UNFAITHFUL - Vincitore WATTY...

By Maiaiam

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Le fiabe finiscono sempre con "... e vissero per sempre felici e contenti." Ma siamo certi che esista davvero... More

Unfaithful
1. L'Olimpo
3. Ti rendo il favore
UNFAITHFUL, dal 12 novembre in e-book e cartaceo!

2. Guai

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By Maiaiam

Canzone consigliata per il capitolo:

Love me like you do – Ellie Goulding

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Una volta agghindata e protetta dall'ormai familiare maschera da donna in carriera che ero solita indossare tutte le mattine, arrivai davanti al portone di casa e diedi un'ultima occhiata alla mia figura allo specchio prima di uscire. Aggiustai i capelli biondi nell'acconciatura raccolta sulla nuca, controllai il colletto della camicetta bianca di seta e la sottile cintura che stringeva in vita la gonna aderente e lunga poco sopra al ginocchio; solo alla fine mi lasciai andare in un dolce sorriso osservando la foto del mio matrimonio appesa lì accanto. In quel caldo pomeriggio di giugno di poco più di un anno prima, fuori dalla St. Patrick Cathedral e immersi in una folla di amici e parenti più o meno conosciuti, io e Michael non eravamo riusciti nemmeno per un secondo a restare seri e a mantenere le rigide pose che i fotografi ci imponevano; scoppiavamo a ridere a casaccio senza riuscire a controllarci, e le foto più spontanee dell'album erano infine rimaste le nostre preferite.

Guardai entrambi i nostri sguardi felici catturati dall'obbiettivo e sorrisi ancora di più: Michael era di certo un uomo affascinante e il sogno proibito di molte donne, ma anche io dovevo ammettere di essere un gran bel bocconcino che non aveva nulla da invidiargli. La sicurezza di me, dopotutto, era una dote che avevo coltivato e conservato fin dalla più tenera età. Sapevo di essere una bella donna e di risultare abbastanza appariscente nonostante il mio metro e settanta scarso; non ero di certo una ragazzina cieca e insicura che fingeva di considerarsi bruttina solo per poter ricevere i complimenti forzati degli astanti. Nonostante questo, sapevo di valere soprattutto per il mio cervello e io mi ero sempre impegnata per non risultare la ragazza che era riuscita a ottenere tutte le sue fortune soltanto grazie al proprio aspetto fisico: questa era l'accusa che più non sopportavo.

Certo, Michael il giorno del mio colloquio nell'azienda mi aveva assunta su due piedi senza nemmeno sbirciare il mio ridicolo curriculum di cameriera laureata in storia dell'arte, ma durante gli anni passati a lavorare nell'azienda di suo padre io mi feci strada, promozione dopo promozione, grazie alle mie capacità e al mio impegno. E anche se dopo soli quattro anni di lavoro io ero diventata il capo del personale di una delle più importanti catene alberghiere degli Stati Uniti, sapevo svolgere egregiamente il mio lavoro e nessuno se ne era mai lamentato. Certo, gli idioti che ancora paventavano che io fossi arrivata a quel livello solo perché mi scopavo il capo durante la pausa pranzo... beh, quelli purtroppo c'erano e ci sarebbero sempre stati: era il prezzo compreso per poter essere chiamata signora Morgan. Io cercavo di passare oltre; in fondo, gestivo le assunzioni dei nuovi dipendenti, davo il via ai pagamenti delle buste paga e, grazie alla delega di firma sugli assegni e sui permessi che Michael mi aveva dato qualche mese prima, io controllavo il giro economico di una consistente parte delle entrate e delle uscite di tutta la società. Se sapevo fare tutto questo dopo così pochi anni di esperienza, evidentemente le mie capacità non erano solo relative al settore "ginnastica da letto e biancheria intima provocante" – anche se su quest'ultimo punto Michael non aveva mai trovato nulla di cui lamentarsi -.

Quella mattina presi il solito taxi per arrivare al lavoro. Michael insisteva che io sfruttassi l'autista che stava alle nostre dipendenze, così come aveva sempre fatto lui, ma almeno in quel piccolo frangente volevo essere indipendente, senza lasciar sapere dove mi recassi ogni singolo giorno della mia vita. Dopotutto, vivevo con mio marito, nella sua casa, guidavo le sue macchine, lavoravo nell'azienda della sua famiglia, spendevo i soldi che guadagnavo, ma che in fondo era sempre lui a darmi... volevo mantenere ancora un briciolo di indipendenza per quel poco che mi era possibile.

