Head Above Water ~ Camren

By dugonguga

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I've gotta keep the calm before the storm I don't want less, I don't want more Must bar the windows and the d... More

Prologo
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Epilogo

1.

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By dugonguga

"I've gotta keep the calm before the storm
I don't want less, I don't want more"
(Devo mantenere la calma prima della tempesta)

«Buongiorno Lauren, c'è una sorpresa per te oggi!»

Mi tirai dritta a sedere sorridendo a trentadue denti a James, il mio infermiere preferito, che entrò di spalle nella stanza spingendo una sedia a rotelle. Mi allungai cercando di vedere oltre la sua schiena ma come previsto, vista la sua stazza, fallii nel mio intento.

«Lei è Sofia, sarà la tua compagna di stanza per un paio di giorni, è qui per delle visite di controllo. I suoi genitori stanno arrivando, stanno parlando con il primario, ma per il momento la affido a te, okay?» disse girandosi finalmente verso di me, sorridendomi a sua volta, e scoprendo una bambina intorno ai dieci anni un'espressione di sconforto sul volto. «Siamo stati costretti a metterla nel reparto degli adulti perché è finito lo spazio in pediatria, quindi abbiamo deciso di affidartela. Comportati bene però, vedi di non spaventarla.»

«Non potrei mai, James.» risposi con aria offesa. «E poi dai, ormai dovresti conoscermi!»

«E proprio per questo ti prometto che non ti prenderò più le barrette al cioccolato dai distributori riservati ai medici se ti comporti male.» ribatté lui puntando un dito contro il mio petto. «Quindi vedi di mettere quella testolina che ti ritrovi a posto perché alla prima lamentela scatta il nostro accordo e dovrai affidarti unicamente alla mensa dell'ospedale.»

«Piuttosto la morte!» esclamai con aria teatrale, portandomi una mano al petto e fingendomi sconvolta.

James scoppiò a ridere e subito lo seguii, lanciando uno sguardo alla ragazza al suo fianco che, dopo aver seguito tutta la scena, aveva fatto un piccolo sorriso. Beh, almeno era già qualcosa.

L'infermiere poi la aiutò a salire sul letto, insegnandole la funzione di tutti i tasti sul telecomando collegato al letto per permetterle di sentirsi più comoda e la raccomandò più e più volte di premere il bottone di allarme nel caso avesse avuto bisogno di una mano, se avesse sentito dei dolori o se ci fosse stato un problema di qualunque tipo. Osservai la scena senza fare una piega, ricordandomi quanto fossi terrorizzata io, il mio primo giorno, e subito mi rividi in quella piccola ragazza che sembrava cascata dal cielo e che non aveva la più pallida idea di cosa ci stesse facendo lì.

«Ora vado.» dichiarò infine James. «Lauren, ti aspetto giù, come sempre, fra mezz'ora. Vedi di non ritardare.»

Alzai gli occhi al cielo, incassando il colpo, ma non ribattei. Non era colpa mia se arrivavo sempre in ritardo: erano le infermiere del piano che mi fermavano e mi intrattenevano o, almeno, lo facevano il più delle volte. Okay, magari poteva capitare che mi soffermavo io un po' troppo a lungo a guardarle il...

Scossi la testa per scacciare quei pensieri e puntai nuovamente lo sguardo sul foglio che avevo di fronte a me per leggere quanto avevo scritto senza farci veramente caso e poi tornai a guardare dritto davanti a me. Mi grattai la testa sbuffando e portai la penna alle labbra per mordicchiarne l'estremità con meticolosità: tre morsi in un punto e poi la giravo in senso orario, altri tre morsi e tornavo in senso antiorario.

«Che cosa stai facendo?»

«U-Uh?» chiesi confusa, tornando alla realtà grazie alla voce della piccola nel letto a fianco al mio.

«Che cosa stai facendo?» ripeté allora, puntando un dito verso il foglio che avevo davanti a me.

