- 2 mesi dopo -
"Emma, giuro che se non ti sbrighi questa è l'ultima volta che ti accompagno dal fisioterapista" urla Cecilia dalla cucina dei miei genitori.
"Tanto sarebbe l'ultima volta in ogni caso" le ricordo, entrando nella sua stessa stanza grazie all'aiuto del tutore "e poi lo sai che sono indipendente ormai, tu mi servi solo per la compagnia" aggiungo, prendendola un po' in giro.
Lei sbuffa e ridacchia, prendendomi a braccetto per aiutarmi a camminare.
"Aspetta" dico poi, ricordandomi di non aver preso le chiavi della macchina. Mi stacco da lei e arranco fino alla mia scrivania.
Di certo non sarò io a guidare, purtroppo, ma voglio a tutti i costi che si vada con la mia auto: non voglio che si senta abbandonata nel garage. Afferro perciò le chiavi, nascoste fra le foglie d'alloro della mia coroncina della laurea. Eh già, non sono più una studentessa ormai. Sono ufficialmente laureata!
"Okay possiamo andare" esclamo, aggrappandomi di nuovo a lei.
Mentre usciamo, lancio uno sguardo alla buca delle lettere. Da quando è successo l'incidente, chiamiamolo così, ho ricevuto alcuni pacchi per posta, quasi tutti da parte di Charles. Certo, avrei preferito vederlo di persona almeno una volta negli ultimi sessanta giorni, ma di questo mi lamenterò dopo.
Con stupore, noto un'ampia busta gialla spuntare dalla cassetta. La prendo e la tasto per farmi un'idea del contenuto. Benché appaia piuttosto spessa, sono alquanto sicura che contenga solo fogli.
Guardo perciò il mittente, ma l'indirizzo indicato non mi dice nulla. Rimanda solo a una certa via di Bologna, che credo di non aver mai sentito.
"Andiamo, siamo in ritardo" mi sprona la mia migliore amica, tirandomi verso il garage.
Come al solito, commento mentalmente.
"Come va?" chiede il fisioterapista, dopo avermi tolto finalmente il tutore.
Io muovo con calma la gamba, per testare il dolore e la mia sopportazione. Abbassando lo sguardo sulla coscia scoperta, gli occhi mi si impigliano sulla lunga cicatrice rimasta. Sembra la cucitura ottenuta chiudendo una zip.
Non sono ancora riuscita ad accettarla del tutto: probabilmente è perché non mi sono ancora abituata all'idea di vedermi così.
"Non fa male" commento, alzandomi in piedi lentamente.
"Prova a camminare un po' per la stanza" mi esorta il fisioterapista.
Inizio perciò a muovere qualche passo intorno al lettino e devo dire che non provo alcun dolore, solo un leggero fastidio. Sorrido per lo stupore: è così strano poter camminare senza l'aiuto di qualcuno, delle stampelle o anche solo del tutore.
"Non mi sembra ci siano problemi" commenta lui, guardandomi camminare per il suo studio.
"Sì" esclamo soddisfatta. Se potessi, farei una piroetta per la felicità, ma meglio non strafare.
"Non sforzarti troppo in questo mese. Cammina tutti i giorni ma poco per volta e per qualsiasi problema, contattami il prima possibile" si raccomanda, facendomi sedere.
Io annuisco, continuando a sorridere. Con le dita sfioro la cicatrice.
"E non pensare troppo a lei" aggiunge, notando il mio gesto "non è niente che un tatuaggio non possa coprire. E poi, ti dà un'aria vissuta" continua, porgendomi la cartellina medica.
Io annuisco nuovamente, prima di alzarmi e uscire dalla stanza.
Fuori Cecilia mi accoglie a braccia aperte. Anche lei è felice tanto quanto me di vedermi camminare senza sostegni.
"Emma! Mi ero dimenticata che avessi delle gambe così belle. Sarò costretta a invidiarti di nuovo" commenta, prendendomi lo stesso a braccetto. Ormai è un'abitudine.
Io rido per il complimento, anche se so perfettamente che le mie gambe si vedevano benissimo anche con le stampelle o il tutore. Sono solo i pantaloncini corti che forse attirano un po' troppo l'attenzione. Ma non ha più senso continuare a cercare di nascondere la ferita con tute o pantaloni larghi. Sono così ormai, questo è il mio nuovo essere. E devo imparare ad accettarlo, nonostante tutto.
La sera scelgo di rimanere a casa: non ho molta voglia di andare a festeggiare con Dan e Cecilia, sarei solo la terza incomoda. Preferisco starmene a letto e aggiornarvi sulla mia situazione sentimentale.
Che dire, come accennato prima, sono molto dubbiosa sulla mia relazione con Charles. In questi mesi mi ha scritto quasi tutti i giorni e mi ha inviato tanti pacchettini da ogni parte del mondo in cui si trovava. Sono stati tutti regali azzeccati e scelti con cura, questo lo riconosco. Dovreste vedere l'ultima cartolina che mi ha spedito: si vede la Portofino in riva al mare. Uno spettacolo, davvero! Non avrebbe potuto scegliere foto più azzeccata. Per non parlare poi dei bouquet, dei peluche, delle lettere...
Ma allora perché non è venuto a trovarmi nemmeno una volta? Nemmeno per un giorno, nemmeno per un paio d'ore. Sono stata nei suoi pensieri tutto questo tempo e allora perché non si è mai fatto vivo?