Al mio arrivo ai piedi del grattacielo che ospitava gli uffici della Morgan Hotel Corp., lasciai una lauta mancia al tassista e presi un respiro profondo prima di entrare, iniziando già a contare a ritroso i minuti che sarebbero mancati alla fine di quella lunga ed estenuante giornata, uguale a mille altre che avevo già passato. Non odiavo il mio lavoro, ma di certo stare in mezzo a scartoffie, calcolatrici e computer non era mai stato il mio sogno. In adolescenza avevo sognato un futuro del tutto diverso, fatto di arte, di pittura e della Layla affermata artista che vendeva i propri quadri in qualche galleria prestigiosa di Soho... ma gli anni erano passati anche per me e alla fine tutti i miei sogni avevano preso forme e colori differenti.

«Oh, si... si... signora Morgan. Buon... buongiorno», balbettò la mia assistente non appena poggiai il tacco sulla moquette del ventiseiesimo piano.

Sandy era una brava ragazza: vent'anni appena compiuti, lunghi capelli castani sempre un po' arruffati, molto minuta e dalle spalle curve, sembrava avere perennemente un po' troppa paura del mondo. Lavorava per me da un anno e, nonostante un periodo di prova che descrivere come disastroso sarebbe stato un eufemismo, io l'avevo sempre protetta e l'avevo lasciata passare oltre per darle una possibilità.

«Buongiorno, Sandy... dimmi che hai il mio primo cappuccino o questa mattina non riuscirò a stare sveglia per tutto il tempo.»

«Il suo cappuccino con spolverata di cannella è già sulla sua scrivania, signora», spiegò un poco in apprensione, i grandi occhi scuri che saettavano in giro con preoccupazione.

«Grazie, sei un tesoro.»

Mi diressi a passo rapido verso la porta del mio ufficio con Sandy alle calcagna. «Ecco... immagino, signora Morgan», ma io la corressi subito.

«Layla, per favore. Lo sai che devi chiamarmi Layla. Signora Morgan mi fa sentire una vecchia decrepita.»

«Sì, certo... beh, immagino che lei debba aver avuto un grosso contrattempo visto... visto il ritardo per la riunione», mormorò stringendo infine i denti e strizzando un poco gli occhi, nemmeno ci fosse una bomba intorno pronta a esplodere da un momento all'altro.

E lentamente, intuii che quella bomba altri non ero che io.

Mi voltai a fissarla con un sopracciglio inarcato e rallentai man mano l'andatura della mia marcia. «La riunione delle nove?» domandai. «Quella che inizierà tra circa sette minuti, intendi?»

Scrollò la testa rapidamente e strinse al seno la cartellina che si portava sempre appresso, colma di tutti i miei impegni come potessero in qualche modo proteggerla. «No... quella che Morgan Senior ha anticipato alle otto e mezza e che sta per concluder», ma non la lasciai terminare che mi fiondai dall'altro lato del corridoio, diretta in fretta e furia alla sala riunioni e dimentica completamente del sacro cappuccino. «Merda, merda, merda. Sono in ritardo... merda, merda merda... Non ho controllato i messaggi sul telefono... merda, merda, merda...»

Ok, quando mi alteravo tendevo a dire un po' troppe parolacce, ma era più forte di me.

Camminai rapidamente verso la sala riunioni e, una volta fuori dalla porta chiusa, mi girai verso la mia assistente per lasciarle il soprabito. «Come sto? Non si vede che sono agitata, vero? Altrimenti quelli mi mangiano viva.»

Sandy scrollò la testa e mi sorrise, aggiustando gli occhiali sul dorso del naso con l'indice e arrangiandosi a tenere soprabito e fogli tra le braccia. «Sta benissimo, signo...», ma la mia occhiataccia ammonitrice la fece rinsavire giusto in tempo per correggersi. «Layla, sei in ordine.»

Tentai di rilassarmi, mentalmente inventando già una scusa da rifilare a mio suocero e a mio marito per il ritardo, e sorrisi alla mia assistente. Era una brava ragazza, dopotutto; forse non molto efficiente e un po' sbadata, ma era discreta e sufficientemente affidabile.

«Ok, se qualcuno ti chiede qualcosa, il taxi è rimasto bloccato tra la Broadway e la Fulton a causa di lavori. Capito?»

«Broadway e Fulton, certo.»

Un ultimo ritocco al ciuffo sulla fronte, una mano sulla maniglia ed entrai nella sala riunioni con la schiena dritta e fare sicuro, immaginandomi già l'intero tavolo adornato di amministratori e soci che mi avrebbero fissata con il solito sguardo colmo di disappunto per il mio enorme ritardo.

