Nota di Anna Green: La canzone alla radio all'inizio è Torn Between Two Lovers di Mary MacGregor, successo del 1977. Bonzo è John Bonham, il batterista dei Led Zeppelin, e Grant è il loro manager, Peter Grant. Inoltre i Led Zeppelin durante il loro tour del 1977 suonarono a New York a giugno, anche se qui è ancora aprile.
***
La proprietaria del caffè non prova mai a fare soldi con me. Quando entro, con le spalle ricurve, la testa bassa, mi dà soltanto il benvenuto, dice alla cameriera di portarmi del caffè nero, e mi fa cenno verso il tavolo nell'angolo che sa che preferisco. Riesco a guardare fuori in strada, ma la gente non può vedermi. Il bar dista solo due isolati da casa mia, nel cuore dei quartieri nei quali sono solito presentarmi, ma il caffè non dà nell'occhio. Non è un posto in cui si troverebbe Gabe a riprendersi da una sbornia, o qualunque altro rocker o artista di queste parti perché questo posto non è romantico. È schiacciato tra un negozio di scarpe e un negozio di monete rare in cui non ho mai visto nessuno, e non ho portato Keltie qui o Gabe o Jon o Eric, nemmeno Brendon. È il mio posto. Ha un'anima antica.
È stata una mossa intelligente da parte mia tenere un posto solo per me. Tenere un insignificante tavolo ad angolo con una sedia traballante solo per me.
Poggio il mio cappello sul tavolo. Rimuovo gli occhiali. La ragazza mi porta il caffè. Non mi guarda e non fa domande, e io tiro fuori il mio taccuino.
"Come procede l'album, Ryan?"
Alzo lo sguardo verso il bancone dove Eleanor mi sta guardando con un sorriso materno. "Procede bene, El. È pronto."
"Ma non mi dire." Si gratta la testa ingrigita, ha ancora la fede al dito. Suo marito è morto l'anno scorso. Di cancro, credo. "Ho intenzione di comprarlo."
"Ti manderò una copia io." Pare che stia per protestare, quindi dico, "Non provare neanche a discuterne. Te lo autografo. Forse un giorno varrà anche un po' di soldi."
Lei annuisce, un piccolo sorriso si allarga sul suo viso. "Beh, grazie, Ryan. Sarebbe carino da parte tua."
"Non c'è di che," dico e inizio a lavorare sui frammenti di testi che mi girano in testa da questi ultimi giorni. Non so per cosa siano perché è come ho detto: l'album è pronto. Abbiamo finito l'ultima canzone ieri sera, e la festa ufficiale sarà domani. Ho sistemato l'ordine delle tracce. Ho messo un titolo. I ragazzi sono entusiasti, soprattutto la casa discografica: mi hanno persino mandato una cesta di frutta.
Io sono così stanco di vivere.
L'inchiostro nero si intreccia sulla pagina bianca, i miei occhi seguono i cerchi e le curve. È una giornata soleggiata, ovviamente, tanto per farmi sapere che non ho il diritto di essere infelice. E la primavera è il periodo degli amanti. Già, quali amanti? Keltie non risponde alle mie chiamate, e io non rispondo a quelle di Brendon. Amanti. A Keltie ho mandato dei fiori, pure, ma non ha mai chiamato per ringraziarmi. E ora cammino in giro per Soho, con occhiali da sole e cappello, vedo fidanzati che si tengono per mano, con le braccia reciprocamente attorno alla vita, mentre ridono sul collo l'uno dell'altra. Sbucano sempre fuori durante la primavera. È una cosa stagionale. Girati, girati, girati.
Il caffè è amaro e troppo caldo, mi brucia la lingua, ma non mi importa. La porcellana bianca è quasi troppo calda da tenere in mano. Nella tasca sento la forma irregolare della chiave dell'Hotel Chelsea e non so perché me la porto appresso. Al momento, quel rifugio temporaneo è l'ultimo posto in cui vorrei stare.
Ho fatto una cosa sciocca.
Butto giù un altro paio di versi, e pare che non siano affatto connessi, ma lo sono, o lo saranno. È come se stessi guardando le pagine con una lente d'ingrandimento, ma il quadro d'insieme mi stesse sfuggendo.
Almeno lui ha chiamato, ma gli ho detto che non era un buon momento e che dovevo uscire, e poi alla fine ho riattaccato e basta. Non ha chiamato più. Non sono riuscito a dedurre nulla dal suono della sua voce: voleva dirmi che sono uno stronzo o che gli dispiace? Non lo so. Forse persino lui non lo sa. Forse ho detto delle cose stupide, oppure ho svelato i miei sentimenti come un imbecille, ma intendevo sul serio ciò che ho detto: non voglio che altra gente lo tocchi. Non come lo tocco io. E ora sto a letto la notte, lo vedo fremere al tocco di uomini anonimi, e non ho mai provato qualsiasi cosa questo mi stia facendo sentire. Un coltello al petto trascinato verso il basso mentre lui soccombe in balia della passione da qualche parte in città. Sono in missione per trovare un qualche pezzo di lui ben nascosto in mezzo a un labirinto pieno di vicoli ciechi. Io sono bendato e disperato. Non riesco a trovarlo.
Eleanor tiene la radio accesa, e mi sento deriso e preso in giro quando parte quella stupida hit di qualche mese fa. L'ho sentita alla radio parecchie volte allora, ma non avevo mai prestato attenzione alle parole. Adesso una rabbia silenziosa mi ribolle dentro quando la ragazza canta, "You mustn't think you've failed me just because there's someone else," e poi prosegue lamentandosi di quanto sia difficile per lei essere innamorata di due uomini. È un angelo, però, questa ragazza. Lei è combattuta tra i due. Non so se Brendon sia dispiaciuto o arrabbiato, ma lui non è combattuto. L'ha detto lui stesso: non è confusionario per lui.
Mi piacerebbe vedere dentro la sua testa, vedere come funziona. Vedere esattamente cosa pensi di me, e cosa pensi di Shane, e esattamente come differiscono le due cose? Ma non posso leggergli nel pensiero, e lui non me lo dirà mai.
Non posso perdere qualcosa che non ho mai avuto. Non posso perdere qualcuno che non ho mai avuto.
Ho fatto una cosa talmente sciocca.
Continuo a pensare a quella poesia di Auden, scrivo le sue parole distrattamente sul foglio. Più e più volte.
E così mi sto commiserando. Qualcuno deve pur farlo. Cazzo, una volta ero molto più forte di così. Nulla di tutto ciò mi avrebbe influenzato un anno fa, sei mesi fa. Devo rimettermi quell'armatura, trovare quello scudo malridotto. È stato potenzialmente letale toglierli.
"Ryan. Ehi!"
Sussulto, alzando lo sguardo dalla pagina ritrovandomi davanti un uomo in piedi vicino al mio tavolo. Nel mio caffè. In quell'unico luogo dove pensavo che sarei stato al sicuro in questa città di milioni di persone. Mi sento le budella congelate. Fanculo, universo. Avanti, prenditi gioco di me ancora una volta. Avanti. Perché eccolo qui.
