"Pronto?"
chiede Andrea, maledicendosi immediatamente per non aver ignorato la chiamata pur avendo visto quale nome era comparso sullo schermo.
"Ma cazzo pure oggi?"
impreca alzando il tono di voce e tirandosi a sedere, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, per non cedere all'impulso di appendere in faccia al suo capo.
"Senti t'ho detto che nun ce vojo più avè a che fare co' tutta sta merda e te che insisti"
continua poco dopo, opponendosi alle parole di Francesco che, come al solito, non ne vuole sapere di quello che gli altri hanno da dire.
Innervosito si alza dal divano e afferra una sigaretta fumata a metà dal posacenere, accendendola e cercando una scusa, una qualunque, il più velocemente possibile.
"Tanto stasera non posso, c'ho da fa' na roba."
dice alla fine, interrompendo il monologo che proseguiva da un bel po' dall'altra parte del telefono e domandandosi per quale motivo non sia mai stato in grado di inventarsi qualcosa di più convincente.
"E chiedi a qualcun'altro, che cazzo ne so"
continua esasperato, intenzionato a chiudere la conversazione il prima possibile.
"Che n'ce sta un ragazzetto in tutta Roma che può fa' er lavoro mio?!"
domanda buttando fuori il fumo dalle labbra, alzando gli occhi al cielo all'ennesima risposta negativa di Francesco.
"E ho capito Francè ma s... va bene, arrivo"
prova a ribattere, trovandosi però obbligato ad accettare e ad arrendersi a un'altra serata da passare fuori, sotto la pioggia incessante, tra i vicoli e le strade semivuote della periferia.
"Stronzo"
sbotta chiudendo la chiamata e spegnendo il mozzicone di sigaretta, per poi indossare il cappotto ed uscire di fretta, dimenticandosi l'ombrello e, assieme ad esso, la sua idea di trascorrere la sera in tranquillità.
Una volta in strada sale in macchina, si passa una mano sulla fronte per eliminare le fastidiose goccioline di pioggia e mette in moto, con non poche difficoltà.
Non si guarda nemmeno intorno prima di uscire dal parcheggio, per evitare un'eventuale altra macchina.
Vuole solo portare a termine il suo compito, e non pensarci più.
In realtà è da un po' di tempo che non da peso a quello che fa, che non trova più un senso alle sue giornate e alle sue azioni e che si domanda se davvero gli convenga continuare a vivere così.
Per carità, non ha né l'intenzione né il coraggio di farla finita, ma molto spesso si ritrova a pensare che, se qualcuno o qualcosa lo facesse al posto suo, non sarebbe poi così male.
È stufo di svegliarsi sempre con la testa che scoppia per il troppo alcool, è stufo di litigare con tutti e di non avere qualcuno da amare per davvero, è stufo della vicina che lo guarda storto tutte le volte che esce di casa, è stufo di inciampare sempre sulla stessa piastrella del bagno, è stufo delle sigarette che finiscono sempre al momento sbagliato ed è stufo di dover guidare nel cuore della notte, verso chissà dove, solo perché non è stato in grado di cambiare le carte in tavola, sempre le stesse da troppo tempo.
Conosce meglio delle sue tasche i quartieri di Roma, o per meglio dire, la periferia.
In centro c'è stato poche volte, spinto dalla curiosità e dall'amore incondizionato che prova per la sua città, ma resta sempre più capace di elencare a memoria le piazze di spaccio più importanti che i nomi dei sette colli, o di vagare a occhi chiusi per le vie di Tor Vergata, piuttosto che per quelle di Trastevere.
Certo, con tutto sé stesso desidera una vita diversa da quella che gli è stata concessa, ma di sicuro non farà mai parte delle persone che considerano la periferia un luogo dal quale scappare il prima possibile.
"Forse non noto i lati negativi perché ne faccio parte anche io"
riflette ad alta voce, con un po' di rammarico.
Ecco, un'altra sua particolarità è proprio quella di dare voce ai suoi pensieri, cosa che non sempre gli è stata d'aiuto.
A volte è semplicemente troppo impulsivo, mentre in altre situazioni gli viene naturale, forse per spezzare il silenzio che ha attorno, per sentirsi un po' meno solo.
Una volta arrivato al luogo ordinato da Francesco scaccia questi pensieri fastidiosi dalla testa e si appresta ad uscire dalla macchina, non prima di essersi tirato su il cappuccio della felpa e di aver preso tutti i pacchetti di droga da sotto il sedile.
Osserva per un po' la pioggia che si riflette nella luce dei lampioni ma poi, notando che continua a cadere, si arma di pazienza e scende sul marciapiede, evitando per un pelo di inzupparsi in una pozzanghera a lato della strada.
Non appena gira l'angolo diretto al luogo dell'appuntamento, però, si vede costretto a fermarsi.
A pochi passi da lui tre ragazzi sono appoggiati al muro, e sembra che lo stiamo aspettando.
Andrea, come ha imparato a fare negli anni, fa finta di niente e cambia direzione, ma non fa in tempo a raggiungere l'altro lato della via che uno di loro lo chiama, impedendogli di andarsene.