E invece, una volta dentro l'ampia sala ovale, trovai il tavolo vuoto, abitato solamente da qualche sparuto bicchiere d'acqua. Individuai un esiguo gruppo di uomini incravattati, che continuavano a discutere sottovoce accanto alle ampie finestre della stanza e, poco lontano da me, c'era invece Michael, che parlava animatamente con suo padre. Sembrava parecchio alterato da quella discussione, così restai qualche metro più indietro con la borsa stretta tra le mani, aspettando il momento buono per intromettermi.

«Segretaria in ritardo?» domandò all'improvviso una voce alle mie spalle.

Sobbalzai per la sorpresa e per il tono caldo e profondo che si era materializzato così vicino al mio orecchio; troppo vicino per appartenere a un semplice estraneo. Mi voltai a fissare il giovane uomo che si era incurvato un poco verso di me, soffermandomi come prima cosa sul mezzo sorriso sghembo che gli alzava solamente un angolo della bocca piena e perfettamente disegnata.

Dovetti ammettere che a primo impatto mi fece un certo effetto, ma l'improvviso calore al centro del petto che provai alla vista di quegli occhi verdi e intensi, che parevano brillare di perfido scherno, io lo attribuii semplicemente alla sorpresa di essermi trovata alle spalle un completo estraneo, così tanto vicino senza che me lo fossi aspettato.

Lo fissai di rimando con un sopracciglio alzato e i miei pensieri non esitarono a ritornare nei ranghi non appena interpretai correttamente le sue parole.

«E lei sarebbe?» chiesi chiarimenti con aria scettica.

L'uomo mi squadrò dalla testa ai piedi per un lunghissimo ed estenuante momento e, sebbene fossi abituata agli sguardi di certi uomini, il suo mi irritò non poco: pareva trasmettere tutto il suo senso di superiorità nei miei confronti. «Non ha risposto alla mia domanda», mi fece notare molto prima di degnarsi di riportare i suoi occhi al mio viso.

Allungai una mano per presentarmi con aria determinata, mento puntato al cielo e squadrandolo io stessa dalla testa ai piedi nello stesso modo. «Signora Morgan, piacere. Non sono la segretaria di nessuno qui dentro.»

Solo allora sembrò sorprendersi della mia spiegazione e rispose con decisione alla stretta di mano, accompagnandola ancora con il sorriso beffardo che pareva non volergli lasciare in pace le labbra. I capelli castani erano esageratamente lunghi per i miei gusti, arrivavano quasi a toccargli le spalle in qualche vago accenno ondulato, e il viso portava i lineamenti equamente divisi tra una finezza femminile nel taglio degli occhi e la rigida definizione mascolina nella mandibola perfettamente sbarbata. Quando strinse forte la mia mano, una stretta decisa che voleva trasmettere sicurezza, mi resi conto dei numerosi anelli che portava su quasi tutte le dita e, istintivamente, mi ritrovai ad alzare un sopracciglio: "Ma chi diamine è che si concia così? Un rockettaro inciampato per sbaglio in un armadio pieno zappo di abiti firmati Armani?"

Nonostante tutto, non potei fare a meno di ammettere che su di lui, il mix di eleganza dato dal completo nero che indossava e dai capelli, che parevano spettinati al punto giusto per invogliare ogni donna a passarci le dita attraverso per riordinarli, calzava davvero alla perfezione.

"Peccato per quell'espressione di irritante strafottenza sul volto: potrebbe essere anche un ragazzo carino", mi ritrovai a riflettere.

«Andrew Stevens», si annunciò con fare sicuro nemmeno fosse l'erede di James Bond. «Sono qui con Terence.»

«Vedo che vi siete già conosciuti», ci interruppe mio suocero arrivando da noi e trascinando dietro Michael con una mano sulla sua spalla. «Layla, Stevens è il mio braccio destro. Non credo di avertelo mai presentato prima.»

Michael mi lanciò un'occhiataccia di avvertimento e io mi ricordai di sorridere nel modo più sincero possibile a quel figlio di puttana di mio suocero, anche se probabilmente ciò che si formò sulle mie labbra somigliò più a un ghigno disgustato.

