Il tempo di finire la sigaretta che il telefono nella tasca anteriore dei jeans le vibrò. Un banner comparso sul blocco schermo mostrava il messaggio di Clarke.
Clarke Griffin: Scusami per prima, non avrei dovuto insistere. Sono uscita a comprare le lasagne per farmi perdonare. Non spaventarti quando rientri, il mio ragazzo è rimasto a casa. Spero non ti dispiaccia.<3 <3
Un angolo della bocca di Roxanne si sollevò involontariamente: era la ragazza più dolce e gentile che avesse mai avuto l'occasione di conoscere. Poteva anche essere un'impicciona indiscreta, ma si sentiva sollevata a condividere l'appartamento con una persona tanto premurosa. Almeno non avrebbero litigato ogni giorno come aveva previsto. Si ripromise di provare ad essere più gentile con lei e di non sbuffare più o di alzare gli occhi al cielo ogni volta che parlava di qualche argomento salottiero; lei non si meritava una coinquilina con un tale caratteraccio.
Si strofinò le mani sulle ginocchia e si mise in piedi, pronta per il suo veloce giro di ricognizione giornaliero. Percorse i sentieri adombrati come se frequentasse quel college da anni, ricordando a memoria ogni svolta e immagazzinando tutte le informazioni rilevanti. Incontrò varie coppiette appartate dietro un albero, sportivi nel bel mezzo della preparazione atletica e persino la squadra delle cheerleader. Arrivata davanti all'abitazione della confraternita Omicron -quella che le aveva destato più sospetti- incrociò un ragazzo dai capelli ricci e la pelle ambrata intento a scendere le scale. Aveva degli scatoloni tra le braccia, probabilmente residui del trasloco, che poggiò accanto al bidone della differenziata scoprendo il petto nudo. Apprezzamenti poco casti le frullarono per la mente. I ricci gli ricaddero sul viso mentre si abbassava, ma, quando si alzò, Roxanne notò che la stava guardando. Le sorrise e le rivolse un veloce cenno della mano. Sapeva che si stava rivolgendo a lei -se ci fosse stato qualcuno dietro di lei se ne sarebbe immediatamente accorta- e questo la lasciò alquanto stranita: come mai erano tutti così cordiali in quel posto? Abbozzò un sorriso incerto e accelerò il passo. Non le andava di farsi notare prima del dovuto. Il suo giro proseguì senza ulteriori intoppi o stranezze e, in una decina di minuti, si ritrovò di nuovo davanti al palazzone arancione del dormitorio. Salì languidamente le scale, immersa nei suoi turbolenti calcoli, e si ricordò di avere ospiti solo quando infilò la chiave nella serratura. La fece scattare con un piccolo sospiro: non era psicologicamente pronta ad incontrare il fidanzato di Clarke. Sperò che avesse lasciato l'appartamento o che, almeno, non fosse un altro a cui piacessero le domande. Aprì la porta.
Il primo segnale della sua presenza le arrivò in un modo tanto velato da non collegarlo immediatamente ad un possibile pericolo: in fondo, mica era l'unico sulla faccia della Terra ad utilizzare quel profumo da uomo. Era un'idea così assurda che la scacciò in un lampo, giustificandola come semplice paranoia. Il secondo fu meno discreto, ma comunque spiegabile come un'innocua combinazione: il ragazzo stava suonando alla chitarra un pezzo poco conosciuto dei Guns N' Roses, ma, di certo, lui non era il loro unico fan sfegatato. E poi la conferma arrivò quando la porta si chiuse con uno schiocco dentro di lei: sentì il ragazzo alzarsi e procedere a passi sicuri verso il corridoio.
<<Ciao.>> gridò per avvisarla della sua presenza. Ebbe un tuffo al cuore e la sua mano corse immediatamente alla pistola di piccolo calibro nascosta nel retro della cintura. Quella era la sua voce. Sbucò nel corridoio e, prima di bloccarsi, a dir poco scioccato alla sua vista, riuscì a dire: <<Sono Bel...>>.
