Cap.07
Che alle ossa ci pensavano gli altri
Il ticchettio dell'orologio a muro è fastidiosamente udibile nel silenzio pesante che affolla la stanza, interrotto solo saltuariamente dal rumore dei polpastrelli che picchiettano il vetro di un cellulare.
Claudio è immobile, lo sguardo rivolto alla scrivania a cui è seduto, mentre conta per la trentesima volta le righe che la stanno pian piano segnando a causa della sua poca attenzione.
Sente vagamente uno sbuffo seccato davanti a lui ma non vi fa caso, lasciando passare ancora qualche minuto nel più totale silenzio.
-Senti Clà, mi sto rompendo le palle.-
Riccardo si è avvicinato al tavolo, sbattendo le mani a palmo aperto sulla superficie.
-Modera i termini Gismondi.- lo riprende subito, leggermente piccato ma senza alzare gli occhi su di lui.
-Sono quaranta minuti che non parli, anzi non emetti proprio suoni, a mala pena te sento respirà.-
Claudio sospira forte, quasi a smentire l'affermazione, poi cerca di calmarsi chiudendo gli occhi e riordinando i pensieri.
-Hai ragione, mi dispiace. Il mio comportamento non è stato per niente professionale.-
Ammette con se stesso di essere scosso da giorni a causa dell'incontro con Mario e di aver trascurato i suoi doveri e il suo lavoro.
Non ha più avuto notizie del ragazzo, non l'ha visto da nessuna parte a scuola e questo ha influito più di quanto pensasse sulla sua routine, iniziando dal suo ruolo all'interno della scuola per finire alla relazione con Francesco.
Non sente il suo ragazzo dalla mattina del giorno precedente in cui hanno condiviso una conversazione scarna e satura delle sue risposte secche e svogliate, ed oggi con Riccardo non riesce a concentrarsi su quello che dovrebbe essere il suo ruolo.
-Non me ne frega un cazzo della tua professionalità.-
Riccardo lo fa rinsavire nuovamente, chinandosi per portare il viso alla sua altezza. -Clà, tu c'hai qualcosa che non va.-
Non risponde al ragazzo, rilassandosi sullo schienale della sedia dietro di lui. Il telefono che suona nella sua tasca lo distrae facendolo sussultare, Riccardo tira i lineamenti in una smorfia. -Ma che razza de suoneria c'hai?-
Lo ignora e con un sorrisetto sulle labbra afferra il telefono dalla tasca dei jeans, il numero sullo schermo non gli è familiare ma risponde comunque.
-Pronto?-
Dall'altro lato della linea sente un suono soffocato e poi quello che sembra un gemito acuto.
Preoccupato si alza dalla sedia e inizia a camminare per la stanza sotto lo sguardo stranito di Riccardo.
-Pronto?- chiede nuovamente, più agitato.
-Claudio.-
Si ferma come congelato accanto al divanetto della stanza, un improvviso peso nato da chissà dove che si sposta tra lo stomaco e il petto, impedendogli di ragionare lucidamente o di rispondere a Mario.
-Claudio ti prego devi aiutarmi.-
La voce è flebile come un sussurro e sembra più affaticata di come l'abbia mai sentita, riesce a fargli tremare la coscienza e si decide a rispondere.
-Mario che succede? Dove sei?-
Riccardo sgrana gli occhi e gli si piazza di fronte mentre Claudio si abbandona al divano dietro di lui, sentendo le gambe troppo leggere sotto il suo peso. Il ragazzo agita le mani per attirare la sua attenzione e mimare con le labbra un veloce "Mario Serpa?'.
Claudio non gli dà credito e si concentra sulla conversazione all'altro capo del telefono.
-Claudio ti prego, devi venire a prendermi.-
Cerca di respirare e tranquillizzarsi, chiudendo gli occhi e portando una mano sul viso per riordinare i pensieri che gli sfuggono velocemente.
