Due cristalli di neve. » Eiram

By cuddlepoetry

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Einar odia solo due cose: il lunedì mattina e Filippo Maria Fanti, il nuovo allievo della scuola di Amici17. ... More

due rette parallele.
il freddo della notte.
a metà.
senza fine.
la sera dei miracoli.
per favore.
bagnati di dubbi.
ti ho chiamato amore in una lingua straniera.
tu parlami.
ti ammazzerei.
(ri)proviamoci.
emozioni inverse.
io ti chiedo ancora il senso che ci lega.
dimmi che cosa resterà.
ora voglio solo te.
stringimi adesso.
ci vediamo a casa.
avrò cura di te.
felice come me.
due su due.
casa.
un giorno in più.
mezzanotte zero zero.
una canzone per te.
all'emozione che inibisce ogni difesa
l'amore rende stabili, forti oppure indifesi.
siamo un casino, lo ammetto.
tornerai da me | la fine.

l'hai nascosta bene questa parte tua.

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By cuddlepoetry

ciao ragazze!
Ecco, finalmente, un nuovo capitolo!
scusate l'attesa, ma, come leggerete, questo capitolo è stato abbastanza impegnativo.
non vi spoilero nulla, giuro!
vi ringrazio immensamente per i commenti, letture e i voti, è bellissimo sapere che la storia vi sta appassionando, grazie mille.
vi ricordo che potete commentarla con l'#duecristallidineve su Twitter, dove mi trovate come @cuddlepoetry e, da un po', anche su instagram!
in questo capitolo c'è anche una foto, ditemi se vi piace così rimedio e ne pubblico una per ogni capitolo e quelli già postati.
vi ricordo che sul profilo c'è anche una One Shot, sempre Eiram, dal titolo "Andiamo via". Se volete leggerla, la trovate sul profilo.
Perdonatemi per eventuali errori di battitura, cercherò di correggerli tutti il prima possibile.
e nulla, questo è tutto.
spero che il capitolo vi piaccia,
buona lettura!
mar.




Einar era bravo a ricominciare.

Quando i cambiamenti di cui aveva tanta paura piombavano nella sua vita e stravolgevano tutto, lui sapeva che avrebbe dovuto ricominciare. E lo faceva dannatamente bene. Non subito, però.

Passava serate a piangere, a nascondere il viso nel suo cuscino e a reprimere i singhiozzi nel retro della gola, dove trovavano la loro fine, morivano lì, tra bruciore e dolore, senza mai uscirne vivi. Piangeva con il cuore che si spaccava dalla paura e che macchiava le sue bianche speranze con un rosso carminio. Piangeva con il petto che sussultava e il cuore che sbatteva contro le ossa della gabbia toracica che sembravano tanti spilli pronti a bucarlo. Il povero cuore che chiedeva pietà, ed Einar se lo immaginava pieno di ferite e di graffi a combattere contro il suo petto per fuggire e scappare in un corpo più felice, meno fragile. Si scusava con il suo cuore per averlo maltrattato tante volte, per averlo reso debole e per non avere neanche un po' di colla per rimettere insieme i pezzi sparsi per una strada fatta di dolori e delusioni.

Questo succedeva quando Einar cambiava. Abbandonava qualcosa di sicuro, qualcosa che conosceva, che sapeva, per qualcosa di sconosciuto, di nuovo, che non aveva mai sperimentato, entrando in qualcosa di nuovo. Ne aveva paura perché non conosceva e, si sa, l'essere umano ha paura dell'ignoto fin quando questo non diventa routine. Einar aveva paura di tutto ciò che usciva fuori dai suoi schemi, dalle sue abitudini. Aveva paura di rimanerne scottato, deluso, affranto. Aveva paura di uscirne più debole e fragile di prima, per questo si precludeva un sacco di cose e accumulava rimpianti.

Aveva sempre reagito così. Quando da Cuba si trasferì a Brescia passò due intere giornate chiuso tra le mura della sua nuova camera a pensare a come sarebbe stata la sua nuova vita lì, tra paure per le nuove cose e mancanze per quelle vecchie, tra dubbi e domande. Quando cominciò a cantare passò un intero pomeriggio a riascoltare la canzone che aveva inciso chiedendosi se fosse quantomeno decente e se non stesse facendo una cazzata a buttarsi in una cosa così grande come il canto. Pianse anche in quei momenti, specialmente quando più di una porta gli fu sbattuta in faccia e lui si trovava davanti ad un "NO" scritto a caratteri cubitali che gli impediva di andare avanti. Quando poi decise di tentare con Amici, passò l'intera serata in cui fece i casting a pensare al peggio, a credere che anche quella volta sarebbe andata male e che non ce l'avrebbe fatta.

Ma aveva ricominciato. Sempre.
Si era asciugato le lacrime e aveva messo le bende al suo cuore sanguinante, aveva sciacquato il viso e aveva sorriso al riflesso nel suo specchio, aveva messo forza nelle braccia e si era rialzato dopo essere finito al suolo, dopo essersi sbucciato l'anima. Aveva preso in mano la sua vita, quando tutto sembrava troppo grande e difficile, l'aveva presa tra le sue mani e fatta sua, aveva ricominciato dalle lacrime cadute a terra sperando di vederci nascere un fiore.