"Ti spiace se mi siedo?" Shane chiede benevolo con quel familiare alone di nervosismo nelle sue parole. Non si libererà mai completamente della meraviglia che prova alla mia vista.
"No. Fai pure." Spingo l'altra sedia con la gamba. Siediti, dai. Ridicolizzami.
"Che coincidenza incontrarti!" ride, prende posto, posa un quotidiano arrotolato sul tavolo, abbassando cautamente la borsa della telecamera che ha appesa in spalla. Vede che la sto guardando. "Facevo solo qualche foto qua e là. Poi devo andare a fare il mio ultimo turno da Eric. Lavoro lì da quando ci siamo trasferiti a New York, quindi la cosa mi mette un po' ansia, ma il documentario è un progetto a tempo pieno adesso." Gli guardo la bocca. Provo a determinare se sia un buon baciatore. Se sia una bocca sensuale o una bocca delicata o - "Che stai scrivendo?"
Abbasso lo sguardo sulla pagina, condividendo il mio tavolo, il mio caffè, i miei appunti con l'altro uomo. Quello legittimo. "Non servono più le stelle: spegnetele una a una, smantellate il sole e imballate la luna, svuotate l'oceano, sradicate le piante. Perché ormai più nulla sarà importante." Bevo un altro sorso del mio caffè, senza guardare la bocca che bacia Brendon. "Wystan Hugh Auden."
"Non la riconosco. Non leggo proprio le poesie."
"Io sì."
C'è un barlume di qualcosa simile a imbarazzo sul suo viso. Ci è andato piano con Brendon o ci è andato forte con Brendon? Lui fa l'amore o fa sesso? E quante volte da allora hanno copulato? Brendon ha una libido insaziabile. Qualcuno deve pur soddisfarla.
La ragazza gli porta il caffè, e sembra turbato adesso. "È un brutto momento?" Guarda i miei appunti come se il tono cupo l'avesse scoraggiato. Sì, è un brutto momento. Viviamo di brutti momenti, non se ne accorge? Forse si è scopato Brendon ieri sera. Forse non si è fatto la doccia, forse dovrei iniziare ad annusare pure lui, magari riesco a sentire l'odore. Ma non voglio saperlo. Dio, se saperlo mi trasformerà in quello zombie che sono stato, che passa dalla collera alla perdita alla rabbia alla tristezza alla confusione al dolore e poi di nuovo alla collera, allora preferirei non sapere.
Dico, "Sono innamorato, e non sta andando molto bene." Chiudo il taccuino a concentro lo sguardo fuori dalla finestra.
Un'espressione di empatia e comprensione occupa i suoi lineamenti. "Io, ehm... ho sentito qualcosa riguardo al fatto che tu e Keltie state passando un periodo difficile." Fa una pausa in modo che io possa commentare se voglio. Non lo faccio. Sorride con ancora più comprensione. "Sono certo che cambierà idea, Ryan. Cioè, tutte le coppie hanno dei dissensi."
"Suppongo tu abbia ragione, ma non vedo proprio un futuro positivo al momento." Non so nemmeno di chi sto parlando ormai, ma le parole suonano comunque vere. "Tu hai mai tradito Brendon?"
E sarebbe abbastanza stupido da dirlo a me?
Sembra sorpreso dal cambio di discorso, gli diventano le guance rosse come se il fatto che io stia chiedendo qualcosa di così personale lo mettesse in agitazione. "No. No, certo che no."
"Perché io credevo che i gay scopassero in giro parecchio."
"Alcuni lo fanno. Alcuni di noi vogliono delle relazioni. Vogliono sistemarsi." Ma Brendon è troppo carino per sistemarsi. Lo era tre anni fa, lo è ancora oggi. Shane si sposta dei capelli fuori posto dietro l'orecchio. "Ad essere sinceri, Brendon e io abbiamo passato un brutto inverno. A malapena ci vedevamo. Ma, insomma, quando ami qualcuno così tanto, li ritrovi ancora. Le cose sono state meno frenetiche quando voi eravate a Bismarck, e abbiamo potuto passare di nuovo del tempo assieme. Forse a te e a Keltie serve la stessa cosa."
Mi sta dando consigli di coppia. Dicendomi dov'è che ho sbagliato: quando me ne sono andato. Me ne sono andato lasciando Brendon incustodito. Mentre io gli scrivevo canzoni, lui mi scivolava via dalle mani. È questo che dovrei supporre?
Chiudo gli occhi. Vedo Brendon lì, notte numero tre in una New York senza di me. A pensare a me. Sdraiato sul letto, con addosso solo i boxer, a fissare il soffitto, sentendosi solo e senza pace, i pensieri rivolti a Bismarck e a cosa stessi facendo io e se mi stesse già mancando. Shane entra in camera, e sono pronti per andare a letto, e Shane dice quanto sarà bello poter dormire fino a tardi per una volta, e poi Shane si ferma un momento, rendendosi conto di avere un'opera d'arte sul suo letto, oppure, no - No, forse Brendon guarda Shane, pensa, 'Esiste un modo per non sentirmi solo', o forse le due cose succedono contemporaneamente, e il primo tocco, beh, è titubante perché ne è passato di tempo, e sono nervosi, ma i mesi di passione repressa o di nostalgia (da parte di chi?) si scatenano, e la pelle è talmente calda al tocco. E la notte successiva lo fanno ancora. E a Brendon io non devo più mancare. Si rende conto che non gli sono nemmeno mai mancato davvero.
Forse ho perso la mia occasione prima ancora che arrivasse a Bismarck.
"Tu sai niente delle regole dei tour?" chiedo con un filo di voce. Shane scuote la testa e sembra intrigato. Esco una sigaretta. Cerco di tirarmi fuori da queste sabbie mobili. "Te le dico io. Dato che saremo in tour tra qualche mese, queste cose dovresti saperle." Passo in rassegna le mie tasche, ma lui è pronto a tirar fuori dei fiammiferi e ad accenderne uno per me. Io mi avvicino, risucchio il fumo, lo espiro dall'angolo della bocca. Lui spegne il fiammifero sul posacenere. "Grazie." Poggio i gomiti sul tavolo. "Prima di tutto, le droghe e l'alcool sono a discrezione di tutti a patto che, e sottolineo, riesci ancora a fare il tuo lavoro. Se sei troppo fatto per riuscirci, sei licenziato."
"Oh, io non lo farei -"
"Non sto dicendo che lo faresti. Devi solo esserne a conoscenza, e devi farlo sapere alla tua troupe. Sei tu il responsabile per loro."
Annuisce, attento e in ascolto. Docile come un cane. Probabilmente vorrebbe persino prendere appunti.