-Certo.- balbetta agitato. -Certo che sì, ma devi dirmi dove ti trovi.-
Sente qualche colpo di tosse e un piccolo tonfo.
-Ti invio la posizione, ti prego, fai in fretta.-
La chiamata finisce e velocemente recupera la giacca dall'attaccapanni, controllando la presenza delle sue chiavi mentre sente il cellulare vibrargli in mano avvisandolo di un nuovo messaggio. Osserva lo schermo che riporta il numero a cui ha appena risposto e apre l'indirizzo sull'applicazione: Mario è a quindici minuti dalla scuola e ha bisogno di lui.
Raggiunge velocemente la porta e si gira verso Riccardo, ancora fermo a guardarlo.
-Vai da Paolo e per favore coprimi, digli che ho avuto un imprevisto, ci penserò poi io a spiegargli i dettagli.-
Il ragazzo non fa in tempo a rispondere che lui è già fuori dalla stanza e lungo il corridoio, diretto verso l'utilitaria che lo aspetta nel giardino della scuola.
Possiede la sua patente da ormai ben sette anni, ricorda ancora i corsi frequentati durante l'ultimo anno di liceo e l'esame sostenuto a breve distanza dalla sua maturità, non era mai stato un guidatore provetto, spesso in macchina cantava a squarciagola e nella vita era piuttosto incline alle distrazioni ma, in tutti quegli anni, non ricordava una sola volta in cui avesse deliberatamente infranto un segnale stradale: utilizzava costantemente le frecce, aspettava pazientemente il suo turno al semaforo e dimostrava un'enorme pazienza anche davanti alle vecchiette che attraversavano lentamente la strada accompagnate dai loro graziosi chiwawa. In quei sette anni nessuna multa era stata recapitata a casa Sona e, doveva ammetterlo, ne era sempre andato molto fiero.
Evidentemente però la sua nuova vita in quella città prevedeva che tutte le sue più piccole abitudini venissero stravolte e quella mattina di fine Novembre si ritrova a sfrecciare sulle strade della capitale senza prestare particolare attenzione ai possibili ostacoli della sua corsa.
Frenando violentemente la macchina all'imboccatura di un vicolo però, non si sente affatto in colpa, quella guida poco curata gli aveva permesso di risparmiare almeno cinque minuti sulla sua tabella di marcia e, deciso a non sprecarli, apre di scatto la portiera, catapultandosi giù dal veicolo.
Trafelato entra nella stradina stretta, davanti a lui un vicolo cieco e ai lati delle pattumiere disordinata, sacchetti gettati al loro fianco con noncuranza e qualche scatolone. Affannato come a seguito di una lunga corsa osserva più volte l'ambiante, pronto ad entrare nel panico. Aveva forse sbagliato strada?
Un gemito soffocato lo riporta alla realtà e avanzando nota dietro un cassonetto la figura esile di un ragazzo che cerca di schermarsi contro il clima freddo chiudendosi la giacca addosso a una camicia che non sembra più nelle migliori condizioni.
Mario è raggomitolato a fianco di un muro, con le gambe contro il petto e le mani a stringerle, cercando allo stesso tempo di fermare il proprio tremito e riscaldarsi.
Il viso riporta ancora i segni del loro ultimo incontro, ferite vecchie in via di guarigione che impallidiscono di fronte a nuove ecchimosi e tagli.
Vede il colore vivo del suo sangue che scende da una tempia e si raggruma leggermente secco sull'accenno di barba del ragazzo, e tutto ciò che vorrebbe fare è chinarsi in un angolo e vomitare tutta la sua colazione, invece si impone di restare concentrato e prende solo un grande respiro.
A quel suono la testa di Mario scatta nella sua direzione e i suoi occhi, inizialmente terrorizzati, si inumidiscono mentre lo riconosce.
-Sei venuto.- sussurra, facendo ricadere la testa sul suo stesso petto, il suo tono di voce sembra sorpreso, non conservava nessuna speranza che lui venisse davvero in suo soccorso.