«Oh, questo dici? Scrivo.» risposi.

«E cosa scrivi?» chiese ancora.

«Quello che mi passa per la testa. Vuoi sentire?» le chiesi allora. La ragazza annuì, senza togliermi lo sguardo di dosso, e aspettò con pazienza che mi schiarissi la voce e iniziassi a leggere. «I've gotta keep the calm before the storm, I don't want less, I don't want more.»

«Sembra una canzone.» commentò lei, quando smisi di parlare.

«Infatti lo è.» le diedi ragione. «Però non l'ho ancora finita, è appena iniziata.»

«Lo so.» rispose con orgoglio. «Kaki dice sempre che nessuna canzone è mai veramente finita perché ogni volta che la si canta assume una forma e un significato diverso, arricchendola e trasformandola un'altra volta.»

«E chi è Kaki?» chiesi curiosa.

«È mia sorella.» rispose con un sorriso.

«Beh, piccolina, hai una sorella davvero molto intelligente.» dissi infine, facendola sorridere ancora di più.

«Gliel'ho detto anch'io un paio di volte ma lei dice sempre che fra le due sono io la più intelligente.» rispose con aria pensierosa strizzando gli occhi e storcendo la bocca.«Anche se non ne sono del tutto convinta, dopotutto il modo in cui mi sono rotta la gamba l'anno scorso era proprio stupido.»

«Come te la sei rotta?» chiesi allora, curiosa anch'io di conoscere la risposta.

«Stavo scendendo le scale seduta sul corrimano, ma sono caduta di lato poco prima della fine.» rispose. «Kaki mi aveva detto che era un gioco pericoloso e che prima o poi avrei potuto farmi male seriamente come si era fatta lei, solo che a differenza sua mi è toccato stare un mese in ospedale mentre lei se l'è cavata con otto punti sotto lo zigomo e due settimane di gelato a pranzo e cena.»

«Ehi, questo non mi sembra equo!» esclamai. «Il cibo dell'ospedale fa schifo!»

«Lo so! Perché non potevo finire anch'io a mangiare solo gelato?» si lamentò la piccola incrociando le braccia al petto. «Spero almeno che non mi tengano qui troppo a lungo.»

«Perché sei qua?» chiesi. «Se vuoi posso farti una stima del tempo in cui ti terranno rinchiusa in questa prigione.»

La ragazzina mi rivolse un sorriso divertito, poi alzò lo spalle. «Ho un rigonfiamento sotto l'ascella che mi fa male e il pediatra mi ha detto di venire in ospedale, poi dopo la visita mi hanno detto che dovevano ricoverarmi.»

«Oh.» risposi semplicemente, sbattendo le sopracciglia.

«Quindi? Quanto tempo?» chiese speranzosa.

«Ehm... Beh... Dipende da cos'è quel rigonfiamento... Ma io non posso saperlo, solo i medici possono.» balbettai, sapendo in realtà alla perfezione quali erano le sue alternative: non era niente, era un tumore benigno o era un tumore maligno, proprio come era successo a me. Ma come avrei potuto dirlo ad una praticamente bambina che nemmeno conoscevo? Non sarebbe stato compito mio, dovevo semplicemente tacere.

«Oh, okay.» rispose allora lei, alzando ancora una volta le spalle.«Ma tu perché sei qua?»

«Se te lo dicessi dovrei ucciderti.» risposi facendole l'occhiolino, tornando a guardare il foglio.

«Ma io ti ho raccontato cosa mi è successo, dovresti farlo anche tu.» protestò. «Si chiama cotresia

«Per essere precisi si chiama cortesia, ma questa è una parola che non fa esattamente parte del mio vocabolario.» ridacchiai scuotendo appena la testa. «Ma posso fare uno strappo alla regola e dirtelo alla fine della tua permanenza qui dentro, ci stai?»

