All'ora di cena regnava l'assoluto silenzio, interrotto a tratti da alcune gocce di pioggia che si abbattevano sui vetri. Era strano come il tempo fosse cambiato nel giro di poche ore. Solo nel pomeriggio c'era stato un sole che spaccava le pietre ed ora queste, sottoforma di gocce, cadevano dal cielo. Sembravano adattarsi alla perfezione all'umore e alla piega che quella serata avrebbe preso da lì a poco.
Seduti al tavolo c'erano solo Amelia, Mr. Putnam e Leonard. Sia Raissa che mrs. Putnam, invece, si erano date appuntamento per studiarsi a tavolino la perfetta scusa da inventare per mancare alla cena. Entrambe le donne, dopo che i soldati se ne erano andati, avevano avvertito qualcosa di strano nell'aria. Una sorta di cambiamento drastico che avrebbe cambiato la loro vita. E senza saperlo, anche quella degli unici componenti della famiglia seduti a cena.
Daniel Putnam aveva intuito qualcosa nel preciso istante in cui aveva messo piede nella hall di casa sua. Le domestiche, Adelle e Carin, avevano sgomitato per accoglierlo in un classico teatrino divertente che c'era quasi sempre, quando rincasava uno dei padroni. Una gli aveva levato il cappotto, l'altra gli aveva chiesto se gradisse il solito brandy. A lasciarlo perplesso, però, era stato il silenzio che avvolgeva le mura. Solitamente Raissa arrivava qualche minuto dopo, ridendo alle spalle delle domestiche per il loro comportamento. Amelia che scendeva dalle scale in modo frenetico per salutarlo e infine Tilla che, porgendogli il giornale con le ultime notizie sulla guerra, lo informava dello stato di salute della moglie. E quella volta le ultime tre donne non erano state presenti.
"Questo pomeriggio sono venuti il tenente generale Lovett con altri due soldati. Volevano parlare con il signorino Leonard." L'aveva informato Carin, successivamente alla sua domanda su quello strano silenzio. La risposta della domestica bastò a fargli morire sulle labbra il sorriso di chi aveva affrontato una buona giornata lavorativa. Non aveva detto altro e si era ritirato nel suo studio fino all'ora di cena. Suo figlio era tornato proprio dieci minuti prima e, da quando si era seduto, non aveva detto una parola. Con appetito aveva mangiato le prime portate e, nel momento del dolce, il suo corpo così come il suo viso, sembravano rilassarsi.
Amelia, seduta dall'altro lato del tavolo, manteneva un basso profilo. Non osava neanche chiedere al padre come stava, giacché era uscita subito dopo la visita dei soldati per una commissione per conto di Raissa. Continuava ancora a chiedersi perché erano venuti lì, in casa sua, e per di più per parlare con Leonard. Di cosa avevano parlato? Se avessero saputo dei suoi incontri segreti col maggiore sarebbe stata già chiamata da suo fratello e invece nulla.
Colse l'occasione della venuta di Adelle, intenta a servire una ciotola di frutta, per spezzare il silenzio. "Raissa e mia madre? Perché non sono scese?"
La domestica sembrò esitare sotto lo sguardo aggiuntivo dei due padroni. "Erano entrambe indisposte, signorina."
"Niente di grave, vero?" Chiese mr. Putnam, pulendosi la bocca con un tovagliolo finemente ricamato.
"Certo che no, Signore. Non preoccupatevi." Tranquillizzando il resto della famiglia, Adelle chiuse la finestra che si era riaperta a seguito di una forte folata di vento e camminò a passo spedito verso la cucina, lasciando i padroni a concludere il loro pasto.
Rimasti nuovamente soli, mr. Putnam preferì andare subito dritto al punto. Osservava, con la coda dell'occhio, il figlio che sembrava perdersi in chissà quali pensieri. Il volto, solitamente solare, si dipingeva di un colore cupo come le nuvole cariche di pioggia che decoravano il cielo notturno di Riverdale.
"Ho saputo che il tenente generale è venuto qui, questo pomeriggio. Di cosa avete parlato?"
Senza darlo a vedere, Amelia attizzò le orecchie, afferrando con disinteresse una mela per sbucciarla con l'uso di un coltello. Suo fratello, invece, sembrò riprendersi e tornare alla realtà. L'aveva visto distrattamente farsi già due bicchieri di whisky, bevanda che aveva accompagnato gran parte della sua cena.
