Acele

By _Silence_kills_me_

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Nella vita non si può sempre scegliere ciò che si vuole, tantomeno quando vivere o quando morire. Il dolore... More

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By _Silence_kills_me_

*Colazione*

11 novembre 2016, Londra.

Naira's Pov

Mi svegliai con il sole che si infilava dalla finestra e si scontrava contro la mia pelle. Vicino a me riposava un ragazzo alquanto insopportabile, ma - glielo dovevo riconoscere - dannatamente attraente.
In men che non si dica mi ritornarono in mente le immagini della sera precedente e non sapevo se maledirmi o suicidarmi per aver permesso che tutto ciò accadesse. Che mi era passato per la mente? Sul momento sembrava perfettamente normale, la cosa giusta da fare, eppure adesso mi rendevo conto di quello che avevo lasciato che succedesse e cosa implicava il tutto. Gliel'avevo data vinta, l'avevo baciato io per prima e mi ero lasciata andare con lui. Di sicuro al momento lui doveva essere dannatamente fiero di sé stesso, e come biasimarlo.

Scossi la testa e mi alzai dal letto, decisa di andare a schiarirmi la idee, dato che tra quelle mura mi sentivo oppressa. Mi ritrovai a domandarmi dove diavolo fosse finita la mia felpa, ma poi mi ricordai di averla lasciata in soggiorno, dopo che Arian mi aveva attaccata al muro e me l'aveva sfilata. Andai a riprenderla e me la infilai, per poi uscire e iniziare a camminare nel bosco, con le cuffie nelle orecchie.

'Si mai am amintiri
Ele incearca s-aprinda in mine tot ce-i ars deja
Si n-o sa mai poata sa arda

Acele tale imi fac tattoo sub piele
Imi schimba sangele-n vene
Si as vrea sa imbatranim in doi'

Ero con la testa persa nei miei pensieri e, senza rendermene conto, mi ritrovai nel bel mezzo di una radura, ai confini della quale scorreva un piccolo tratto d'acqua. Mi sedetti vicino all'acqua e iniziai a buttare qualche sassolino sull'acqua nel vano tentativo di farlo rimbalzare, ma senza alcun risultato. Non avevo mai capito come si facesse, sapevo solo che dipendeva dal tipo di sasso, doveva essere piatto. Io però ero alquanto incompetente e non ci riuscivo comunque.

«Che cosa mi fai, Acida?» la sua domanda continuava ad assillarmi, a tornare a galla come per darmi il tormento e mi convincevo ogni volta di più che l'avesse veramente domandato. Io? Cosa gli facevo io? E lui allora? La domanda da un milione di dollari era cosa diavolo mi stesse facendo lui, non viceversa. Da quando avevo messo piede a Londra sembrava essere sempre tra i piedi, soprattutto nei momenti peggiori, in quelli in cui non avrei voluto proprio vederlo, eppure lui c'era sempre. E questa cosa mi faceva imbestialire in un modo incredibile. Non volevo fosse un mio punto di riferimento, anzi - dopo Andrew - non volevo proprio avere un punto di riferimento se non me stessa, eppure mi ritrovavo sempre lì. Incastrata nei drammi che si trascinava appresso, frustrata dal suo modo di fare, incazzata dalle sue battutine, smarrita nei suoi occhi neri come la pece, inebriata del suo profumo e persa in lui. Ecco cos'ero. Ero dannatamente ed irrevocabilmente fottuta.

«La smetterai mai di scappare?» mi richiamò alla realtà e io per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. Dovevo fottutamente smetterla di perdermi nei miei pensieri quando sapevo che lui mi avrebbe trovata. Odiavo essere presa alla sprovvista.
«Dimmelo tu. La smetterai mai di farmi scappare?» replicai ironicamente, lasciandomi la testa all'indietro, mentre lui torreggiava su di me da dietro.
«In questo momento non sai cosa ti farei» rispose solamente, guardandomi con ardore negli occhi, mentre io mi leccai involontariamente le labbra, osservando un leggero gonfiore nei suoi pantaloni da tuta, facendolo così mugugnare.

In men che non si dica mi ritrovai distesa a terra, con il suo corpo che incombeva minacciosamente su di me, i polsi all'estremità della mia testa, i miei occhi incastrati nei suoi, i nasi che si scontravano, le labbra a pochi centimetri di distanza, le gambe aggrovigliate e la sua intimità che pulsava sulla mia gamba sinistra.

«Tu vuoi veramente che io ti prenda qui? In mezzo agli alberi?» i suoi occhi, se possibile, stavano diventando ancora più scuri e la sua voce era dannatamente roca ed attraente.
«A quanto pare sei tu a volerlo» gli rinfacciai, senza sapere da dove avessi trovato quel coraggio, dato che sapevo che se fossi stata in piedi, le gambe non mi avrebbero rotta.
«Ah, sì? Vediamo un po' se sono il solo» replicò, per poi avvicinarmi i polsi sopra la testa, tenendomeli con una sola mano, mentre l'altra vagava sul mio corpo, sempre più in basso fino ad arrivare all'orlo dei pantaloni.

Intrufolò agilmente la mano nei pantaloni e allo stesso tempo nelle mutande, raggiungendo il mio punto di massima tensione che sentivo pulsare contro le sue dita lunghe e fredde.

