Dopo Captain America

By topotaxi

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Dopo la scomparsa di Captain America (Steve Rogers) la vita continua gli anni passano. Cosa è successo mentr... More

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By topotaxi

Tre colpi secchi alla porta e un ordine urlato in russo mi fanno sobbalzare dal letto. Apro gli occhi di scatto e mugolo per il dolore: ho un mal di testa atroce. Sento tutta la testa pulsare.

Provo ad alzarmi ma mi rimetto subito giù rannicchiandomi istintivamente per forte dolore che mi attraversa la schiena. Quando mi ranncchio il dolore aumenta esponenzialmente e così sono costretta a imprimere la faccia nel cuscino per urlare.

Ho le lacrime agli occhi ma riesco a non farne cadere nemmeno una.

Mi rigiro sulla schiena e il respiro mi si mozza nuovamente. Prendo, per calmarmi e far andare via il dolore, alcuni grossi respiri.
Mi guardo in giro e noto che le mie compagne di stanza si sono già vestite : accidenti. Dolore e paura di mescolano: se non mi vesto subito farò la fine di ieri.

Ieri. I ricordi riaffiorano uno dopo l'altro con le emozioni. "Devo assolutamente eseguire gli ordini" mi dico con il cuore che batte fortissimo e le lacrime che minacciano di scendere nuovamente.

Guardo in direzione del letto di Marta per sapere come sta. Non c'è Marta.
C'è una ragazza che avrà circa due anni in più di me. Dov'è mia sorella? Cosa le hanno fatto? Vengo presa dal panico e inizio a guardarmi attorno.

Solo ora realizzò che non mi trovo più nella mia stanza: probabilmente ci hanno divise. Sono sola adesso.
Una ragazza della mia nuova stanza con in mano un paio di chiavi si avvicina a me: cosa vuole farmi? Mi farà del male anche lei?
Inizio a dibatrermi ma vengo subito bloccata dalle fitte di dolore alla schiena. Chiudo gli occhi terrorizzata.

Sento un clac e subito dopo mi accorgo di avere il polso sinistro più leggero: riapro gli occhi con stupore. La ragazza mi sta guardando con un ghigno divertito ma io distolgo subito lo sguardo da lei e mi guardo il polso: ho dormito con delle manette. Ho dormito ammanettata al letto. Okay.

Sono veramente sorpresa. Avevano paura che scappassi?
No.
Guardo gli altri letti anche loro hanno un paio di manette attaccate al lato sinistro.
Vedo una mia compagna di stanza che ha appena finito di vestirsi: devo vestirmi!

Okay, okay. Calma.

Un respiro, due respiri. Devo ragionare lucidamente: adesso mi alzo ignorando il dolore alla schiena e imito le mie compagne di stanza in modo da evitare colluttazioni per oggi.
Questo giorno il piano è cercare di rimanere viva.

Più calma di prima eseguo quello che mi sono autoimposta: mi alzo e metto la divisa.
Inutile dire che il dolore non sono affatto riuscita a ignorarlo e quindi mi sono vestita mogolando per il dolore. Le mie nuove compagne di stanza per poco non cadevano per terra dalle risate: le avrei volute prendere a sberle.

Esco dalla porta della mia stanza con il respiro tremante ed irregolare perché ad ogni passo che faccio sembra che la mia schiena sia sottoposta a dei carboni ardenti.
Siamo in fila, compattate in squadroni silenziosi e precisi come ieri pronte per andare in mensa.
Non voglio tornare in quella stanza.
I ricordi di ieri mi passano velocemente davanti agli occhi: la donna in completo blu che urlava, la frustata sulla schiena e l'urlo di dolore di mia sorella. Tutto in un flash.
Non voglio tornare in mensa.

Non so come ma le mie preghiere vengono esaudite: invece di andare in mensa ci fermiamo nell'atrio.
Stiamo in piedi senza fiatare, anche le altre ragazze sono nell'atrio ma non riesco a scorgere Marta. Questa cosa mi preoccupa molto.
Qualcosa mi dice che le è accaduto qualcosa di brutto e per questo ho una specie di macigno sul petto che non mi fa respirare.
Cercando di non dare troppo nell'occhio mi alzo in punta di piedi cercando la chioma scura di mia sorella : niente. Di lei non c'è traccia.
Il cuore inizia a farmi male talmente batte veloce e la preoccupazione sale alle stelle insieme a un groppo in gola.

Continuo a guardarmi attorno sempre più spaesata fin quando da una porta laterale entra la signora in completo blu: la strega. Tutta la mia preoccupazione si trasforma in paura e inizio a tremare convulsamente : il mio istinto mi grida di scappare ma sarebbe come dichiarare la propria condanna a morte.
Faccio involontariamente in passettino in dietro e sento un colpo di tosse stizzito più che mai provenire dalle mie spalle.
Impaurita anche dalla ragazza dietro domando flebilmente scusa, quasi sussurrrando e mi ricompongo: faccia inespressiva, o chi neutri e postura dritta per quanto la mia schiena me lo consenta.
Ma dentro di me sto urlando dal terrore.
Devo trovare mia sorella.

La donna inizia a parlare e nei suoi occhi si accende una luce strana appena mi vede e tutto il mio corpo si irrigidisce. Quanto vorrei scappare.
Serro i pugni e i denti per non far notare che tremo e cerco di mostrare un'espressione indifferente e dura abbastanza convincente.

La donna continua a parlare. Io ovviamente non capisco una singola virgola di quello che sta dicendo e mi limito a rimanere ferma immobile come un soldatino.
Con mia sorpresa il mio gruppo inizia a spostarsi andando nella grande sala con la trave per fare danza, quella che ho visto appena entrata in questo carcere. Una volta entrata nella stanza scopro che dietro alla trave c'è uno specchio e guardo il mio riflesso.

Non sapevo di essere messa così male: capelli sporchi, viso pallido e leggermente dimagrito, occhiaie da far paura. Ma solo una cosa mi preoccupò veramente del mio riflesso: gli occhi.
Che fine avevano fatto i miei bellissimi occhioni color cobalto? Non brillavano più, non erano più... più... vivi. Ecco, sì, non erano più vivi.
Mi spaventai del mio stesso riflesso.

Un colpo di tosse secco mi fa girare di scatto: un uomo con una faccia apparentemente calma mi sta squadrando da capo a piedi: non gli sto prestando attenzione.
Chino il capo dispiaciuta: non accadrà più.

Ad un cenno del capo dell'uomo tutto il mio gruppo si scioglie andando verso alcune rientrante nel muro che evidentemente fungono da camerini. Anche in questa occasione sono assolutamente ordinate ed impeccabili ma io non so in che camerino dirigermi.
Guardo spaesata ogni rientranze per capire in quale devo andare io finché non noto che ne è rimasto solo uno libero e così mi dirigo a passo spedito verso quest'ultimo.

Sopra di uno sgabellino trovo una specie di vestitino bianco con del tulle all'altezza dei fianchi: un tutù da ballerina.

Sorrido.

Non vorrei essere felice ma sorrido, è un tuffo nel passato: quando eravamo a casa a Brooklyn io e Marta avevamo chiesto ai nostri genitori di iscrivervi a un corso di danza.

Senza indugiare oltre mi sfilo la divisa e indosso attentamente il mio nuovo abito infine raccogliendo i capelli in uno chignon guardandomi poi compiaciuta allo specchio: mi piace.
Mi odio.

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