

Fece spallucce, ignorandomi. "Dove sono i vostri abiti?".

"Alec", protestai. "Sul serio, non puoi venire con me in ospedale".

"State davvero pregandomi di concedervi di uscire dalla vostra magione senza che io vi faccia da scorta?".

Impiegai un attimo a decifrare il messaggio di quella frase. La sua mentalità, finta o vera che fosse, era talmente diversa che le era quasi impossibile sincronizzarsi sulla mia stessa lunghezza d'onda.

"Ci vedremo più tardi, qua a casa. Tornerò per l'ora di pranzo, te lo prometto".

Impiegò un minuto buono per rispondermi e lo fece solo dopo avermi inaspettatamente imprigionata tra le sue braccia. Sentii i suoi muscoli uniformarsi con la mia pelle, e il suo odore si mescolò col mio, unendoci in un unico respiro. Petto contro petto, sentii il mio cuore pareggiare i suoi battiti, veloci, frenetici, in cerca di una calma che non potevamo trovare.

"Potete chiamare la polizia?", alitò contro il mio orecchio.

"Per quale ragione?", riuscii a dire. Averlo così vicino mi rallentava il cervello. Era impossibile ragionare.

"Perchè da sola non vi permetterò di andare da nessuna parte".

"Alec", protestai, cercando di divincolarmi dalla sua morsa.

La pressione contro la mia schiena aumentò. "Non perdete tempo a discutere con me, moglie".

"Non verrà mai la polizia a farmi da scorta. Non funziona così".

"Allora trovatemi dei vestiti e...", si staccò per squadrarmi lentamente. Non vi era malizia nello sguardo ma solo una sorta di rimprovero. "E trovate dei capi che possano celare il vostro corpo agli occhi degli altri uomini, se non volete che li uccida tutti".

"Hai ucciso altre volte?", chiesi prima di potermelo impedire. Di nuovo, la sensazione di pericolo che sentivo ogni volta che guardavo quell'uomo si era impossessata della mia calma. Una forte scarica di adrenalina mi attraversò la schiena, obbligandomi a sollevare la testa per guardarlo dritto in faccia. Se mi avesse mentito lo avrei capito.... i suoi occhi erano incapaci di mentire. Persino quando mi aveva detto di appartenere al passato non ero riuscita a scorgere nel suo sguardo il minimo cedimento. 

"Per voi?", chiese di rimando. "Sì". Poi un sorriso fece capolino sulle sue splendide labbra. "Anche se a dirla tutta, da quando vi conosco avete ucciso voi più uomini di me".

Il solo pensarlo mi tolse il fiato. "Ho... ucciso... io?".

"Nella nostra epoca avete ideato dei marchingegni esplosivi...", attaccò, ma lo interruppi subito, sollevando la mano.

"Io salvo  vite umane. Sono un medico", digrignai i denti. 

"E le vostre conoscenze mediche vi hanno salvato la vita in più di un'occasione", preseguì, gettandomi nella confusione più totale.

"Non voglio sentire altre menzogne".

"La verità vi sconvolge così tanto da non riuscire a riconoscere che dentro di voi state cominciando a credermi?".

"No". Feci un passo indietro. "Basta così. Te ne devi andare".

"Dove?".

"Non lo so", sbottai. "Via di qua. Non voglio vederti mai più".

Lui non si scompose. "Sono dolente, ma non posso farlo".

Soffiai via il mio respiro, lentamente, pregando che riuscisse a trasportare fuori dal mio corpo un pò di apprensione. 

"Perchè no? Qualche sortilegio ti tiene incatenato a me?". L'ironia era così evidente nel mio tono che era impossibile non la sentisse.

Eppure non battè ciglio. Sembrava immune ai miei attacchi. Gli scivolavano addosso senza lasciare la minima traccia. "Il mio amore mi tiene legato a te. E nostro figlio".

"Nostro", borbottai, sollevando gli occhi al soffitto.

"Non potrete partorire se non vi sveglierò", mi avvertì. Poi fece una smorfia, simulando un mezzo sorriso. "Avete detto di essere ua guaritrice, deduco quindi che sappiate come nascono i bambini".

"Smettila con questa storia dei viaggi del tempo prima che decida seriamente di ucciderti".

"Ti ucciderò io stesso se non riuscirò a farmi credere da te".

Strizzai gli occhi, rimangiandomi un'imprecazione. "Mi stai minacciando?".

"Vorrei essere capace di farlo". Mi stavo solo immaginando la sfumatura malinconica nella sua voce?

A quel punto non sapevo più cosa pensare. Se non era una minaccia, cos'altro era? Un avvertimento? Rischiavo davvero di morire durante il parto? Dio, solo pensarlo significava ammettere di credergli. E non volevo farlo. Mi resi conto che quel vichingo poteva benissimo stare lì a ripetermi per ore la sua versione dei fatti, poteva anche modificare il suo racconto a suo piacimento senza che io avessi modo di stabilire la veridicità delle sue parole fino a che non avessi in mano una prova. Ma allo stesso tempo, mettermi a cercare testimonianze su di lui nei testi storici della biblioteca, equivaleva a dare peso a ciò che mi rifiutavo categoricamente di credere. Come potevo concedergli il beneficio del dubbio? Non potevo farlo. Era assurdo. D'altra parte, il sogno che facevo da più di due mesi sembrava la spinta di cui necessitavo per uscire da quello stato di annebbiamento. Mi metteva la pulce nell'orecchio, era un tarlo che si nutriva della mia razionalità.