«Bagnata per me» sogghignò guardandomi negli occhi. «A quanto pare non sono l'unico a volerlo» mi prese in giro, mentre le sue dita mi stuzzicavano. «Penso proprio che dovremmo risolvere questa situazione, non credi?» mi chiese e io non potei fara a meno che inghiottire a secco.

'Merda. Mi avrebbe veramente presa in quella cazzo di radura?'

La mia domanda non rimase per molto tempo senza risposta, dato che in modo molto agile e veloce mi calò pantaloni e mutande, per poi abbassarsi al nivello del mio clitoride, avvicinandosi tanto che riuscivo a sentire il suo respiro scontrarsi contro esso e facendomi mugugnare.

«Tranquilla, piccola. Adesso ti dedicherò tutte le attenzioni delle quali hai bisogno» affermò e io mi sentii ancora più bagnata di prima. Dannazione.

Le sue labbra toccarono le mie, per poi dischiudersi e iniziare e torturmi in modo talmente straziante con la lingua. Le mie mani, oramai libere, vagarano fino a trovare i suoi capelli, infilandocisi e tirandoli, mentre le sue mani afferrarono con forza i miei fianchi. Un gemito fuoriuscì dalla sua bocca, che essendo su di me, mi fece vibrare e sentii la tensione crescere ancora di più, mentre la sua lingua continuava a massaggiarmi il clitoride. Gridai il suo nome, tirandogli ancora più forte i capelli, cosa che gli fece aumentare la presa sui fianchi e il ritmo in cui la sua bocca mi toccava, per farmi venire nel forse più intenso orgasmo della mia vita.

«Mi piace quando gridi il mio nome. Dovresti farlo più spesso» si prese gioco di me, tornando al livello della mia faccia, dopo avermi rialzato le mutandine e i pantaloni, e io gli mollai uno schiaffo sulla spalla.
«Fottuto megalomane che non sei altro» replicai alzando gli occhi al cielo.
«Scusa, tesoro, ma qui l'unica ad essere fottuta sei tu, non io» rispose prendendomi in giro e io gli tirai un altro schiaffo. «Diamine, donna, sei aggressiva! È questo il ringraziamento che ricevo per averti appena fatta venire?» mi guardò tra il deluso e il divertito.
«No, il mio ringraziamento sarà un calcio nelle palle se non ti scrolli di dosso, fottuto porco che non sei altro, pesi quanto un bisonte!» iniziai a di menarmi, cercando di allontanarlo da me, inutilmente però.
«Ah, sì? Sono pesante? Ok» replicò per poi lasciarsi con tutto il suo peso su di me.
«Porca puttana» esclamai quasi senza fiato. «Sto soffocando! Emergenza! S.O.S.! Mayday, Mayday! Huston, abbiamo un problema! Bellezza in pericolo di morte per mancanza!» iniziai a sbraitare, continuando a di menarmi, anche se a malapena se riuscivo a muovermi.

D'un tratto, una forte risata, leggermente roca, proveniente da quella testa di cazzo che mi stava letteralmente schiacciando, scosse tutto il mio corpo.

«Per una che sta per soffocare, hai dei polmoni veramente forti» riuscì a dire tra una risata e l'altra.
«Ti sembra divertente, testa di cazzo? Io sto ancora per morire schiacciata da un coglione» continuai ad inveire.
«Hai una boccaccia del cazzo. La smetti mai di dire parolacce?» smise di ridere, diventando all'improvviso serio e leggermente irritato mentre faceva una smorfia.
«Ma che cazzo ti fotte se dico o meno parolacce?» domandai, sottolineando appunto l'idea.
«Ti infilerò qualcosa in quella cazzo di bocca per farti stare zitta, prima o poi» replicò e io lo guardai con gli occhi e la bocca spalancata.
«Sei un porco!» riuscì a dire dopo essermi ripresa dallo sbigottimento iniziale.
«Intindevo la lingua, stupida pervertita che non sei altro!» si beffò di me, per poi sollevarsi leggermente, per non pesarmi più così tanto.
«Certo, infatti è proprio questo che intendevi» alzai gli occhi al cielo, sbuffando.
«Non impari mai, eh. Quest'ironia te la infilerò nel culo» mi avvertì.
«Ma vaff...» iniziai a dire, ma fui interrotta dalle sue labbra che schiacciarono le mie, per poi chiedermi l'accesso.

In pochi secondi le nostre lingue si incontrarono e iniziarono a rincorrersi, mentre con la mano mi afferrava il fianco destro, stringendo e io sentii uno zoo nello stomaco, altroché farfalle. Le mie mani si infilarono tra i suoi soffici capelli e con le dita iniziai a tirare leggermente, facendolo mugugnare, mentre io afferravo il suo labbro inferiore tra i denti, per poi tirare.
Ci staccammo, entrambi a corto di fiato, guardandoci negli occhi.

«Ti avevo avvertita che ti avrei infilato qualcosa in quella cazzo di bocca» rovinò il momento e io alzai gli occhi al cielo. «Sfrontata che non sei altro!» scattò in piedi e in un attimo mi scaraventò sulla spalla come se fossi un sacco di patate, mentre io strillavo per la sorpresa. «Adesso ti faccio vedere io cosa succede se alzi ancora gli occhi al cielo davanti a me» iniziò a correre, tenendomi ancora a penzoloni sulla sua schiena e mollandomi ogni tanto qualche schiaffo e qualche pizzicotto sulle natiche, mentre io continuavo a gridare e ridere.
«Tu sei tutto pazzo, mettimi giù, brutto pervertito che non sei altro» dissi tra una risata e l'altra, ma lui mi ignorò deliberatamente, mentre ci allontanavamo sempre di più dalla radura, per tornare alla capanna supposi. «Ehi, parlo con te, testa di cazzo!» continuai.
«Modera il linguaggio, Acida!» rispose, per poi mollarmi uno schiaffo sonoro sul sedere che mi fece gridare, a causa del bruciore.
«E tu modera quelle manacce! Non sono mica di pietra, coglione!» iniziai a prendergli a pugni la schiena.
«A volte però lo sembri» affermò, quasi pensieroso e io rimasi in silenzio.