Succede raramente che un membro della crew sia troppo fatto per lavorare, e una volta ci ridevamo sopra se qualcuno saltava il soundcheck perché vagava ubriaco lungo i corridoi di un albergo, borbottando in maniera incoerente di essere stato in una foresta di cristallo con delle luci magiche. Non è male avere degli ideali, però. Qualcosa a cui aspirare.
Non penso al nostro Jackie tour e a me che bevo troppo e mi faccio arrestare e scateno liti e incasino tutto. Ma quello era un altro tour con una band che si odiava. Non voglio che succeda ancora.
"Siamo una band in tour, quindi va benissimo che si faccia baldoria, e si farà baldoria, ma solo... tieni la testa a posto. Non andare in overdose. Non andare a letto con un minorenne. Le basi, insomma." Sembra scioccato. Evidentemente non è stato nel nostro ambiente abbastanza a lungo per conoscere le basi. "Ci saranno groupie, ovviamente. Va bene sbattere con loro, è questo che vogliono. Usa un preservativo, però, non sono necessariamente pulite. Non crederci se ti dicono che hanno il diaframma o che prendono la pillola, è il trucchetto più vecchio del mestiere per fare in modo che restino incinte." Schiaccio la mia sigaretta sul posacenere. Mi vengono in mente le parole di Keltie, riguardo al fatto che io fumo quando sono nervoso. Stronzate. Non c'è nessun collegamento. "E i partner rimasti a casa... restano a casa." Emetto un sospiro pesante. "La regola dei tour più vecchia è che non conta come tradimento quando scopi con qualcun altro in tour. Hai il permesso. E nessuno è sufficientemente stupido da raccontare niente dell'accaduto a chi è che ti sta aspettando a casa."
"Fortuna che Brendon viene in tour con noi, allora," ride nervosamente, come per rompere il ghiaccio. "O che io sarò in tour per tenerlo d'occhio." Sta tentando di trasformarla in una battuta, ma ha ragione. Se vuole mantenere Brendon nella sua vita, deve continuare a tenere Brendon costantemente sotto controllo.
Lo fisso con calma. "Pensi che lui ti tradirebbe?"
Sembra offeso. Lui non può essere quello giusto per Brendon. Non può esserlo se non riesce neanche a vedere ciò che ha dritto davanti agli occhi: me. Il modo in cui guardo Brendon. Jon ha detto che ce l'ho scritto in faccia, e Jon ha detto che Brendon mi guarda diversamente rispetto a Shane, e se Shane non riesce a vederlo a questo punto, se non riesce a percepire la tensione ogni quando Brendon e io siamo insieme nella stessa stanza, allora non conosce Brendon affatto, non riesce a decifrarlo, o riesce a decifrarlo ancora meno di me, e lui non si merita Brendon, lui non si merita di essere l'uomo che può portarsi Brendon a casa.
Vorrei dirgli, 'Offenditi, avanti. Offenditi. Non è niente a confronto della confusione e del senso di perdita che sento io.'
"Ascolta, quello che sto cercando di dirti è che tu andrai in giro con quella troupe, e succederà parecchia merda che non può starci su quel documentario, d'accordo? Tipo le droghe. E le ragazze minorenni con cui Gabe andrà a letto. Tu assicurati di non filmare queste cose neanche accidentalmente." Annuisce coscienziosamente, tutto serio. "E Keltie non verrà in tour, lei ha le sue esibizioni a cui pensare. Ma a me importa di lei. Non vorrei ferirla. E quindi, quando mi vedrai andar via con delle donne, tu assicurati che nessuno stia registrando. Non voglio che nessuno faccia domande stupide." Mi gratto il collo, le parole ora si assemblano nella mia testa, e faccio un tiro della sigaretta e prendo un sorso del caffè tiepido. Questa parte non diventa mai più facile. Questa parte mi fa martellare il cuore come quello di un qualche minuscolo roditore ogni maledetta volta. "E a volte... a volte, mi vedrai andar via con degli uomini invece. E tu non devi prestare alcuna attenzione neanche in quel caso."
Shane scoppia a ridere, gli brillano gli occhi come per dire questa sì che è bella. Io lo fisso con aria assente. Io scopo con gli uomini. Io scopo con il suo fidanzato.
"Oh, andiamo. Pesce d'aprile è stato la settimana scorsa," dice, con un sorriso sbilenco. Sembra toccato che io abbia deciso che l'omosessualità sarebbe stata una bella battuta, come se fosse un accenno a lui. Bevo un lungo sorso del mio caffè e apro di nuovo il mio taccuino, trovo una pagina vuota e scrivo un altro po' di parole che mi vengono in testa. Sento i suoi occhi su di me, e riesco a vedere nella mia testa come la sua espressione facciale cambi da divertita a scioccata, le sue pupille si dilatano, forse spalanca persino la bocca. "Tu dici... tu dici sul serio."
"Non sei un gay omofobo, vero?" chiedo con incredulità, aggiungendo velocemente, "Io non sono un frocio. Vado semplicemente a letto pure con gli uomini. Ho pensato che sarebbe stato meglio che tu lo sapessi. E in tour, beh, c'è l'imbarazzo della scelta." Mi sento la nausea. "Immagino che sarò piuttosto occupato."
Corpi senza faccia, senza nome, giovani donne con fighe strette, ragazzi vergini con culi stretti. Corpi. Carne.
"Ho bisogno di un bicchiere d'acqua," Shane annuncia, la sua faccia è di un bianco cadaverico. Si alza rapidamente e si affetta verso il bancone. Beh, questa sì che è una reazione nuova.
Costringo tutto il vortice di rimorso e di malinconia in quella spezzata, patetica parte di me che si sta riversando sulle pagine del mio taccuino, e cerco di concentrarmi. Shane è il mio avversario. È il nemico. Se non ci fosse stato lui, a incasinare tutto per me, Brendon sarebbe mio adesso.
Posso lavorarci su. Trasformare Shane in un'arma. La mia prossima mossa. Una volta ero talmente bravo in materia, ma ora non faccio altro che compiangermi come se in qualche modo questo mi farà sembrare l'opzione migliore. Shane ringrazia Eleaoner per il bicchiere d'acqua e io mi ricompongo e mi dico di tirare fuori le palle cazzo, e quando torna a sedersi, mi sento... più leggero. Più calmo.
Più freddo.
"Va tutto bene, Valdes?" chiedo, e lui annuisce frettolosamente, trangugiando l'acqua. "Sembri un po' sorpreso."
Lui ride come per dire 'oh cazzo tiratemi fuori di qui', cercando di evitare il contatto visivo. "Sì, ehm. È solo che. Non mi sarei mai immaginato che tu fossi... cioè. Tu sei. Cazzo, tu sei Ryan Ross. Sei - sei famoso, tutti ti conoscono, e uno si - uno si immagina che qualcosa del genere non possa essere tenuta. Segreta. O, cioè. Che ci sarebbero pettegolezzi in giro o... Ma cazzo, io non ne avevo la minima idea."