Roxanne per poco non svenne. Davanti a lei, come sbucato fuori dai suoi incubi peggiori, si stagliava il suo più pericoloso e subdolo nemico.
Si stavano incontrando dopo almeno due anni, senza considerare quelle due o tre occasioni in cui aveva intravisto di sfuggita la sua ombra, ma si ricordava alla perfezione di lui, dei suoi occhi grigi, nei quali da bambina le piaceva perdersi, delle sue camicie sempre stirate alla perfezione e del suo cipiglio perenne. Di tutto il dolore che le aveva causato. Era più alto dall'ultima volta in cui l'aveva visto, ma la sensazione di smarrimento che la sua presenza le procurava era la stessa. Era come imbalsamata, congelata, inchiodata in quella posizione; i muscoli non rispondevano ai suoi comandi. Era certa di avere la bocca aperta e gli occhi sgranati ma non riusciva neanche a cambiare espressione. Le gambe le tremavano, ed era da tanto, tanto tempo che avevano smesso di farlo per qualcuno. Con uno sforzo immane riuscì a darsi un pizzicotto sul braccio, cercando invano di svegliarsi da quel terribile sogno ad occhi aperti, sperando quasi che la sua figura potesse dissolversi come torbida nebbia. Sfortunatamente, lui rimase lì in tutta la sua misteriosa ed oscura bellezza, saldo come solo la realtà sa essere. I suoi occhi chiari scivolarono su di lei, come se neanche lui potesse credere a ciò che vedeva, le labbra leggermente dischiuse, la fronte corrugata coperta da un paio dei suoi ricci bronzei. <<Roxanne?>> farfugliò disorientato. Non l'aveva mai visto così sorpreso in vita sua, lui non si lasciava mai prendere alla sprovvista da nulla, come se si scervellasse ogni singola volta a vagliare tutte le possibili varianti della giornata. Eppure, era una cosa tanto aberrante e lontana dalla concretezza, da non aver neanche sfiorato la mente di entrambi.
Risvegliata dalle sue parole, Roxanne afferrò la pistola e con un fluido gesto gliela puntò contro. <<In persona>>. Bellamy Blake alzò le mani, piombando malamente nella realtà. Il primo impulso di Roxanne, assetata di vendetta e di rabbia repressa per anni, fu di sparare, chiudere la faccenda, fare persino un favore ai suoi genitori. Desiderava farlo, con tutta se stessa , ma non ci riuscì: nonostante si odiasse per questa sua debolezza, era del tutto cosciente che non sarebbe mai riuscita ad uccidere personalmente Bellamy, guardare la vita sparire dal suo volto. Loro erano legati, le loro anime erano state forgiate con la stessa materia e i loro destini intrecciati indissolubilmente. Adirata con se stessa e con lui, sbottò: <<Come hai scoperto che ero qui? Mi hai fatta seguire?>>.
Bellamy parve per un attimo sconcertato dalla sua domanda, dal suono nuovo ed aspro della sua voce, però subito si ricompose, probabilmente maledicendosi per non aver addosso un arma con cui difendersi. Uno sbaglio davvero raro per uno come lui, probabilmente dovuto all'idea di non poter giustificare una pistola nella cintura alla sua ragazza, ma che avrebbe potuto costargli la vita. <<Potrei farti la stessa domanda>>.
Roxanne alzò gli occhi al cielo. <<Io vengo a studiare qui e improvvisamente compari tu. Clarke è una tua spia, vero?>>.
La sopracciglia di Bellamy scattarono verso l'alto. <<Io frequento questo college da due anni.>> disse scandendo bene ogni singola parola.
<<Cosa?>> gracchiò Roxanne <<Non è possibile. Stai mentendo>>. Una valanga gelida di ricordi legati alle sue menzogne la inondò con mille spilli. La cicatrice sul costato le bruciò come fuoco liquido.