Sapevo di dare quell'impressione, anche se magari dentro di me ero sopraffatta dalle emozioni, ma dall'esterno non facevo trapelare quasi nulla.

Scossi la testa, cercando di scacciare i pensieri. Ci stavamo divertendo e non volevo mandare a puttane il nostro umore a causa dei miei pensieri depressivi. Ero ancora a testa in giù, mentre lui continuava a camminare, anche lui calato in un silenzio profondo, quindi - per smorzare un po' l'atmosfera - lo afferrai per una natica e strinsi più forte che potei. In men che non si dica mi ritrovai coi piedi per terra all'interno della capanna, mentre lui bestemmiava e faceva scendere tutti i santi dal cielo solo per me. Era veramente buffo vedere un ragazzo grande e grosso quanto lui, saltellare da un piede all'altro mentre si masseggiava il sedere dolorante, motivo per cui scoppiai in una fragorosa risata.

«Porca di quella troia! Cazzo ridi, mi hai fatto male, stronza» mi sbraitò contro e io stavo ridendo a tal punto che mi stavano scorrendo le lacrime.
«Modera il linguaggio, Stronzo!» lo scimmiottai tra una risata e l'altra.
«Ridi, ridi, ma mi hai fatto la bua!» usò quella voce da bambino piccolo imbronciato, facendomi rider ancora più forte. «Adesso devi baciare» disse e smisi di ridere, pensando che intendesse sulle labbra, ma appena mi voltai verso di lui, lo vidi girato di spalle, con i pantaloni e i boxer calati, lasciandomi una visuale perfetta del suo didietro tondo e sodo, dove si poteva osservare un "lieve" rossore sulla natica sinistra.

«Oddio! I miei occhi! Aiuto, ho bisogno di un oculista, non ci vedo più!» esclamai coprendomi gli occhi con una mano, mentre l'altra la agitavo in aria per dare enfasi alla cosa.
«Esagerata» lo sentii borbottare, e aprii gli occhi, allontanando con cautela le dita tra esse per accertarmi che si fosse rivestito, e dopo aver visto che l'aveva fatto, allontanai la mano dalla faccia. «Come se non ti piacesse ciò che vedi»
«Infatuato» alzai gli occhi al cielo, sbuffando una risata.
«Mi inventerò una punizione adatta per ogni qualvolta alzi quei cazzo occhi al cielo» sbuffò a sua volta e io gli feci la linguaccia.
«Acida, mi stai provocando per caso?» disse, avvicinandosi minacciosamente a me.
«Noo, io non ho fatto nullaaa» strillai prima di iniziare a correre nel vano tentativo di sfuggirgli, ma dato che lui era un bestione di due metri in confronto a me, che ero un nano da giardino, in men che non si dica mi ritrovai tra di lui e il muro. «Inizierò a chiamarti Arian passione muri, giuro. Hai proprio una fissazione col sbattermi contro qualche muro. Metà se non più dei nostri incontri sono iniziati o finiti così» lo presi in giro.
«Sbatterti, eh? Fidati, Acida, prima o poi mi implorerai che io ti sbatta contro un muro» iniziò a muovere le soppraciglia su e giù, facendo allusioni.
«Sei un porco» lo schiafeggiai sulla spalla, ridendo.
«Prima, nella radura, non sembrava darti fastidio» continuò.
«Depravato che non sei altro» alzai nuovamente gli occhi al cielo.
«Devo assolutamente punirti per questo stupido vizio che hai» disse, avvicinando la faccia alla mia. «E penso anche di sapere come» continuò a fior di labbra.
«Ah, sì?» ansimai, sentendo il respiro delle sue labbra sulle mie.
«Mh-mh» mormorò e sentii le mie viscere rivoltarsi.
«E come pensi di farlo» continuavo a provocarlo.
«Proprio così» disse prima di fiondarsi sulle mie labbra e renderle sue.

Iniziò a giocare con la mia lingua, mentre le sue mani girovagavano lungo il mio corpo, fino a raggiungere i miei fianchi, stringendomi a sé ancora di più. Mugugnò nella mia bocca e io infilai le dita nei suoi capelli, tirandoli leggermente, cosa che lo fece mordermi il labbro inferiore.

Ci staccammo, entrambi senza fiato, guardandoci negli occhi, fronte contro fronte.

«Che cosa mi stai facendo?» mi chiese.
«Non ti sto facendo nulla» risposi, semplicemente, facendo spallucce.
«Ti sbagli. Tutt'altro che niente, tu mi fai di tutto» commentò sovrappensiero, lasciandomi interdetta.

Mi preparai ad aprire bocca per dire qualcosa, ma mi precedette.

