"Dopo cinque giorni di lungo viaggio eravamo sfiniti, affamati, assetati, disperati. Nel vagone si respirava un'aria nauseabonda: urine e feci di chi non si muoveva più, si erano mescolate con la paglia.
Eravamo bestie impaurite e tremavamo a ogni rumore sospetto. Il primo atto di spersonalizzazione, la prima manifestazione del decadimento della nostra condizione di esseri umani, stava tragicamente iniziando!"Testimonianza di Elisa Springer, deportata e sopravvissuta ad Auschwitz, Bergen-Belsen e Theresienstädt.
Febbraio, 1944.
Il soldato chiamò a gran voce molti nomi e fra questi ci furono anche quelli di Tea ed Ester le quali non sapevano se essere sollevate oppure no. Ai selezionati, infatti, non fu detto niente di quel viaggio che stavano per affrontare: alcuni pensavano che sarebbero tornati a casa e altri, invece, che sarebbero stati semplicemente spostati ma, per quanto pessimista potesse essere quella visione, non sarebbe mai stata peggio della realtà.
La mattina seguente Tea, Ester e tutti coloro che sarebbero dovuti partire furono svegliati presto e in malo modo; li fecero mettere in fila e vennero distribuiti loro dei cestini di carta contenenti gallette, mortadella e latte condensato. Successivamente, impauriti e silenziosi, attraversarono un lungo corridoio in cui c'erano le celle dei detenuti comuni i quali si sporsero dai ballatoi per lanciare arance, mele e biscotti ma, soprattutto, urlarono loro parole di incoraggiamento e di solidarietà.
Tea li osservó confusa e si spaventò ancora di più: non capì il perché di quei gesti e di quelle parole dato che - pensava - nel peggiore dei casi sarebbero stati trasferiti in un'altra prigione come quella.Quando poco dopo raggiunsero il cortile, vennero fatti salire violentemente su dei camion chiusi con teloni neri e trasportati alla stazione di Trieste accanto al Silos, un grande edificio a tre piani da cui si estendevano due lunghi corpi paralleli e, in mezzo ad essi, vi erano i binari su cui venivano depositati i treni merci.
Lì, a calci e bastonate, furono caricati sui vagoni bestiame e, non appena uno di essi era pieno, veniva sprangato e portato con un elevatore alla banchina di partenza.
I poveri malcapitati obbedivano senza fare storie anche perché nessuno si era reso conto veramente della realtà: tutto, infatti, si svolse nel buio del sotterraneo della stazione, illuminato solo da potenti fari nei punti strategici.
Solo quando tutte le vetture furono agganciate capirono che avrebbero viaggiato in quel modo, in uno spazio ristretto, sporco e buio.
All'interno di esso, infatti, vi era un po' di paglia per terra e un secchio per i bisogni personali in un angolo.
Quel luogo era fetido e freddo: si sentiva odore di urina, i visi dei passeggeri erano grigi per la paura e la fame, mentre le loro gambe risultavano ormai intorpidite poiché costretti a stare ore all'impiedi uno appiccicato all'altro.Il treno, inoltre, andava molto piano, fermandosi di tanto in tanto.
Dalle grate Tea riusciva a scorgere la campagna avvolta nella nebbia dell'inverno; non era la sua stagione preferita, ma quel paesaggio bianco e silente era decisamente più appetibile di quel vagone fatiscente. Le persone al suo interno, nonostante le cattive condizioni, fino a quel momento avevano dimostrato un certo sollievo visto che il treno non era diretto al confine, anzi sembrò puntare verso sud, nel centro Italia. Sfortunatamente, però, alla sera ci fu un'inversione di marcia e tutti cominciarono ad agitarsi.
C'era chi piangeva, chi pregava, chi cercava di dare supporto a sé stesso e agli altri ma nessuno si rassegnava al fatto che stessero andando al nord, verso l'Austria. Era tutto un coro di singhiozzi che quasi copriva il rumore delle ruote che sferragliavano sulle rotaie. In fondo al vagone, Tea notò una donna che abbracciava un ragazzino e in quel momento pensò di nuovo alla sua famiglia.
Cosa sarebbe successo?
Quando li avrebbe rivisti?
Li avrebbe rivisti?
Finora la risposta a quest'ultima domanda era sempre stata positiva, ma lì, in quel vagone maleodorante in mezzo a centinaia di volti disperati, era molto difficile non pensare al peggio.Così, in silenzio e sempre vicina ad Ester, rimuginava su quanto fosse successo: qualche mese prima si era comportata da irresponsabile e ora i suoi genitori sarebbero morti di dolore se non fosse più tornata a casa.