"Non dovete avere paura di me", sussurrò, con voce vellutata, in reazione a qualcosa che lesse sul mio volto. "Vi prometto che non vi farò alcun male". Eppure sembrava quasi lo stesse dicendo per autoconvincersi.

Aveva già ucciso. Lo aveva detto lui. Ed era facilmente intuibile, guardandolo, supporre che non aveva tolto delle vite senza un inutile spargimento di sangue.

"Non abbiate paura", mormorò ancora, avvicinandosi a me con gesti calcolati, lenti. 

"Poniamo per un momento che io ti creda", dissi infine, sollevando immediatamente le mani in un gesto di difesa. "Poniamo", rimarcai.

Annuì, serio, spronandomi a proseguire con un gesto della mano.

"Io sarei tua moglie e porterei in grembo tuo figlio", riassumetti. Forse, a forza di dirlo a voce alta diventava più vero. Tutto ad un tratto una folgorazione mi fece avvampare. "Quindi mi hai vista nuda?", inorridii.

Lui scoppiò a ridere e mi scompigliò i capelli in una carezza affettuosa. "Ogni centimetro", sussurrò, dolce.

Incrociai le braccia, indignata, puntando lo sguardo sui miei piedi. "Dimostramelo".

Vidi le dita dei suoi piedi avvicinarsi alle mie scarpe e avvertii la sua presenza dentro ogni cellula del mio corpo. La sua vicinanza era elettrizzante, mi faceva rizzare i peli sulle braccia. Non mi serviva nemmeno guardarlo, mi bastava sentire il suo profumo per capire che si era avvicinato. Per qualche attimo mi dimenticai di respirare. 

"Avete una minuscola macchia scura sulla pelle, sotto il seno destro", il suo respiro mi accerezzò il volto.

Sollevai le spalle. "Questo potrebbe dirlo chiunque".

Uno spostamento d'aria mi fece capire che il suo respiro era aumentato. 

"Chi?", ringhiò.

"Potresti avermi vista in costume da bagno...".

"Chi?", mi interruppe. Il tono ancora più basso rendeva la sua voce la cosa più spaventosa che avessi mai sentito. "Chi vi ha vista nuda?".

"Nessuno", mentii in fretta. Se era vero che avrebbe ucciso per me, era molto meglio non parlargli del mio ex fidanzato. Lo odiavo con tutta me stessa per come mi aveva scaricata, ma era una giustificazione troppo misera per volerlo veder soccombere sotto la pazzia omicida di questo vichingo.

"Vi servono altre prove?", chiese, più tranquillo, e suo malgrado seducente. "Perchè potrei trascorrere ore intere a parlare di come i vostri gemiti abbiano deliziato le mie orecchie o di come vi contorcete quando assaporo la vostra vulva con la mia lingua e di come mi implorate di possedervi quando indugio con la punta della mia verga sulla vostra apertura, lasciando che siano le vostre suppliche a trascinarmi dentro il vostro ventre".

Posò un dito sotto il mio mento, alla ricerca del rossore sul mio volto. "La vostra timidezza è deliziosa e mi porta a credere di aver dimostrato largamente le mie conoscenze su di voi... Guardatemi", ordinò, accorgendosi che lasciavo vagare gli occhi ovunque, tranne che su di lui.

Immobilizzai gli occhi sul suo petto, incapace di vincere l'imbarazzo. Nessuno mi aveva mai parlato in quel modo. 

"Guardami, Nadine", addolcì la voce, rendendola simile ad una cucchiaiata di miele, e passando per la prima volta ad un tono più confidenziale.

Mio malgrado lo guardai per un paio di secondi prima di tornare ad abbassare gli occhi sul suo ampio torace.

"Ti ho fatta innamorare di me nel 1612. Dio, se l'ho fatto. E ci riuscirò anche qui, nel XXI secolo", sospirò, pensando a qualcosa. "Prima di lasciarmi mi hai detto che, ovunque saresti stata, un battito del tuo cuore sarebbe stato sempre per me. E non mi importa in quante epoche dovrò rincorrerti. Attraverserò ogni spazio temporale, visiterò ogni futuro possibile, ma avrò quel singolo battito. Lo avrò perchè ne ho bisogno, perchè il mio cuore, senza il tuo, non ha ragione di esistere. Non può funzionare senza quel battito. Si fermerebbe. Ed io con esso".

Per un istante quella frase restò a mezz'aria, vibrando attorno a noi due. Alzai gli occhi: la sua espressione era malinconica, quasi sofferente.

"Se non vuoi credermi, e sia", sorpirò, pesantemente, come se fino a quel momento avesse trattenuto il respiro. Poi i suoi occhi tornarono ad indugiare nei miei, imploranti. "Ma concedimi di vivere, Nadine".  







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