«Ti va di fare colazione?» mi chiese, così dal nulla, staccandosi da me.
«Certo. Hai qualcosa da mangiare qua?» domandai a mia volta, guardandomi intorno.
«Non credo, qui non ci passa quasi mai nessuno» rispose.
«E allora cosa dovrei mangiare scusa? L'erba della radura? Non sono mica una capra» ironizzai, guardandolo con la testa leggermente piegata.
«Avrei io qualche idea» ammiccò e io afferrai un cuscino che si trovava sul divano vicino a noi lanciandoglielo, ma lui ovviamente lo afferrò al volo.
«Smettila, Stronzo» feci l'imbronciata, facendolo ridere.
«Scherzavo» disse, avvicinandosi nuovamente a me dopo aver lasciato il cuscino al suo posto. «Sei carina quando fai tutta l'imbronciata» affermò una volta tornato davanti a me, strizzandomi la guance.
«Nooo, daaai» iniziai a lamentarmi, mentre me lo scrollavo di dosso. «Quindi con sta colazione» gli ricordai.
«Ti porto in un posto» rispose semplicemente.
«Sorpresa» mi fece l'occhiolino.
«Ho mai detto che odio le sorprese?» sbuffai.
«Penso tu l'abbia menzionato un paio di volte» rispose, pensieroso.
«Bene, allora lo ripeto: odio le soprese» sbuffai nuovamente, con le braccia conserte, guardandolo nuovamente imbronciata.
«E dai, non fare sta faccia, fino ad ora non mi sembra di averti mai delusa quando si trattava di sorprese, nonostante le tue lamentele iniziali» mi fece notare e io non potei fare a meno che dargli ragione, dopo averci riflettuto un attimo su.
«D'accordo, per una volta nella vita. Ma potrei farmi una doccia prima di andare?» gli chiesi.
«Intendevi dire "facciamo"» ammiccò e io gli mostrai il dito medio.
«Intendevo dire che sei peggio di una cavalla in calore quando ti ci metti. Lasciami respirare, ho bisogno di una doccia, DA SOLA!» calcai le ultime due parole e lui alzò le mani in segno di resa.
«Va bene, va bene, basta che non mi picchi adesso» rispose, prendendosi gioco di me. «Trovi tutto quello di cui hai bisogno in bagno. Hai bisogno di un cambio?» domandò poi.
«Una maglietta o una felpa mi farebbe comodo» risposi mentre mi avviavo verso il bagno, mentre lui si recava verso la porta della capanna. «Dove vai?» gli chiesi, corrucciando la fronte, con la mano sulla maniglia della porta del bagno.
«A portarti il cambio, no?» mi guardò come se fossi stupida.
«Dal bosco?» ironizzai.
«Dall'auto?» rispose con lo stesso tono, per poi uscire e chiudere la porta dietro di sé.

Mi sorse spontanea la domanda come mai avesse un cambio in auto, ma - bensì mi sembrasse strano - non ci rimuginai troppo, dato che in men che non si dica ricomparve con in mano dei vestiti puliti e mi tese una felpa.

«Apprezzo» risposi, per poi avviarmi nuovamente verso il bagno, questa volta entrandoci veramente.

***

Dopo essermi infilata la sua felpa che odorava di lui, mi guardai nello specchio e sembra o veramente buffa, ero già minuta e magra di mio, ma dentro a quel felpone sembravo ancora più piccola. In più, adesso che ero anche struccata e i capelli leggermente arruffati, sembravo una ragazzina di 15 anni al massimo. Provai a domarli leggermente, passandoci le mani, ma senza grandi resultati e sbuffai.
Uscii dal bagno e trovai Arian di spalle, intento ad armeggiare con non so cosa, ma appena mi sentì, si girò di scatto verso di me, riposando ciò che aveva in mano.

«Già finito?» domandò e io lo guardia stranita.
«Ehm, sì?» suonò più come una domanda che come un'affermazione la mia. «Che facevi? Hai una faccia come se ti avessi beccato con le mani nel sacco» alzai un sopracciglio.
«Niente, stavo solo cercando di mettere a posto uno stupido arnese» rispose vago e io annuii, ancora scettica, ma decisi di lasciar correre. «Sei pronta?» chiese poi.
«Io sì, quando vuoi possiamo andare» risposi e lui annuì.
«Allora andiamo» disse prendendo le sue cose e ci avviammo entrambi verso la porta, dopo aver sistemato velocemente il tutto e aver spento la luce.

Ci avviammo verso l'auto, salendoci e Arian mise velocemente in moto. In breve, ci lasciammo alle spalle la capanna in cui - per qualche ora - mi ero sentita nuovamente viva, insieme alla strada sterrata e imboccammo la nazionale. Mi guardai intorno e mi resi conto che non eravamo a Londra, ma da qualche parte al di fuori della città.

«Ma dove siamo?» domandai, rivolgendo la mia attenzione verso il ragazzo che era alla guida.
«Lickey Hills» rispose, lanciandomi uno sguardo veloce. «Siamo circa a 20 km da Birmingham» continuò poi, facendo cenno verso un punto fuori dal finestrino, ed effettivamente notai una città che non somigliava però a Londra. Adesso che ci pensavo...
«Birmingham?!» domandai interdetta. «Ma siamo tipo a tre ore da Londra!» esclamai scioccata.
«Più o meno» mi confermò e io lo guardai storto.
«Ma che cazzo, Arian! Quando cavolo abbiamo fatto tre ore per arrivare qui?» domandai ancora, scioccata.
«Magari ieri sera mentre tu dormivi come un marmotta» sbuffò lui, fingendo di essere irritato, ma si vedeva che era più che altro divertito dalla mia reazione.
«Hei! Le marmotte sono carine!» lo sgridai, imbronciandomi.
«Non ho mica detto il contrario. Anche tu sei carina quando metti su il broncio» disse piano, mettendo una mano sulla mia coscia e io restai a guardarlo per qualche secondo, senza dire nulla.