Lascio cadere il mozzicone della mia sigaretta in quello che rimane del caffè. Emette un suono sibilato mentre affonda. È quello il punto. Che nessuno ne ha la minima idea. Non posso andare in giro ad ammettere che io ho, beh, provato a succhiare un cazzo.
Eleanor è poggiata al bancone. Pare che stia provando ancora a fare un cruciverba. Ho bisogno di venire qui più spesso. Canticchia la canzone alla radio, e mi sento come se avessi dieci anni e Jackie stesse dormendo sulle mie cosce, a guaire durante i suoi sogni da cane, e riesco a sentire il canticchiare dalla cucina dove mia nonna che non è mia nonna sta lavando i piatti, mentre io cerco di ricordare che sette per otto fa cinquantasei. Ecco perché vengo in questo caffè. Per le frazioni di secondo in cui la presenza di questa donna mi ricorda quella di qualcun altro.
Pare che Shane Valdes non sia mai stato più scioccato di così in vita sua.
"Sono discreto. Ecco perché," dico. "Perciò non dire niente a nessuno di tutto questo, d'accordo?"
"Sì. Certo."
"Dico sul serio. Nessuno."
Lui annuisce in tutta fretta. "Nessuno."
Lui mi manca più di quanto riesca a sopportare.
***
"Perché mai lo hai detto a Shane?!" Brendon chiede, alzando la voce o perché è arrabbiato o perché deve sovrastare il rumore che proviene dalla festa che sta avendo luogo dietro la porta del soggiorno dello studio. La musica è martellante, si tratta di un festeggiamento con la band e il team di produzione, Shane e i quattro membri della troupe stanno chiedendo a tutti la propria opinione con delle telecamere sulle spalle, i cavi vanno zigzagando lungo il pavimento. Brendon è pallido e mi sta urlando contro. "Non la smette di fare domande adesso! Sui Followers e se io mi fossi mai accorto di nulla quando facevo il roadie per voi, se ho mai avuto dei sospetti, ha persino - ha persino chiesto se tu ci hai mai provato con me!"
"Beh, che gli hai detto? Io ci ho... mai provato con te?" Lascio che i miei occhi vaghino lentamente, lentamente sul suo corpo.
"Ovviamente gli ho detto di no, ho mentito spudoratamente. Che pensavi?" chiede. Ha paura. È teso. Mi domando se sia successo come me lo sono immaginato, Shane che spalanca la porta urlando, 'Ryan si scopa gli uomini!' E in quel momento, Brendon seduto lì sul divano di casa loro, con gli occhi strabuzzati, avrà pensato, 'Oddio. Ryan l'ha detto a Shane'? Forse. Brendon sembra profondamente scosso, e forse ha davvero pensato che io sia andato dalla sua dolce metà e che abbia detto a Shane esattamente perché lui e Brendon sono stati distaccati questo inverno. "Dio, non avresti dovuto farlo. Io non so cosa dirgli. Non so cosa - Cazzo, perché l'hai fatto?"
"Per via del tour. Il documentario." Mi lecco leggermente le labbra. "Gli uomini che mi scoperò."
Lui emette un profondo respiro innervosito e incrocia le braccia, forse un segno d'irritazione. Chissà? Guardo i muscoli dei suoi avambracci, il modo in cui sono pronunciati attraverso la pelle. La maglietta è grigia. È nuova. Poggia la schiena contro il muro dell'ampio corridoio, progettato con in mente il trasporto di strumenti e altra attrezzatura, e il suono di risate fa eco dalla festa. Guardo dalla parte opposta, verso la porta a due battenti che conduce alla reception. Non voglio stare qui.
"Hai appena reso tutto più difficile," sospira, e vorrei chiedergli in che modo esattamente sarebbe stato mai facile. "È stata una stupida mossa."
"Beh, ormai non può esattamente non saperlo, no? Ho fatto ciò che dovevo fare."
"Per il documentario."
"Esatto," mento.
Mi guarda con quella che potrebbe essere delusione. Non voglio stare qui a farmi esaminare da lui, perché vada a scovare un altro milione di ragioni sul perché io sia un fallito. "Ti sei spiegato a sufficienza. D'accordo?" chiede a bassa voce. Mi sono spiegato? "Non rispondi alle mie chiamate, mi eviti... I tuoi programmi per il tour. Suppongo che hai chiuso con me. Visto che vuoi farti tutti questi altri uomini invece." Il suo tono è di sfida. Io non abbocco. Impreca sommessamente, con la mascella contratta. "Mi dispiace. Okay? Quando tu - Quando tu sei venuto nel nostro appartamento, quella è stata una- una situazione strana per la quale nessuno di noi era preparato. Non l'abbiamo gestita benissimo. È stata una cosa stupida, e dovremmo dimenticarcene. Ritornare a com'era prima."
"Com'era prima?" faccio eco. Ma com'era prima le cose non funzionavano. Di questo lui non se ne rende conto?
"Sì. Prima di Bismarck e di tutto quanto. Le cose andavano molto bene tra di noi, ricordi?"
Ricordo. Andavano in maniera fantastica. Noi eravamo fantastici.
Shane pensa che si siano riconciliati da allora. Non so se è questa la ragione per cui pare che Brendon e io siamo a miglia di distanza l'uno dall'altro. Brendon non ne ha fatto parola con me, nemmeno quando sono tornato da Bismarck e noi abbiamo ripreso a vivere il nostro sogno a occhi aperti: mangiavamo il gelato a letto, ci godevamo una chiacchierata sulla musica dopo l'orgasmo, chiamavamo il servizio in camera per avere un po' di vaniglia da aggiungere al cioccolato, ridevamo mentre io gli davo un bacio con la bocca piena di gelato. Volevo disperatamente fingere che nulla fosse cambiato. Riuscivo a percepire i suoi sensi di colpa - stavano penetrando il nostro mondo, invadendo la nostra bolla. Lui si staccava da tutti baci troppo in fretta.
Non ha mai detto una parola riguardo a lui e a Shane e ancora non ha evidentemente intenzione di farlo.
"Dobbiamo solo essere più cauti," dice lentamente. "Shane sta prestando attenzione adesso."
"Ritornare a com'era prima ed essere più cauti," ricapitolo le sue parole.
Vuole andare indietro nel tempo. Prima che gli dicessi quello che provo. Prima che gli dicessi che so che lui non vuole prendere atto di quello che provo.
Si tratta di due occasioni distinte che sta scegliendo di ignorare. Negare, negare, negare. Diamine, l'abbiamo già fatto in passato. Ho fatto esattamente questo in passato, e Jac, dio, Jac tra tutti mi viene in mente, seduta in un bar con me, gli occhi sospettosi rivolti a me - 'Non sei innamorato di lui, vero?' No. No, no, no. Ero così bravo a farlo. Ero bravissimo, cazzo.
Se ci sono riuscito una volta, ci posso riuscire ancora.