"Del più e del meno." Si limitò a dire inizialmente il giovane, riponendo le posate nel piatto di porcellana e versandosi altro whisky nel bicchiere. Ne avrebbe avuto bisogno. "Avevo chiesto un incontro informale a Sunford, un po' di tempo fa, con il tenente generale Lovett."
"Per quale motivo?" Chiese Daniel, osservando con attenzione il figlio. C'era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi atteggiamenti, che lo metteva in allarme. Non aveva mai avuto un particolare interesse per le persone che frequentava Samuel, per la vita che il suo defunto fratello si era scelto. Aveva trasentito che Rupert Sunford avesse abbandonato l'università per arruolarsi nei marines. Una scelta non proprio saggia. Daniel conosceva l'amico del figlio, era uno scapestrato con idee rivoluzionari. Idee che non l'avrebbero fatto sopravvivere in guerra. Tuttavia, il silenzio di Leonard lo preoccupava, ancora di più perché era stato lui a chiedere un incontro. Che motivo ne aveva, quindi? Uno strano presentimento si insinuò nella sua mente, martellandogli nel cervello. Gli sembrava di ricordare una scena che aveva già vissuto e che non aveva alcuna intenzione di ripetere. E gli bastò guardarlo negli occhi, scambiarsi una rapida occhiata con lui, per intuire che il più grande dei timori si stava avverando.
Con uno scatto si girò verso la figlia, ricordando che era ancora seduta a tavola. "Amelia, vai in camera tua. Io e tuo fratello dobbiamo parlare."
"No, falla restare." Obiettò Leonard, ottenendo l'attenzione di entrambi. "Ha diciassette anni ed è quasi una donna completa. È giusto che lo sappia anche lei." Il sorriso di gratitudine che ottenne da parte di Lelia, gli servì per fortificarsi ancora di più. Cibandosi dell'affetto della sorella poteva sperare in un'alleanza per la sua idea.
Amelia, dal canto suo, continuava ad essere confusa. Il suo cuore continuava a pesare come un macigno nella gabbia toracica e sembrò schiacciarsi nel momento stesso in cui suo fratello riprese possesso della parola.
"Ho deciso di arruolarmi." Dichiarò, svuotando il quarto -o quinto- bicchiere di whisky.
Un fulmine tuonò in quel momento, illuminando per una frazione di secondo il tavolo con i suoi ospiti.
Gli occhi chiari di Daniel Putnam sembravano uscire fuori dalle orbite, per quanto si erano sgranati. Respirava ritmicamente, sentendo ogni vena del corpo rompersi per la rabbia che andava via via aumentando. Credeva che sarebbe morto dal dispiacere ad una rivelazione del genere e, in parte, lo era. Non avrebbe mai creduto che Leonard potesse sottostare ai giochetti del tenente generale Lovett. Mr. Putnam aveva intuito, dalla cerimonia di commemorazione, che il militare aveva una qualche intenzione nei confronti della sua famiglia. Voleva rimpiazzare la figura di Samuel. E chi meglio del proprio fratello di sangue? A sorprendere maggiormente l'uomo, però, era il fatto che il figlio si fosse fatto convincere con troppa facilità.
Amelia si faceva sempre più piccola sulla sedia. Osservò con occhi sgranati anch'essa il fratello, trattenendo il respiro e sentendo un gran dolore nel petto. Una sensazione fin troppo familiare.
"Sei impazzito?! Spero che questo sia uno scherzo!" Tuonò Daniel a voce abbastanza elevata. I muri, per un attimo, sembravano tremare.
Se quel tono contribuì a far avere gli occhi lucidi ad Amelia e ad intimorirla, di certo non ebbero lo stesso effetto sul diretto interessato. Leonard, infatti, assunse un'espressione pacata, come se non si stesse parlando di lui ma di una terza persona.
"No, padre. Avete capito bene e non è uno scherzo. Non potrei mai prendermi gioco di una cosa così importante." E tracannò un altro bicchiere di whisky. Di quel passo sarebbe andato a letto completamente ubriaco e non avrebbe ricordato nulla di quella sera.
"Hai già dimenticato cosa è successo a tuo fratello? Vuoi forse fare la sua stessa fine?"
"Samuel è morto da eroe. È stato il tenente generale ha rivelarmelo, questo pomeriggio. È morto salvando degli innocenti." Spiegò lui, osservando la reazione sia sul viso del padre che della sorella. Questi due, infatti, si scambiarono una rapida occhiata. Leonard approfittò di quell'attimo di apparente quiete per continuare. "So che sarete in collera con me, padre, ma questa è la mia decisione. So di aver fatto una promessa ad Amelia e mi dispiace non mantenerla." Fece una pausa per guardare il volto della sorella, pallido e prossimo ad accogliere altre lacrime. Una scena che gli provocò una spaccatura diagonale nel cuore. "Ma ho dei demoni che intendo esorcizzare. So che posso sembrare pazzo ma è così. È come se anche Samuel, dall'alto, mi stesse dando dei piccoli segni divini."