Era incredibile come una sola persona riusciva a farti provare tanti emozioni contrastanti tra loro. A malapena me ne potevo capacitare. Iniziavamo sempre col litigare, poi ci comportavamo quasi come una coppia, per poi ridere e scherzare, e infine ricominciare a litigare.

«Perché mi stai fissando?» mi chiese, lanciandomi uno sguardo fugace e ghignando, compiaciuto di avermi colto in fragrante.
«Non ti stavo fissando» mentii, girando la testa verso il finestrino.
«Sì invece. A cosa pensavi?» insistette lui.
«Che sei troppo pieno di te e alle volte temo ancora che tu sia un killer che finirà col violentarmi prima di ammazzarmi e farmi a pezzi, per poi buttarmi in mare» risposi, corrucciando la fronte, facendolo scoppiare in una fragorosa risata.
«Qualcuno qui ha guardato troppo Dexter» disse tra una risata e l'altra.
«Guarda che magari è inspirato da una storia reale. E se anche non lo fosse, questo non fermerebbe la gente dall'ispirarsi dalla serie e diventare un serial killer» affermai sicura di me.
«Ma tu ti senti quando parli?» mi chiese, guardandomi come se fossi pazza.
«Ovvio che sì! Guarda che è possibile» dissi risoluta.
«Sai, a volte dubito della tua sanità mentale» ammise.
«Parla quello che è più incoerente di una prugna» alzai gli occhi al cielo.
«Le prugne sono incoerenti?» domandò accilgliandosi.
«E che ne so io, mica sono una prugna» lo guardai come se fosse stupido e lui sospirò, mentre parcheggiò la macchina. «E adesso dove siamo?» chiesi nuovamente, facendolo sbuffare.
«Ti ho portata a fare colazione, come avevo detto» rispose, mentre mi indirizzò uno sguardo che sembrava chiedere "ma sei scema o cosa?".
«Ma questa non è Londra» gli feci notare.
«No, è Birmingham. Ci vogliono ancora un paio di orette prima di arrivare a Londra e non voglio sentirti protestare per tutto il tragitto che ti ho sequestrata e fatta morire di fame. In più questo è un posticino niente male e tranquillo, penso di piacerà» face spallucce, aprendo la portiera e scendendo dall'auto, per poi abbassarsi prima di richiuderla e chiedermi «Hai intenzione di venire o preferisci rimanere lì impalata?».

Lo scimmiottai mentre scendevo dall'auto e lui mi trucidò con lo sgaurdo, mentre mi veniva affianco, avviandoci entrambi verso il locale.

Lasciò entrare prima me, e rimasi piacevolmente impressionata dall'atmosfera calorosa che mi accolse. Era un locale rustico, con tavoli e divanetti fatti interamente di legno, con una chitarra e foto appese su ogni parete. La luce era soffusa, per lo più proveniente dalle numerose candele sparse per il locale.

«Ti sei imbambolata, Acida?» soffiò al mio orecchio, destandomi dalla mia trance.
«Mi piace qui» ammisi semplicemente e lo sentii sorridere, mentre premeva una mano sulla mia schiena - appena sopra il sedere - conducendomi verso un tavolo più appartato.
«Sapevo ti sarebbe piaciuto» affermò una volta che ci fummo seduti, l'uno davanti all'altra.
«Presuntoaso» lo presi in giro.
«Sarà, ma avevo ragione» mi fece l'occhiolino.

Mi preparai a rispondergli, ma fui interrotta da una donna sulla sessantina, con i capelli legati in uno chignon ordinato, che aveva un blocco note tra le mani.

«Buongiorno e buonvenuti da Ray & Mary, con cosa vi posso servire?» chiese la donna con un sorriso genuino stampato sulle labbra.
«Salve, Mary» disse Arian, alzandosi dalla sedia e appena la donna lo guardò meglio si avvicinò a lui e si abbracciarono.
«Giovanotto, come stai?» chiese la donna dopo essersi staccati e scompigliandogli i capelli in modo affettuoso.
«Bene, Mary. Ero arrivato da queste parte e ho deciso di passare a trovarti, dato che non ci siamo più visti da un bel po' di tempo» rispose, prendendo posto nuovamente di fronte a me.
«Mi fa piacere, caro. Stavo giusto parlando questi giorni con Ray, e ci domandavamo che fine avessi fatto. Pensavamo ti fossi dimenticato di noi» lo riprese, mettendosi le mani sui fianchi.
«Non potrei dimenticarmi di voi» sorrise sinceramente e sentii un colpo al cuore. Questo era un lato di Arian che non avevo l'occasione di vedere tutti i giorni e capii come mai la maggior parte delle ragazze ne andassero pazze per lui.
«Tu invece, cara? Vedo che questo ragazzoto ha dimenticato le buone maniere» lo riprese in tono giocoso, rivolgendosi a me, mentre lui sbuffò. «Come ti chiami?».
«Naira» risposi, sorridendole sinceramente. «È un piacere conoscerla, signora Mary» risposi, tendendole la mano.
«Per favore, dammi del tu e chiamami Mary» mi pregò. «Dai, vieni qui» continuò poi, attirandomi in un abbraccio caloroso, e io rimasi leggermente interdetta.