"Vieni a qualcuno dei concerti dei Led Zeppelin questa settimana?" chiede lui, e sì, dimenticavo, che lui e il suo team passeranno le prossime sette serate ad accertarsi che i camerini di Madison Square Garden siano forniti di abbastanza birre e panini. Il suo gran finale. Sta mollando tutto per il progetto del documentario: si è licenziato dal suo lavoro al locale per venire in tour, avrà almeno rimandato l'effettiva offerta di lavoro fatta dalla compagnia di promozione ora che il suo tirocinio sta per finire. Non so se dovrei sentirmi sorpreso del fatto che vogliono continuare a impiegare Brendon. Chi non lo farebbe?
"Prima o poi, sì. Per vedere come se la passa Bonzo," dico, alzando le spalle.
"Sì? Perché in quel genere di concerti le cose possono dilungarsi facilmente, e, beh, per me è facile sparire per qualche ora prima di tornare a casa, perciò..." Lascia la frase a metà, invitandomi nuovamente nel nostro letto. Non so se sono pronto per andare lì con lui. Quando non dico niente, c'è un pizzico di irritazione sul suo viso. "Andiamo. È stupido litigare per questo."
Mi sposto i capelli dalla fronte, evitando il contatto visivo. "È stupido?"
Lui non dice niente, ma il suo tentativo di un caldo sorriso svanisce.
La porta della reception si apre, e la receptionist il cui nome non mi sono preso il disturbo di imparare sembra sollevata nel vederci. "Signor Ross," dice. "Ho provato a chiamare in soggiorno, ma non credo che riescano a sentire il telefono lì dentro. C'è la signorina Colleen in linea che l'aspetta."
Mi sento subito più all'erta. "Collega la chiamata alla sala controlli," richiedo, e lei annuisce, affrettandosi per eseguire gli ordini. Le labbra di Brendon si sono contratte, ma non dice niente. Non voglio concludere questa conversazione. "Dovresti unirti alla festa prima che Shane si accorga della nostra assenza con le sue abilità recentemente acquisite di osservazione e deduzione." Il sarcasmo è pesante tanto quanto un cuore di ferro. "Devo rispondere a questa chiamata."
I suoi occhi scattano sulla porta della sala controlli lungo il corridoio. "A quanto pare voi due vi state lasciando."
"E questo chi diavolo te l'ha detto?" chiedo, e lui si stringe nelle spalle con disinvoltura. A lui non importa. Evidentemente. "Non credere a tutto quel che senti," dico e mi avvio verso la porta dello studio, forse voltandogli le spalle con un pochino di atteggiamento ribelle. Lui non rimane nei paraggi, e non mi dice di fermarmi mentre i suoi passi vanno nella direzione opposta, verso il soggiorno.
Il rumore della festa sparisce dietro i muri e le porte dello studio, e io accendo la luce della sala controlli. Un microfono solitario si trova dall'altra parte del vetro, l'oscurità inghiotte tutto il resto dell'attrezzatura nella sala d'incisione. Mi siedo sulla sedia di Bob vicino al mixer e sollevo la cornetta del telefono dove una luce rossa sta lampeggiando. "Keltie, ehi."
"Ehi." Il suo tono è ufficiale, privo del solito calore e della sua cordialità. Mi sento sollevato e triste e solo e felice tutto in una volta. Lei mi ha fatto stare male. "Non rispondevi a casa, perciò ho deciso di provare a chiamare lo studio."
"Sì, siamo tutti qui a festeggiare. L'album è pronto."
"Davvero? Wow."
"Già, l'abbiamo chiamato Wolf's Teeth. Il nome l'ho scelto io, a dire il vero."
"Suona violento."
"Lo è."
"Beh, congratulazioni."
Sento voci femminili dall'altro capo del telefono e immagino che stia chiamando dallo studio di danza. È lì che ho provato a chiamare, soprattutto, bombardando la segretaria Penny con messaggi per Keltie. Lei non si fa sentire da più di una settimana, nonostante i miei sforzi.
"Sai che ho provato a chiamarti."
"Lo so."
Oh. Beh. Suppongo che non risponda alle mie chiamate perché è quello che ho fatto io con lei. Per vendetta. Davvero intelligente. O solo una crudele punizione.
"Allora come stai?" chiedo, premendo distrattamente dei tasti sul mixer.
"Non bene, Ryan." Sospira, suona afflitta, e io la rispecchio con ogni fibra del mio essere. Neanch'io sto molto bene. No, non sto affatto bene. "Forse dovremmo vederci e parlare."
"Okay. D'accordo." Mi sembra una buona idea. Io le rivolgerò i miei occhioni tristi da cucciolo, e lei cederà, e poi almeno una cosa nella mia vita sarà come dovrebbe essere. E ora che l'album è finito, trascorrerò più tempo con lei, giuro che lo farò. La porterò al cinema a vedere quello che vuole lei, l'accompagnerò a quei musical di Broadway a cui non siamo mai andati, sarò più presente, perché lei non c'è stata per una settimana e questo mi ha costretto a passare troppo tempo da solo. Io non sono di ottima compagnia. "I fiori ti sono arrivati?"
"Sì, mi sono arrivati i fiori. Grazie."
"Sono girasoli. I tuoi preferiti."
C'è una lunga pausa in linea durante la quale mi domando se lei sia ancora lì. Quando parla di nuovo, il tono calmo di prima è svanito. "Non sono i miei preferiti."
"Oh, andiamo. Sì invece. Ricordi quando siamo andati in quel ristorante italiano a San Diego? C'era un girasole per ciascun tavolo, ma tu li volevi tutti, così ho detto alla nostra cameriera di rubare i fiori degli altri tavoli. Tu indossavi quel tuo cappello che ci si abbinava." Il ricordo è uno di quelli piacevoli, mi fa sorridere. Abbiamo parecchi bei ricordi, io e Keltie.
"Ryan, io non sono mai stata a San Diego!" esclama con rabbia, ma c'è stata, so che c'è stata, eravamo entrambi lì, e - Oh. Oh merda. "Oddio, mi stai confondendo con Jac, vero?"
"No!"
"Un cappello con un girasole?"
"Keltie, piccola -"
Riaggancia. Tolgo la cornetta dall'orecchio e la fisso inorridito, e un'onda di rabbia mi travolge all'istante. "Cazzo!" Impreco e getto la cornetta contro il vetro dello studio, ma produce soltanto un tonfo rumoroso e finisce sui pulsanti. Ne esce fuori un 'tut, tut' fino a quando è tutto ciò che sento. Jac è bionda, Keltie è bionda, sono stato in dei ristoranti con entrambe, era uno sbaglio dannatamente facile da fare. Cazzo. Cazzo! Io ci provo, ci provo davvero cazzo, ma cosa ricevo in cambio dei miei sforzi? Niente. Nient'altro che tanta merda buttata addosso. "Fottutissimo pezzo di merda," impreco, e forse quelle sue amiche pettegole hanno ragione. Forse sono il peggior fidanzato di questo maledetto decennio.
Metto giù la cornetta, la rialzo e chiamo lo studio di danza, il numero lo so a memoria ormai.