"Menzogne! Eresie!" Tuonò ancora mr. Putnam, spostando la sedia con il peso del corpo per alzarsi. "Ti avviso, Leonard. Esci da quella porta e non rimetterai più piede in questa casa. Non tollero che si infanghi il nome di tuo fratello invano!"
"Comprendo la vostra reazione, padre." Iniziò il giovane, alzandosi per fronteggiare meglio il genitore. "Ma come vi ho già detto non intendo tornare sui miei passi. Spero che un giorno, voi possiate comprendere la mia scelta. E, per la cronaca, parto domani per New York."
Daniel ammirò in silenzio il coraggio del figlio. Lui non sarebbe mai riuscito a rivelare una cosa del genere al proprio genitore. Non gli diede, però, quella soddisfazione. Era il capo famiglia, doveva avere un certo contegno e, anche per quello, avrebbe rispettato la sua scelta ma non avrebbe tradito le proprie linee di pensiero. Mandò giù quel nodo in gola, troppo amaro da digerire.
"A che ora?"
"All'alba."
Mr. Putnam annuì sconsolato. Ben conosceva il suo secondogenito e niente e nessuno avrebbe potuto distrarlo dal suo obiettivo. In fin dei conti, si disse, farlo studiare all'università era stata una cosa che lui aveva deciso, non Leonard. Daniel aveva prestabilito tutto dal momento stesso in cui sua moglie aveva partorito il secondo figlio maschio. Uno alle armi, un altro con una carriera sicura. Uno eroe della patria, l'altro eroe della scienza medica. Quella sera, dall'alto della sua notevole e avanzata età, Daniel Putnam capì appieno che non si poteva scegliere il destino, era quest'ultimo a scegliere la persona designata. Improvvisamente si scoprì impaurito dagli eventi, dalla guerra, dalla possibilità di perdere anche il suo secondo figlio. E lui non poteva fare nulla per impedirlo.
La figura di Amelia entrò nel suo campo visivo e in quello del figlio. La giovane saltò in braccio al fratello, cingendo il collo con le sue braccia. Lacrime e singhiozzi si confondevano con l'affetto fraterno che univa i due e che gli avrebbe uniti anche quando sarebbero stati lontani per un bacio o una carezza. Non condivideva la scelta di Leonard ma la rispettava. Avrebbe nascosto a dovere il suo dolore, scrivendo missive giorno dopo giorno, e pregando, dopo molto tempo, affinché suo fratello non corresse rischi. Del resto, riusciva a comprendere, in parte, la sua decisione. Voleva esorcizzare i suoi demoni, voleva fare qualcosa per mostrare al mondo che c'era anche lui. E lei avrebbe fatto lo stesso, attraverso la professione di infermiera.
"Resta vivo, Leo! Giurami che lo farai." Riuscì a dire tra le lacrime, con uno sforzo soprumano.
Leonard la strinse più forte al suo petto, dando sfogo anche alle sue di lacrime represse. Presto o tardi piangere sarebbe stato per lui come un lusso che non poteva concedersi. Gli sarebbe stato permesso solo di ricordare, sdraiato nella sua branda di notte, quei momenti. Di mandare un bacio al vento a sua sorella, a suo padre, sua madre, Tilla, Adelle, Carin, e anche a Raissa. Il pensiero della russa in lacrime finì per lacerargli di più il cuore. Di quel passo, sarebbe morto ancora prima di mettere piede nella base militare di New York.
"Te lo giuro." E guardò il padre, che era rimasto fermo a guardare la scena con gli occhi lucidi. "Vi giuro che tornerò vivo." Un giuramento che legava i cuori dei suoi famigliari eternamente al suo, ovunque sarebbe andato.