Per qualche attimo rimasi bloccata - dato che mi aveva presa alla sprovvista - ma poi risposi a quell'abbraccio, che mi ricordava di quelli di Dorotie e mi notai mentalmente di chiamarla una volta tornata a casa dato che non la sentivo da tanto.

«Arian e Naira» disse poi la donna, dopo esserci staccate dall'abbraccio e ripresi il mio posto. «Che coincidenza però, uno il contrario dell'altro» ci fece notare ed effettivamente aveva ragione. «Si vede che siete proprio fatti l'uno per l'altra» continuò la donna, alternando lo sguardo dall'uno all'altra. «Non fartela scappare, ragazzo» lo attenzionò.
«Mi dispiace, ma noi non stiamo insieme» replicai, leggermente a disagio.
«Ah, no? Sareste proprio una bella coppia» notò. «Comunque, cosa posso portarvi, tesori?».
«Io la specialità della casa» rispose velocemente Arian, mentre già si massaggiava la pancia e si leccava le labbra.
«Solito» rise la donna. «E tu, dolcezza? Cosa vorresti mangiare?» si rivolse a me.
«Hm, non saprei» risposi pensierosa, dopo aver guardato un attimo il menù che si trovava sul tavolo.
«Ti suggerisco vivamente la specialità di casa. Sarà la cosa più deliziosa che tu abbia mai mangiato in tutta la tua vita» disse e quasi riuscivo a vedere i suoi occhi a forma di cuoricino.
«Esagerato» scosse la testa Mary. «Lo dici solo per farti perdonare l'assenza» ridacchiò.
«Non è vero, sai che io amo la tua cucina» rispose lui convinto di sé.
«E specialità di casa sia» risposi infine, facendo sorridere entrambi e sorrisi anch'io a mia volta.

«È veramente dolce» commentai a voce alta, dopo che la donna prese i menù e andò a preparare l'ordine.
«Già» confermò, sorridendo. «Quando erano ancora in vita i miei nonni, mi portavano sempre qui a mangiare i fine settimana. Erano buoni amici di famiglia. Poi dopo la loro morte, lei e suo marito sono stati come dei secondi nonni per me. Appena avevo l'occasione passavo qui per trovarli» continuò, perso nel viale dei ricordi. «Ma ultimamente sono stato preso da altro» concluse, fissandomi intensamente.
«Vuoi insinuare qualcosa?» alzai un sopracciglio, sfidandolo.
«Figurati» ironizzò, per poi lasciarsi scappare un piccola risata, facendomi sorridere.

Era veramente bello vederlo così spensierato e mi dispiaceva dover interrompere tutto questo, ma avevo bisogno di risposte.

«Arian, io...» iniziai a dire, ma mi interruppe nuovamente Mary che ci portò le ordinazioni.
«Come sta Ray?» chiese Arian, dopo aver infilzato un pezzo di bacon e averlo infilato in bocca, parlando con la bocca mezza piena.
«Quante volte te l'avrò detto di finire prima di masticare e poi di parlare?» lo riprese la donna, alzando gli occhi al cielo. «Comunque, Ray è a casa, penso l'abbia preso il raffreddore, perciò gli ho fatto un infuso e l'ho lasciato a riposare» rispose la donna.
«Oh, mi dispiace sentirlo. Spero si riprenda presto e digli che passerò presto a trovarlo» disse il ragazzo di fronte a me.
«Certamente, ora vi lascio mangiare tranquilli, buon appetito, ragazzi» ci augurò, per poi ritirarsi.

«Dunque, dicevi?» mi chiese Arian, continuando a mangiare.

Per poco non mi andò di traverso il cibo, ma mi ripresi velocemente. Finii di masticare, per poi inghiottire, cercando di trovare il coraggio per parlargli.

«Sai... Vorrei chiederti qualcosa» iniziai, non essendo sicura di come farlo.
«Spara» rispose con nonchalance, continuando a mangiare.
«Posso sapere cos'è tutta quella storia delle lotte?» decisi di essere diretta, strappando direttamente il cerotto.

Per tutta risposta lui lasciò le posate ai lati del piatto, e fissò i suoi occhi nei miei, facendo smettere anche me di mangiare.