"Fermate"
"Serve qualcosa?"
chiede il biondo con tutta la naturalezza di cui è capace, come se gli avessero appena chiesto di prestargli un accendino.
"Dacce la roba, veloce"
ordina quello più a destra, tendendogli la mano e aspettando impazientemente un gesto che il biondo colto alla sprovvista, sceglie di non compiere.
"Cosa?"
domanda invece, cercando di sembrare completamente confuso, mentre invece sente le gambe e quei tre pacchettini nascosti nella tasca del cappotto farsi sempre più pesanti.
"Non fare il finto tonto, muoviti."
continua lo stesso ragazzo di prima, già spazientito e troppo convinto di non aver fermato la persona sbagliata.
"Non so di cosa state parlando"
dice infatti indietreggiando di pochi passi, giusto per sentirsi più al sicuro, anche se sa benissimo che non è così.
"Senti biondino, siamo tre contro uno. Me sa che nun te conviene"
sbotta un altro dei tre, prendendolo per un braccio e tirandolo verso sé, per non farlo scappare.
Questo gesto brusco e improvviso spaventa Andrea che, abbandonando la poca razionalità di qualche istante prima, tenta nuovamente di liberarsi e di mettersi al sicuro il più in fretta possibile.
Non l'avesse mai fatto: nemmeno il tempo di rendersi conto dell'errore che si ritrova steso con la faccia a pochi centimetri dall'asfalto del marciapiede, con un labbro spaccato, il sapore amaro del sangue sulla lingua e le tasche completamente vuote.
Il biondo, prima di tirarsi in piedi, aspetta che siano abbastanza lontani, per poi passarsi una mano sul viso e cercare di asciugare il sangue, che gli gocciola imperterrito sulla felpa.
In fretta cerca di raggiungere la macchina, guardandosi indietro mille volte per assicurarsi di essere definitivamente solo.
Non appena si trova al sicuro tra quelle quattro pareti di lamiera, però, la paura di venire nuovamente raggiunto lascia spazio alla rabbia e alla frustrazione.
È arrabbiato con se stesso, perché non è riuscito a trattenersi, ed è arrabbiato con Francesco, che si ostina a non lasciarlo libero.
E poi, come se non bastasse, è frustrato per non aver portato a termine l'unica cosa che doveva fare.
Ha paura di quello che il suo capo gli dirà, o peggio, gli farà, non appena scoprirà l'accaduto.
Perché sì, anche se da fuori Andrea sembra il classico ragazzo stronzo e pericoloso, in realtà dentro ha più paura, più dubbi, e più domande degli altri, anche se non lo da mai a vedere.
Lui odia sentirsi debole.
Accompagnato da questi pensieri si ritrova in poco tempo davanti alla porta di casa, con il telefono che squilla tra le mani e il nome di Francesco che illumina lo schermo.
"Andrea che cazzo hai fatto?!"
la voce che odia di più al mondo gli perfora un timpano, senza nemmeno dargli modo di parlare per primo.
"Francè, io...erano in tre, non potevo farci niente"
cerca di giustificarsi il biondo, avendo notato da subito il suo tono poco propenso ad ascoltare le sue scuse, qualsiasi esse siano.
"Non me ne frega un cazzo! Sei grande e grosso, che c'avevi? Paura?
Ma Dio, te rendi conto de quanti soldi c'hai fatto perdere stasera?!"
urla Francesco quasi senza riprendere fiato tra una parola e l'altra, segno che stavolta Andrea non la passerà liscia.
"Te dico che erano i.."
ripete il biondo cercando di sembrare il più dispiaciuto possibile, ma sa benissimo che, con Francesco, questi metodi banali non possono funzionare.
"Senti, fosse per me t'avrei già mandato a cagare, ma non sarebbe molto 'na punizione per te, no? Me sa che te farei pure 'n favore"
dice infatti quest'ultimo, parlando più con se stesso che con il ragazzo dall'altro capo del telefono.
Andrea, per un attimo, aveva davvero sperato che grazie a quel suo stupido errore fosse riuscito a liberarsi di tutto, ma sarebbe stato troppo semplice e bello per essere vero.
"Quindi resti con noi, e ti faccio lavorare il doppio. Niente scuse per saltare la serata, o sarà peggio per te."
termina infatti il suo capo, irremovibile.
Senza aggiungere altro chiude la chiamata, distruggendo così ogni piccola speranza di Andrea.
Quest'ultimo impreca e si chiude velocemente la porta alle spalle, come se così facendo possa lasciare fuori anche tutti i problemi che la serata si è portata con sé.
Quasi senza pensarci si ritrova in bagno, per sciacquarsi il viso dal sangue e dalla pioggia.
Appena incontra il suo riflesso nello specchio abbassa gli occhi, incapace di guardarsi.
Sono davvero troppe la stanchezza e la rabbia che le persone, il mondo e la vita, ogni singolo giorno, gli gettano addosso senza alcuna pietà