Crollò così anche lei in un pianto liberatorio, provando a lasciar andare i sensi di colpa, la paura e la nostalgia dei suoi cari.L'unica nota positiva di tutto quel dolore, era che con lei c'era Ester e, ancora una volta, si lasciò consolare da quella dolce donna.
«Tea fatti forza, andrà tutto bene.» Le disse Ester con estrema dolcezza.
«Dove ci portano?» Chiese però la ragazza tra i singhiozzi e in preda ad una crisi di panico. Fino a quel momento era stata forte, aveva cercato di non lasciarsi sopraffare dallo sconcerto ma, ormai, era giunta al limite. La donna, allora, l'abbracciò come poté, facendosi spazio fra altre decine di braccia.
«Non lo so.» Rispose quest'ultima sospirando, passandole una mano sulle spalle e tirandosela più vicino.
Strette in quell'abbraccio, le ore passarono e i giorni seguirono le notti in un' inerzia totale: era difficile calcolare il tempo ma ad ogni secondo la voglia di Tea di uscire di lì, aumentava e, come se le avessero letto nella mente, una mattina il treno si fermò e il vagone venne aperto.
«Schnell!» Gridò con forza un soldato tedesco, battendo il manganello sul convoglio in ferro.
Tea non se lo fece ripetere due volte e saltò giù, illusa di essere libera. Infatti, una volta messo piede sul soffice manto di neve che ricopriva la terra, la ragazza prese un grosso respiro godendosi quell'aria fresca e pulita. Sorrise, mentre abituava gli occhi, fino ad allora al buio, alla coltre bianca e luminosa.
Quel momento di pace, però, durò solo pochi minuti: i soldati strepitavano ordini e tenevano d'occhio i prigionieri con i fucili puntati su di loro mentre uno dei tedeschi sistemò una mitragliatrice su un treppiedi. Fu allora che Tea pensò al peggio: credette che li avrebbero uccisi, d'altronde stavano in mezzo al nulla e non c'erano testimoni.
«Se devi bere, fallo in fretta.»
L'interruzione improvvisa dei suoi pensieri la fece trasalire e il cuore cominciò ad aumentare i battiti, riconoscendo la voce del Comandante della Risiera.
Il desiderio di placare la sua sete, però, le fece mettere da parte paure e insicurezze.
«Sì che voglio! Dove trovo l'acqua?» Gli chiese infatti lei, continuando a guardarsi intorno alla ricerca di quel bene prezioso.
Ma Mark, sempre composto, le fece solo un cenno con la testa indicando la neve che si stendeva placida davanti a loro.«Devo bere la neve?» Chiese esterefatta la ragazza, sperando di aver capito male.
«Che ti aspettavi? Ti conviene anche fare presto perché tra poco continueremo il viaggio.» La risposta lapidaria di Mark colpì Tea come un fulmine a ciel sereno.
«Che vuol dire?» La voce delusa della ragazza si ridusse ad un sussurro.
«Quello che ho detto. Sbrigati.» Chiuse lui il discorso, allontanandosi.
Tea, allora, avvilita e affranta si affrettò a prendere un mucchietto di neve tra le mani, scegliendo quello che le sembrava più pulito e bianco.
Riuscì a prenderne poca perché, come le aveva anticipato il Comandante, furono richiamati sul treno.Passarono quindi altri lunghi giorni di viaggio, durante i quali Tea vide spirare un'anziano e la scena fu straziante: un uomo, forse il figlio, continuò a tenerlo stretto fra le braccia fino a quando il treno si fermò nuovamente.
Tea pensò ad un'altra sosta ma, quando scese dal convoglio, le mancò il fiato. Intorno a loro solo desolazione e di fronte, un cancello altissimo sovrastato da un'enorme scritta:
"Arbeit macht frei".
Il lavoro rende liberi.
E Dio solo sa che frase beffarda fosse quella, in un posto del genere. Schiavi, prigionieri, servi.
Lì, in quel luogo maledetto, sarebbero stati tutto meno che liberi.
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La rosa di Auschwitz
RomanceQuesta è la storia di una giovane ebrea che - a poco a poco - si innamora del nemico: il Kommandant del campo di concentramento di Auschwitz; il luogo che rappresenta la tomba di milioni di innocenti e dove sembrava impossibile anche solo trovare la...