"Chi è il prossimo?"- chiese Valenti dietro la porta socchiusa.
"Tesoro, va e sta tranquilla, io e Irene aspettiamo qui fuori!"- la incoraggiò Esterina.
Rebecca quindi entrò. "Signorina Vicenti! Speravo che faceste la scelta giusta!"- la accolse il medico. Intanto, un'infermiera bruna stava stringendole il laccio emostatico attorno all'avambraccio. "Aprite e chiudete il pugno"- le intimò - "A quanto pare, avete vene molto sottili e difficili da trovare!"- precisò.
Rebecca fece quanto le era stato chiesto. "Eccola!"- esclamò la donna.
Dopo che tutte le provette furono riempite, l'infermiera sciolse la fastidiosa morsa del laccio, porgendole un nuovo batuffolo d'ovatta e raccomandandole: "Premete per qualche minuto, per evitare gonfiore o ecchimosi!"
"Molto bene Signorina, mi premurerò di farvi avere io i risultati, appena saranno pronti. Ci vorranno alcuni giorni"- precisò Valenti. Fuori dall'ambulatorio, sua madre e la sua migliore amica la guardarono ansiose e incuriosite.
"Rebecca, visto che ti sei tolta il pensiero? Sei più tranquilla ora?"- le domandò Irene.
"Ma sì! Sia quel che sia!"- esclamò lei abbozzando un sorriso, mentre si dirigevano al bar per la colazione.
Nella tarda mattinata Rebecca s'addormentò sul divano, mentre era intenta a rileggere uno dei suoi libri preferiti. La prima lettura de "il ritratto di Dorian Gray" di Oscar Wilde era stata alquanto superficiale: doveva riconoscerlo. Dopo le esperienze con Andrea e Giulio, una più tremenda dell'altra, la ragazza s'era accostata a quelle pagine con un'ottica e una mentalità diverse. Adesso, Dorian combaciava perfettamente con la realtà. Tutti gli uomini, in fondo erano come lui: egoisti, narcisisti, cinici, malvagi!
Un bel giorno, alla malcapitata di turno, sarebbe toccato l'orrore di scoprire la vera natura del giovane che l'aveva ingannata. Un consuntivo di mostruosità che sarebbe apparso quasi fisico. Sì: c'era un Dorian Gray in ogni uomo, pronto al crimine, sia fisico che psicologico. Di questo si convinse la Vicenti, ma una cosa era certa: non avrebbe mai fatto la fine della povera Sybil Vane. Esterina la svegliò per il pranzo, e con sua grande gioia, notò che aveva iniziato a mangiare un po' di più rispetto ai giorni precedenti.
"Mamma, io ho bisogno di muovermi un po': una lunga passeggiata mi farà bene!"- annunciò Rebecca, prima di dirigersi ai giardini, oasi verde da cui potevano trarre beneficio i polmoni, gli occhi e lo spirito. La giovane ci trascorse quasi un paio d'ore, passeggiando e riflettendo. Sulla strada del ritorno, cedette alla golosità, e si fermò in pasticceria a comprare una tavoletta di cioccolato fondente. S'incamminò con fare assorto, tra un morso al fiele dei pensieri e uno alla dolcezza del cioccolato. Immersa nel suo chiuso universo interiore, rischiò di finire sotto le ruote di un veicolo che frenò bruscamente. Il cuore iniziò a batterle così forte, che lì per lì, non ebbe modo di capire se fosse una carrozza o un'auto. Rimase impietrita: non era neanche sicura di aver urlato, ma aveva provato a farlo. Eccome se ci aveva provato. Alzò lo sguardo, e dai vetri della vettura intravide un uomo di mezza età, con i capelli brizzolati, che scuoteva la testa assumendo un'espressione contrariata. Di fianco a lui, una donna elegante, con una elaborata acconciatura. Sul sedile posteriore, sedeva invece un giovane piuttosto ansioso, che stava cercando di scendere, malgrado le rimostranze del padre. Fu lui ad averla vinta. Rebecca fu investita da una potente ondata di profumo maschile che catturava i sensi e che risultava avvolgente come un abbraccio. Il profumo di Andrea e quello di Giulio, erano invece così diversi: artefatti, quasi vomitevoli.