«Perché questa domanda?» chiese a sua volta.
«Perché sì» risposi, facendo spallucce, anche se sapevo che rischiavo di farlo incazzare.
«Non è una riposta valida. Dimmi, perché? Perché chiederlo adesso poi?» evitò ancora di rispondere alla mia domanda.
«Te l'ho chiesto prima io» risposi, testarda.
«Per ottenere qualcosa, devi dare qualcosa. Quindi rispondi» continuò, digrignando i denti. Era chiaro che non aveva intenzione di rispondere.
«Non puoi avere la faccia tosta di dire questo a me. Non puoi pretendere che io risponda sempre alle tue domande, a parlare con te, quando tu non lo fai mai!» iniziai ad alterarmi anche io.
«Non lo farei se tu non fossi un cazzo di cubo rubik impossibile da risolvere! Sei tu che non riveli mai nulla di te» replicò lui, incazzandosi adesso sul serio.
«E allora stammi fottutamente lontano! Io sono così e basta. Se non ti conviene, vattene! Fino a prova contraria sei sempre tu quello che mi sta dietro, che mi segue sempre, ti ritrovo sempre tra i piedi!» iniziai ad alzare il tono, ma per nostra fortuna era rimasta solo una coppia di vecchietti nell'angolo opposto del bar e non ci sentivano.
«Sì, certo, e tu invece che ti sei ripresentata in quel posto più volte? Eh?» mi ricordò, zittendomi sul momento. «Chi segue chi?» continuò a invieire.
«Magari se non avessi iniziato tu con tutta questa cazzo di storia, non l'avrei fatto nemmeno io! Che cazzo, io non posso uscire tranquilla di casa che mi ritrovo sempre te da qualsiasi parte io vada, porca puttana!» lo ripresi.
«Ma credi che a me faccia piacere imbattermi sempre in te? Sei una pazza svitata depressa con tendenze suicide, se trascorro ancora tanto tempo insieme a te finirò come te!» mi rinfacciò, quasi gridando.
«Ah, sì? E allora chi cazzo te lo fa fare scusa? Lasciami stare una volte per tutte e vai sulla tua cazzo di strada! Se mi vedi ignorami, cambia strada, fa finta che non esista!» iniziavo a riscaldarmi a forza di urlare tanto.
«Bene che lo dici solo a me! Guarda che è valido anche per te!» rigirò la frittata.
«No, ma io mi chiedo: te sei stupido o stupido? Dimentichi per caso che tutte le cazzo di volte io cerco di evitarti, ma tu sei sempre la a rompere le palle, che non mi lasci stare?» gli ricordai.
«Sai solo dare la colpa agli altri, mai una volta che ammetti che è anche colpa tua!» si alzò, incazzato.
«Non sai nemmeno di quello che stai parlando» andai su tutte le furie, alzandomi anche io.
«Scusa io, cocca di mamma, che ha deciso di fare la ribelle solo perché non ha ottenuto quello che voleva» mi rinfacciò.
«Tu non sai un cazzo di me, perciò non usare giudicarmi! Proprio tu poi, che sei solo uno stupido figlio di papà che ha tutto servito su un piatto d'argento e che non sa cosa diavolo significhi la vita reale!» gridai in preda ad un attacco di rabbia, iniziando a tremare dalla testa ai piedi.
«Ah, sì? Allora fatti accompagnare a casa da qualcuno che non sia un figlio di papà» esclamò, per poi buttare dei soldi sul tavolo.

«Hei, ragazzi, che succede? Vi ci si sente dalla cucina» arrivò di corsa Mary, fermandosi davanti ad Arian e mettendogli le mani sul petto.
«Chiedilo a quella Acida del cazzo» affermò, per poi spostarle lentamente le mani della donna e uscire in fretta e furia dal locale, lasciandomi sconvolta al tavolo, davanti alla donna che mi guardava come se chiedesse spiegazioni.
«Io ci rinuncio, quello lì è impossibile» mi arresi, accasciandomi sul divanetto.
«Senti, Naira...» iniziò la donna, sedendosi di fronte a me. «A volte anche io vorrei strozzarlo con le mie stesse mani» ammise, ridacchiando e mi lasciai sfuggire un sorriso anch'io. «Ma lui è fatto così. In un momento lo vorresti ammazzare, e in quello seguente lo vorresti abbracciare senza più lasciarlo andare» continuò, prendendomi le mani nelle sue. «Sai, lui non è un cattivo ragazzo, ma ha avuto molti momenti difficile da superare, per questo adesso si comporta così. Ma credimi - dentro di lui - si nasconde un ragazzo d'oro, anche se non lo fa sempre vedere e non dico questo solo perché per me è come un nipote. Ti dico tutto ciò perché ho anch'io una certa età e ho imparato a leggere le persone. E posso vedere che anche tu ne hai passate abbastanza per la tua età, quindi tu meglio di chiunque altro dovresti capirlo» concluse la donna.
«Capisco ciò che intende, immaginavo anch'io un motivo per il quale lui si comportasse così. Ma sono stanca di capire sempre la gente, mentre nessuno capisce me» ammisi, abbassando leggermente lo sguardo.
«Lo so, tesoro. Purtroppo i ragazzi a volte sanno essere proprio dei rincitrulliti. Ma posso dire che lui ci tiene anche a te, anche se non lo ammette» affermò, sicura di sé.
«Cosa glielo fa dire?» domandai, piegando leggermente la testa, incredula alle sue parole e lei ridacchiò.
«Beh, perché io lo conosco. E anche perché non ha mai portato nessuna ragazza qui prima di te» affermò con certezza e io la guardai, interdetta. «Adesso vai, dovete tornare anche voi a casa» disse alzandosi e io la seguii.
«Beh, immagino dovrò trovare qualcosa con cui tornarmene a casa, dato che sicuramente se n'è andato» sbuffai.
«Io ti suggerirei verificare prima» mi fece un cenno verso la finestra e notai la sua macchina nel parcheggio.
«Come faceva a saperlo?» le chiesi, sorpresa.
«Te l'ho detto: lo conosco» mi fece l'occhiolino, per poi avvicinandosi e io la abbracciai senza esitazioni.
«Grazie, Mary. Capisco perché Arian ci tiene così tanto a te» affermai, sorridendo.
«Potrei dire la stessa cosa, tesoro bello. Ora vai e buon viaggio» si staccò da me e mi fece cenno di avviarmi.
«Spero di rivederla un giorno. Mi ha fatto piacere» feci un cenno di saluto e mi girai, uscendo dal locale.