E così, anche questa volta. Aveva preso in mano la sua vita e aveva ricominciato.
Aveva chiarito con Simone, si era scusato per averlo disturbato tutte quelle volte e per non essere stato il miglior compagno di stanza che una persona vorrebbe e adesso il loro rapporto era bellissimo. Erano amici, si aiutavano con le canzoni, uscivano e provavano insieme, parlavano di tutto e non c'era astio, invidia, era una pura amicizia nata con naturalezza. Come quella con Carmen. Da una piccola chiacchierata in un momento di noi, Einar e lei erano diventati amici, iniziarono a passare insieme parecchio tempo tra sala relax e cene in hotel e non stavano male insieme, avevano caratteri diversi ma che insieme riuscivano ad andare d'accordo.

Aveva chiarito con Valentina, la sua ragazza che in quei giorni sembrava sempre più dolce e lo sosteneva, seppur da lontano, come se niente fosse successo. Si erano lasciati alle spalle litigi e aveva ricominciato insieme, lui con le sue canzoni e lei con le sue coreografie. Si stavano riavvicinando ed Einar sapeva che mancava poco, solo qualche giorno in più, e sarebbero tornati come agli inizi della loro storia, innamorati e con tanta voglia di stare insieme. "Deve essere così", pensava Einar, che nonostante fosse felice di aver chiarito con la sua ragazza, dentro di sé sentiva come un vuoto, una mancanza.

Aveva chiarito con Filippo. Era un tasto dolente per lui, un rapporto difficile da definire e un casino da vivere. Quando la produzione costrinse loro a stare insieme, nessuno dei due credeva che da quei momenti potevano realmente imparare qualcosa e, addirittura, diventare sopportabili al tal punto di aiutarsi di loro spontanea volontà, come Filippo aveva fatto con lui. Lo aveva aiutato con le canzoni tirandogli fuori le emozioni e con i movimenti, prendendo il suo fragile corpo tra le sue mani tatuate e modellandolo per farlo rilassare, per farlo calmare. Ci era riuscito, Einar si era rilassato grazie a quei tocchi gentili ed era riuscito a cantare senza rimanere fermo sul suo posto. Si era lasciato andare, per la prima volta, grazie a Filippo. E, probabilmente, quella storia sarebbe rimasta solo tra di loro, quelle quattro mura e quelle canzoni, testimoni di cose che nessun altro avrebbe mai saputo.

Aveva ricominciato a cantare, a viversi l'esperienza con più leggerezza ma allo stesso tempo si stava impegnando per dare il meglio di sé. Amici lo stava aiutando in tante cose ed Einar in cuor suo ne era sicuro: quello era il suo miglior cambiamento.

***

La mattina ad Einar faceva un po' meno schifo quando era sabato, ovvero l'ultimo giorno della settimana, l'unico in cui non aveva ansie che lo attanagliavano o troppi impegni da gestire. Si alzava quasi felice -quasi, perché felice di prima mattina non lo era mai- e la giornata trascorreva anche bene, perché sapeva che, una volta tornato in hotel, poteva rilassarsi e fare ciò che voleva, visto che non aveva nessun impegno per il giorno dopo. Odiava tante cose, ma ne amava altrettante. Il sabato era nella seconda lista, insieme ai cornetti e alle serie tv, alle vecchie canzoni, i cartoni animati, l'inverno e la pioggia.

Quest'ultima batteva decisa sulle finestre della loro camera, lasciando che le goccioline creassero un bellissimo dipinto che faceva vedere in modo sfocato il mondo dietro un vetro, quasi come a proteggere Einar da ciò che si trovava lì fuori, mentre lui si perdeva ad osservare le gocce. Sorrise, pensando che la pioggia, proprio come le sue lacrime, avrebbe fatto nascere un fiore.

Il suono di una notifica lo distrasse.
Valentina gli aveva scritto appena svegliata. "Buongiorno amore, come stai?".

"Buongiorno amore, tutto bene, tu?"
Scrisse subito dopo.

Da quando avevano chiarito erano anche più dolci -troppo secondo Simone che lo prendeva in giro quando lo vedeva ridere davanti allo schermo- e anche più attenti. Si scrivevano al mattino e prima di andare a dormire, non mancava mai la buonanotte e il buongiorno, piccoli gesti che facevano ridere entrambi.

Quando chiuse il telefono e si voltò, smettendo così di fissare la pioggia scendere lungo i vetri, trovò il biondo fissarlo.

«'O so che sei felice e preso bbene perché mo hai risolto co' a pischella tua, ma te potresti girà quanno te chiamo?» chiese ridendo e gesticolando, ma senza rabbia, solo tanta ironia.

«Mi hai chiamato?» domandò Einar stupito. Non si era proprio accorto che il suo amico lo stesse chiamando, troppo preso dalle goccioline.

«Tipo tre vorte» rise, ma quando si accorse che il suo amico non stava ridendo, il suo sorriso svanì. «Einar, tutto bene? Me pari morto. Dovresti essere felice! Hai risolto con Valentina, è sabato, le prove stanno andando bene, non litighi manco più con Filippo, che c'hai? Che te manca?»