"Signorina? Vi sentite bene?"- domandò il giovane, balzato fuori dall'auto con in mano il suo capello. Indossava un completo blu scuro e aveva una carnagione olivastra. I capelli corvini e lisci, pettinati all'indietro. A colpirla, furono però gli occhi: neri, enormi, limpidi e profondi. Gli fornì la risposta alla sua domanda: "Sì, certo: sto benissimo! Anzi, vi prego di scusarmi per la mia distrazione ed imprudenza!"
Lui le mostrò il suo sorriso perfetto, di un bianco sincero: "Se la giustificazione è il cioccolato, allora credo che debba essere ben accolta"- le rispose strizzandole l'occhio, dopo aver fissato la tavoletta che la ragazza stringeva ancora in mano. Rebecca arrossì, e il giovane stava per muovere le labbra, nel tentativo di proseguire la conversazione.
"Beppe, sbrigati figliolo! Sai che non abbiamo tempo da perdere!"- tuonò suo padre dall'auto. La donna al suo fianco, con una gestualità eloquente, tentava di placarne la rabbia.
"Scusatemi signorina, vi auguro una buona serata!"- la salutò lui, intristendosi.
"Scusatemi voi, piuttosto"- replicò Rebecca.
Il ragazzo risalì in auto, e suo padre, parlando a voce alta, non fece nulla per celare il proprio disappunto: "Ma come ti è venuto in mente di scendere a parlare con quella sconsiderata? Sarà una povera matta!"
Beppe abbassò lo sguardo senza rispondere. Il veicolo fu quindi rimesso in moto, e scomparve alla vista di Rebecca, che tornò a casa con le narici pregne di quel profumo che incuteva quasi paura. A cena, si parlò del più e del meno, e mentre consumavano il dolce, Esterina disse rivolgendosi a Letizia: "Sai che tornano in paese i marchesi Guglielmi? Anzi, può darsi siano già arrivati questa sera, come ha detto a Nadia la fruttivendola"
"Oh, ne sono felice! Sono delle care persone i marchesi Guglielmi! A proposito cara, dovresti conoscerli, sai?"- disse Letizia, rivolgendosi alla nipote.
"Nonna, se dovesse capitarmi di incontrarli non farei certo sfoggio di maleducazione, ma in questo periodo non sono molto di compagnia"- rispose la ragazza.
"Come vuoi cara! Io lo dicevo solo perché credo ti farebbe bene conoscere gente nuova"- spiegò la nonna.
Da quando Rebecca aveva perso la sua bambina, alla sera, la stanchezza e la voglia di rifugiarsi sotto le coperte arrivavano prima per tutte le donne di casa Vicenti. Come di consueto, si spense ogni luce, cessò ogni rumore, si chiusero le palpebre. Le più ritardatarie furono quelle di Rebecca, che continuava a sentire quel profumo, come se qualcuno ne avesse rotta una boccetta sul pavimento della sua stanza. Trascorsero alcuni giorni, fino a quel mattino cruciale! Erano da poco passate le nove: "Signorina, c'è di sotto il dottor Valenti: chiede di vedervi!"- avvertì Nadia. Il cuore della ragazza parve tuffarsi prima nello stomaco e poi risalire, nuotando a grandi bracciate verso la gola.
"Scendo immediatamente"- mormorò a stento.
Non aveva una bella espressione, il dottor Valenti, per niente! Accanto a lui, Esterina e Letizia apparivano ansiose, preoccupate e impazienti quanto Rebecca.
"Buon giorno, signorina Vicenti! Ho qui i risultati delle vostre analisi!" - annunciò il medico, mostrando una busta bianca. Tirò poi un grande sospiro, e socchiudendo gli occhi, continuò: "Infezione luetica!".
Esterina e Letizia impallidirono. La più anziana tra le due donne, fece un segno di croce e portò le mani al petto. A Rebecca invece, quel termine medico, sulle prime non disse nulla. "Infezione luetica?"- ripeté, con il tono di chiede ulteriori spiegazioni.
"Sifilide, signorina! Come saprete, si tratta di un brutto morbo venereo!"- specificò il dottore.
"Significa che mia figlia è condannata a morte?"- domandò piangendo Esterina.