Una parte di me crede sia per la cicatrice: forse non è ancora pronto a vedermi così e teme di reagire in modo avventato e farmi stare peggio. Sa che la ferita è stato un duro colpo per me e immagino non abbia voluto aggravare la situazione. Peccato che io avrei preferito affrontarla insieme a lui questa cavolo di situazione, non a centinaia di chilometri di distanza.
E se infine vogliamo aggiungere la ciliegina sulla torta, indovinate chi è venuto a trovarmi tutte le settimane per sapere come stavo? Già, proprio il ragazzo che mi ha salvato quella sera maledetta, e cioè Matteo.
In realtà non siamo in rapporti invidiabili, so bene di averlo ferito dopo avergli urlato in faccia che non uscirò mai con lui. Però lui continua a esserci e a preoccuparsi per me. Nonostante tutto.
È questo che mi manda in crisi. Io non provo niente per Matteo, ma una parte di me vorrebbe poter essere capace di innamorarsi di lui. E invece ho sempre un pilota per la testa, maledizione! Se solo Charles mi desse un segno, solo uno. Correrei da lui. Per modo di dire, s'intende.
Qualche attimo dopo mi ricordo di non aver ancora aperto la busta che ho trovato questa mattina nella buca delle lettere. Scivolo perciò giù dal letto e vado a prenderla, calibrando con attenzione ogni passo. Dopo averla afferrata, mi siedo alla scrivania, così da avere un supporto più solido del materasso su cui appoggiarmi.
Con cura apro l'involucro giallo e infilo una mano al suo interno. I primi fogli che tiro fuori sono pinzati fra di loro. Si tratta della copia di una mail.
Oggetto: dimissioni volontarie
Dimissioni volontarie? Sbatto più volte le palpebre, incredula. Chi si è licenziato? Scorro velocemente lo sguardo in fondo all'ultima pagina e trovo la firma.
Scarlett Smith
Non è possibile. Scarlett si è licenziata. Questo non è davvero possibile. E può significare solo una cosa: Lewis non ha più una ingegnera di pista.
Il mio cuore perde un battito non appena realizzo cosa potrebbe contenere la busta. Sfilo perciò con una certa fretta il secondo plico di documenti.
Proposta di lavoro da parte di Mercedes AMG F1
Non. Ci. Credo.
Ho come un fremito per l'eccitazione. Sbatto nuovamente le palpebre per guardare meglio e stiro il foglio con le dita. È proprio vero. Ho fra le mie mani il contratto della vita. Ed è per me. Non sono più parole e proposte, è proprio carta vera quella che sento fra le dita.
Sfoglio perciò le pagine, leggendo a grandi linee il contenuto del contratto. Non posso ancora crederci. Mi stanno offrendo un posto da ingegnera di pista. Certo, dovrei fare una stagione affiancata ad altre figure, ma, cavolo, sarei in Mercedes! Il team più ambito dell'intero paddock. Che dico, il team più ambito dell'intero mondo delle corse! E lavorerei con il pilota più bravo in pista, dopo Charles ovviamen...
Sospiro, frustrata. Eccomi qui. Io e il treno che passa una sola volta nella vita, e cosa faccio? Penso a un altro.
Perché mi sono innamorata del mio pilota? Perché sono stata così ingenua? Mi ero riproposta di non cascarci, avrei dovuto evitare di lasciarmi coinvolgere emotivamente e alla fine, come al solito, ho mandato tutti i miei piani all'aria.
Mi lascio cadere sullo schienale della sedia. Mi sento sconfitta. Ho di fronte a me un sogno pronto ad avverarsi, eppure io tentenno. Se solo potessi trasformare questo contratto in uno da parte della Ferrari...
Mi alzo perciò combattuta, consapevole che passerò una nottata in bianco, fra mille pensieri. Proprio mentre mi alzo però, noto un foglio dentro la busta di cui non mi ero accorta.
Lo tiro fuori e lo rigiro fra le mani. È un biglietto scritto a mano. E dice così:
Cara Emma,
ho deciso di lasciare il mio posto come ingegnera in Mercedes. È più giusto così. Per tutti.
Non posso perdonarmi quello che ti è successo, è stata tutta colpa mia. Ho pensato di poterti fregare e alla fine hai pagato tu stessa il prezzo del mio sbaglio.
So che non posso rimediare a ciò che è successo, ma spero che la proposta di lavoro che troverai in questa busta possa essere un buon punto di partenza per tentare di farmi perdonare.
Vorrei poterti incontrare per discutere di persona i dettagli del contratto. Per farlo però, ho bisogno di portarti in un posto, che dovremo raggiungere in aereo, ma che al momento non posso rivelarti. So che forse ti sentirai diffidente leggendo questo messaggio, ma la mail con le mie dimissioni potrà in parte farti capire quanto sono disposta a fare, pur di cercare di rimediare al mio errore.
Ti aspetterò in aeroporto a Bologna lunedì 12 agosto alle 9:00. Se davvero sceglierai di venire, porta con te una valigia con lo stretto necessario, al resto penserà chi di dovere.
So di essere criptica, ma non posso dirti di più.
Spero di vederti lunedì prossimo
Un forte abbraccio
Scarlett