Einar non lo sapeva cosa gli mancasse, perché nonostante avesse tutto quello non riuscisse a sentirsi completo e felice. Ma non era il momento per pensarci, decise, e rispose con una scusa. «Mi sono appena svegliato, Simo, non mi ero manco accorto che mi avevi chiamato» una risata finta abbandonò le sue labbra e sperò di aver convinto il biondo che stava bene.

«Ah, menomale! Non te vojo vede triste, capito? Poi 'o sai, se te servo, sto qua» disse sinceramente, tirandogli un buffetto sulla guancia senza fargli male.

«Grazie Simo, davvero» non era la prima volta che lo ringraziava, ma sapeva che il suo amico se li meritava tutti quei "grazie", c'era sempre stato per lui.

«E de che!» sorrise. «Beh, ora me tocca andà, c'ho Emma che m'aspetta!»

«Hai intenzioni serie con lei?» chiese Einar, interessato davvero alla felicità del suo amico e le sue intenzioni con la ragazza che, doveva ammetterlo, era davvero bella, oltre che sveglia e simpatica.

«Parecchio, Ein. Stare con lei è una boccata d'aria fresca, ci sto bene insieme, non mi fa pesare nulla. Mi sento bene, capisci? Se sto con lei sto bene.»

Si fermo a pensare a quelle parole. "Sto bene con lei". E lui non sapeva se stava bene con Valentina, se stare con lei equivaleva a sentirsi libero, ad essere se stesso. Non lo sapeva, non più. O meglio, lo sapeva ma non voleva accettarlo. È più semplice mentire che accettare la realtà è affrontare le conseguenze, forse è per questo che viviamo in un mondo di bugie.

«Sono felice per te, Simo! Mi raccomando, non fare cazzate. Dai, va da lei!» gli diede una pacca sulla spalla come incoraggiamento e lui gli sorrise di rimando, precipitandosi al piano di sotto, lasciando Einar da solo, con le sue goccioline.

Si appoggiò al davanzale della finestra e le osservò. Adesso scendevano piano, lentamente. Molto probabilmente il fiore ci avrebbe messo un po' di tempo a sbocciare.

***

Erano tutti riuniti nella loro sala relax, seduti e divisi, come al solito, nei loro gruppetti, mentre un po' tutti sorridevano e parlavano delle prove, di ciò che stavano cantando e dei consigli che i professori avevano dato loro per migliorare le tecniche di canto o di ballo.
In mezzo a canzoni, cover e coreografie, si parlava anche di quello che avrebbero dovuto fare la sera, dove andare e cosa fare. Einar colse dopo l'ennesimo sbuffo da parte di qualcuno, che no, nessuno aveva la più pallida idea di cosa fare quella sera.

Einar si trovava seduto accanto ad Emma e Simone, quando un signore della produzione entrò dalla porta e lo richiamò, non facendosi notare dagli altri.
Tutti sapevano di quanto accaduto e che la produzione aveva preso provvedimenti, ma a nessuno sempre importare e nessuno glielo faceva pesare, ma la produzione voleva comunque mantenere un profilo discreto e non sbandierare ai quattro venti ciò che succedeva, così cercava di essere il meno evidente possibile quando doveva parlare con Einar o Filippo.

Einar si alzò dal suo posto farfugliando un "scusate, torno subito" e dirigendosi verso la porta semi aperta, andando fuori, dove un uomo -ancora non sapeva il nome- lo aspettava fuori per parlare.

«Signorino Ortiz, buongiorno!» lo salutò cordialmente.

«Salve» rispose lui, non troppo felice. Era inutile, quegli uomini gli stavano davvero antipatici e odiava la loro finta gentilezza, il loro sembrare superficialmente dolci.

«A quanto vedo è da solo» una battuta velenosa come "mi fa piacere che la sua vista sia così buona da rendersi conto che accanto a me non c'è nessun altro" era sulla punta della lingua di Einar, ma si trattenne. «Come mai?»

«Filippo sta provando.»

«Va bene, allora le dica che questo pomeriggio proverete insieme la sua canzone per mezz'ora, circa» fu tutto ciò che gli disse, prima di sparire nel corridoio, aggiungendo un «mi raccomando.»

Tornato dentro, sentì di nuovo i suoi amici discutere su quello che avrebbero dovuto fare la sera.

Dopo qualche istante, un "che palle" di gruppo si disperse per tutta la stanza.
Einar rise.
Erano più bravi come cantanti e ballerini che organizzatori di serate.

***

Il pomeriggio arrivò presto. La pioggia aveva smesso per qualche ora di bagnare Roma, facendola diventare cristallina sotto le gocce d'acqua. Roma era bella pure bagnata.

Tornato in hotel Einar aveva fatto una doccia veloce e aveva scritto un po', letto qualche testo di canzoni e aveva poi parlato un po' con la sua fidanzata al telefono, raccontandole della sua giornata, mentre lei gli spiegava che quella sera non avrebbe fatto nulla perché il giorno dopo le toccava provare per l'imminente saggio di danza. Parlarono del più e del meno, passando una buona oretta al telefono a ridere. Si salutarono promettendosi di sentirsi la sera per la buonanotte ed entrambi tornarono ai loro impegni.