Non risponde nessuno.
***
Avevo intenzione di andare prima ancora di sapere che la compagnia di promozione di Brendon fosse coinvolta nella serie dei sette concerti tutti esauriti al Madison Square Garden. Mi sono sentito obbligato, in realtà, dopo che ho frequentato le stesse cerchie di Bonzo a Londra nel 1975. Non mi aspettavo che Brendon avesse nulla a che fare con questo tour: la sua compagnia di promozione si occupa di artisti sconosciuti in piccoli auditorium. Beh, i Led Zeppelin sono abbastanza famosi perché delle compagnie più piccole vengano assunte per dell'aiuto extra.
La zona del backstage è enorme, la band è sul palco, e le probabilità di vedere Brendon da qualche parte sono limitate. Bene. Perché credo che lui avesse ragione, ironicamente: spazio. Ne ho bisogno in questo momento. Ne ho bisogno perché lui mi sta confondendo di brutto le idee, e non posso stargli attorno quando mi sento così. Vuole fare pace. No, vuole dimenticare e far finta di niente, e si aspetta che io faccia lo stesso.
In questo momento, per me forse è meglio evitare che lui mi incasini la testa.
Gabe è su di giri, vuole che lo presenti alla band. Io conosco solamente Bonzo, una volta ho incontrato Robert, una volta ho stretto la mano a Jimmy, e non ho mai parlato con John Paul. Mi sono preparato a una serata di alcool in eccesso perché è ciò che piace fare a Bonzo, e lo apprezzo per questo.
"Vicky dice che noi suoneremo qui," Gabe urla tra una canzone e l'altra, e io guardo dalle quinte verso l'arena. Questo posto era il sogno di Pete: ventimila persone. Era questo che voleva per i Followers. Noi saremmo arrivati qui. Ce l'avremmo fatta.
Il pubblico è più grande di quanto lo sia mai stato un pubblico dei Followers. Mi ricordo di quando tremavo e mi agitavo e crollavo alla vista di audience grandi la metà di questa. Guardo la massa di gente, che svanisce nel nero, e anche se le luci fossero state accese, le persone in fondo sarebbero apparse comunque come meno di minuscole puntine di colore. Non mi sento intimidito da loro. Non sento di dover più provare nulla. Non sto dicendo che i fan che gridano il mio nome non hanno più effetto su di me, è ancora così, ma non sono più terrorizzato che possano riuscire a capirmi. Loro ci provano, ci provano davvero tanto, ma finora solo una persona ci è mai riuscita, e quindi la percentuale tende a essere a mio favore.
Gabe applaude con entusiasmo quando Robert urla nel microfono, con la camicia aperta, i jeans a vita bassa, i ricci disordinati gli arrivano sotto le spalle. Finisce sul pavimento del palco, urlando ancora la stessa nota, e io sento l'odore di sudore dalle quinte del palco. I ricordi dei Followers mi tornano in mente, ma non mi tormentano, forniscono solo un contrasto con ciò che voglio adesso: stessa intensità senza la teatralità.
Quando termina il concerto, una folla intera è in attesa della band accanto al palco. Bonzo mi vede subito, mi saluta calorosamente, e Gabe sfoggia il suo ghigno pieno di fascino e riesce a conquistarsi la simpatia di Bonzo nel giro di cinque minuti. "Andiamo a ubriacarci stasera, ragazzi," Bonzo ci informa con un largo sorriso. "Berremo finché non moriremo."
"Allora siamo d'accordo!" Gabe dice, e mentre Bonzo sparisce per farsi una doccia e cambiarsi, Gabe e io socializziamo nel camerino, le groupie ci trovano velocemente. Il loro manager Grant ci raggiunge e mi dice subito che chiunque sia il mio manager fa schifo e che lui può fare meglio di quell'uomo incapace. Quando lo informo che la mia manager è, effettivamente, una donna, lui inorridisce e si lancia in un discorso riguardo al ruolo delle donne come produttrici di neonati e casalinghe, dicendo che quella ragazzina che gioca a fare la manager mi rovinerà la carriera e che dovrebbe stare in cucina a cucinarmi i waffle e poi a succhiarmi il cazzo in camera ogni notte. Vicky avrebbe già dato a Grant cinquanta pugni di tipo diverso a questo punto.
"Ryan, almeno lascia che ti offra il pranzo qualche volta," Grant propone. "Champagne? Dov'è - Dio, lo portate un po' di champagne?" urla ad alta voce, facendo schioccare le dita. "Qualcuno mi sente?!"
È proprio in quel momento quando ho abbassato la guardia che appare Brendon, con una bottiglia di champagne in una mano, e dei bicchieri nell'altra. "Certo, Grant. Ecco a te."
"Alla salute, Brendon! Si può sempre contare su di te," Grant dice, offendomi un bicchiere. Brendon sorride soltanto con professionalità. I Led Zeppelin si trovano qui per una settimana, questa è la loro terza serata, e pare che Brendon abbia fatto una buona impressione con le sue capacità organizzative dei camerini. Sembra stanco, però. Esausto.
"Ehi, Ryan. Gabe." I suoi occhi indugiano su di me. Vorrei non aver bevuto niente perché il mio giudizio non è molto affidabile quando sono sobrio, figuriamoci con dell'alcool che mi scorre nel sangue.
"Bren, come va?" Gabe chiede, già piacevolmente ubriaco.
"Voi vi conoscete? Caspita, New York è piccola," Grant ride, sollevando adesso il suo bicchiere di champagne e bevendolo avidamente. Noi alziamo soltanto le spalle invece di giocare al gioco di chi conosce chi e come.
"Che piani avete per stasera?" chiede per fare conversazione.
"Usciamo per ubriacarci, sballarci e scopare," Gabe riassume sgraziatamente, ma sì, pare che ci sia questo sull'agenda. Io potrei essere single per quel che ne so. Keltie non ha risposto nemmeno a una delle mie ulteriori telefonate. Ha alzato la cornetta ieri, accidentalmente, forse pensava che fosse sua madre, e abbiamo solo finito col litigare e urlarci contro al telefono, io perché sono arrabbiato e spaventato, lei perché è arrabbiata e ferita. Le ho detto che lei esige troppo ed è sempre in cerca di attenzioni, credo, non lo so, volevo solo dirle di smetterla di fare la stronza una volta per tutte, e l'ho fatta piangere, pure, e le sue parole prima di riagganciare sono state, 'Tutto quello che ho cercato di fare è stato essere il tipo di fidanzata di cui hai bisogno'.
Aveva ragione. Ecco perché lei ha sempre allentato la presa con me. Non perché lei non volesse starmi più vicino ma perché sapeva che io non lo volevo. Lei stava aspettando che io le dicessi che adesso voglio che lo faccia.