<<No, è la verità, Roxanne>>. Rabbrividì pronunciando il suo nome. Roxanne si sentì arrovellare le budella. <<Clarke non c'entra niente, non sa neanche chi io sia realmente. Nessuno a parte mio padre era a conoscenza della mia posizione, per questo non hai trovato nulla nei registri.>> spiegò lentamente, trattandola come si fa con un animale selvatico <<Adesso metti giù la pistola>>.
<<Dovrei crivellarti di colpi.>> sibilò.
Bellamy chiuse un attimo le palpebre, assimilando la dura verità racchiusa in quella parole. Era sorpresa: non era da lui lasciar trasparire un briciolo di umanità. Quando parlò la sua voce tornò fredda, vuota, quella che era solito usare nel mondo dei gangster. <<Lo so.>> sussurrò <<Ma non lo farai, quindi parliamo un attimo da persone civili>>.
Roxanne diventò rossa tanta era l'ira che le ribolliva nelle vene. <<Persone civili? Sul serio? Hai deciso tu di diventare mio nemico, Bellamy Blake>>. Fece scattare la sicura della pistola.
La sua voce era gelida, ogni sillaba una pugnalata. <<Sai perfettamente che è una cosa più grande di noi, i Clan...>>. Il rumore della porta lo fece bloccare a metà frase; Clarke era rientrata. Malgrado andasse contro ogni suo desiderio, sapeva di dover riporre la pistola per il suo bene: non poteva far saltare la sua copertura o si sarebbe trovata nei guai in men che non si dica. Non poteva sapere se ci fossero altri membri della banda dei Blake nei paraggi, ne se Bellamy avesse detto la verità su Clarke, ma non poteva neanche rischiare un improvvisa fuga di notizie. Avrebbe voluto girarsi dall'altra parte e scappare come aveva fatto lui tanto tempo prima, voltare le spalle a ricordi che non facevano altro che distruggerla, far finta di non averlo rivisto. Però questo significava anche vanificare tutti gli sforzi che aveva dovuto compiere incessantemente quell'anno, buttare via i suoi progressi in campo decisionale, dire addio al suo sogno di portare avanti la carriera artistica. Non poteva farsi questo e, nonostante restare significasse soffrire e rischiare molto, aveva già messo da parte sé stessa per gli altri troppe volte in vita sua. Rifonderò la pistola, i nervi tesi e tutti i sensi in allerta. Bellamy fece un cenno col capo che Roxanne interpretò come "che la farsa abbia inizio".
***
Nonostante fosse confusa, impaurita e scossa, Roxanne provò una sorta di ridicola compassione per Clarke: chissà come avrebbe reagito sapendo che stava cucinando ai futuri eredi di due Clan gangster. Certamente, ingenua com'era, non aveva neanche lontanamente sospettato che i due potessero conoscersi, non notando neanche gli sguardi d'odio e d'intesa che si lanciavano attraverso la stanza. Sembrava che, nonostante molte cose si fossero spezzate tra di loro, la loro capacità di comunicare senza parlare non fosse andata perduta. Bellamy era rimasto bello da morire, Roxanne non avrebbe potuto negarlo: con quei suoi capelli castano chiaro e gli occhi grigi, era perfetto per chiunque amasse i misteri. Per quanto la ragazza avesse premuto per trovarlo, scavando tra registri e documenti, nessuno era mai riuscito a ricevere informazioni su di lui negli ultimi anni. Si aggirava leggiadro come un fantasma, un attimo lì e l'attimo dopo chissà dove, spostandosi ad un paio di centimetri da terra, in modo da non lasciare tracce. Era per questo motivo che si era ritrovata nel suo stesso college senza che nessuno arrivasse a sospettare nulla. Ma lei lo conosceva da tutta la vita, avevano appreso troppo l'uno dell'altro per lasciarsi sorprendere così ingenuamente, e non intuire neanche lontanamente i suoi spostamenti confermava la sua tesi: si erano trasformati in due persone completamente diverse, plasmati dall'odio, la rabbia ed il risentimento. Eppure, Roxanne, ricordava tutto della loro condizione precedente, di quanto fosse andata a fondo nella sua anima. Lo amava e, come qualsiasi altra cosa abbia mai amato, i Clan gliel'hanno portato via.