Notando l'orario, Einar si preparò e si precipitò agli studios.
Aveva parlato brevemente con Filippo e gli aveva detto che avrebbero dovuto provare insieme e lui aveva annuito. Sia lui che Simone erano già lì, erano andati prima per provare un po' da soli mentre Einar aveva preferito rimanere in camera.

Arrivato si cambiò velocemente indossando la sua felpa e corse in sala prove, dove Filippo e le telecamere lo stavano aspettando per provare.

«Oh, bene! Ecco il signorino Ortiz» disse lo stesso uomo che lo aveva chiamato la mattina. «Ora potete provare. Mi raccomando, sorridete e siate gentili» e detto questo uscì dalla sala, lasciando i due cantanti con le telecamere puntate su di loro.

Einar si sistemò sulla sedia dove si solito si sedeva l'altro ragazzo e lo osservò preparare il testo per iniziare a cantare il suo inedito. Questa volta toccava a Filippo cantare e ad Einar osservare.

Quante cose che non sai
quante cose ti direi
nascondi un sospiro per non darmi l'ansia
la tua vita non la farò mai
tu mi dici te la caverai
e asciughi una lacrima dalla mia guancia
mi hai insegnato a perdere
e ora non puoi perdere più
mi hai insegnato a vivere
ora devi farlo anche tu

La parole riecheggiavano per tutta la stanza, mentre la voce leggermente graffiata di Filippo riempiva le sue orecchie ed Einar si lasciava trasportare dalla sua voce e dalle sue parole, mentre lo osservava.

A differenza sua, Filippo, mentre cantava, era padrone di palco ed emozioni. Osservò il suo viso contratto in un'espressione quasi arrabbiata, ma non cattiva. Era emozionato, lo vedeva dagli occhi verdi che si illuminavano e dalle mani che si muovevano liberamente davanti ai suoi occhi, creando dei disegni invisibili che Einar provò con tutto il cuore a decifrare. Voleva capirlo, voleva conoscerlo. Così lo osservava, in silenzio, mentre cantava e si riprendeva ciò che era suo con la sua voce.

Anche se brucia un taglio passa lo so
ma lascia un segno dentro di me, oh oh
tra i miei ricordi e polvere
quanti sforzi hai fatto per
un giorno in più
un giorno in più

Cantava quasi con rabbia, ma Einar sapeva che quegli occhi non erano cattivi. Cantava sputando fuori le parole, ma senza rancore, solo con tanta voglia di dimostrare quanto valesse, a chiunque.
Einar avrebbe voluto sapere di più su quella canzone, sul rapporto di Filippo con suo padre, sulle emozioni provate mentre scriveva quella canzone, su come si sentiva a cantarle davanti a milioni di persone con coraggio e forza. Avrebbe voluto sapere come aveva fatto a ricominciare, cosa aveva provato, cosa gli era successo. Voleva sapere tanto di Filippo, forse tutto, e ci pensava mentre so perdeva ad osservarlo cantare le sue canzoni mettendoci il cuore.

Un taglio passa lo so
ma lascia un vuoto dentro di me, oh oh
giuro non cambierà per me
resterò senza di te
un giorno in più
un giorno in più

Se qualcuno avesse guardato Filippo negli occhi mentre cantava, ci avrebbe letto un mondo. Einar ci leggeva dentro emozioni pure, sincere, quelle bianche che non vengono macchiate da nulla, che neanche il sangue più scuro poteva sporcare, perché erano vere, perché erano sincere.

Quante cose che non so
quante cose che ti chiederei
restiamo in silenzio guardandoci in faccia
spero almeno che mi capirai
se non so chiederti come stai
e cade una lacrima sulla tua giacca
mi hai insegnato a perdere e ora non puoi perdere più
mi hai insegnato a vivere ora devi farlo anche tu

Einar aveva le lacrime agli occhi sentendolo cantare così. Si stava emozionando. La parte più fragile di Filippo stava uscendo fuori attraverso le note e le parole di una canzone, la sua parte sensibile e delicata stava prendendo il posto di quella forte e imbattibile.

Anche se brucia un taglio passa lo so
ma lascia un segno dentro di me, oh oh
tra i miei ricordi e polvere
quanti sforzi hai fatto per
un giorno in più
un giorno in più
un taglio passa lo so
ma lascia un vuoto dentro di me, oh oh
giuro non cambierà per me
resterò senza di te
un giorno in più
un giorno in più

E adesso anche Filippo tremava mentre cantava, la forza che ci metteva all'inizio di ogni strofa faceva accapponare la pelle ad Einar che lo osservava e se lo studiava nei minimi dettagli, analizzando ogni sfumatura della sua voce e ogni movimento delle sue mani tatuate. Le stesse che un giorno fa erano sui suoi fianchi per riscaldarli.

Le emozioni che entrambi provavano in quella sala erano indescrivibili. Erano più forti di qualsiasi altra cosa, erano così forti da traboccare dai loro occhi sotto forma di lacrime che loro cercavano di trattenere. Quelle canzoni, quelle emozioni, quelle mura, quello. Quella cosa che non aveva nome, non aveva definizione, quella cosa era loro, solo loro. Nessun altro l'avrebbe impedita, nessuna barriera imposta da loro stessi avrebbe ostacolato le emozioni che provavano quando cantavano e si guardavano.