Brendon dice, "Divertitevi, allora. Noi termineremo qui dopo che voi sarete già usciti e andati in giro per locali." Qualcuno lo chiama, e lui ci rivolge un sorriso dispiaciuto. Mi sfiora un fianco mentre se ne va, la sua mano tocca brevemente il mio addome, e le mie budella fanno un salto mortale. Ho praticamente i brividi, la sensazione del suo tocco si diffonde dalle dita dei miei piedi fino alla cima della mia testa, e prendo un respiro tremante e mi concentro sul sembrare come se non fosse successo un bel niente.
Lui potrebbe sparire stanotte. Mi ha detto che avrebbe potuto farlo, e questo lo sapevo quando sono venuto qui, ma mi sono detto che non l'avrei visto. Fingendo di non sperare neanche di vederlo. E non so se la sua offerta sia ancora valida perché tutto è così incompleto tra di noi. Ma no. No, non ho intenzione di svanire nella notte insieme a lui stasera, non fino a quando non siamo d'accordo su come stanno le cose.
Cambierà idea. Vedrà le cose dal mio punto di vista. Devo solo sfinirlo, ecco tutto. L'ho già fatto prima.
"Prendi il mio biglietto da visita, almeno," Grant dice poi, e io l'accetto per cortesia, infilandolo nella tasca della mia giacca, ma non vuole entrare all'inizio, il passaggio è bloccato, e tiro fuori un pezzo di carta mentre Grant e Gabe discutono dei locali di New York.
Apro il pezzetto di carta strappata, mi aspetto di ritrovarmi davanti la mia grafia disordinata e un qualche testo mezzo finito di una canzone, ma non sono io lo scriba dietro al biglietto. Leggo il breve testo e poi alzo lo sguardo, sorpreso, cercando di trovare Brendon da qualche parte nel camerino, ma non è nei paraggi. Il suo passarmi accanto è stato ancora più intenzionale di quanto pensassi.
"Ryan, tu vieni?" Gabe chiede, facendo cenno che adesso ce ne stiamo andando. Piego rapidamente il biglietto e lo infilo in tasca, annuendo in fretta. Sì. Vengo. Certo.
Ma vedo il testo quando chiudo gli occhi, semplice, doloroso e decisamente troppo invitante: Ti aspetto all'Hotel Chelsea. Mi manca la tua pelle.
Non ci andrò. No. Non lo farò.
***
Il quadro d'insieme dei versi viene finalmente messo a fuoco alle tre e mezzo del mattino. Sapevo che fossero tutti collegati in qualche modo. Trovo una penna e un block notes, guardo le parole scarabocchiate sul quaderno, e tutto si riversa fuori da me all'improvviso, inaspettatamente, e se a un certo punto mi fermo, mi basta semplicemente posare lo sguardo sul letto dell'albergo dove sta dormendo Brendon. Le lenzuola rosse sono appallottolate ai piedi del letto, e lui mi dà la schiena, mezzo sdraiato a pancia in giù. La sua pelle sembra dorata nel bagliore che proviene dalla lampada vicino alla mia sedia e dalle luci della città che entrano dalla finestra. Riesco a sentirlo respirare. Ritmicamente. Dolcemente. Come musica.
La sua spina dorsale si incurva, il suo corpo si assottiglia dalle spalle alla vita, poi sporge in fuori all'altezza del bacino, come un'onda che percorre il fianco della sua figura sinuosa. Il suo sedere è pallido ma comunque leggermente rosa, l'impatto del mio corpo contro il suo ha lasciato dei segni.
Non sarei dovuto venire qui.
Sorseggio il mio Scotch, cercando di liberarmi del suo sapore in bocca. Non perché sia spiacevole ma perché mi riempie di contentezza e di uno scopo e di quella cosa che lui non vuole sapere. Quella cosa che non ha bisogno che io provi.
Lui mi stava aspettando. Come aveva detto che avrebbe fatto. Era appena uscito dalla doccia, con l'odore della sua colonia al muschio, e io sono stato suo non appena ho messo piede in camera. Ha detto, "Dimentichiamocene e basta," ad un certo punto in mezzo ai baci e alla rimozione dei vestiti, ma non abbiamo affrettato le cose. L'abbiamo fatto lento e duro. E io non gli ho risposto, non ci ho nemmeno provato perché mi sentivo troppo smarrito.
Avevo abbandonato Bonzo e Gabe prima ancora di aver bevuto due drink. Ho inventato una scusa. Loro non hanno prestato molta attenzione.
I miei occhi ricadono su una pagina nuova, con il logo dell'Hotel Chelsea nell'angolo in alto a destra, un'altra strofa mi esce di getto, e il ritmo è nella mia testa. Riesco a sentirne le note. Non se ne andrà via. Questa canzone.
Lui era il peccato fatto persona mentre lo guardavo. Sotto di me. Con la bocca aperta, con dei gemiti più che sconci e più che erotici che gli scappavano dalle labbra gonfie, tutto caldo e mascolino e "Ryan, dio, Ryan," e io ero in attesa che gli sfuggisse accidentalmente un altro nome che però non è mai arrivato. Le sopracciglia aggrottate, le pupille dilatate che mi fissavano attraverso occhi socchiusi, le guance arrossate, il suo viso pervaso dal piacere. La sua mano era scesa tra di noi, le sue dita toccavano il punto di connessione, dove spingevo dentro di lui. Le sue dita erano distese lì, il mio membro tra il suo dito indice e medio, come se dovesse localizzare da dove provenisse tutto il piacere.
Si agita nel sonno. Si sdraia di schiena. Non so cosa stia sognando, ma ha il cazzo mezzo duro, poggiato sulla parte inferiore dell'addome. Si allunga per toccare l'altra metà del letto. La mia metà. La metà di Shane. La sua mano percorre le lenzuola, ma non trova niente. Mi aspetto che si svegli. Che l'assenza inneschi un allarme nel suo subconscio.
Non succede.
Ovvio che non succede.
Ricade in un sonno profondo.
Quando ho raggiunto l'orgasmo, non è stato lo stesso. Non sembrava che significasse tanto quanto prima, e penso che avrei provato lo stesso anche senza il preservativo. Ne aveva comprati un pacco. Evidentemente sapeva che avrei finito col venire qui. Ha detto soltanto che il preservativo facilita a ripulire il tutto. Ora che dobbiamo essere più cauti. Così l'ho messo. Ce l'avevo duro, ero sopra di lui, certo che l'ho messo se significava poter stare dentro di lui. Ma non ho potuto marchiarlo. Né possederlo. Mi sono sentito un fottuto turista.
Lo sperma bianco che si era accumulato all'estremità del preservativo è stata una vista inconsueta. Con le donne, è diverso, la piccola emissione di sperma è un congratulazioni per non esserle venuto accidentalmente dentro, significa che hai fatto un buon lavoro. Non stavolta. Non con lui. Io voglio venirgli dentro, voglio toccarlo lì dopo che ho finito, sentire le dita bagnate dal lubrificante e dal mio sperma, baciarlo, pensare che è quello il momento in cui lui è al massimo della sua bellezza. Perché è così.