La bambina rifletté per qualche istante su quanto le stavo dicendo ma, alla fine, annuì. Mi porse la mano chiusa a pugno e alzò il mignolo, intimandomi a fare lo stesso per legarlo al mio. Non esitai un solo istante ad esaudire il suo desiderio allungandomi verso il suo letto e chiedendomi da quanto tempo non compissi quel gesto tanto semplice ma così pieno di significato, e le sorrisi dolcemente. Poi, prima che potessi dire una sola altra parola, due signori entrarono nella stanza e ci interruppero.

«Sofia, mi hija.» esclamò quella che dedussi essere sua madre, mollando la borsa ai piedi del letto della piccola e fiondandosi al suo fianco per prenderle le mani e baciarle tutto il volto. «Come stai? Sei comoda? Mi dispiace tanto che tu debba stare qua, appena sarà possibile usciremo da qui e ci mangeremo un enorme gelato con tre palline, okay?»

L'uomo che sembrò suo padre annuì concorde alla moglie e subito la imitò, fiondandosi sulla bambina e riempiendola di carezze.

«Mamma, papà, vi voglio bene anche io ma non respiro.» sbuffò la piccolina, cercando di schivare i baci dei suoi genitori. «Kaki?»

«Sta arrivando, ha preso il primo volo disponibile ma comunque non arriverà prima di alcune ore.» disse la donna con tono dispiaciuto accarezzandole i capelli.

«Quante ore?» insisté lei.

«Sei. Cinque di volo e almeno una per arrivare qui dall'aeroporto.» rispose il padre.

Vidi Sofia sbuffare, ma non disse più nulla. La guardai con la coda dell'occhio, consapevole di quello che stava provando, conoscendo alla perfezione la sensazione di essere lasciati soli dalle persone che più si amano nei momenti di bisogno. Certo, spesso la loro assenza non dipende da loro ma questo non toglie comunque il desiderio di poter avere quelle persone al proprio fianco in tutti i momenti, soprattutto in quelli più difficili.

«Arriverà presto.» dissi spezzando il silenzio che era calato. «Vedrai che le ore voleranno, i primi giorni è sempre così. Dovrai iniziare a preoccuparti più avanti quando ti avrò svelato tutti i segreti di questo ospedale e non ci sarà più niente di divertente da fare, ma ti prometto che quando arriverà quel giorno tu starai per uscire di qua.»

Sofia mi rivolse un sorriso enorme e annuì, senza lamentarsi più. I suoi genitori si girarono verso di me e mi rivolsero un sorriso di gratitudine ma, prima che potessero dire qualcosa, mi ricordai delle parole di James e mi alzai dal letto con un veloce movimento uscendo dalla stanza senza nemmeno salutare.

Quando tornai in camera scura in volto diverse ore dopo, spinta da James su una sedia a rotelle, tenevo lo sguardo puntato verso il basso con nessuna voglia di parlare o vedere qualcuno. Volevo solamente mettermi sotto le coperte e dormire all'infinito, magari senza svegliarmi più, mettendo finalmente fine all'inferno in cui ero stata costretta e liberarmi da quel fottuto corpo in cui ero stata imprigionata.

«Lauren! Sei tornata, dove sei stata?» chiese con voce squillante Sofia, piccolo particolare che avevi dimenticato di contare nel mio interessante programma per il resto della serata.

«È stata una giornata pesante.» rispose per me James e lo ringraziai mentalmente per averlo fatto. «Non credo abbia molta voglia di parlare, adesso, e ha anche bisogno di riposare. Signorina Cabello, so che è arrivata da poco e ha fatto un lungo volo, ma a meno che non si voglia fermare a dormire con sua sorella deve andare, l'abbiamo già fatta stare oltre l'orario.»

Continuando a tenere la testa bassa mi infilai le mani in tasca e mi alzai dalla sedia a rotelle, buttandomi di peso sul letto sfatto volgendo le spalle a Sofia e a chiunque avesse a fianco, desiderosa solamente di sparire. Chiusi gli occhi e non mossi un solo altro muscolo, sentendo James sussurrare qualcosa alla mia compagna di stanza prima di uscire sospirando portando via la sedia a rotelle.