Giuro non cambierà per me
resterò senza di te
un giorno in più
un giorno in più

La voce cominciava ad affievolirsi, a diventare più calma, ad essere meno profonda. Come quando ti arrendi, che tutto inizia a scivolarti addosso e niente ti intacca più perché ormai hai perso. E Filippo aveva perso, aveva perso tanto, proprio come lui. Erano due perdenti che combattevano contro il loro passato e contro il loro futuro per viversi un presente migliore. Le mani cominciavano ad abbassarsi e ora erano rilassate lungo i fianchi, mentre Filippo chiudeva gli occhi per il finale.

Un giorno passa lo so
ma lascia un vuoto dentro di me o o
giuro non cambierà per me
resterò senza di te
un giorno in più
un giorno in più.

Finita la canzone, Filippo si asciugò velocemente le lacrime dagli occhi con le mani. Einar notò una piccola chiazza violacea sotto l'occhio quando l'altro ragazzo passò la mano sulla guancia e vide che tremò quando le dita toccarono il livido.

Einar si sentì male. Deglutì con forza e iniziò a parlare incitato dagli sguardi di Filippo che lo incoraggiavano a dire qualcosa ricordandogli delle telecamere.

«Nulla da dire» ed era così, non aveva nulla da dire.

«Ho sbagliato più volte» fu la risposta di Filippo che guardava le sue scarpe, non avendo il coraggio di alzare lo sguardo e guardare il più grande negli occhi.

«Non me ne sono accorto, sai perché?Perché mi sono emozionato. Questo significa essere un cantante. Se emozioni, nessuno farà caso ad una nota sbagliata. E tu ci riesci. Tu emozioni, Filippo.»

Lo disse con il cuore in gola e tutta la sincerità che aveva. Pensava ogni singola parola di ciò che aveva detto e non si vergognava, non gli importava se lo avessero ripreso o se quel pezzo lo stessero per mandare in onda. Era la verità e non aveva paura.

«Benissimo ragazzi» la voce di una ragazza della troupe li interruppe. «Noi possiamo andare. Complimenti Filippo, sei stato bravissimo!» disse, per poi allontanarsi e uscire insieme a tutti gli altri.

«Lo pensi davvero?» chiese Filippo che non aveva staccato gli occhi da Einar da quando aveva iniziato a parlare.

Einar si alzò dal suo posto e camminò verso di lui senza interrompere il contatto visivo. Si avvicinò piano, mentre Filippo sembrava inchiodato al suo posto e non accennava a muoversi. Arrivò a pochi passi da lui, sentiva il corpo pesante e la mente leggerà mentre lo guardava. «Sì» sussurrò.

L'altro sorrise lievemente, le labbra carnose erano tirate in un sorriso emozionato che fece spuntare una piccola fossetta all'angolo della bocca. Continuavano a guardarsi e sorridersi, a condividere l'aria fatta di sospiri.

Einar osservò il viso di Filippo. Gli occhi verdi e illuminati, la pelle chiarissima, le occhiaie accennate, le labbra rosa e il livido sotto l'occhio. Lo scrutò con attenzione, con un macigno al posto del cuore. Sapeva che era colpa sua, sapeva che glielo aveva provocato lui e il solo pensiero lo faceva stare male.

Alzò una mano e delicatamente si andò a posare sulla sua guancia, mentre il respiro di Filippo si accorciava e quasi tremava sotto il suo tocco. Le dita di Einar accarezzavano piano la pelle, fino a finire sul livido. I polpastrelli lo sfiorarono e il più piccolo scattò come bruciato quando sentì il contatto, tirando un sospiro di dolore. Ma Einar non scostò la mano e continuò ad accarezzarlo con il pollice, piano e facendo attenzione a non provocargli ulteriore dolore. Sentiva la pelle sotto di lui scaldarsi, come il suo cuore, come le sue mani. Era morbida, Einar aveva quasi paura di rovinarla anche solo sfiorandola. Lo accarezzava con amore, con dolcezza, senza fretta, mentre si perdeva ad osservare i suoi stessi movimenti.

Gli occhi di Einar si colmarono di lacrime al ricordo dei pugni e del dolore che gli aveva causato, si sentiva male al solo ricordo. Sentiva il cuore spezzarsi mentre provava solo ad immaginare quanto fosse stato male Filippo. Si era pentito subito dopo di ciò che aveva fatto, ma toccare con mano il risultato della sua rabbia gli spaccava il cuore.

Tremò lui stesso, infondendo i brividi a Filippo. Si avvicinò ancora di più, qualche passo, e chiuse gli occhi, stringendoli forte e facendo cadere qualche lacrima che poi finì a terra. Appoggiò la fronte su quella di Filippo, respirando piano. «Scusa.»

Filippo poggiò la mano su quella che Einar aveva sulla sua guancia, infondendogli calore e lasciando che le dita accarezzassero ambrata la sua pelle per calmarlo. «Va tutto bene.»

Era vero. Per la prima volta, dopo tanto tempo, andava tutto bene.

***

«Beh, che si fa?» fu Simone a parlare, dopo attimi di silenzio.