Togliermi il preservativo è stato come scusarsi.
Si è addormentato in fretta. Ha detto, "Non farmi addormentare," rannicchiandosi al mio fianco, stanco, sfinito, con la bocca gonfia e rossa, e io continuavo a baciarlo. Cercando di trovarci più significato di quanto lui fosse disposto a dare.
Lo lascerò dormire.
È in pace. È stanco. Si sta ammazzando di lavoro.
Lo lascerò dormire.
Giro pagina. La tensione si accumula nel mio stomaco, tensione e sconfitta e nostalgia. Come fa a dormire nel mio letto, e allo stesso tempo farmi sentire come se non lo vedessi da anni?
Il suo petto sale e scende. Lo guardo, incantato. Questa potrebbe essere l'ultima volta che lo vedo così. Questa potrebbe essere l'ultima volta che io e lui veniamo in questa camera.
Non appena il pensiero mi entra in testa, scoppia in me una paura paralizzante, e finisco il mio Scotch, con le dita che tremano. Questi giorni non dureranno. Lo so. Me lo sento. Come un cane che sa di stare per morire, con quella stessa convinzione mi rendo conto che queste notti rubate si estingueranno. Forse non sarebbe mai durato. Non quando lui sta tracciando dei confini ai miei sogni.
Il mio respiro inizia ad accelerare. Guardo gli appunti. Le lettere sono sfocate. Chiudo gli occhi, mi asciugo le guance, e cerco di mettere a fuoco la pagina. Ma non ne verrà fuori nulla, non verrà fuori nulla da tutto questo.
Poso il block notes sul tavolino e mi alzo. Cerco di muovermi silenziosamente. Non voglio svegliarlo. Nessun altro a questo mondo lo lascerebbe dormire, ma io sì. Lo lascerò sempre dormire.
La sua giacca è stata lanciata sopra al divano nella stanza principale. Mi siedo lentamente, facendo tutto come se un secondo ne richiedesse cinque, e trovo il suo portafogli in una delle tasche. Dieci dollari in contante. Uno scontrino della tintoria. Carta di credito, carta d'identità, niente di interessante. Guardo dentro a una delle tasche più piccole, le punte callose dei miei polpastrelli sentono gli angoli spigolosi di una carta piegata. La tiro fuori. Una foto.
Poggio i gomiti sulle ginocchia, chinandomi in avanti, con la foto tra le mani. Shane. Nient'altro. Non è neanche una foto bella di Shane, o di Shane con qualcosa di interessante nello sfondo. Soltanto Shane. Che sembra un po' stupido e sfocato. La giro dall'altra parte. Mi ritrovo nuovamente davanti la grafia di Brendon, e pare che io non sia l'unico che scriva confessioni su qualunque materiale scrivibile sotto mano: 'Il primo giorno nella nostra nuova casa. Il giorno più bello della mia vita - 17 aprile 1975'.
I suoni del suo respiro non sono udibili dall'altra stanza. Ho fatto talmente tante cose sciocche in vita mia, ma questa le batte tutte. Sono stato così idiota. Sono stato così fottutamente stupido.
Lascio il portafogli dentro la sua giacca com'era prima, come se non fosse mai stato toccato nulla. Trovo il resto dei miei vestiti, mi vesto in silenzio, allaccio le stringhe delle scarpe. Lui è addormentato nel nostro letto, e mi abbasso per baciarlo sulle labbra. Si agita leggermente, sento una folata d'aria calda contro le mie labbra asciutte, ma lo tranquillizzo prima che possa svegliarsi, accarezzandogli i capelli morbidi. Ricade nel sonno. Un sonno rilassante. Il mondo in cui tutto è facile.
Mi piacerebbe pensare che esco fuori dalla stanza dignitosamente, senza barcollare e senza cercare disperatamente di respirare. Tengo stretto il block notes, con la testa che gira, il mondo intero che gira, e mi sento così ingenuo e mi sento così male, e l'ascensore ci impiega un'eternità per arrivare al piano terra. Mi asciugo le guance con le maniche.
A distanza di due isolati, individuo una cabina telefonica. Trovo qualche moneta nelle tasche. La receptionist dell'albergo inoltra la chiamata dopo un paio di implorazioni disperate. Il telefono squilla e squilla e squilla, e finalmente Bob risponde con voce impastata, "Pronto?"
"Bob, sono Ryan."
"Ryan...? Sono - Sono le quattro del mattino, io -"
"Ho bisogno che tu venga allo studio. Adesso. Ho bisogno che tu - Bob, c'è una canzone, devo registrarla, devi scendere. Bob, ti prego. Ti prego ascolta. Ho bisogno che tu mi aiuti perché non riesco a farmela uscire dalla testa, e queste parole si stanno riversando, e dio, è così brutto, tutto quanto, tutte le cose che credevo belle, cazzo sono così brutte. Le vedo ogni quando chiudo gli occhi. Sto fottutamente impazzendo, Bob. Mi manca solo quest'altra canzone. Solo quest'ultima canzone, e poi giuro che ho finito. Giuro. Ma se non la tiro fuori, mi ucciderà. Mi sta uccidendo."
"Ci vediamo fuori dallo studio tra mezzora."
"Grazie."
La linea viene interrotta.
***
Quando la trovo, è mattina. Mi fa male la gola per l'alcool, le sigarette e per aver cantato, e mi fanno male le nocche a causa del duro legno della sua porta, ma io busso e busso. Sento come se le gambe non mi trasporteranno oltre, come se avessi usato ogni grammo della mia energia per arrivare fino a qui.
Lei apre la porta, già vestita, con le scarpe, come se stesse per uscire. Mi vede e si blocca, sgranando gli occhi. "Ryan. Mio dio, ma stai -" E poi apre le braccia e mi stringe a sé, e nulla ha senso, nulla, ma mi concentro sulle sue braccia attorno a me, sulle sue parole, "Ryan, baby, va tutto bene, qualsiasi cosa sia, va tutto bene -"
Tremo contro di lei, e lei mi fa entrare nel suo appartamento, chiude la porta, un rifugio, un santuario, una guarigione. Mi zittisce, accarezzandomi i capelli delicatamente, e nascondo il viso nell'incavo del suo collo, sento presto la sua pelle bagnarsi così come sento le mie guance. "Tu mi ami," sussurro, aggrappandomi a lei. "Tu mi ami, non è vero?"
"Certo che ti amo. Ryan, certo che ti amo."
Provo a respirare, provo a non pensare alla luce del sole che avanza lentamente attraverso la camera d'albergo, destandolo dal suo sonno. Mentre va nel panico. Precipitandosi per andare a Brooklyn e stare con lui.
Mi aggrappo al retro della maglietta di Keltie, stringendola a me il più forte possibile. "Mi dispiace così tanto. Solo non lasciarmi. Ti prego, non lasciarmi mai."
E poi le mie gambe crollano, e lei non riesce a supportare il mio peso. Cadiamo in ginocchio, ma lei continua a stringermi.