La mia testa era un unico groviglio di emozioni negative dettate dalla paura e dal desiderio di stare bene. Vedevo tutto nero, desideravo chiudere una volta per tutte quel capitolo della mia vita e ricominciare da capo. Volevo godermi i miei vent'anni, uscire tutti i fine settimana, prendere il sole in spiaggia, rimanere sveglia fino a tardi, mangiare schifezze, ascoltare musica con il volume al massimo senza che nessuno venisse a dirmi di abbassarlo perché potrei rovinarmi anche i padiglioni auricolari, a quanto pare una delle ultime cose rimaste sane del mio corpo. Ma perché continuare a lottare? Per cosa soprattutto? Per le mie cicatrici? Per le persone che non c'erano più? Per soddisfazione personale? Per chi e per che cosa, esattamente?

Una rumorosa risata alle mie spalle arginò il fiume dei miei pensieri negativi e mi riportò bruscamente alla realtà. Sembrava la risata di una bambina, squillante ed allegra come poche, che automaticamente mi fece sorridere. Era contagiosa, forse troppo, e quasi venne da ridere anche a me.

«Non ci credo, hai detto veramente alla dottoressa di non preoccuparsi perché stavi solamente nascondendo un piccolo palloncino sotto al braccio?»

«E invece sì Kaki, te lo giuro!» rispose la più piccola. «Però non è giusto che io sono costretta di nuovo a mangiare minestrine per chissà quanto! Mi devi ancora quel mese che ho passato con la gamba ingessata!»

«Dici? Io non sono d'accordo.» rispose l'altra ragazza. «Si sa che le sorelle maggiori si meritano sempre più cose delle più piccole.»

«Camila!» si lamentò Sofia. «Non è vero, anche Lolo ha detto che non è giusto! Vero Lauren?»

Non avevo voglia di parlare e quindi scelsi di non rispondere, fingendo di essermi addormentata. Concentrai invece la mia attenzione sul nome che la piccola aveva pronunciato: Camila. Dunque era così che si chiamava sua sorella. Chissà che volto aveva, quella risata bambinesca e quella voce calda e rilassante.

«Sshh, Sofia! Sta dormendo, non vedi?» la rimproverò sua sorella sussurrando.

«Non pensavo si fosse già addormentata, soprattutto in quella posizione.» si scusò lei. «Però James mi ha detto oggi che avrei dovuto essere molto gentile con lei, dice che non sta passando un bel periodo.»

«Che cos'ha?» chiese Camila dopo un po' di silenzio.

«Non lo so, non me l'ha voluto dire.» rispose sua sorella. «Credi che sia grave?»

"Non immagini quanto." pensai amareggiata, stringendomi su me stessa iniziando a sentire freddo.

«Spero di no per lei.» rispose semplicemente.

«Kaki, dormi al mio fianco?» sussurrò poi la più piccola dopo un sonoro sbadiglio.

«Certo, arrivo subito.»

Sentii dei vari movimenti alle mie spalle ma continuai a rimanere immobile nella mia posizione. Immaginai che la ragazza si stesse togliendo qualche vestito di troppo e le scarpe quando un intenso profumo alla vaniglia mi avvolse e invase le mie narici inebriandomi il cervello. Sentii delle mani gentili togliermi le scarpe che avevo ancora ai piedi e che mi ero rifiutata di togliermi, per poi infilarmi le gambe sotto le coperte e tirarmele su fino alle spalle. Il fiato caldo di Camila mi colpì il collo scoperto dai miei capelli sparsi sul cuscino e mi fece rabbrividire ma la ragazza sembrò non farci caso. Invece, un attimo prima di allontanarsi e posizionarsi a fianco della sua sorella, si chinò leggermente in avanti per poi sussurrare cinque semplici parole che, a sua insaputa, mi cambiarono la vita.

«Non smettere mai di combattere.»

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