Daniel Putnam tirò un sospirò per la stanza, che fungeva da bandiera bianca. Con due semplici falcate raggiunse i due ragazzi e gli abbracciò. "I miei ragazzi!" Avvolse entrambi, stringendoli a sua volta al proprio cuore di padre ferito. Un padre che doveva lasciare andare i suoi ragazzi, ora che erano maturi di prendere le proprie decisioni da soli. Avrebbe portato nella memoria e nel cuore, però, quella scena che lo rendeva partecipe. Le lacrime di sua figlia, di suo figlio, e anche le sue. Il suo cuore tornò a battere di orgoglio solo quando Leonard, prossimo a salire le scale per la sua ultima notte in quella casa, si girò verso di lui sorridente. "Grazie, padre. Vi renderò fiero di me." Quelle parole spazzarono via ogni minaccia di non accoglierlo più tra le mura di quella casa. Perché sarebbe stato il primo ad abbracciarlo quando, mesi più tardi, si sarebbe ripresentato su quella soglia.
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Il sonno, come aveva già immaginato, era stato solo un ricordo lontano che l'aveva accompagnata per tutte le ore della notte. Aveva chiuso gli occhi solo per far riposare le palpebre, senza mai dormire veramente. Non ci riusciva. Si era alzata più volte per consolare Amelia che, tornando in camera, si era infilata sotto le coperte a piangere. Il motivo non riusciva a comprenderlo, visto che la giovane gli aveva rivelato di aver capito la scelta del fratello di arruolarsi. Amelia stessa, infatti, era certa di aver lasciato perplessa Raissa circa il suo pianto. C'erano così tanti motivi che affollavano la sua testolina bionda e uno dei tanti riguardava proprio Cameron. Perché non aveva impedito tutto ciò? Perché lasciava che suo fratello si arruolasse così? Non gli importava nulla di lei?
Certo che no, stupida. Chi sei tu per lui? E chi è lui per te? Nessuno.
Si era addormentata piangendo e Raissa la invidiò. Nel suo giaciglio avrebbe voluto anche lei piangere fino allo stremo delle forze. Ma per quanto ci riusciva non sarebbe mai sprofondata in un sonno profondo. Perché il solo pensiero di Leonard con la divisa dei marines le provocava angosce e timori, impedendole di dormire serena. Amelia le aveva rivelato che sarebbe partito all'alba.
All'alba.
Ecco quando il suo cuore avrebbe cessato momentaneamente di battere. Nel momento stesso in cui l'uomo che l'aveva baciata con desiderio a Glover's rock, avrebbe varcato la soglia del cancello di quella casa per recarsi a New York. Fu attraversata, solo per un breve istante, di andare nella sua stanza e lasciarsi cullare dalle sue braccia, di dormire sul suo petto e di dimenticare tutto per un paio d'ore. Ci aveva ripensato nel momento esatto in cui si ritrovò davanti alla porta della sua stanza. Non proveniva alcun rumore da essa e immaginò che stesse dormendo. Si diede della stupida. Che cosa credeva di fare una volta all'interno della camera con lui? Il solo pensiero di una vicinanza in intimità le provocò un calore all'altezza del petto, le gote rosse, e una fitta nel ventre.
Tornò nella sua stanza prima che qualcuno potesse scoprirla. Chiudendosi la porta alle spalle, venne nuovamente assalita da un pianto silenzioso. Calde lacrime rigavano il suo viso e più le buttava giù, più capiva che fermarsi sarebbe stato maggiormente difficile. Ma come fermarsi? Come convivere con la paura di non rivedere più la persona che si ama? Raissa sussultò a quel pensiero. Lei l'amava? Strabuzzò gli occhi, cacciando in malomodo delle lacrime che dovevano ancora uscire. Quando guardò a terra vide qualcosa entrare dall'uscio della porta. Un foglio di carta. Lo prese senza aspettare oltre e lo lesse.
Vuoi davvero farmi partire senza vederti?
Singhiozzò più forte, coprendosi la bocca con la mano. Accartocciò il foglio, scuotendo la testa. No, non voleva. Con uno scatto aprì la porta, tornando lì dove era prima e si stupì di trovare la porta aperta e Leonard sulla soglia, con un sorriso beffardo sulle labbra.
"Allora non stavi dormendo."
Raissa tirò in su col naso, combattendo contro una grande voglia di tirargli uno schiaffo solo per l'espressione che aveva in volto. "No. Non ci riesco."
"Neanche io." Rivelò lui, allungando una mano per prendere la sua, umida. Se la portò alle labbra e la baciò. Le nocche, le dita, le unghie. E poi la fece aderire al suo petto, all'altezza del cuore. Leonard immerse i suoi occhi in quelli della donna, sperando che ogni suo pensiero potesse arrivarle attraverso lo sguardo. "Dormi con me, Raissa."
La russa fu attraversata da una scarica elettrica a quella proposta. Eppure, non avrebbe dovuto sorprendersi, vista la sua vita abbastanza movimentata come prostituta. Provò a levare la mano dal suo petto ma Leonard la tenne salda alla sua camicia reggendole il polso.
