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By nessunnome35

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La storia parla di Elijah Jackson Moon, ragazzo di Miami gay da poco trasferitosi nel distretto di New York a... More

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CAPITOLO 28

CAPITOLO 1

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By nessunnome35

Era tardi, troppo tardi, lo sapevo ma  voglia di scendere dal letto proprio non ne avevo.
Ero coperto fino al bacino dal lenzuolo,  ma la finestra sovrastante al mio letto, totalmente aperta, faceva entrare un venticello fresco che mi dava i brividi sulla schiena.
Presi un cuscino me lo missi sulle spalle e voltai la testa rendendomi conto, solo in quel momento, che il telefono stava vibrando.
Mi trascinai carponi fino ad esso.
Rifiutai la sveglia e mi ridistesi intento a guardare il soffitto, rimanendo solo nel silenzio di quella che da qualche settimana era camera mia.
Nonostante fosse passato quasi un mese, ogni volta che mi svegliavo provavo una strana sensazione, come se me ne scordassi sempre.
Inizialmente era bello vivere da solo, avevo tutto ciò che desideravo, potevo uscire e  tornare a casa quando volevo, comportarmi come volevo, la libertà che sognavo ormai da anni.
Ero fuggito finalmente dalla monotonia della mia vita a Miami e dalla mia famiglia, per trasferirmi in un piccolo monolocale del Midtown di Manhattan sulla nona strada.
Non era chissà cosa ma, a me piaceva ed il prezzo era abbordabile , inoltre avevo trovato lavoro come cameriere in una tavola calda, il Gioisy's, che era a due passi dell'appartamento, quindi non avevo problemi a spostarmi.
Purtroppo però non conoscevo nessuno in quella grande città super affollata.
Spesso passavo pomeriggi interi da solo.
Fortunatamente in poco tempo, avevo già imparato a girare per i quartieri nei pressi di casa mia, quindi riuscivo a trovarmi qualcosa da fare, oltre alle ore passate a lavoro.
Mi sollevai mettendomi seduto, e facendo scricchiolare nuovamente  il grande letto matrimoniale.
Scaraventai le sottili lenzuola azzurre per terra, mi guardai intorno, per poi rivolgere nuovamente uno sguardo alla finestra e guardare il celo che si stava annuvolando, le prime foglie che cadevano dagli alberi, facendo presagire l'arrivo dell'autunno.
Mi trascinai fino al bordo del letto da cui  mi alzai a fatica.
La notte prima avevo lavorato fino a tardi ed ero distrutto, i piedi mi facevano ancora male dato che passavo la maggior parte del tempo in piedi.
Purtroppo però, avevo bisogno di quel posto quindi non mi potevo lamentarmi più di tanto.
Mi avviai barcollante fino alla porta di camera e la aprì.
Entrai nell’ampia cucina soggiorno, ed in pochi secondi,  fui invaso completamente dall'odore di fritto della cena d’asporto della sera prima.
La presi tappandomi il naso e la buttai nella pattumiera.
-Appena torno devo dare una bella pulita a questa cucina-
Aprii il frigo e lo trovai vuoto, con solo qualche barretta al cioccolato ed un succo di frutta al mirtillo.
Presi una merendina ed il succo insieme ad un bicchiere per berlo poggiandoli poi sull'isola bianco latte e mi sedetti su di uno dei morbidissimi  sgabelli adiacenti, versai il liquido violaceo nel bicchiere ed iniziai a masticare la barretta lentamente.
Guardai l'orologio 7:30.
Avrei fatto tardi se non mi fossi sbrigato.
Purtroppo avevo lasciato tutto ciò che possedevo compresa la macchina a Miami per cui ogni mattina avrei dovuto prendere la metropolitana o l'autobus il che era piuttosto scomodo.
Corsi in camera indossando la prima cosa che trovai: felpa blu con su scritto MIAMI in grassetto bianco e pantaloncini neri, stesso colore le scarpe.
Entrai in bagno e mi diedi una rinfrescata sistemandomi il lungo ciuffo castano scuro senza badarci troppo.
Mi guardai un attimo allo specchio.
La forte luce del lampadario fece rimpicciolire le mie pupille mostrando di più i miei occhi verdi.
Spesso mi incantavo a guardarmi allo specchio, non per narcisismo ma più per una questione di curiosità.
Mi ripresi sbattendo più volte le palpebre ed uscì lasciando il bagno e la camera da letto in soqquadro, buttai ciò che restava della colazione nel cestino, presi un post-it per ricordarmi al mio ritorno di dare una bella ripulita e di fare la spesa.
Mi avviai alla porta di casa da cui poi uscii chiudendomela alle spalle e scendendo rapidamente i tre piani del mio palazzo, un vecchio edificio degli anni ottanta dai colori sgargianti dove per lo più vivevano anziane coppiette, rintanate in piccoli appartamenti da cui uscivano sempre profumi invitanti.
Raggiunsi il piccolo portoncino d’entrata e lo aprii, venendo investito dall'aria pesante e calda di Manhattan.
Mi guardai intorno ma non c'era nessuno.
Il display del telefono segnava le 7:50.
Corsi fino alla fermata in tempo per prendere l'autobus.
Mi sedetti riprendendo fiato.
Oggi avrei avuto il mio primo colloquio per essere ammesso alla Manhattan university, dove avrei potuto riprendere gli studi interrotti all'inizio dell’estate scorsa.
Dopo alcuni minuti scesi dell'autobus continuando a sfregarmi le braccia.
L'ansia dovuta all'idea che gran parte del mio futuro dipendesse da quell'incontro, mista al freddo venticello che soffiava, mi faceva venire i brividi lungo tutto il corpo.

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