Terence Morgan, la carogna per eccellenza: sempre curato ed elegante come il figlio, ma dall'animo sporco e la falsità insita nel sorriso smagliante. Era il direttore generale e maggiore azionista della società che aveva fondato in giovane età grazie alle sue sole forze. Era passato di compravendita in compravendita di immobili di valore fino a detenere il trentacinque percento delle strutture alberghiere di tutti gli Stati Uniti. A quota terza moglie già in via di divorzio, Morgan Senior deteneva una collezione di amanti – e probabilmente anche di figli illegittimi – sparsi per tutto il continente, e chissà: forse anche oltreoceano. Michael, l'unico figlio avuto dalla prima moglie e ufficialmente riconosciuto, era il vicepresidente e controllava la sede principale dell'azienda situata a New York, mentre la carogna viaggiava in lungo e in largo per il mondo, con la scusa di trovare nuovi terreni edificabili su cui investire per espandere il suo piccolo impero anche oltre oceano, - e soprattutto, per scopare ogni essere femminile che respirasse in ciascuno dei cinque continenti -. Qualcosa mi aveva sempre suggerito che quel lontano giorno del mio colloquio, se Michael non si fosse fatto avanti per primo mostrando interesse nei miei confronti, ne avrebbe approfittato suo padre.

«Buongiorno, Terence. Spero che la riunione sia andata per il meglio», esordii con il mio miglior sorriso finto.

«Layla, tesoro», mi salutò con voce melliflua, quella solita mano morta che arrivava a posarsi sulla mia spalla e, di tanto in tanto, pure sul fianco, con una confidenza che si era sempre preso da solo, «sei più radiosa ogni giorno che passa. Che peccato che non ci fossi alla riunione. La tua assistente non ti ha avvisata?»

E i suoi occhi, così' come mi sarei dovuta aspettare, indugiarono per parecchi secondi sulla mia scollatura.

«No, assolutamente, ho ricevuto l'avviso. Dovete perdonarmi per il ritardo, ma il traffico era bloccato e non sono riuscita ad arrivare in tempo.»

Terence era soddisfatto. Era palese che avesse anticipato l'orario della riunione all'ultimo momento proprio per non permettermi di partecipare; mio suocero non amava quando mettevo troppo il naso nelle faccende dell'azienda, io e Michael lo sapevamo bene, ma indossai lo stesso la mia maschera sorridente e non commentai oltre.

Michael si schiarì la voce e, facendo un passo per mettersi tra me e suo padre, mi passò un braccio intorno alla vita. «Layla, mio padre avrebbe delle esigenze per i prossimi mesi», spiegò, anche se sembrava parecchio a disagio.

«Certamente... se ha bisogno dei prospetti del trimestre precedente, io», ma una voce mi interruppe, intromettendosi in quel discorso che lo aveva fino ad allora ignorato.

«A dire il vero, sono io che avrei bisogno di ispezionare tutti i movimenti degli ultimi tre mesi: ricevute e fatture, assegni in entrata e in uscita, organizzazione del lavoro, nuove assunzioni, eventuali sprechi...»

Fissai il semisconosciuto con aria sconcertata. Ma chi diamine si credeva di essere questo Stevens? Perché si permetteva di intromettersi nei nostri discorsi e, per di più, senza che mio suocero dicesse nulla per ammonirlo come faceva con chiunque, persino con suo figlio?

Michael si schiarì la voce e strinse un poco la mano sul mio fianco, come a volermi rassicurare. «Stevens lavorerà qui in sede per qualche mese. Farà le veci di mio padre mentre lui non c'è.»

«Andrew è il mio più fidato collaboratore», spiegò Terence prima di rivolgersi al cagnolino al suo fianco. «Ora noi due andremo a fare colazione e ad accordarci su alcune faccende organizzative.»

Stevens ridacchiò. «Ma offri tu, oggi. Non mi freghi.»

«Che gran spilorcio che sei. Muovi il culo, allora.»

Stevens si congedò con un semplice cenno del capo; niente stretta di mano, solo una lunga occhiata rivolta nella mia direzione e poi sparì dietro la porta con mio suocero.

«Che brutto figlio di puttana», fu l'aspro commento di Michael. Teneva la mandibola tesa per l'ira che riusciva a trattenere a malapena.

«Si può sapere da dove è sbucato quello

«Quello è un moccioso del cazzo che mio padre ha mandato per controllare come lavoro», sputò via con rabbia prima di prendere la porta e uscire senza più degnarmi di una parola.

Raccolsi tutta la mia scarsa pazienza e lo seguii.

"Stevens porterà soltanto guai".

******************************

Spazio Dory:

Finalmente lo Stevens in questione ha fatto la sua comparsa... Staremo a vedere quale tipo di guai porterà alla nostra cara Layla!

Aspetto come sempre le vostre impressioni e le vostre ipotesi e non dimenticate di lasciare un voto!

A presto ;-)

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