La sua partenza le aveva lacerato il cuore. Non fu più la stessa. Non vide mai più allo stesso modo il mondo che la circondava. I Clan, che prima l'affascinavano tanto attraverso la prospettiva che le indicava Bellamy, si tinsero di rosso sangue. Tutto si mostrò per quello che realmente era: un impero costruito su scheletri e carcasse. Non voleva essere padrona di tutto ciò. Fu allora che iniziò scrollarsi di dosso il vincolo di appartenenza. Blake l'aveva sempre indirizzata a guardare le cose in un modo tutto suo, elevandosi al di sopra della cruda realtà, però, senza di lui, la magia si spezzò e, di punto in bianco, le sembrò di non riconoscere più niente e nessuno. I suoi dogmi cadevano l'uno dopo l'altro come un domino. Lui, però, era l'unico tassello a non cedere mai. Se ne stava lì, saldo e immobile mentre tutto crollava intorno a lui. Eppure, quando finalmente riuscirono a combinare uno dei loro incontri segreti, dietro l'esplosione di felicità che proruppe nel suo cuore, c'era qualcosa che le urlava che lui non era più quello di prima. Qualcosa di oscuro si celava nel grigio dei suoi occhi, qualcosa che le suggeriva di stargli alla larga. Purtroppo, Roxanne aveva sempre avuto una propensione per le cose pericolose, e non diede ascolto a quella parte di lei che gridava allarmata. Se l'avesse fatto, sarebbe stato tutto diverso. Aveva emanato ed eseguito lei stessa la sua condanna; si era comportata da giudice e giustiziere, carnefice e vittima. E lui non aveva alzato un dito per impedirlo, era rimasto a guardare, altero ed immobile, mentre metteva a repentaglio tutto ciò di più sacro che aveva e, alla fine, le aveva voltato le spalle, disinteressato a fissarla raccattare da sola i pezzi infranti del suo cuore.
Vederlo, le faceva ricordare cose che avrebbe felicemente estirpato dalla sua memoria. I suoi occhi, le sue lentiggini, la sua presenza, la sua odiosa aura che aleggiava nell'appartamento le facevano venir voglia di strapparsi i capelli. Una rabbia cieca montava all'interno della sua mente e non riusciva a tenere a bada la mandria inferocita che scalpitava dentro di sé. Per questo teneva i pugni stretti sotto al tavolo, con tanta forza da lasciarsi piccole mezzelune di carne scoperta. Intanto, in cucina, Clarke cinguettava di feste ed esami, ignara della guerra fredda che lei e Bellamy stavano intrattenendo dai due capi del bancone. Il suo sguardo grigio era puntato su di lei, le gelava il sangue nelle vene e le intimava di non commettere stupidaggini. Per quanto Roxanne sapesse che anche lui fosse turbato e nel pieno dell'organizzazione di un piano, Bellamy non lasciava trasparire niente che potesse essere captato dai recettori meno allenati di Clarke. A differenza sua, era sempre stato un maestro nell'arte di ammaliare e stregare, gli riusciva del tutto naturale. L'idea l'aveva sempre affascinata e terrorizzata allo stesso tempo: ogni cosa, con lui, sarebbe potuta essere una farsa.