Claudio sente il cuore stringersi in una morsa dolorosa e si china su di lui, inginocchiandosi al suo fianco. Porta una mano a sfiorargli i capelli, lasciandovi delle carezze leggere.
-Certo che sono venuto,- si sposta più vicino a lui vedendolo rabbrividire, cercando di schermarlo dal vento che si sta alzando. -Cosa è successo?-
Mario si agita, iniziando a scuotere la testa e il suo respiro si fa più pesante. Annulla maggiormente le distanze tra loro, cercando di tenerlo il più fermo possibile.
-Ehi, è ok, va bene, non ne vuoi parlare, lo capisco. Non devi farlo per forza ora, adesso dobbiamo solo portarti all'ospedale.-
Si allunga per circondarlo con le braccia e tentare di alzarlo, ma lui gli afferra il polso con più determinazione di quanta immaginasse.
-No,- risponde secco. -Non andremo all'ospedale.-
Claudio sospira, sa che Mario sa essere davvero testardo, ma qui è in gioco la sua salute.
-No Claudio, non possiamo, i miei genitori verrebbero sicuramente avvertiti.-
-Certo che sì, è quello che deve accadere Mario,- lo scruta, confuso dalla sua affermazione. Lui scuote nuovamente il capo.
-No,- è fermo, deciso. -Non ho nulla di rotto,- continua, il tono ora freddo e analitico mentre con una mano si tocca il torace.
-Forse una costola incrinata e il polso slogato, tutto il resto sono ferite leggere.-
-Non puoi saperlo Mario, devi assolutamente farti controllare.-
Non sa con quale forza, Mario riesce a rivolgergli un sorriso strafottente anche in questo contesto. -Fidati, posso saperlo, ci sono abituato.-
Passa qualche secondo di silenzio dove entrambi sono troppo occupati a cercare delle risposte negli occhi dell'altro per venirsi incontro parlando.
-Mi hai dato il tuo numero dicendomi che avrei potuto chiamarti per qualsiasi cosa.- Claudio annuisce, ancora convinto delle sue azioni e parole.
-Bene, ora ho bisogno di qualcuno che possa portarmi in un posto sicuro e cercare di ripulire un po' questo casino, a casa non posso tornare finché sono in questo stato.-
Claudio sgrana gli occhi, iniziando a comprendere. -Vuoi che ti porti a casa mia? Ridotto così? Mario tu non capisci, potresti correre dei rischi seri.-
I suoi occhi si riempiono di lacrime ma quando torna a parlare il suo tono è furioso. -Io penso di capire più di chiunque altro la situazione in cui mi trovo, mi hai chiesto milioni di volte di fidarmi di te, è quello che sto cercando di fare, per questo te lo sto chiedendo.-
E ancora una volta quel giorno, Claudio rimane pietrificato senza saper più ordinare le parole in una frase di senso compiuto.
-Portami a casa tua Claudio, e ti giuro che ti racconterò tutto.-
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Io davvero non penso di avere scusanti. Mi dispiace davvero per tutto il tempo che è passato dall'ultima volta che ho aggiornato questa fanfiction, purtroppo tante combinazioni di eventi sommate tra di loro mi hanno portato ad allontanarmene ma credetemi quando vi dico che ne ho sentito la mancanza.
Per questo dopo molti mesi sono ancora qui con la voglia di riprendere in mano questa storia per darle ciò che si merita e ciò che meritate voi che in tutti questi mesi non avete mai smesso di leggerla.
Capisco perfettamente che qualcuno non vorrà più riprenderla ma continuerò comunque perché questo progetto merita uno svolgimento e un degno finale, mi scuso nuovamente con tutti e vi ringrazio se vorrete dare ancora una possibilità a tutto questo.
Titolo del capitolo da "Vietato Morire" di Ermal Meta.
LazyAryanne