Finite le prove pomeridiane tutte erano felici e liberi per il weekend. Si erano riuniti, come solitamente facevano, in camera loro e chi seduto e chi sdraiato, chi stanco e chi felice, chi con un'idea e chi con il vuoto totale, tutti erano lì per decidere le sorti di quella serata.

«In discoteca no» prese parola Carmen, dividendo i ragazzi tra chi era d'accordo e chi no. «Ragazzi, ci andiamo sempre, poi torniamo sempre ubriachi e il giorno dopo non mi ricordiamo mai nulla» e questo bastò per far aumentare il numero di chi la appoggiava.

«In qualche locale?» propose Zic, facendo sorridere qualche ragazzo e facendo scuotere la testa ad altri.

«È tardi e sicuramente ci sarà troppa gente, sarebbe una seconda discoteca» ribatté però Matteo, il cantante.

Seguirono attimi di silenzio in cui tutti i guardarono alla ricerca di un posto dove andare, qualcosa da fare, tutti presi dalla voglia di uscire e dall'ansia di non trovare nulla. Volevano uscire, volevano fare qualcosa e non rimanere, per l'ennesima serata, chiusi nelle mura di un hotel. Non era male stare lì, ma avevano un weekend a disposizione e una capitale tutta per loro, dovevano pur sfruttare l'occasione. Si guardarono senza trovare una risposta.

Ma poi, la voce di Simone li fece saltare in aria.

«E se andassimo al Gianicolo?» chiese, gli occhi che brillavano dalla felicità. Valentina annuì con decisione, probabilmente, essendo romana, lo aveva già visto.

«Dove?» domandò più di una persona insieme, tutti confusi.

«Al Gianicolo! Si vede tutta Roma, di notte è pure illuminata, una delle cose più belle che possiate vedere!» esultava con enfasi, era felice e si vedeva dai suoi gesti e dai suoi occhi. «Fidatevi di me, non ve ne pentirete» disse subito dopo. Nessuno rispose. «Allora? Ci state?» chiese facendo vagare il suo sguardo per tutta la stanza, osservando le reazioni dei suoi amici.

Tutti si guardarono. Sorrisi mezzi accennati, occhi felici, gambe che si muovevano entusiaste, occhiate maliziose. Erano, per la prima volta, tutti uniti, felici, erano d'accordo. Per un attimo svanirono gruppi ed antipatie, per un attimo sparirono coppie e litigi, per un attimo erano solo loro, i cantanti e ballerini della diciassettesima edizione di Amici che erano felici, insieme.

«E Gianicolo sia!»

***

I ragazzi si erano dispersi poco dopo nelle loro camere per prepararsi, per poi ritrovarsi dopo dieci minuti nella hall dell'hotel, tutti vestiti e con i cappotti addosso, pronti per uscire.

«Bene, ci siamo tutti» disse Sephora, osservando il gruppo vicino alla porta girevole dell'albergo, quando arrivarono anche Valentina e Nicole, entrambe con un jeans nero e magliette attillate, una bianca e una rossa fuoco.

«Chiamiamo un taxi?» chiese Carmen, mettendo a posto il suo telefono nella pochette di un colore blu elettrico in tinta con la sua maglia che faceva da vestito e finiva sulle ginocchia coperte da delle calze nere.

«No, a piedi» rispose con un sorriso furbo Simone, lasciando alcune ragazze di stucco. Per fortuna nessuna di loro aveva scarpe alte. «Roma di notte va goduta a pieno» disse, una finta aria da poeta e la mano sul cuore.

Tutti lo guardarono come a dire "sei serio?"

«Rega, dista mezzo chilometro a piedi.»

Un coro di "aaah" si disperse nell'aria, insieme a qualche risata, mentre Valentina aggiungeva, molto gentilmente, un «'a Simo, 'taccitua!»

Qualche istante dopo tutti lo stavano inseguendo fuori dall'hotel.

***

«Ed ecco qui il Gianicolo.»

Il panorama che si mostrava ai loro occhi sembrava uno dei più bei dipinti mai creati. Roma di notte, illuminata dalle stelle e dalle luci, mostrava tutte le sue case, le sue opere, la sua bellezza storica e culturale in un insieme di colori caldi che si intrecciavano con il nero del cielo creando un'atmosfera da mozzare il fiato. La calma e il calore che trasmettevano quelle luci, quel magico incontro di colori ed emozioni, quell'immensa distesa di arte e storia. La città si distendeva bellissima e incoronata dalle più belle delle opere. In lontananza i Castelli Romani, la cima del Terminillo, innumerevoli monumenti che si alzavano dal cuore della città. La cupola del Pantheon, Villa Borghese e l'Altare della Patria che biancheggia sullo sfondo.
Tutto, immensamente e magicamente ricoperto di luci.
Roma, in tutta la sua eterna bellezza.

Einar si perse ad osservare tutto quello, innamorato di tutto quello che vedeva, dal panorama al muretto dal quale tutti si affacciavano, dagli alberi spogli al prato verde, dalle panchine vuote ai bar che stavano chiudendo, mentre le canzoni di De André si disperdevano nell'aria che sapeva di felicità.