Immersa nei suoi turbolenti pensieri, quasi saltò dalla sedia quando Clarke la tirò in ballo. <<Bellamy, stamattina ho proposto a Roxanne di venire alla festa della tua confraternita, ma ha rifiutato. Avete proprio lo stesso spirito da noiosoni.>> borbottò avvicinandosi per accarezzargli la spalla. Quel gesto così spontaneo le frantumò il cuore. In preda al panico, si era quasi dimenticata che Bellamy stesse frequentando la sua coinquilina. Un groppo di dolore e delusione le si frappose tra la gola e lo stomaco, a stento riusciva a far entrare aria all'interno dei polmoni. Aveva appena gettato del sale su una ferita ancora aperta e pulsante. In quel momento, avrebbe voluto strapparsi il cuore dal petto tanto faceva male, scavando nella gabbia toracica persino con le unghie pur di tirarlo fuori. Incurante della ragazza dietro di lui, cercò i suoi occhi: le apparvero vuoti, come se, pur di non mostrare compassione o rimpianto, fosse disposto a non lasciarle niente da trovare. Tutto improvvisamente le sembrò sbiadito e ancor più privo di senso quando la mano di Clarke scivolò in quella di Bellamy. Si sistemò impettita sullo sgabello un po' traballante, non gliel'avrebbe data vinta dando a vedere quanto l'avesse ferita nel profondo, quanta fatica le fosse costata quel gesto. I suoi occhi la fissavano, privi di ogni emozione, mentre la ragazza tornava in cucina per impiattare la lasagna.
<<Chissà se scopriremo di avere qualcos'altro in comune, Roxanne.>> disse Blake con una vena subdola che non si impegnò più di tanto a celare <<Mi ha fatto davvero piacere conoscerti e sapere che Clarke sarà in compagnia di una brava ragazza come te>>. Un sorriso meschino gli si allargò sul volto.
Roxanne contrasse le labbra. <<Lo stesso vale per me: è sempre bello incontrare, ai tempi d'oggi, uno dei pochi ragazzi che sappia cos'è la fedeltà>>. Gli rivolse il suo più smagliante sorriso e notò con soddisfazione che le sue parole sortirono l'effetto sperato: l'ostentata tranquillità di Bellamy si incrinò, assottigliò lo sguardo e incassò il colpo alla bell'e meglio. "Touchè" pensò lui afferrando il piatto che Clarke gli porse. Sembrava non essersi accorta di niente. Sbattè il piatto sul tavolo con esagerata enfasi producendo un inquietante rumore di ceramica incrinata. Bellamy si guardò un attimo le mani, stupito lui stesso dal sul gesto di veemenza. Clarke gli rivolse uno sguardo ferito e confuso, probabilmente pensando di avergli fatto un torto senza volerlo.
<<Scusami, amore. É stata una giornata estenuante.>> si giustificò sbattendo più volte le ciglia scure e tirando a sedere accanto a sè la ragazza. Le poggiò un bacio sulle labbra con un po' troppa passione. Roxanne per poco non si alzò per separarli e tirargli un ceffone: era del tutto cosciente che Bellamy si stesse prendendo la sua crudele rivincita, non era mai stato un amante delle effusioni in pubblico.
<<Buon appetito.>> sbottó nella speranza che la smettessero con le smancerie. Si ficcò un grosso boccone di lasagna in bocca e masticò violentemente per soffocare gli insulti che minacciavano di sgorgare dalle sue labbra. Fu un pranzo rivoltante: per quanto il cibo che Clarke avesse cucinato fosse una prelibatezza, rischiò più volte di vomitarlo sul pavimento tirato a lucido il giorno prima. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi a pranzare di nuovo con Blake, figuriamoci con la sua fidanzata svampita e tremendamente normale, a intavolare una conversazione altrettanto mondana sui gossip di un comunissimo college di Windsor, dove il massimo dell'illegalità era l'alcol alle feste. Era alquanto deprimente star lì a fissare il piatto per evitare di vedere il suo vecchio amore dedicare le sue attenzioni ad un'altra ragazza; non si sarebbe mai aspettata di pensarlo, ma avrebbe quasi preferito un incontro formale legato a questioni mafiose. Almeno avrebbe avuto un motivo valido per dare sfogo alla vagonata di imprecazioni che aveva voglia di rovesciargli addosso. In più, non trovava neanche divertente porgere a Bellamy domande scomode (tipo "che lavoro fanno i tuoi genitori?", "ah, mi dispiace, com'è morte tua madre?" o "mi sembra di averti già visto da qualche parte; ci siamo mai incontrati prima d'ora?") perchè sembrava avere la prontezza di uno che le ha imparate a memoria e la fluidità di uno che sta dicendo la mera verità. Alle fine smise anche di tirargli frecciatine e si limitò a rispondere alle domande di Clarke con frasi di non più di cinque parole. Il tempo trascorse con estrema lentezza, come se si stesse divertendo anche lui a deriderla mentre soffriva, ma alla fine quell'orribile situazione sembrò arrivare al termine. Aiutò Clarke a lavare i piatti e pregò che non avessero intenzione di restare all'appartamento per il pomeriggio... chissà a quali scene oscene avrebbe dovuto assistere. Scacciò quell'orrenda idea dalla sua mente.