Percorsi il tragitto dalla porta del locale alla sua macchina accesa lentamente, rimuginando su quello che era appena successo ed ero ancora stupita che non se ne fosse andato, lasciandomi lì.

Salii in macchina e lui non disse niente, si limitò a partire.

***

Arrivammo davanti al collegio e mi feci per scendere, ma lo sentii finalmente parlare.

«Almeno un grazie sarebbe ben accetto» commentò.

Durante tutto il tragitto non aveva aperto bocca e adesso se ne usciva fuori con questo, seriamente?

«Grazie al cazzo, guarda» sputai per poi aprire la portiera e scendere dall'auto.
«Sei proprio un'Acida del cazzo, chi ti capisce è bravo!» gridò da dietro, uscendo anche lui dall'auto.
«Senti, sono stufa di tutta questa cosa e non ho voglia di fare una scenata proprio qui, davanti al collegio. Perciò continua pure a fare il troglodita possessivo megalomane incazzato da solo o con chi vuoi tu, io me ne vado» dissi solo, per poi girarmi e avviarmi verso l'appartamento.
«Ecco, brava, scappa! Questa è l'unica cosa che sai fare da quando ti ho conosciuta!» gridò ancora e io mi limitai ad alzargli il dito medio, continuando per la mia strada, cercando di sbrigarmi per arrivare in tempo al lavoro.

***

Arian's Pov

Quella ragazza aveva seri problemi, questo era poco ma sicuro. Restai per qualche minuto a guardarla mentre si allontana - dopo avermi mostrato il medio - fino a quando si perse tra la folla, momento in cui mi destai dai miei pensieri. Fui tentato dal seguirla e cercare di capire cosa cazzo avesse nella testa, ma decisi di lasciar perdere, dato che eravamo entrambi arrabbiati.

Sospirai e chiusi la macchina, per poi attraversare la strada e oltrepassare il cancello del collegio, facendo un cenno della a testa a Phil che mi guardava stranito. Entrai nel collegio e mi avviai verso la mia stanza.

«Arian» sentii una voce richiamarmi da dietro e mi fermai, voltandomi e incrociando lo sguardo serio e freddo di mio padre.
«Scusa, ma ora non ho tempo per questo» sbuffai, voltandomi per andare nella mia camera.
«No, tu adesso vieni nel mio ufficio, senza discussioni» fece e mi precedette.
«Ma...» provai a protestare.
«Ho detto senza discussioni!» ringhiò e io sbuffai, seguendolo.

Lungo il percorso verso il suo ufficio rimanemmo entrambi in silenzio, chiedendomi cosa diamine volesse da me.

«Arian» disse mia madre, venendo verso di me, una volta arrivati davanti al suo ufficio.
«Non adesso, Megan» tagliò corto mio padre entrando nell'ufficio, facendomi cenno di seguirlo, per poi andare verso la sua scrivania.

Mia madre mi guardò preoccupata, ma io mi limitai a scrollare le spalle, seguendolo e chiudendo la porta alle mie spalle. Mi sedetti davanti a lui e misi le gambe sulla scrivania, rendendomi comodo.

«Arian non ho voglia di scherzare, perciò faresti meglio a togliere i piedi da questa scrivania» io sbuffai, ma decisi di fare come diceva perché non avevo voglia di discutere con lui.
«Quindi, perché sono qui?» chiesi, guardandolo dritto negli occhi.
«Dovresti saperlo» rispose, incrociando le braccia al petto.
«Se lo sapessi non te lo chiederei, non credi?» domandai retorico.
«Cosa credi di fare con quella Burns?» mi chiese, ignorando il mio tono.
«Che intendi dire?» domandai, non capendo.
«Non fare il finto tonto. Vi ho visti scendere entrambi dalla tua auto e so che non vi siete presentati oggi ai corsi» iniziò e io provai a protestare, ma mi fermò. «Adesso mi ascolti bene perché non ho intenzione di ripetere. Ho dato la mia parola a sua madre che l'avrei fatta diventare una futura donna responsabile, con la testa sulle spalle e responsabile, quindi ti chiedo - anzi ti ordino - di starle lontano e di smetterla con le tue stupidaggini. Ha già un caratteraccio di suo, non ha bisogno anche del tuo aiuto e della tua influenza. Spero di essere stato chiaro. Puoi andare» concluse, facendomi cenno verso la porta, mentre iniziava a lavorare e io lo guardai basito. «Ah, e stavo per dimenticare. Solo perché sei mio figlio, questo non ti da il permesso di fare ciò che vuoi qui dentro» aggiunse, concentrato sui fogli davanti a se senza alzare lo sguardo.
«Ogni suo desiderio è un ordine» lo derisi, facendo un inchino teatrale, per poi andare verso la porta e uscire dal suo stupido ufficio, al di fuori del quale mi aspettava mia madre.

«Che succede?» mi chiese lei.
«Niente, tranquilla. Le solite merdate» risposi, per poi poggiarle un bacio sulla fronte e avviarmi verso la mia stanza, sperando che questa volta non mi fermasse nessuno.

***

Heilà

Sono contenta di essere riuscita a finire questo capitolo che devo dire ho proprio amato.

Ho fatto questo spazio autrice perché ci tenevo a ringraziarvi per le 82k visualizzazioni, siete i migliori lettori della storia dato che nonostante i miei mesi de assenza siete ancora qui❤

All the love, Acele

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