Si era talmente perso ad osservare quella meraviglia che non si accorse dei suoi amici dispersi per tutto il parco. Chi passeggiava mano nella mano, chi si inseguiva ridendo, chi camminava in gruppo e parlava, ma tutti, dal primo all'ultimo, tutti, dal cuore più dolce a quello più freddo, si erano emozionati alla vista di una Roma così fragile di notte.

Voltandosi vide Filippo steso sul prato lì vicino, da solo, ad osservare il cielo con un braccio sulla pancia. Sembrava così impegnato ad osservare quella distesa di minuscole luci che non si accorse di Einar che si avvicinò piano e titubante, avendo paura di disturbarlo, e si sedette a gambe incrociate vicino a lui.

«Ehi» sussurrò debolmente, quasi come se avesse paura che qualcun altro lo sentisse, avendo paura di disturbarlo in un suo momento privato, intimo.

Filippo non rispose, né lo guardò. Rimase lì, a guardare in alto senza proferire parola.

«Tutto bene?» chiese poco dopo, quasi preoccupato dal fatto che non lo stesse neanche guardando.

Si girò, qualche minuto dopo, guardando Einar con quei suoi occhi verdi che con le luci sembravano ancora più chiari, più limpidi, ed annuì. «Stavo pensando» rispose semplicemente.

«A cosa?»

«A tutto» sospirò.

Einar aveva capito tante cose da quella risposta. Una era sicuramente che il cantante aveva parecchie cose a cui pensare, e l'altra era che non voleva parlare di nessuna di queste. Non insistette, lasciò cadere il discorso e tornò a guardare il panorama.

«Scienze umane, eh?» chiese dopo un po', un mezzo sorriso sul volto quando Filippo si girò e lo guardò stupito.

«Eh?» chiese, voltandosi del tutto.

«La teoria della psicologia inversa, quando mi hai aiutato» rispose, facendo rilassare il più piccolo che lo guardò sorridendo. «Hai frequentato il liceo delle scienze umane?»

«Più o meno. Psico-pedagogico, anni di felicità» rispose con tono ironico e roteando gli occhi, portando Einar a corrugare la fronte.

«Sono andati male?» domandò, realmente interessato sull'argomento, volendo veramente sapere cosa era successo. Voltò completamente il viso, le gambe che ora erano strette in una specie di abbraccio vicino al petto.

«Ho avuto anni migliori» sospirò, una punta di tristezza nella voce. Einar lo guardò interessato. «Li ho passati con indifferenza. Non è stata neanche la mia prima scelta, era già il secondo liceo che cambiavo. Non ho mai avuto il bel gruppo di amici con cui passare la ricreazione o andare alle feste, i miei compagni non erano questa grande famiglia. Non andavo male, ma non ero un genio. Mi pesava quella scuola e quell'ambiente, ma probabilmente è anche colpa mia» continuò, tornando a guardare le stelle. «In quel periodo mi pesava tutto, tutto mi faceva stare male. Fumavo e scrivevo, non facevo altro. Ero diventato indifferente a tutto, quasi apatico. Triste come cosa, se ci pensi. Un ragazzo che invece di godersi gli anni migliori della sua vita si chiude in camera e piange perché si sente solo. Bella merda» una risata amara uscì piano dalle sue labbra. Einar la sentì nella pelle quella risata, era come una lama, era una di quelle risate che pesano sulle spalle perché ti ricordano momenti che avresti preferito scordare. «Sono stati anni tremendi, ma mi hanno aiutato. È in quel periodo che ho capito che volevo fare il cantante, che era il mio sogno. E forse è anche grazie a quegli anni che oggi sono qui, che sono quello che sono ora» finì, parlando senza un pizzico di rabbia nella voce, senza un po' di rancore, solo mera indifferenza verso quegli anni violenti.
«A te, invece? Come sono andati?»

Einar si stese su un fianco, un braccio a reggergli la testa e un altro a giocare con l'erba del prato, mentre osservava Filippo. «Non molto meglio» sussurrò. «Neanche io avevo un bel gruppo di amici, ma avevo quei due o tre con cui passavo qualche serata. Mi sono sentito solo anche io e non potevo neanche contare sull'aiuto di una famiglia solida. È una cosa che mi faceva stare malissimo. Vedevo i miei coetanei con un rapporto così bello con i loro genitori e poi c'ero io. Non ho neanche un ricordo di un abbraccio da parte di mia mamma, non mi ricordo neanche il suo profumo» anche lui sbuffò una risata amara e Filippo conosceva quel tono, quel trattenere le lacrime nel fondo del cuore pur di non farle uscire. «Ma non ho grandi ricordi di quegli anni, a parte le delusioni e le porte in faccia quando provavo a realizzare il mio sogno» serrò le labbra, forte. «Ma ora sono qui, ce l'ho fatta nonostante tutto, è l'unica cosa che mi consola» provò a sorridere.

Filippo lo osservava in silenzio, osservava i suoi occhi abbassarsi sul prato pur di non mostrarsi così indifeso mentre parlava del suo passato, osservava le mani giocare tra i fili di erba. Sospirò.

«Le porte in faccia fanno male, lo so. Lasciano lividi che ti rimarranno sotto la pelle per sempre. Brucia anche quando la ferita si risana, dentro di te.»