Valenti fornì una dettagliata spiegazione: "Nel caso di Rebecca, fortunatamente no. Può sembrare assurdo, ma anche per quel che concerne patologie molto gravi, ci sono i cosiddetti "portatori sani". Vale a dire, persone asintomatiche, o che sviluppano la malattia solo a livelli quasi del tutto trascurabili, se continuano a essere tenute sotto controllo. Il campanello d'allarme è dato dal sifiloma iniziale, ma, soprattutto nelle donne, individuarlo può rivelarsi arduo. L'infezione ha attaccato il feto nel grembo, e forse è stato meglio così, perché avrebbe potuto essere una severa condanna per quella piccina. Non conosciamo infatti l'entità dei danni che avrebbe potuto provocare, anche a distanza di anni".
"Dottore, ma... eravate stato voi a confermarmi che quei fastidi potevano essere legati alla gravidanza! Continuo a non capire come un morbo tanto crudele possa mascherarsi in questo modo subdolo!"- disse Rebecca.
"Signorina, sapete quale appellativo noi medici abbiamo coniato per questa malattia? "La grande imitatrice", la chiamiamo. È camaleontica, in grado di dissimulare, riproducendo sintomi propri di una vasta gamma di altre patologie!"- puntualizzò Valenti- "Tornando a noi, sarebbe opportuno che vi sottoponeste alla cura mercuriale, e devo avvertirvi che sarà parecchio lunga. Frattanto, non credo ci sia bisogno di ricordarvi di non... relazionarvi intimamente con alcuno, fino a guarigione avvenuta. Ciò che per voi potrebbe essere sanabile, per altri potrebbe rivelarsi mortale, come lo è stato per la bimba che portavate in grembo!"
Il medico le porse poi un foglio: "Qui ci sono i dettagli della cura che dovrete seguire. Vi raccomando di attenervi alle prescrizioni. Ogni tre mesi cercheremo di ripetere le analisi, per monitorare la situazione!"
"Dottore, posso parlarvi in disparte un momento?"- chiese Rebecca, conducendo Valenti oltre l'uscio della porta e poi socchiudendola alle loro spalle.
"Ditemi pure!"-la incitò il medico.
È ovvio che me ne guarderò bene, ma se qualcuno a cui mi relazionassi dovesse contrarre il morbo in forma per così dire "piena", a cosa andrebbe incontro?"
Valenti sospirò: non gli sarebbe piaciuto ciò stava per dire, ma aveva il dovere di spiegarlo.
"Il decorso normale della malattia sarebbe a dir poco tragico! Dopo il sifiloma iniziale, inizierebbero le febbricole altalenanti. Sarebbe poi la volta di ulcere secernenti liquido infetto, che si diffonderebbero in tutto il corpo. Anche quelle guarirebbero in breve tempo. La malattia continuerebbe però a lavorare indisturbata nell'organismo, durante la fase cosiddetta "di latenza". Riapparirebbero le febbri, forti emicranie, disordini allo stomaco, stomatiti e mal di gola. L'ultima fase sarebbe la più tragica: si verificherebbero violenti dolori articolari, soprattutto durante la notte. La malattia aggredirebbe quindi il midollo e insorgerebbero paralisi progressiva, tabe luetica nonché disturbi psichici e comportamentali, che sfocerebbero in veri e propri deliri. Per intenderci, al pari dei matti ricoverati nelle apposite strutture. L'ultima tappa... beh, potete immaginarla da voi!"
Rebecca scoppiò in una fragorosa e insolita risata, che lasciò attonito il Valenti.
"Signorina ma... non ci trovo proprio nulla da ridere, sapete? Non so come spiegarmi questa vostra reazione!"- proruppe il medico sempre più confuso.
"Niente, dottore! Non fateci caso: è una mia reazione nervosa. Ho sempre reagito così agli eventi drammatici, con il riso!"- mentì la giovane. La verità era che pregustava già la sua vendetta, saporita come una di quelle insalate fredde che stuzzicano l'appetito d'estate. Quel morbo era una benedizione, perché le avrebbe consentito di farsi giustizia e di punire quanti più uomini possibile. Oh, sì: si sarebbe divertita un mondo a punire quegli sconsiderati che ragionavano con i testicoli invece che con il cervello.
"Così punirai anche degli innocenti!"- le suggerì la voce della sua coscienza.
"Innocenti? Nessun uomo lo è!"- pensò lei.