<<Bene, abbiamo finito>> disse Clarke poggiandosi al lavandino. Roxanne vi lanciò lo straccio e le si affiancò. <<Che si fa adesso?>>. Il primo impulso di Roxanne fu quello di rispondere, però, subito dopo, si rese conto che quella domanda non era rivolta a lei. La sua coinquilina, infatti, guardava Bellamy speranzosa.
<<Vado un attimo al bagno e poi ti porto a fare un giro in moto, ti va?>>. Clarke annuì, soddisfatta. Roxanne pensò a quanto fosse strano che Blake le avesse aggiornate sui suoi bisogni fisici. Mentre lo guardava sparire nel corridoio si pentì di non avergli piantato un proiettile al centro della sua bella faccia; si sarebbe risparmiata tutta quella nauseante situazione ed adesso non sarebbe stata preoccupata di essere sparata da un momento all'altro.
Saresti anche sul traghetto diretto a Detroit, però disse a sé stessa cercando, invano, di giustificare la sua irrazionale azione di auto sabotaggio. Si accasciò sul divano e attese con ansia un po' di libertà.
<<Non aspettarmi stasera.>> sussurrò Clarke facendole l'occhiolino. Indossò una giacca di pelle e rivolse a Bellamy, appena riapparso, un sorriso malizioso. Roxanne non riuscì a mascherare il disgusto che doveva aver stampato in volto e Bellamy le rivolse un'occhiata strana. <<Ci vediamo.>> la salutò la ragazza mandandole un bacio. Le sorrise forzatamente di rimando.
<<Ciao, Roxanne.>> disse educatamente Bellamy e, mentre lasciava uscire per prima Clarke, le rivolse uno sguardo profondo prima di indicarle con un cenno la fine del corridoio. Roxanne aggrottò le sopracciglia, confusa, ma Bellamy sigillò l'entrata dietro di sé. Si affacciò nel buio e si rese conto che Blake non le stava indicando il corridoio, ma il bagno. Sgusciò cautamente verso la porta socchiusa, preoccupata all'idea di cosa vi ci avrebbe trovato. Si sarebbe potuto trattare di tutto: una trappola per attirarla in una parte della casa e spararla con un cecchino, una bomba ad innesco, un'intimidazione. Prese il telefono dalla tasca, aprì la fotocamera e la allungò dietro la porta per controllare non ci fossero fili collegati ad un ordigno. Sembrava fosse libera. Le diede una leggera spinta, accese la luce e si rifugiò velocemente dietro il muro. Aspettò rannicchiata di sentire qualche sparo, però non udì niente. Sgusciò cautamente dentro e analizzò attentamente ogni cosa: tutto era al suo posto. Clarke era stata l'ultima, tra le due, ad utilizzare il bagno, quindi gli oggetti erano posizionati ordinatamente sugli scaffali bianchi. Aggrottò le sopracciglia. Si voltò verso lo specchio per lanciare a sé stessa un'occhiata perplessa (le piaceva scherzare tra sé e sé) e lo vide: c'era un piccolo post-it giallo appuntato sul vetro. Lo staccò e, a dir poco basita, lesse ad occhi sgranati il messaggio.
Dobbiamo parlare in privato. Vieni alla festa di sabato, lì non desteremo sospetti. Non fare stupidaggini. Siamo entrambi in pericolo.
- Bellamy Blake