«Anche tu sei caduto tante volte?»

«Troppe» disse malinconicamente. «Quando pensavo di avercela fatta, quando pensavo di essere riuscito a realizzare nel mio sogno, quando pensavo di aver trovato la mia strada mi è crollato tutto addosso. Sono andato via dalla casa discografica. Sono stato costretto a farlo. Non ero più Filippo, ero solo Irama, quello delle canzoni per ragazzine che vendeva poco, e quel poco non era per il talento ma per il bel faccino. Quando provavo a portare un testo più profondo, più sentito, veniva scartato. "Non è adatto", mi dicevano. Dovevo accontentarmi e mandare giù tutto, ma non ce la facevo più. Così me ne sono andato, pensando che fosse tutto finito per sempre.»

«E poi?»

«E poi ho ricominciato» sorrise, dopo minuti di tristezza. «Mi sono rialzato e ora sono qui, ad Amici. Ho paura che anche questa volta vada male, che sia l'ennesima delusione, ma faccio finta che vada tutto bene, è più semplice.»

«È incredibile» sorrise stupito Einar, attirando l'attenzione di Filippo che si voltò verso di lui.

«Cosa?»

«Sembri così forte, invincibile, imbattibile. Sembra che tutto ti scivoli addosso, che tu riesca a gestire tutto, che niente ti scalfisca. E poi sei così fragile.»

Filippo si stese completamente su un fianco, guardando Einar. «Lo sei anche tu.»

Einar sorrise. Si avvicinò al corpo di Filippo, piegando il braccio e poggiandosi sopra la testa, le gambe unite e l'intero corpo stretto nei vestiti per ripararsi dal freddo, il cappuccio della sua felpa in testa, i palmi adesso totalmente appoggiati sull'erba fresca. Adesso erano entrambi nella stessa posizione, stesi sul prato del Gianicolo come se fossero sdraiati su un letto, vicini a confidarsi i loro segreti e ricordare il passato, a sentirsi fragili nelle loro storie e nei loro difficili trascorsi.

Lasciami le stelle
almeno so con chi parlare
a chi rivolgermi stanotte
perché tu non puoi restare
volevo darti un aereo di carta
da lanciare nell'aria
ho scritto lì tutti i miei sogni per vederli andare via

Filippo alzò una mano, portandola più alto possibile, come a voler toccare le stelle, come a volerne prendere una e tenersela stretta nei meandri di un cuore spento che aveva bisogno di un po' di luce. Einar alzò la sua e le avvicinarono, facendo entrare in contattato le pelli.

Ti ho chiamato a bassa voce ma tu non mi rispondi
fra tutti i cuori in giro dimmi in quale ti nascondi

Guardarono le loro mani, unite nel cielo, e incrociarono le loro dita, facendo fondere tatuaggi e nei, pelle chiara con pelle ambrata, facendo fondare vite e destini in una stretta che si perdeva tra le stelle.

Io mi ricorderò di te
tra le luci di Roma, ogni abbraccio per strada
mi riporterà da te
perché in fondo sai stavamo bene
dimmi perché
il rumore più forte ha lo stesso silenzio
che sento di noi
intanto chiude anche l'ultimo bar

Poi Filippo si alzò, le mani si staccarono e guardò Einar, gli fece un cenno e lui lo seguì, si alzarono e, tra il freddo della notte e gli alberi spogli, cominciarono a camminare lentamente verso il muretto, avvicinandosi sempre di più ad una Roma che si lasciava osservare in tutte le sue bellezze.

Volevo dirti che ho sognato
di avere molto più tempo
per capire fino in fondo
la parola accanto
ti ho cercata in ogni volto
in questo mi confondi
fra tutti i cuori in giro dimmi in quale ti nascondi

Si sporsero e poi si girarono, trovandosi uno davanti all'altro, fragili dopo aver parlato senza freni e barriere di ciò che gli aveva portarti di lì, di ciò che aveva formato i loro caratteri così complicatamente belli, di ciò che li aveva resi quei due ragazzi che ora si guardavano in silenzio.

Io mi ricorderò di te
tra le luci di Roma, ogni abbraccio per strada
mi riporterà da te
perché in fondo sai stavamo bene
dimmi perché
il rumore più forte ha lo stesso silenzio
che sento di noi
intanto chiude anche l'ultimo bar

«Siamo fragili insieme.»

Fu la voce di Einar a spezzare quel silenzio troppo assordante per due che avevano così tanto da dirsi, da raccontarsi. Filippo sorrise, cogliendo il riferimento alla sua canzone. Una delle prime, una di quelle scritte nello stesso periodo che gli aveva raccontato. Quella canzone adesso aveva un significato in più.

Si sorrisero, tra l'oscurità della notte e le luci di Roma.

Io mi ricorderò di te
tra le luci dell'alba di ogni abbraccio per strada
mi ricorderò di te
perché in fondo sai stavamo bene
ma dimmi se c'è
una buona ragione per correre ancora
senza di te
e intanto chiude anche l'ultimo bar
intanto chiude anche l'ultimo bar.

Tra le luci di Roma, in quel prato verde, dopo tanta pioggia, una rosa era appena sbocciata.

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