"Voglio solo dormire, Issa. Non ti toccherò. Hai la mia parola." Anche se per lui era uno sforzo enorme averla vicino e non toccarla, Leonard era pronto anche a quello pur di imprimere nella memoria quel volto disteso accanto a lui. Lo avrebbe aiutato a rimanere in vita, non tanto nei tre mesi di addestramento ma nelle missioni alla quale avrebbe preso parte in seguito.
Raissa, d'altro canto, si sentì avvampare ancora di più, sentendo il nomignolo che lui le aveva affibbiato tempo addietro. Si lasciò trascinare all'interno della sua camera buia. La poca luce che illuminava la stanza era provocata dalla candela posta su un cassettone vicino alla finestra. Sotto di essa riconobbe il borsone verde petrolio e la divisa di servizio dei marines. Raissa si sedette sul bordo del letto, distogliendo lo sguardo per non essere divorata ancora dall'angoscia. Osservò Leonard spogliarsi quasi di tutto, rimanendo solo con le braghe addosso. Li fece spazio, accomodandosi accanto al suo corpo disteso. Poggiò la testa sul suo petto, memorizzando i battiti del suo cuore, lasciando una scia di innocenti baci sui pettorali.
"Non andartene. Non lasciarmi." Sussurrò sulla sua pelle, avvertendo un velo di lacrime salirle agli occhi e appannarle inevitabilmente la vista.
Leonard le fece alzare la testa verso la sua direzione, rivolgendole il più dolce dei sorrisi. "Non ti lascerò. Sarò presente con te ogni giorno e quando tornerò, nel nuovo anno, ti bacerò così tanto da toglierti il fiato. Ovunque andrai, in ogni momento, ti basterà guardare il cielo e chiudere gli occhi. Lo senti questo bacio nel vento, Issa? Sono io che te lo mando, che ti chiamo a gran voce." Le disse, passando le dita tra le sue ciocche mosse e brune.
Raissa non rispose e si lasciò cullare dalle sue braccia, trovando conforto, anche se per poco tempo. Meditò sulle sue parole, piangendo sulla sua pelle, la stessa che si sarebbe marchiata degli orrori della guerra.
Lui le aveva promesso che non l'avrebbe toccata e così fece. Rimasero vicini, rannicchiati insieme nello stesso letto, ma non ci fu altro che un bacio che le diede Leonard quando, all'alba, era già pronto per andarsene. A malincuore si salutarono con gli occhi lucidi, le labbra umide, e il cuore pesante.
Quando Leonard arrivò davanti al cancello, avvolto dalla nebbia mattutina, si voltò un'ultima volta verso la finestra della sua stanza e trovò il volto della donna, pallido e rosso, ma col cuore più leggero. Il loro ultimo sguardo silenzioso era un addio momentaneo.
Wolf's note:
Con ritardo, followers, lo so... ma ci siamo!
Benvenuti ufficialmente al quindicesimo capitolo, penultimo della prima parte. Ebbene sì, perché il capitolo sedici chiuderà definitivamente la prima parte del romanzo, come già scritto nella presentazione iniziale. La seconda parte inizierà, quindi, con il capitolo diciassette ma tranquilli perché verrà scritto nel titolo.
Dunque... *distribuisce fazzoletti bianchi* apprestiamoci a salutare il nostro Leonard! Ma non temete, non starà via per molto. Almeno non per noi, che rientrerà ufficialmente nella seconda parte. Posso anticiparvi già che il prossimo sarà un capitolo più breve di questo ma sempre molto "ricco" a livello di emozioni.
Quindi appuntamento a Martedì 6 Novembre col sedicesimo capitolo e ultimo della prima parte! Una piccola premessa: se avete pianto qui, preparatevi anche nella seconda parte perché sarà di certo la più dura.
Ringrazio tutti i lettori, silenziosi e accaniti, che siete giunti fino a qui. Avremo ancora un bel viaggio da fare con tutti i nostri personaggi, condividere insieme gioie e paure. Sopratutto le paure. E colgo l'occasione per augurarvi buon Halloween. A Martedì col nuovo capitolo!
Inoltre... vi ricordo che potete seguire i miei aggiornamenti, gli avvisi, le foto, video, booktrailer, citazioni, delle mie opere sulla mia pagina facebook. Le memorie di Wolfqueens Roarlion. Link cliccabile sulla mia pagina d'autrice qui su Wattpad.
Un abbraccio,
Wolfqueens Roarlion.